martedì 27 agosto 2013

Culurgioni alle ortiche... di Campotosto

- Leppagorreee! Non tirare il bastone nel lago che poi Babà ci si tuffa, e qui l'acqua è gelata!
- Ma a lui piace! Guarda come corre!
- Sì ma mica dobbiamo fargli venire un colpo, no?
- A zì! Co' cchi parli?
- Niente rospetto peloso dello zio, tieni, tieni il bastone. Corri, su!
(e se mi facessi un pandispagna con ganache al tè?...)
 

- Che carino, hai visto? Beve l'acqua del lago!
- Oh, zì! Vieni 'mbò quine a vedé! Ce sò li mostri nel lago?
- Ma no, Babà, quali mostri, solo coregoni, semmai. Saranno i riflessi del sole... Guarda che bello!
( ...o magari dei cannoli alla siciliana con tanti, tanti canditi...)

 Lago di Campotosto (ca. 1400 m s.l.m, metro più metro meno)
- Co' cchi parlavi zì?
- Con un demone gatto...
- Gatto? Indove? Do stàa?
- Ma no, non lo vedi, ma...
(...oppure una mousse al triplo cioccolato con amarene 'n coppa?...)


- C'era bisogno di farti vedere? Con quei ridicoli mutandoni, poi.
- Sono bellissimi, invece. Pensa che ne portava un tipo uguale uguale monsieur Flaubert!
- Sì, e madame Bovary aveva il bikini dello stesso colore! Ma va, va... Babààà, esci dal lagooo!
- Zì! Sò visto un pescione peloso, grosso grosso e colli baffi!
- Ma no, mostriciattolo dello zio, non era un pescione. E poi i coregoni non hanno mica i baffi!
- Ma io lo sò visto!
(...o anche la Torta Frescobalda, che è da tanto che non la faccio...)

- Smettila o qui mi internano in un istituto! E lì non ci sono mica cucine a disposizione per poter pasticciare, caro mio!
- Ma sto solo giocando, guarda come scruta nel'acqua.
- Babààà, vieni qui!
- Uffa zì, c'era un pesce gatto grosso come la panza tua!
(...ho deciso: apro un barattolo di miele da mezzo chilo e me lo sparo tutto assieme...)

- Che fai, zì?
- Raccolgo delle erbe. Senti un po' questa.
- Pf!, e che d'è?
- Nepitella, la chiamano.
- Nun me piace la nepotella, fa schifo. E questa invece?
- È ortica, sai quant'è buona questa qui?
- Preferisco la caciotta, io!
- Non dubitavo...
- Ma devi usà li sacchetti mia pe' mettecela dentro? Nun ciavevi altre buste?
- Secondo te?
(...panna chantilly a riempire la vasca e io dentro, con un chilo di lamponi a pioggia...)

- Ci facciamo i culurgioes con quell'ortica?
- Ma sei matto? I culurgiones in Abruzzo nemmeno sanno dove stanno di casa. Casomai, che so, i ravioli, o i panzerotti.
- A me risulta che li conoscono.
- Guarda che non siamo in Sardegna. E vabbè che qui di patate ne hanno a iosa, ma non mi risulta siano parte dei piatti tipici della zona. Di Campotosto, poi...
- Scommettiamo?
- Quello che vuoi.
- Allora... scommetto scommetto... che compri una salamella di fegato solo per me.
- E io scommetto... peperoni crudi per tre giorni.
- Bleah!
- Solo, a chi chiedere?
- A quella signora là, quella col fazzolettone in testa che pare Janka Rupkina del Trio Bulgarka!

La sora Janka è quella a sinistra

- Ah ah, se ti sente te le suona, altro che! Hai visto nel bar che cartello avevano appeso?


(La dignità con cui questa gente ha affrontato la disgrazia del 2009 è ammirevole: gli abruzzesi sono gente tosta davvero.
Ma stanca di promesse fatte a vuoto.
Alcune case di qui hanno ancora i puntelli. E dovranno aspettare chissà quanti altri anni ancora prima d'essere ricostruite.
O demolite)
Fatalità, la foto mè venuta mossa, e il cartello l'ho dovuto ricostruire su pc.

- Dài, dài, chiedi a lei! Non hai il coraggio, vero?
- Grrr!!!... Signora! Scusi il disturbo, un'informazione, per piacere.
- Me dica.
- Ecco, ho visto l'elenco dei piatti tipici appeso là, al ristorante...
- Ah scì?...
- Le volevo chiedere... Conosce per caso un tipo di pasta chiamata culurgioni?
- Scine! Li preparo de domenica quanno viè a casa mì socera.
- Ah, ho capito. Ma i culurgioni quelli che si chiudono così... e così?
- Scine, come la spiga del grano, proprio quelli.
- Ho capito, grazie. Scusi del disturbo, eh?
- Niende, nun ze preoccupi.

- Salamella, bella bella, con il fegato e cannellaaa!
- Smettila, che mi stai sui nervi quando gongoli così!
- Mhhh, già me la sento giù per il gargarozzo! E nemmeno la pelle esterna ci levo!
- Quasi quasi te la friggo nell'anice!

Culurgioni "di Campotosto" alle ortiche
Per la pasta:
250 g farina di grano duro
100 ml acqua tiepida
1 bustina di zafferano, un pizzico di sale

Per il ripieno:
300 g ricotta (se di pecora non facciamo danno a nessuno)
100 g ortiche colte al momento (una bella bustina colma)
2 cucchiai di parmigiano, un pizzico di coriandolo in polvere e sale q.b.

Preparare la pasta al solito modo, unendo gli ingredienti in ciotola e, una volta amalgamati, rovesciarli sulla spianatoia e formare un impasto "liscio ed omogeneo", come dicono tutti ma proprio tutti, cuochi e non.
Lavorare a lungo l'impasto, quindi formare una palla e lasciarlo riposare per mezz'ora almeno nella ciotola, coprendola co un panno inumidito.
Lavare bene le foglie d'ortica, quindi trasferirle in un tegame con pochissima acqua e farle appassire per pochi minuti a fuoco basso.
In alternativa si possono far cuocere al microonde un paio di minuti a cottura media.
Come dice anche wiki (una bibbia, per noi cialtroni) qui: "Gli spinaci mantengono quasi tutto il loro folato anche se cotti a microonde; al confronto, ne perdono quasi il 77% se cotti sui fornelli, perché il cibo sui fornelli tipicamente è bollito, cosa che porta alla dispersione dei nutrienti. Le verdure al vapore tendono a conservare più nutrienti se cotte al microonde rispetto alla cottura sui fornelli". E se lo dice wiki...
Tritare con la mezzaluna le foglie, unirvi la ricotta lavorata a crema, il parmigiano, il coriandolo (che col suo aroma limonato si sposa bene con il gusto dell'ortica) e aggiustare di sale.
Basta così.
Stendere la pasta in una sfoglia non troppo sottile (livello 4 della fida Imperia, altra Durlindana) e ricavarne con un coppapasta dei cerchi da 7 cm (circa, non è mica tassativa la misura: anche un bicchiere va benissimo) che andranno riempiti di ripieno...
Ora, visto che devo imparare a superare la mia timidezza, che assieme alla pigrizia fanno come la glicerina con l'acido nitrico, ho preparato un video un po' noiosetto ma esplicativo di come vanno chiusi i culurgiones:


Un pizzico a destra, l'altro a sinistra e la spiga si chiude sul ripieno come il cuore sul suo segreto...
Cuocerli in acqua bollente e salata fin quando verranno a galla, scolarli bene e condirli a piacere.
Anche solo burro fuso, con o senza salvia, o un semplice sughino al pomodoro.


- Mhhh... ci volevano proprio, Leppa!
- Boni, eh? E bona anche la salamella. Grazie.
- Dovere. Sai, ancora non mi spiego come mai i culurgiones siano conosciuti qui in Abruzzo, e in cima alla montagna, a Campotosto, poi...
- Mah, sai, la cultura viaggia...
- Eh sì... Ma... un momento!

- Signora, scusi! Si ricorda di me? abbiamo parlato ieri...
- Scine, me lo ricordo.
- Non vorrei sembrarle scortese o troppo curioso. Parlavamo di culurgiones, si ricorda?
- E come no? Sò boni, li faccio sempre la domenica...
- ... per la suocera, sì, me lo diceva proprio ieri. Ma dica un po', una curiosità: come fa di cognome sua suocera?
- Marras, perchè? Ma dove corre? Boh, 'sti romani sò tutti sonati in capo!
- Leppaaa!!!

