giovedì 21 giugno 2012

Caldo, genetica e stracciatella...

Che caldo tropicale! Già non se ne può più, e nemmeno siamo a luglio!
Che ne sarà di me? Mi scioglierò in una pozza di sugna e sudore, una sorta di Valdemar anni Duemila.
Poverammé...
Mi piace sempre scherzare sul fatto che i miei genitori biologici potessero essere un esule russo e una cuoca sarda... Chissà qual'è la verità... Anche se poi, lo so benissimo, ai fini della mia vita reale questo non conta affatto.
I miei genitori sono stati Elena e Dandolo. E basta. 
I geni, casomai, spiegherebbero solo le mie russità e sardità, come fossero delle qualità innate, cosa scientificamente impossibile, alla faccia di tanti romanzetti d'appendice e telenovelas sudamericane circa la famigerata e risibilissima "voce del sangue". Una boiata micidiale buona solo per imbastire trame di basso livello...
Eppure non so spiegarmi perché amo il clima rigido e le distese pianeggianti di betulle, o perché mai ogni volta che qualcosa mi riporta alla mente" l'orma degli dei" (1) uno struggimento speciale mi scuote l'anima.
Perché gli accenti suadenti della lingua russa e la dolce scabrosità de sa limba mi facciano risuonate come dei diapason certe corde intime che collegano il cuore, la mente e le sacche lacrimali...
Vabbè, che esagerato...
Tutto questo per dire che certi caratteri sono sì genetici ma altri si acquisiscono per imprinting, assimilandoli nella crescita.
Non si spiegherebbe altrimenti come mai io abbia nel carattere e nei modi di fare elementi che riportano senza dubbio ai miei genitori adottivi.
Tanto per dire: sono accomodante e comprensivo come lei e amo parlare a voce alta senza ragione come lui.
Quando qualcuno mi fa: "Aho, sei tale e quale a tu padre quando fai così!" rimango sempre sorpreso, ma poi un sottile orgoglio mi pervade: anche in queste piccole cose, dei minuscoli tasselli magari senza importanza, loro mi vivono dentro e li sento ancora con me.
È il segreto della memoria...
Tutto questo per dire: uh, che caldo, faranno almeno quaranta gradi all'ombra. Qui ci vuole proprio una bella stracciatella! Che c'è di meglio, con 'sta temperatura infernale, di  una tazza di brodo bollente, che concili il calore interiore con quest'aria rovente?
Sì, una bella tazzona di brodo caldo caldo, una deliziosa stracciatella, proprio quelle che tanto amava papà Dandolo (2).
Tranquilli, sono un folle innocuo, di quelli che parlano col suo demonietto interiore (vero,  Leppagorre?), che sono un po' sfasati e fuori dal mondo. Ma non sono mica pericoloso!... Così, almeno, pare...
Quindi, sfatando l'assioma che in casa di un single non si possa trovare del brodo se non fatto col dado (chissà perché, poi: troppo impegno e troppa fatica? Bah...) eccomi con un bel tazzone del prezioso sugo, avanzo di un lesso di qualche sera fa e preparato in nemmeno mezz'ora, grazie alla mia fida amica Pentolappressione.
E siccome se bisogna farla sporca bisogna farla per bene, aspettare le 12 o le 13, 13 e trenta, quando il sole sta a picco e affacciarsi alla finestra ci farebbe sciogliere come l'omino di burro.
Per ogni persona occorrono:
Una tazza di brodo (ma questo lo sapevamo già)
un uovo
un pizzico di noce moscata
un pizzico di sale
due cucchiai di parmigiano
due cucchiaini di succo di limone
la scorza grattugiata di 1/4 di limone
un po' di pepe
E basta? Ma io lo dico sempre che le cose più bbone sono anche le più semplici...
Filtrate il brodo con un colino e, intanto che riprende il bollore (pure lui...) preparare la stracciatella:
sbattere l'uovo in una tazza, aggiungere gli altri ingredienti e mescolare bene.
Bolle? Bene: versare il composto nel brodo e con una forchetta mescolare velocemente per far rapprendere l'uovo in grumi (gli stracci, da cui il nome) piccoli e sottili.
Non deve assolutamente fare i mallopponi, sennó che facciamo: la frittata lessa?


Questo piatto è tipico del pranzo di pasqua romanesco o, più genericamente, dei pranzi primaverili, quando ancora fa freddo e il calore di questa delizia riscalda l'anima e pure er gargarozzo.
Ahhh, ce voleva propio!... Avrebbe detto Dandoletto, mangiando brodo e sudore in una calda, rovente, giornata d'estate.

Detto romano del giorno:
Bruno, bruno, tanto per uno.

Ossia tant’a ttesta, da cui il detto “fare alla romana”.

Oggi ascoltiamo:
Gabriella Ferri - Nina Se Voi Dormite

http://www.youtube.com/watch?v=7Xh6RV58rdk&feature=results_video&playnext=1&list=PL6C600841F006C9F7

Anche noi romani abbiamo avuto la nostra Edith Piaf, la nostra Amália Rodriguez, la nostra Umm Kulthum, la musa e l'interprete di quello che comunemente si dice romanità ma, in fondo è solo questione di parole, di suoni, d'atmosfere...
Troppo presto dimenticata, ma poderosa, verace, sincera. Romana fino al midollo.

Note
(1) Guardate la cartina della Sardegna: non sembra proprio l'impronta di un piede? Con l'Asianara a far da alluce e il Campidano come calcagno... L'orma che sul Mediterraneo lasciarono gli dèi...

(2) No, non è che fosse l'ottavo nano: quello casomai è l'uomo di plastica...
E neppure un gerundio vagamente osceno con aggiunta enclitica...
Il suo era, invece, un nome tipicamente romano, di quelli antichi che non si usano più.

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