Detto abruzzese del giorno
A chije aspette, n’hêre ije ne pare sétte
A chi aspetta, un'ora glie ne sembrano sette


Oggi ascoltiamo
Kate Bush (col Trio Bulgarka) - Rocket's tail

http://www.youtube.com/watch?v=7yeimyOsdrA
Da ascoltare a luce spenta, rigorosamente.
Solo Kate avrebbe potuto unire la musica rock con i canti popolari bulgari. Altro che Pippero...

venerdì 23 agosto 2013

Sformatini di lupini

- Allora, dài, sali. Fammi vedere... Stai barando, eh?
- Ma chi, io? No, no, Leppagorre, macché barare!
- Poggia bene i piedi, allora. Quel segno là vuol dire "8", vero?
- Ma se lo sai già, perché mi prendi per i fondelli?
- Guarda che non so leggere, io. Giuro e confermo!
- E quando al supermarket mi dici: "Prendilo, prendilo, che conviene!", cosè, allora? Non mi prendi forse in giro?
- Ma io guardo solo le figure e il colore delle confezioni. So un cavolo cosa c'è scritto sopra.
- Ecco spiegato il perché del "Polpa di vitello e mela" e del "Soya drink alla fragola" che mi sono ritrovato sul groppone...
- Però guarda che bella mucchetta sorridente, non è adorabile?
 - ... nonché quella confezione di alghe dall'impiego sconosciuto che m'hai fatto prendere la settimana scorsa all'alimentari cinese. Sembravano capelli d'una sirena disseccati. E avevano anche lo stesso sapore, tra l'altro.
- Ma non era bella l'immagine di quella spiaggia al tramonto con sopra gli ideogrammi di "erba" e "oceano"?
- Cioè? Non sai riconoscere le lettere dell'alfabeto latino e poi sai il significato degli ideogrammi cinesi? Vedi che mi prendi in giro? E dove avresti imparato?
- È una storia lunga, lascia perdere...
- Ma come, io mi sono frantumato i neuroni per tenere a mente pochi ideogrammi e tu, brutto infamone che non sei altro, non mi dici niente?
- Ma se non me l'hai mai chiesto!
- Oh, tenetemi lontano l'anice stellato o altrimenti faccio una strage!
- Eh, che esagerato! Manco t'avessi raccontato che giocavo a carte con Lǐ Bái.
- Chi? Li Po, il "poeta 'mbiacone" della dinastia Tang? Ti prego, dimmi che non è vero.
- Sì, ma non baravo! Che tipo quel Bái!... Pensa che bestemmiava in rima, anche.
- Cacciapalle che non sei altro, vieni qui. Leggi questo allora.
- Cos'è?
- Un poema del tuo amico Lǐ Bái, no? Dimmi cosa c'è scritto, su.

花間一壺酒,獨酌無相親。
舉杯遊明月,對影成三人。
月既不解飲,影徒隨我身。
暫將月陪影,行樂須及春。
我歌月徘徊,我舞影零亂。
醒時向交歡,醉後各分散。
永結無情遊,相期邈雲漢。

- Allora, se non sbaglio fa così:
Seduto me ne sto tra i fiori con una brocca di vino, e festeggio senza i miei più cari amici;
alzo il bicchiere e invito il chiar di luna, e insieme all’ombra poi saremo in tre,
ché non dirà certo di no, la luna. E mentre l’ombra seguirà il mio corpo
io accanto a lei la luna scorterò. Finisce di primavera l’allegria,
mentre al mio canto ondeggia vaga la luna, e mentre sto danzando freme l’ombra.
Sobri viviamo tutti la stessa gioia, e nell’ebbrezza ognuno va per sé
Uniti noi tre per sempre, senza amore, saremo in lontananza la Via Lattea


- Non ho parole, Leppa... Ma allora...
- Sì, ma non è come si dice, eh? Dalla barca c'è caduto da solo! Ubriaco, come al solito.
- Perché, c'è chi insinua pure che...
- Eh, caro mio, le malelingue stanno dappertutto, sai.
- Fammi sedere, che sono ancora scosso.
- Vuoi dire che allora non si cena?
- Come no! Ho una fame che ti vedo doppio!...
- Ma che hai bevuto prima di cena, forse? Devo chiamarti Muccardo Li?
- Ma per favore...

Sformatini di lupini
200 g    lupini
1            uovo
1            cucchiaio di farina
Niente sale, eh?
Lasciare in ammollo i lupini in acqua fresca per almeno un'ora.
Se si ha tempo anche una notte sarebbe meglio, ma se si decidono le cose come faccio io la cosa è improponibile.
Tritare finemente i lupini fino a ridurli in una pasta, a cui va unito l'uovo e la farina.
Deve essere un impasto cremoso mediamente sostenuto.
- Vuoi dire che se la tira?
- Fila via, mostro! Se scopro che hai buttato in acqua Lǐ Bái ti faccio secco con l'anice!
- E che diamine! Sarà anche passato in prescrizione, no?
- I crimini contro i poeti non passano MAI in prescrizione, quindi attento a te!

Ungere degli stampini da muffin e versarvi il composto.
Qui si hanno diverse possibilità.
Si possono cuocere in forno per 15 minuti circa, mettendo gli stampini in un tegame con un paio di dita d'acqua, per farli cuocere a bagnomaria.
- Sennó?
- Sennó si rischia di farli asciugare troppo. Magari può anche non succedere, ma cuocendoli a bagnomaria si evita il rischio.


Seconda alternativa: PaP, la mia fida e amata Pentola a Pressione, ovvero la Durlindana di Cavalier Muccard.
Anche qui versare un paio di bicchieri d'acqua sul fondo della pentola.
Cuocere circa 7-8 minunti dal fischio d'inizio bollore.


E, per curiosità, guardiamoci anche questa galleria di venditori di lupini.
- Sto già russando. Ma cos'è 'sta roba?
- Non apprezzi niente, cafonastro che non se altro. Assassino di poeti!
- Non l'ho spinto io! Ti dico che è caduto da solo! Era così ciucco che nemmeno sapeva dove stesse di casa.
- Sì, sì, tutte scuse. Ti conosco, spiritello!
- Ma se ti dico che...
...
Così, per un'altra mezz'ora, almeno.

Detto cinese del giorno
祸 不 单 行 (Huò  bù  dān xíng)
La tristezza ama la compagnia (e un bel bicchier di vino, aggiungerebbe Lǐ Bái)

Oggi ascoltiamo
Teresa Teng (Dèng Lìjūn) - 但願人長久 (Dàn yuàn rén cháng jiǔ)
http://www.youtube.com/watch?v=R_-uoSjsLwg

L'avevamo già sentita cantata da Wong Fei, ma decisamente Teresa Teng è stata un mito del Mandopop.

A quanto pare il brindisi solitario con la luna è un tòpos nella poesia cinese.
Il testo della canzone è una poesia di 蘇轼 (Sūshì), poeta della dinastia Song (circa 400 anni dopo Lǐ Bái, quindi).
Lo riporto di nuovo perché vi sono diverse rassomiglianze tra i due poemi:

Brindo alla luna che splende.
Quando verranno giorni migliori?
Che anno è stanotte? Quale il volere degli dei?
Catturerei il vento per tornare,
ma qui solo stanze gelide
Danzo con la mia ombra,
che passa  per la porta e il davanzale,
riflette la mia insonnia uno  scontento
senza risposta alcuna, la separazione,
la gioia e la malinconia.
Anche la luna cambia faccia,
non v’è alcuna perfezione da raggiungere,
possano allora vivere a lungo gli amanti,
appaiati come uccelli in volo
insieme per mille e mille miglia.

lunedì 19 agosto 2013

Biscottini alle zucchine per Babà

- A zì!
La voce è quella d'un ragazzotto dalla pronuncia un po' rude di chi viva in provincia, in uno qualsiasi dei tanti paesi che circondano la capitale su quella fascia di colline detta Castelli Romani.
Le consonanti sorde sono costantemente sonorizzate: la "z" di "pozzo" suona come quella di "mezzo". 
- Oh, zì!
La voce mi suona familiare, eppure non c'è nessun altro qui al parco se non io e la padroncina della cagnetta amica di Babà.
Mi guardo attorno. Niente. Avrò sentito male.
- A zì! Ma ce sendi o sì sordo? - La "t", per effetto della stessa regola fonetica , suona "d" e...
C...ribbio! Lo sapevo! Non bastavano i demoni felini in cucina, adesso sento anche i cani parlare!
Mi si è infrollito il cervello, di sicuro, e tutto per colpa di questa maledetta d...ieta - Ecco, l'ho detto!
Sarà meglio che aggiunga qualche caloria in più a pasto, altrimenti verrò sommerso dalle allucinazioni.
- Oh! Zì!!!
- Eh!... Che c'è? - Sottovoce, per non farmi sentire dalla ragazzetta seduta sulla panchina poco lontano, tutta intenta a "spippolare" qualche messaggio sul cellulare.
- La si sendida, a essa?
- "Essa" chi: la tua amica Vaniglia?
Ebbene sì: Babà ha un'amichetta spiccicata a lui, e si chiama Vaniglia. Sul serio, eh?
- Sine! Nun la sì sendida? Me shta a pija per c...
- Babà! Insomma! Ti ci metti anche tu adesso?
Ma che succede? Perché tutto questo? Sudo freddo.
È dal giorno della fetta di strudel, in effetti, che non assumo zuccheri. Sarà per questo?
È una crisi d'astinenza? Che devo fare, che devo fare, che devo ...
- A zì! M'ha detto che sò bburino!
Lo guardo negli occhi d'oro da maschiotto. - A un anno, del resto, un cane è ancora adolescente.
- Tesoro dello zio, sta calmo. Non te la prendere, su. In fondo un qualche accento leggero - Ma giusto un'ombra, eh? - della parlata di Albano Laziale t'è rimasta. Hai soltanto un anno e ancora non hai assimilato bene la cadenza romanesca.
- Mó lle do nu mozzico alla zinna e vedi, eh?
- Burino! Burino! Ah, ah, ah! Burino che non sei altro!
- La sì sendida?
Voglio un croissant alla marmellata, una fetta di cheesecake ai frutti di bosco, un cucchiaio di miele.
Qualsiasi cosa pur di uscire da quest'incubo.
- Babà burino! Babà burino! Ah, ah, ah! 
- La pozzino shcoppà! Che 'mbunita che è, essa!
- "Essa", come dici tu, mi risulta venire da Latina e quindi, semmai è più burina lei di te, no? Dài, non fare il cafone e giocaci. T'ho portato anche la palla da tennis...
- Ma me la rubba sembre! È sverta, essa. È come lo lambo!
- Eh, sì, hai ragione. Lo sai che le femmine...
- Annamo via, zì, me so shtufato!...
- Io invece sono esaurito...
Per la strada di casa nulla, come se niente fosse.
Lui che si ferma ad ogni due per tre ad analizzare chissà quale odore sul marciapiede e a sollevare la zampetta per marcare il passaggio, io che lo guardo con la coda dell'occhio e, soprattutto, quella dell'orecchio.
Niente. Forse sono solo stanco, forse stavo con la mente in chissà quale racconto da scrivere e mi sono suggestionato.
- A zì, ma quanno tornamo a casa tua me li fai li bishcotti?
 È impossibile riprodurre la prosodia altalenante della sua frase, e non ci provo nemmeno.
Resto fermo al passaggio pedonale come un imbecille, in una mano il guinzaglio e nell'altra il telefono.
Che faccio, chiamo l'ambulanza?...
- Sì, bello de zio. Quanno tornamo a casa te li faccio, i biscotti. Dimme 'n pò: le zucchine te piaceno?
- Fischia! - E devo scrivere questo, perché l'esclamazione è assai meno pubblicabile.
- Bene, allora te li faccio con le zucchine, va bene?
- Vedi mbò tte! Bashta che me li fai. E me lo dai pure lo iogurte?
- Sì, pure lo yogurt, sì. Basta che non tiri il guinzaglio!

Biscottini alle zucchine
250 g farina 00
50 g   farina di riso (o anche di fecola di patate)
80 g   omogeneizzato alla carne (un vasetto)
1        uovo
2 cucchiai d'olio di semi
1 zucchina media (200 g ca.)
1 cucchiaino di bicarbonato di sodio
In una ciotola unire le farine e, al centro, versare l'omogeneizzato e l'uovo.
Unire la zucchina tritata finemente, l'olio, il bicarbonato e iniziare a impastare.
Qualora l'impasto fosse ancora troppo cedevole per essere steso aggiungere altra farina, a poco a poco.
Manco a dirlo: né sale né spezie varie, eh?
Non sia mai che anche al cucciolo vengano le allucinazioni. Uno basta e avanza.
Stendere la pasta e con una formina a piacere ricavare tanti bei biscottini, che si disporranno su due teglie coperte da carta forno.


Cuocere in forno caldo, i soliti 180°, per una mezz'ora.
Devono asciugare bene e, freddandosi, indurire un po'.
Visto che ne vengono due teglie si può anche ottimizzare la cottura mettendole entrambe in forno; a metà del tempo basta invertire la posizione delle teglie per avere lo stesso aspetto dorato e invitante.


Quando un cane ti guarda così capisci che il nome "Babà" gli calza a pennetto. È proprio il "suo"...
- A zì!
Ci risiamo! Pover'ammé! Ci manca solo il reparto neurologico e poi non mi manca nulla! Stavolta l'album è completo...
- Dimmi, bello di zio, che c'è?
- Ma angóra nun ze cena?
Voglio un tiramisù, un bignè al cioccolato, una brioche col tuppo imbottita di gelato.
E subito!

Detto albanense del giorno
Quanno Monte Cavo se mette 'o cappello, và a casa a pijà 'o 'mbrello!

(Monte Cavo una montagna dei Castelli Romani. Vista l'altezza vi sono dislocate le antenne trasmissive radio-televisive, oltre che le stazioni radio-base del sistema Radiomobile)

Oggi ascoltiamo
Randy Newman - You've Got A Friend In Me (Live)

http://www.youtube.com/watch?v=LXARdPb4YBs

sabato 17 agosto 2013

Stelle e fagioli

Mi sono sempre chiesto: ma quando passera quest'euforia di decorare le torte come fossero fatte col "pongo", questa smania di fare cose spettacolari e spesso bellissime ma immangiabili, questa frenesia di stupire e apparire ed esserci (altrimenti non non si è niente) allora, mi dico... che ne sarà di questa roba?

Intendiamoci, qui non si parla delle "pennette alla vodka" che hanno infestato gli anni Ottanta del secolo scorso, con tanto d'accompagno di rucola ad ogni due per tre e il famigerato velo di panna su tutti i primi (anche nel pesto, giuro...)
Non è la moda in sé che mi spaventa: le mode, si sa, sono fatte per passare, per giocarci al momento giusto e basta. Con misura, come tutto.
Qui si tratta spesso di scatoloni di attrezzature delle quali solo la Wilton aveva il monopolio, prima che gli amici del Regno di Mezzo imparassero a commercializzarle a "due euri", e magari erano anche costate fior di quattrini.
Ecco, uno si fa... si applica con tutto se stesso per imparare a fare qualcosa di nuovo, sfida la propria manualità da bradipo paralitico e pàffete, tutto diventa inutile.
Le prossime manie?
Dal 2D dei disegni fatti su fogli d'ostia e stampati con colori alimentari siamo passati al 3D della modellazione.
Il prossimo passo è solo il 4D: la torta che si fa da sola.
Al festeggiato porti una scatola grande come l'astuccio di un anello che, aprendola, mette in moto un meccanismo di sviluppo immediato del dolce.
Una specie di "jack in the box" ma molto meglio. E commestibile, per giunta.
Scherzo, ma intanto io mi sto portando avanti col lavoro cercando di riutilizzare il mio scatolone di stampini in altri modi altrettanto proficui.
Per prima cosa mi sono fatto una pasta fatta in casa a forma di stelline (a sei punte, va be', ma quello stampo avevo...)
 

E una pasta così, di semplice acqua e farina di cosa mai avrà bisogno?
Ma di un condimento ben saporito.
E visto che m'ero lasciato da parte come un tesoro la cotenna del mio lingotto di Lardo di Colonnata e che, come è ormai di dominio pubblico, amo sempre fare le cose nei tempi "sbagliati", mi sono detto: "Ma perché non farci una bella pasta e fagioli? Caldina caldina e bella saporita?"
Prima di chiamare la guardia medica prego i signori della Corte di osservare questa foto che ritrae la pianta di ciclamini sul mio terrazzo. Con tanto di foto, non si può sbagliare:


È provato, signori della Corte: anche la Natura fa le cose in modo "innaturale".
Anche la Natura è contro-natura.
Come si spiegherebbe se no la fioritura di un ciclamino in pieno agosto?
Mica stiamo parlando della mimosa a febbraio, coi primi caldi anomali, no: qui si tratta di una pianta che ama il gelo dell'inverno e in estate va in letargo.
E cosa fa, la depravata? Fiorisce, così come se niente fosse.
Pertanto, signori della Corte, viste le premesse e la documentazione testé presentata, chiedo che il mio cliente Muccardo venga prosciolto con formula piena.
E in attesa di sentir proclamata la sentenza assolutoria prepariamoci questa benedetta minestra, su che è tardi.

Stelle e fagioli
Per due persone (o due pasti, a scelta)
400 g fagioli *
200 g pasta **
una carota e una cipolla piccole, più un gambetto di sedano
un pezzo di cotenna ***
sale, olio evo e peperoncino (facoltativo) q.b.
Tritare la carota, la cipolla e il sedano (con la mezzaluna sarebbe meglio, altrimenti vai col tritatutto, ma senza esagerare per non ridurre il tutto in pappetta...)
Far soffriggere le verdure (il trittico di arcana memoria...) in un paio di cucchiai d'olio evo, a fuoco basso basso.

Aggiungere la cotenna...
*** Se si ha il resto mortale del saporitissimo lingotto di Lardo di Colonnata usarlo senza indugio alcuno: il gusto della minestra ne troverà di sicuro giovamento... Se invece si ha la cotenna di un gambuccio di prosciutto va bene lo stesso. Meglio sarebbe un pezzo d'osso di prosciutto con un po' di carne ancora tenacemente attaccata all'osso. E se tutto questo non basta non dirò come nella poesia di Stefano Benni ma consiglio di aggiungere una salsiccia sbriciolata, che non fa mai male.

Quindi aggiungere i fagioli...
* Se si hanno a disposizione quelli freschi (o anche appena sgranati e surgelati) lessarli in acqua leggermente salata finché diventino morbidi, tenendo da parte l'acqua di cottura.
Se invece si hanno solo quelli in scatola guardarsi attorno, aprire con circospezione la scatola, risciacquare in acqua corrente i fagioli contenuti e versarli direttamente nel soffritto e, ah, ovvio: nascondere la scatola di latta nel contenitore della differenziata, bello in basso.
Far insaporire i fagioli per qualche minuto quindi aggiungere dell'acqua (di cottura, nel caso di fagioli freschi), tanto da coprire il doppio il livello dei fagioli.
Lasciare pure la cotenna a bollire serena assieme ai simpatici legumi, badando di togliere l'eventuale schiuma che dovesse formarsi in superficie con l'apposita palettina (sì, la schiumarola, appunto).

Quando l'acqua avrà bollito per qualche minuto togliere la cotenna (o l'osso, nel caso fortunoso) e buttar giù la pasta...
** Si può usare la pasta del formato corto che si preferisce, o gli avanzi delle confezioni di pasta (e a forza di fare porzioni da 70 g vuoi che non se ne accumulino in casa?) come si faceva una volta; quindi frantumarla a colpi... no, non di machete ma con un batticarne, o anche con la base di una caffettiera.
Se invece si vuole fare i gradassi (e qualche volta è concesso anche alle persone miti, con moderazione) preparare dei maltagliati fatti in casa o, che so, delle stelline...
To', ne ho giusto una ciotola pronta: che faccio, butto giu?
Portare a cottura la pasta e mentre è ancora al dente schiacciare con una forchetta un po' di fagioli, per favorire la cremosità della zuppa.

E, come dico sempre, cosa c'è di meglio con questo caldo di una bella pasta e fagioli?


Ovvio che è buona anche fredda, anzi: raffreddandosi diventerà "libudinosa" (libidinosa+budinosa).

Aforsima del giorno
La natura esagera.

Emil Cioran, Squartamento, 1979


Oggi ascoltiamo
Franco Fagioli "Se il fulmine sospendi" (Gluck) 

http://www.youtube.com/watch?v=dGsfNp-wNpM
Chi meglio di lui?... Lode ai sopranisti di tutti i tempi!

venerdì 16 agosto 2013

Strudel di mele

Ovvero - Turisti non per caso (2/2)

Cos'è che fa di uno strudel "lo" strudel?
Le mele? Be', ci sono anche strudel di sola frutta secca.
La scorza di "pasta matta"? Mah, a ben vedere ci sono involucri di pasta frolla, come ve ne sono di pasta sfoglia e, ovviamente, per i più fondamentalisti, quelli dell'intrattabile "pasta matta".
Ma se allora un qualcosa (e anche qualcuno) può essere definito da una serie di elementi, che ne è dell'identità quando anche solo uno di questi viene a mancare?
I sardi sarebbero lo stesso "sardi" se non avessero la loro antichissima lingua?
E gli irlandesi, che non ce l'hanno praticamente quasi più, sono tali solo perché vivono in un'isola diversa dalla Gran Bretagna?
E noi italiani, che siamo (a livello genetico, soprattutto) un coacervo di popoli il più disparato possibile, cosa siamo se non questa confusa e sublime mescolanza?
L'idea che qualcosa (e qualcuno) possa essere catalogato da una serie inclusiva di elementi (quello che in logica booleana, o binaria, si chiama AND) è un pericoloso quanto miope errore fomentato dai talebani d'ogni latitudine.
Tu sei "questo" solo se hai questa e questa e questa caratteristica. Altrimenti non sei.
Noi siamo invece degli insiemi aperti e definiti da una serie di inclusioni accumulative, siamo qualcosa di permeabile a tutto quello che è entrato in contatto con la nostra vita e i nostri geni.
Noi siamo questo e anche questo. Ma anche quest'altro, perché no. Senza confini netti e precisi.
Alla domanda se, da libanese emigrato in Francia, si sentisse più francese o più arabo, Amin Maalouf spiegava, con imbarazzata condiscendenza, di sentirsi e arabo e francese.
Ed è questa la sua ricchezza.
Se ognuno accogliesse in sé il più possibile di tutte le stupide etichette che una parte del mondo ama mettere alle cose e agli uomini il valore di quelle perderebbe di significato.
Perché non conta se una tessera d'un mosaico sia verde, gialla o rossa: il mosaico è fatto di tutte queste tessere e di mille altre ancora. E di altre cui nemmeno siamo consapevoli.

Questo quindi è uno strudel, ne ha tutta l'aria e tutte le intenzioni.
Quello che conta è che faccia parte dei generi di conforto che ci accompagnano nelle nostre peregrinazioni romane.
Perché mica ci possiamo accontentare di una fett(on)a di Torta Chatwin e cosìssia.
E se poi ci venisse un languorino? Avrei il senso di colpa di non aver fatto abbastanza per i miei amici.
E questo è l'unico senso di colpa che sia disposto ad accettare e col quale possa confrontarmi.

Metti che passi per Piazza Navona e ti sieda a fissare le Fontane dei fiumi, le case d'intorno sorte dagli spalti dello stadio di Domiziano ma anche le persone che passano, restano così, felicemente incantate, e si godono il fresco dello sciabordio dell'acqua.


Metti che ogni cosa, anche la più estranea e incongruente entri a far parte della magia di questo tutto...


anche la "rianimazione" di un peluche di Wil Coyote, perché no.


E magari poi ti venga quel languore che, si sa, non è proprio fame ma solo il pretesto per sentire l'indice glicemico schizzare in altro come il Vu-meter d'un amplificatore.
Però c'è poco zucchero... e ci sono solo mele e poca sultanina... e la sfoglia poi è così sottile che...
Tutte scuse, si sa, ma innocue. Una volta tanto.

Strudel di mele
700 g    mele
50 g      zucchero
50 g      pangrattato
100 g    uvetta sultanina
40 g      pinoli
70 g      burro fuso
1/2 cucchiaino di cannella
un limone
3 cucchiai di liquore (magari secco, tipo brandy o cognac)
Una confezione pasta sfoglia da 250 g ca.
Sì, anche surgelata, visto che è l'unica cosa che ancora non abbia mai preparato in casa. Ma è solo questione di tempo...

Sbucciare le mele, liberarle del torsolo e tagliarle a dadini.
Irrorarle con il succo del limone e unirvi anche la scorza grattugiata.
Aggiungere lo zucchero, il burro fuso, il liquore e la cannella.
Amalgamare con il pangrattato, e se dovesse risultare ancora troppo cedevole aggiungerne un cucchiaio o un paio in più.
Su un piano leggermente infarinato stendere il rettangolo di pasta sfoglia (ovvero farla serenamente scongelare a temperatura ambiente) e disporvi al centro il composto di mele.
Chiudere verso l'interno i bordi del lato più corto quindi sovrapporvi i lembi del lato più lungo.
Se la pasta sfoglia fosse un po' troppo asciutta (ma se era surgelata ne dubito) sigillare i bordi dello strudel con dell'uovo battuto.
Trasferire su una teglia coperta di carta forno e far cuocere a 180° per mezz'ora circa.
Cinque minuti prima del termine spolverare con dello zucchero a velo.


E se dovesse venir sete... be', a Roma l'acqua non manca.
Oltre ai "nasoni", infatti, dei quali c'è anche bella una mappa interattiva su questo sito, ...


ci sono tante altre fontane, forse meno conosciute, tipo questa, che è la mia preferita.

Chissà perché...

Detto romano del giorno
La nobbirtà nun empie la panza.

La nobiltà non riempie la pancia.


Oggi ascoltiamo
Nat King Cole - Arrivederci Roma

http://www.youtube.com/watch?v=dNSAvd_KFC8

Torta Chatwin alle zucchine e tonno

Ovvero - Turisti non per caso (1/2)

Amo fare il turista nella mia città: spesso prendo lo zaino con macchina fotografica, quaderno per appunti o versi estemporanei, occhiali da sole, qualche genere di conforto (acqua, frutta e crackers, ebbene sì...) e via, per i vicoli lastricati da sampietrini e le piazze monumentali funestate dai piccioni.
Spesso gli "acchiappini" dei ristoranti turistici mi confondono per straniero e mi allettano con menù a basso prezzo che non proverei nemmeno morto, e allora mi piace declinare l'offerta con un sorriso e con un: "No, grazzie, ma mmagno a ccasa!"
Noi romani, si sa, siamo orgogliosi della nostra città, ma non ne siamo affatto gelosi.
Il nostro salotto buono non ha i centrini sulla spalliera e sui braccioli, ma spesso ha ciuffi d'erba cresciuta de straforo (di soppiatto, quatta quatta) tra le pieghe di marmo dei monumenti.
Le nostre sculture disseminate per la città o nei musei sono smangiucchiate dal tempo e rosicchiate da secoli e secoli d'acqua, vento e sole. Abbiamo insomma cose uniche ma provate...
L'ho già detto, e mi sembra sempre di usare un'enfasi che può essere scambiata per boria e sicumera, ma credo che Roma sia unica al mondo per tutto quello che custodisce nei suoi strati millenari.
E noi romani ci comportiamo come chi abbia un tesoro e ami condividerne il piacere di viverlo con gli altri, e non per sentirsi superiori o migliori ma con un senso di convivialità che si può esprimere in modo lapidario ed elementare col motto: "Più semo e mejo stamo".
Sì, lo stesso delle tavolate e delle osterie che stanno, purtroppo, scomparendo.
Condividere tutto questo con chi si vuol bene è il massimo che possa capitare a un romano.
E poi metti il caso che uno abbia molti dei suoi pochi amici che vivono a non meno di cento chilometri da qui, allora condividere questa dote che immeritatamente ci è stata donata dalla sorte è, be', una gioia raddoppiata.
Attraverso gli occhi di chi non è avvezzo a tanta concentrazione artistica si scoprono aspetti che erano sfuggiti, gli sguardi consueti sulle cose si rinnovano e si impara sempre qualcosa di più attraverso la sorpresa e la curiosità di chi ti sta accanto.
Si notano squarci inaspettati tra colonne austere...


e si ride di anacronistici "centurioni d'occasione"

(foto non mia)
o anche di qualche attempata Messalina...


con la sua favolosa borsa al braccio, più da Sora Nina che da Messalina, a dire il vero...


Insomma, c'è sempre qualcosa da vedere, qualcosa su cui soffermare lo sguardo, riposare la mente o riflettere.
Ma si sa, tutti questi sforzi fisici fanno venire una fame... e mica si può offrire all'amico turista una pesca o un pacchetto semisbriciolato di crackers, no: qui ci vuole uno di quei "cibi da pic-nic", qualcosa che può essere indifferentemente mangiata calda o fredda, che sazi e non si attoppi sul piloro rovinando gli ulteriori chilometri di passeggiata che ancora mancano...
Ma sì, ci vuole una Torta Chatwin! E stavolta con zucchine e tonno, tanto per fare qualcosa di diverso.
Metti che qualcuno sia intollerante o allergico agli champignons è sempre meglio tenere un asso nella manica, una possibile alternativa da proporre, no?

Torta Chatwin alle zucchine e tonno
Quindi, per la pasta:
250 g    farina
20 g      lievito di birra
70 g      burro morbido (anche detto pomata)(1)
100 ml latte
1           uovo
1 pizzico di noce moscata e uno di sale
In una ciotola si versa la farina, il sale, la noce moscata, il lievito sciolto nel latte tiepido, l'uovo e il burro, senza alcuna preferenza di precedenza...
Lavorare velocemente, il tempo necessario per amalgamare il tutto.
Formare una palla e metterla a riposare nella ciotola, coperta da un canovaccio. Deve raddoppiare di volume.

Per il ripieno:
700 g    zucchine
140 g    tonno
2           uova
150 g    yogurt
2 spicchi d'aglio
Sale e pepe q.b.
Trifolare in un tegame le zucchine a pezzetti in poco olio e i due spicchi d'aglio tritati (o schiacchiati e poi eliminati, se la cosa è intollerabile). Basterà una decina di minuti, il tempo di veder appassire le zucchine.
Salare e lasciar freddare.
In una ciotola unire il tonno sbriciolato, lo yogurt e le uova, aggiungere le zucchine ormai fredde e salapepare a piacere. Non troppo, però.
Stendere 2/3 della pasta e foderarci il fondo e i bordi di uno stampo dal diametro di 24 cm.
Versare il ripieno nella scorza di pasta e livellarlo con un cucchiaio.
Stendere la pasta rimanente e formare un coperchio con cui si racchiuderà lo scrigno di tanto amato bene.
Premere, come al solito, i lembi del bordo e del coperchio per sigillare la torta.
A questo punto si potrebbe spennellarne la superficie con del tuorlo per farla colorire in cottura, ma non è un'operazione necessaria. A volte basta anche solo spennellarla a qualche minuto dal fine cottura con del latte che cuocendo darà una leggera abbronzatura alla nostra torta ma, ripeto, non è un'operazione necessaria di per sé.
Cuocere per la classica mezz'ora, il tempo di vederla dorare per bene, quindi farla intiepidire e toglierla dallo stampo, per evitare che si inumidisca sul fondo.

E il più è fatto. Basta preparare lo zainetto, aggiungere dei tovaglioli di carta (dei quali mi scordo sempre, puntualmente) e preparare un paio di scarpe comode.

Tappa fissa, per predilezione dei rioni Regola e Parione che se la contendono, l'amata piazza Campo de Fiori: vivace mercato il mattino, tranquillo salotto il pomeriggio e movimentato circolo di beoni la sera.
Vi è stato ambientato un vecchio film del '43 con Anna Magnani e Aldo Fabrizi, attori portentosi da soli e indimenticabili in coppia. L'esempio d'una romanità popolare tenera e rude, e mai truce o volgare.
Poi la cupa statua dedicata a fra' Giordano Bruno, che l'Inquisizione bruciò vivo il 17 febbraio del 1600, divenuta simbolo del libero pensiero e di una vivacità intellettuale senza sudditanze.


C'è ancora molto da vedere, e per fortuna la temperatura sembra essere mitigata da un alito di vento che lascia respirare e muoversi senza patire l'odiosa afa estiva.
E fermarsi un attimo su Ponte Garibaldi, per riprendere fiato e godersi il viola sincero del tramonto.


E mentre si scherza con gli amici, ritrovando le stesse scemenze che ci facevano ridere vent'anni fa, pensare agli amici che oggi non sono qui e che si vorrebbe tutti assieme a noi a passeggiare, a ridere e a goderci Roma...

Detto romano del giorno
Er vino bbono nun cia'bbisogna de frasca.

Al vino buono non occorre insegna.


Oggi ascoltiamo
Grazie alla vita - Gabriella Ferri

http://www.youtube.com/watch?v=9F2mXzQB5YY

NOTE
1)  "Er pomata" è anche il soprannome con cui a Roma viene chiamato chi ha un eccessiva cura per l'aspetto e che, appunto, usa spalmarsi i capelli con brillantina o gel facendoli sembrare sempre unti e impomatati.

mercoledì 14 agosto 2013

Panadona del riciclo

È oramai un assioma, un imperativo, qualcosa da cui non si può trascendere, mai: il cibo non si getta.
È peccato, sì. Ma non certo verso gli insegnamenti e i dettami di un essere trascendentale. Non occorre.
Semplicemente è peccato perché produrre cibo costa, e rispettare il cibo è tener conto di tutto il lavoro che c'è dietro, della terra che l'ha covato e (se si è onnivori) degli esseri viventi che compaiono già bell'e pronti in un vassoio ma che son stati vivi e che magari, nel loro cervelletto, avrebbero anche sperato una vita più tranquilla.
In attesa di poterci cibare di carne sintetica - e le notizie sull'uso delle cellule staminali sono incoraggianti, e su questo si spera che  le religioni non avranno nulla da eccepire... -  limitiamoci a scegliere quello che l'ambiente ci propone, quello che ci fa bene e che ci appaga.
Anche, e soprattutto, gli avanzi.
La letteratura sugli "avanzi" è centenaria e nasce quasi assieme alla codificazione della nostra cucina.
Pellegrino Artusi pubblicò - di tasca propria, per miopia degli editori dell'epoca - "La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene" (che è un piacere leggere di per sé, sia che si parli di bietole, capponi o pandispagna) nel 1891, anno in cui l'Italia si stava ancora facendo e di sicuro non s'erano ancora fatti gli italiani. (1)
Nello stesso periodo Olindo Guerrini, amico dell'Artusi, scrisse un libro altrettanto importante - ma pubblicato postumo solo nel 1918 - dal titolo "L'arte di utilizzare gli avanzi della mensa".
Dove, come spiegato su wiki, "viene illustrata una cucina “povera”, allusiva della penuria alimentare cui era condannato il Guerrini stesso dal magro stipendio di bibliotecario presso l'Università e dalla precaria vita di scrittore."
Economia è necessità, prima ancora che risparmio etico.
Ma sorprende ancora il fatto che il libro di Guerrini sia altrettanto, se non di più, voluminoso di quello dell'Artusi; segno che se la cucina è Arte di mangiar bene quella di utilizzarne gli avanzi lo è altrettanto.
Oggi la cucina degli avanzi vanta una vasta bibliografia: ci sono libri di Allan Bay ("Il gourmet degli avanzi"), di Letizia Nucciotti ("AVANZI POPOLO", dal titolo geniale), di Andrea Segrè ("Cucinare senza sprechi. Contro lo spreco alimentare: azioni e ricette") e molti, moltissimi altri.
Tutto questo per dire che ognuno di noi si trova per scelta di principio o per bisogno, a dover fronteggiare non tanto la scarsità di cibo, per fortuna, quanto la necessità di riciclare oggi quello che è avanzato ieri.
E magari anche surgelarlo per domani.
Metti che trovi al mercato un mazzo di dieci carciofi a prezzo imbattibile.
Li guardi e quasi non ci credi: dove sta la magagna? Sembrano enormi crisantemi verdi, delle teste di leone in uno svolazzo di foglie già mosce, nonostante il freddo, e speri segretamente che il sapore sia all'altezza dell'aspetto.
Se poi vivi da solo che fai? li pulisci per bene e li cucini tutti assieme (in tegame o nella PaP), belli pronti per essere usati come condimento di pasta o riso o come contorni, o anche in frittata.
Quando poi passa il tempo e la stagione dei carciofi è ben lontana, come sottolineato anche dai maledetti trenta gradi all'ombra, apri il freezer come un baule della nonna e oh, prodigio! vi sono ancora dei carciofi chiusi nella loro bustina incrostata di brina, tutti intrizziti e felici d'essere tirati fuori e di essere riportati a temperature più umane, anzi vegetali.
E allora utilizziamo anche quel pezzo di petto di pollo che se ne sta triste e sconsolato, stretto tra un rotolo di pasta sfoglia e una confezione di fave. Poverino... via, su: fuori pure lui.
Ci facciamo una panada, anzi una panadona... del riciclo, ovvio.

Panadona del riciclo
una dose di pasta violada, quindi:
250 g semola rimacinata
50 g   strutto
Acqua tiepida q.b. Sale, un pizzico.
Per la lavorazione vedi qui. È la stessa d'ogni pasta fatta in casa, del resto.

Per il ripieno:
3             carciofi
200 g ca petto di pollo
200 g ca pane raffermo
100 g     scamorza
1             uovo
2 spicchi d'aglio
coriandolo in polvere, parmigiano grattugiato, sale, pepe e olio evo: q.b.
facoltativo: 100 g coppa emiliana (a Roma: lonza).
Far ammollare il pane raffermo in una ciotola d'acqua, quindi strizzarlo e unirvi l'uovo, poco sale e due-tre cucchiai di parmigiano grattugiato.
Si taglia a pezzetti il pollo e lo si fa cuocere in padella con uno spicchio l'aglio tritato, che si farà attenzione a non far bruciare, pena un sapore amaro e digeribilità pari a zero, se non di meno.
A metà cottura si aggiunge del coriandolo in polvere e si sala.
Se si hanno carciofi freschi si faranno cuocere in tegame (o anche nella PaP per i canonici 12 minuti)
con uno spicchio d'aglio tritato (se non lo si tollera si può anche lasciare intero e poi togliere a cottura ultimata).
Quando la pasta violada avrà riposato il sonno dei giusti (le basta anche una mezz'oretta) la si divide:
2/3 per la base e i bordi e 1/3 andrà per "il coperchio".
Stendere la base e foderarvi uno stampo (da 24-26 cm), arrivando ai bordi.
Versare i carciofi sminuzzati, quindi uno strato di pollo,


quindi il pane, la scamorza tagliata a fettine e, infine, se si vuole le fette di coppa di Parma.


Richiudere con la pasta violada rimanente, e sigillare bene i bordi, premendo e arricciandoli su se stessi.
Cuocere a 180° per una mezz'ora, o almeno fino a doratura della pasta.


Chiaro che per questa ricetta vale la legge matematica della Proprietà commutativa, per cui: "In una panada, o altra torta salata, l'ordine di disposizione degli ingredienti nel ripieno non cambia il risultato finale".
E non è mica un assioma, eh? basta verificarlo facendone tante, diverse.
Quante? Be', se si hanno n tipi di ripieni diversi si ha la possibilità di permutarli in n! modi differenti, ossia in una varietà di n fattoriale modi distinti: n*(n-1)*(n-2)...1
Nel nostro caso avremo 5 ripieni (carciofi, pollo, pane, formaggio, coppa) e le possibili combinazioni saranno: 5*4*3*2*1=120 possibilità di disporre i ripieni. 


Mica male per degli avanzi, no?

Poesia del giorno

In quanti modi t'amo? Lascia che conti.
Ti amo nell'alto, nel vasto, nel profondo
cui
tende l'anima quando invisibile 
partecipa agli scopi dell'Essere 
e dell'Ideale Grazia.
Ti amo nel più modesto quotidiano,
alla luce del  sole, a lume di candela.
T'amo come chi lotta per la Giustizia,

come chi schivi gli onori t'amo, puro,
con la passione d'antiche pene

e con la mia fede bambina t'amo.
T'amo d'un amore che credevo perduto
coi miei perduti santi, t'amo col respiro, 

il riso, i pianti di tutta la mia vita! - e, se dio vorrà, 
t'amerò ancor più dopo la morte.

                                                                    Elizabeth Barrett Browning

Oggi ascoltiamo
Alex Britti - Quanto Ti Amo 

http://www.youtube.com/watch?v=NipSZUsCTmo

NOTE
1) Nel 1891 ben più della metà degli abitanti del nuovo stato erano analfabeti, ognuno chiuso nei suoi usi e nella propria parlata "dialettale" (detta nel senso di lingua avente ambito socio-geografico limitato), nonostante gli sforzi dei pochi letterati e le speranze di Manzoni.
Si dovrà arrivare all'istruzione obbligaoria e alla diffusione massiccia della televisione per avere un'omogeneità diffusa, almeno in ambito linguistico (ebbene sì: l'italiano è lingua comune grazie a Mike Bongiorno...)
Quello che fece Artusi fu di riunire per la prima volta in un'opera volta al grande pubblico le peculiari differenze culinarie della tradizione italiana.
La cucina di Bartolomeo Scappi usciva quindi dalle mense dei nobili e incontrava finalmente la massaia e l'appassionato di cucina.
La Scienza in cucina è, nel suo ambito, quello che i Promessi sposi sono stati per la lingua: una dichiarazione d'intenti fatta con passione.
E alla passione, quando ha una direzione, va sempre riconosciuto il merito.

sabato 10 agosto 2013

Paninetti al volo... per Caligola!

Metti che domani si vada a fare una scampagnata e ci occorrano dei paninetti da riempire con qualche affettato e del formaggio...
- Ma se non vai mai da nessuna parte! Mi pari la monaca di Monza!...
- Magari lo fossi! Almeno avrei qualcosa sulla groppa da scontare!
Metti che stasera a cena tu abbia un po' d'amici e voglia portare in tavola qualcosa di diverso dal solito pagnottone fatto a fette...
- Ma se a tavola da te s'accomoda solo la tua ombra!
- E te, purtroppo, che sei la mia croce. Ma non hai niente da fare, Leppa?
- Uffa! E che permaloso che sei!
- Pussa via! Sciò!
Metti che ti occorra una scorta di pane da conservare in congelatore per ogni occasione, e che sia facilmente maneggiabile rispetto a quello preso e tagliato a fette...
- Ah, ah, quando avrai finito le scorte di minestrone surgelato magari se ne potrà parlare.
- Insomma, ma ancora sei qui? Allora non hai proprio nulla da fare! E accenditi la radio, no?
- Non mi va, mi annoio...
- Vuoi che ti porti un po' a spasso nel quartiere? Magari per il discesone qui giù, vicino la scuola, quello dove vive...
- No! Per favore, no! Mi merito forse una punizione del genere?
- Che esagerato! Ma se nemmeno ti vede...
- Lo dici tu! L'altro giorno, quando siamo andati a fare la spesa e siamo passati accanto alla sua cuccia mi ha fatto un gestaccio.
- Un gestaccio? Un gatto?
- Sì! Ha alzato la zampa col il dito centrale bene in vista. E facendo uscire l'unghia, pure. Quello mi mena!


- Ti ci vorrebbe proprio, una bella scrocchiata di vertebre! Se solo tu ne avessi.
Insomma, qualsiasi occasione si presenti i paninetti è sempre meglio farseli da sé...
- Ma dici che è sempre lì al solito posto?...
- E chi lo sfratta da lì. Non ci proverebbe nessuno. Ma dimmi un po': sei abituato a ben altri tipi di gattodemoni e ora ti spaventa un semplice gattone di borgata?
- Tu non capisci! Caligola non è uno spirito ma un gatto vero!
- Ah, ecco cos'è che ti fa rizzare il pelo.
- Quello poi non è un semplice gatto.
- Ah no? A me pare di sì, anche se dall'aspetto posso capire che possa incutere una certa... soggezione.
- L'aspetto è solo la punta dell'aizperc.
- Aisberg... e si scrive "iceberg".
- Mh.... vabbè. Comunque tu non sai quant'è cattivo, quello!
- Addirittura...
- Eh, devi sapere che da sempre dorme riparandosi sotto le macchine che posteggiano lungo la strada vicino al passo carrabile della scuola.
- Lo so, è lì da sempre. Le gattare del posto gli hanno anche allestito un altarino di ciotoline: una per l'acqua fresca, una per la carne in scatola  e un'altra per le crocchette.
- Ecco, ma non sai quant'è cattivo. Pensa che quando l'automobilista di turno si prepara a salire in macchina deve premunirsi con un wurstel o, meglio ancora, una cotoletta o la pelle saporita di un pollo arrostito da dare al malandrino.
- E perché?
- Perché? Quelli che non hanno pagato pegno si sono ritrovati la fiancata della macchina rigata per intero dalle sue unghie accuminate.

- Ma dài, a me sembra solo un gattaccio di strada un po' malandato e mi piaceva scherzare sulla tua paura. Certo, ha un orecchio morsicato e una zampina di legno...
- Sì, che gli hanno fatto installare da un "veterinario" del posto le gattare, facendo una colletta tra di loro.
- A me sembra solo un po' inquietante quel ticchettio della zampetta monca mentre passeggia per la strada.

- Ma tu non sai: i negozianti del quartiere quando da lontano sentono quel tin... tin...tin... già sanno che devono preparare qualche bocconcino succulento per la canaglia.
- E perché?
- Tu sai quanto è fastidiosa per voi umani l'urina di gatto...
- Ah, e pensi che...
- Non penso, lo so: se uno di loro non si sbrigasse a lanciargli tra le fauci un bel bocconcino si ritroverebbe col negozio maleodorante, e tu sai che i clienti sono così lesti a commentare le manchevolezze di un commerciante.
- Accipicchia...
- Strano, pensavo avresti detto altro!
- E quindi è una specie di guappo, il nostro Caligola. E io che non sapevo nulla.
- E che son cose di cui si parla al telegiornale, secondo te? E mica è tutto...
- Ah no?
- È anche dispettoso ed è capace di cattiverie gratuite, così, per gioco. Pensa che una sera a un automobilista che non gli garbava gli ha bloccato la macchina.
- E come...
- Ha fatto a pezzi un vassoio di polistirolo lasciato dalle gattare e l'ha ficcato ben bene nel tubo di scappamento. Quando il proprietario dell'auto è andato a mettere in moto...
- Caspita... Pian piano il calore ha fuso la plastica e ha tappato il tubo di scappamento.
- Bravo. Non è magari un grosso danno, ma uno spregio gratuito sì. Per non parlare di quando gli passa di svitare le luci di posizione e soprattutto quelle degli stop delle auto parcheggiate per far fare incidenti ai guidatori.
- Hai capito il pirata di borgata... Ma non hanno mai provato, che so, a catturarlo o ad avvelenarlo?
- Seee, troppo semplice. Ha un fiuto diabolico, e se intuisce qualche magagna scatta subito la punizione. E poi è un gatto, ricordatelo, e le gattare del posto sono oltre che le sue vestali anche le sue guardie del corpo.
- Le gattare?...
- Non hai mai litigato con una gattara romana, vedo.
- Me ne guardo bene dal farlo!
- Insomma, ti vedo perplesso. ma voi umani non andate matti per i personaggi maledetti, i cattivi tenebrosi, i belli e dannati?
- Io no. Devo dire che quella tipologia umana non m'affascina per niente. Preferisco gli oppressi e i reietti, gli otsider e gli ebrei erranti.
- Allora non potrai che provare simpatia per Caligola.
- Mah, ti dirò...
- Non lo sai come ha perso la zampa, vero?
- Ma tu sei più pettegolo di una portinaia, sai tutto di tutti.
- Ho la vista lunga, sai. Insomma, un tempo Caligola viveva sulla collinetta di tufo dietro la scuola.
Ci viveva con Messalina, una gatta bianca bianca bellissima, dicono.
- Dicono chi?
- Dicono... In una delle baracche dietro la collina viveva un vecchiaccio lordo e cattivo che non amava i gatti, specie quelli randagi che gli venivano a rubare il poco cibo che riusciva a rimediare nel quartiere grazie alla carità di qualche anima buona.
- E che c'entra con...
- Fammi finire, no? Quel vecchiaccio era davvero malevolo, non come i guappi di cartone dei film che vedete voi umani. Ne aveva combinate più di Carlo in Francia come usate dire voi.
- Ah...
- Insomma, per farla breve, mise un po' di tagliole attorno a casa sua e il gattone nero ci finì sopra.
- E la gatta?...
- Il vecchio la catturò con un sacco mentre cercava di liberare Caligola, e la portò dietro casa. Una cosa straziante... Il gattone si strappò letteralmente a morsi la zampa pur di correre in soccorso della sua gatta, ma non ci fu nulla da fare.
- Ah...
- E quando le gattare lo trovarono era più morto che vivo. Lo preserò con loro, lo curarono e decisero di mettergli una zampa posticcia che l'aiutasse a manternere l'equilibrio.
- E il vecchiaccio?
- Lo trovarono morto qualche tempo dopo. Morto ammazzato.
- Ah...
- Con la testa nel braciere. Uno spettacolo che non ti sto a descrivere.
- Ecco bravo, lascia stare. E quindi vuoi dirmi che Caligola è quello che è perché...
- Mica solo voi potete essere borghesi piccoli-piccoli...
- Prepariamo il pane, su.

Paninetti
1  kg farina
500 ml acqua ca.
25 g  lievito di birra
2 cucchiai d'olio d'oliva (o di strutto)
una presa di sale
Sono, per certi versi simili alle biove, ma molto sui generis.
Si mette la farina a fontana e, in mezzo si fa sciogliere il lievito con poca acqua, si unisce l'olio, e si comincia a incorporare la farina, aggiungendo a mano a mano l'acqua.
Il sale va aggiunto solo quando il lievito sia stato inglobato dall'impasto, perché altrimenti ne potrebbe inibire l'azione lievitante.
Si lavora alacremente, impastando bene il composto, stirandolo e sbattendolo ogni tanto sul piano di lavoro.
Si deve ottenere un impasto non troppo molle, anzi un pochino sostenuto.
Quando la consistenza sarà omogenea ed elastica (come si dice sempre) si mette a lievitare l'impasto in una ciotola fino al raddoppio, coprendolo con un panno leggermente inumidito, facendogli sulla superficie il classico taglio a croce oppure (ho scoperto da non molto) facendo un buco al centro del composto con un dito infarinato.
Quando l'impasto sarà raddoppiato (un'oretta l'estate, due o tre d'inverno) si rilavora un poco, lo si stende a salame e lo si suddivide in parti uguali.
Ogni pezzo andrà steso in lunghezza e, quindi, arrotolato fino a formare un paninetto.
Si farà rilievitare il tutto una seconda volta, questa volta direttamente nella teglia di cottura.
Lasciare sempre un po' di spazio tra uno e l'altro dei paninetti, perché cresceranno un bel po', sia in lievitazione che in cottura.

Prima di mettere in forno si dovrà fare un taglio longitudinale profondo un centimetro, con un coltello a lama liscia (o meglio sarebbe una lametta).
Infornare a 180° per una ventina di minuti, mezz'ora al massimo, il tempo di vederli ben dorati in superficie.

- E adesso che sono freddi?
- E me lo chiedi? Prosciutto e formaggio e se ne portano un paio a Caligola, no?
- E sbrigati.

Aforisma del giorno 
Preferisco i malvagi agli imbecilli: quelli almeno si riposano.
Alexandre Dumas (figlio), Pensieri


Oggi ascoltiamo  
Queen - Who wants to live forever
http://www.youtube.com/watch?v=_Jtpf8N5IDE

Who dares to live forever, when love must die?...

giovedì 8 agosto 2013

Vellutata di carote


Fenomenologia della vellutata
Analisi strutturale d'un tipico piatto della cucina popolare di Augusta Vindelicorum.
Ovverosia:
Com'è che che da diverse premesse s'arriva sempre e comunque all'Unità della Cosa Bona. 
Redatto dal Prof. Gemüseschneider, dell'Università dei Sapori di Tubinga.
Ivi stampato in A.D. MDCXCV

Traduco liberamente da un antico testo rinvenuto in una cassapanca dell'Università della Tuscia nel 2011, durante il trasloco di parte della locale biblioteca.
Sembra che il libro sia appartenuto a un docente di Fisiologia del Gusto, Orlando Mascheroni, scomparso in circostanze misteriose proprio quell'anno, in concomitanza dell'importante convegno "Uso dello scalogno nella società moderna: come e perché. Siamo davvero così fighi?".
In seguito alla scomparsa dell'esimio professore i suoi testi sono stati trasferiti nella locale biblioteca della facoltà e tra essi, avvolto in un sottile panno di raso viola, è stato rinvenuto questo libro, redatto in lingua latina e, incredibilmente, tuttora in ottimo stato nonostante le numerose annotazioni e ditate di salse non identificate che numerose ne costellano i margini delle pagine.
Riporto solamente la sezione "Struttura delle vellutate", quella che a noi può risultare più vicina per gusti culinari, certo assai più della sezione "Alimentazione delle carpe da allevamento. Cibi consoni e cibi sconsigliati", che avrebbe ben pochi estimatori al giorno d'oggi se non tra gl'itticoltori.

L'autore del libro passa in rassegna le diverse composizioni dello iusculum saetosus (la vellutata, appunto), le sue diverse tipologie, la loro natura gustativa e nutrizionale.
Ne traggo un breve sunto, per gentile concessione del Prof. Marcello Persichetti dell'università suddetta.

La Vellutata si compone di tre elementi principali:
1) Elemento vegetale: nella figura di zucchine, patae, carote, e ortaggi di varie specie in base alla loro stagionalità;
2) Elemento liquido: dal brodo (sia esso di natura vegetale o animale) alla semplice pura acqua di fonte.
3) Elemento addensante, di varia natura, che partecipa alla struttura corposa della crema;
4) Elemento aggiuntivo, che aggiunge sapidità alla crema. Può essere costituito anche da elementi animali (crostacei, molluschi o carni di varia natura)

Qui l'autore si dilunga largamente in una prosa prebarocca che nel contesto della Rete è assai poco adatta.
Vado quindi a semplificare gli orpelli sintattici di cui è costituito il saggio in uno schema riassuntivo che sia di veloce e "digeribile" consultazione.

Premesso che l'elemento base può essere una qualsiasi verdura che sia stata precotta e passata al setaccio, le vellutate possono essere suddivise in:


Vellutata leggera (Lĕvis iusculum)
Nelle quali al passato di verdura di base si aggiungono:
come elemento liquido semplice acqua o brodo vegetale;
come addensante una patata lessata e schiacciata;
come elemento sapido del formaggio stagionato grattugiato o dello yogurt.

Vellutata media (Medius iusculum)
In cui si hanno, in aggiunta al passato di verdure:
come elemento liquido del brodo (di vedure o carni miste) e della salsa besciamella;
come addensante una patata lessata e schiacciata;
come elemento sapido della panna di latte e del formaggio stagionato grattugiato.

Vellutata porca  (Verres iusculum) [sic!]
In cui, per sommo gaudio, si hanno:
come elemento liquido del brodo (di pollo, manzo o carni miste) e della besciamella;
come addensante una patata lessata e schiacciata o un paio di cucchiaini di fecola di patate (sciolta in poca acqua fredda);
come elemento sapido della panna di latte, del formaggio stagionato grattugiato e del soffritto (oleum coctus) di cipolla o di aglio.

C'è da notare che la "salsa besciamella" citata dal Prof. Gemüseschneider è in realtà la "salsa tosca", che Caterina de' Medici portò in dote in Francia assieme a forchette, gelati (e coltelli con cui sgozzare gli Ugononotti... la maledetta) e già presente nei testi della gastronoma tedesca Sabina Welserin come  "salsa bianca".

Alla luce di queste dotte argomentazioni, delle quali ho ripostato in modo così indegno solo alcuni tratti, cerchiamo di sviluppare nella pratica una vellutata di carote,  di media porcosità, che sia di conforto per cena in queste sere così fresche e frizzantine...
È palese, credo, che il caldo di questo periodo m'abbia fuso la cerebrogelatina in cui erano conservati gli unici due neuroni che mi sono rimasti e che in essa trovavano sostegno e nutrimento.
Eh già, ma ormai è fatta, e le caronte... cioè le carote sono pronte, e quindi non resta che accingerci a preparare una gustosa vellutata.
Da gustare fredda, magari!


Vellutata semiporca alle carote
Dose per due persone (o per due cene da soli, fa lo stesso)
600g    carote
2           patate medie (400 g ca.)
250 ml besciamella
200 ml brodo
due cucchiai di yogurt (facoltativo)
Lessare le carote e le patate, magari nella PaP, che il buon Prof. Gemüseschneider all'epoca sua si sarebbe sognato di possedere, e ridurle in purea.
Qui si impone una scelta nota dietologica: se si vuole una vellutata tendente alla semiporcaggine si può serenamente aggiungere la besciamella e quindi allungare col brodo, ma se giunge un qulche scrupolo (dovuto più alla crescita di circonferenza addominale che altro) la si può modificare in semileggera sostituendo la quantità della besciamella con solo brodo (o meglio ancora sarebbe solo l'acqua di cottura delle verdure).
L'importante in cucina, e non solo, è essere sempre coscienti di quel che si fa.
Lasciar sobbollire per qualche minuto, il tempo di lasciarla addensare.
Salare e pepare a piacere e "inscodellare" aggiungendo, se fa piacere, un cucchiaio di yogurt a persona.

Aforisma del giorno
La tavola è l'unico luogo dove non ci si annoia mai durante la prima ora

Brillat-Savarin


Oggi ascoltiamo
Lucio Battisti - La sposa occidentale

http://www.youtube.com/watch?v=VVeJi-ooy4U


Che meravigliosa dichiarazione d'amore quella in cui si dice: "Ti piacciono i dolci/ ed io sul tuo terrazzo impianto /un'impastatrice industriale/ che mescola e sciorina la crema per le scale."
Altro che fiori rosa-fiori di pesco o i lugubri mari neri...

lunedì 5 agosto 2013

Sindrome di Savarin

- Sono stanco!... Con questo caldo non ce la faccio!
- Ma Leppagorre mio bello, sono io che cammino, te lo sei forse scordato? Tu stai bello bello accovacciato sul mio stomaco e te ne freghi del caldo e della fatica. Ma scusa, non volevi visitare anche tu questo museo, che in 600 anni non avevi mai visto?
- Sì, come no? Ma...
- Ma che?
- Quando si mangia? Ho una fame boia, e mica posso stare tanto a stecchetto io! Hai deciso di fare la... - oh, non riesco neppure a dirlo senza che mi tremino le vibrisse! - dieta, forse?
- Eh, mi sa di sì. Sai che ho sforato col peso, vero?
- Uhm...
- Sai che mi farebbe bene un po' di astinenza da dolci e carboidrati, vero?
- Uhm...
- Sai che per un po' non potremo mangiare formaggi nelle dosi a cui siamo abituati, vero?
- Basta! Ti lascio! Beviti pure un litro di mistrà! Tu finirai all'ospedale ma io almeno troverò la pace!
- Arièccolo, il genio dello smielodramma... E che! Sei impazzito? Due giorni di riso ti hanno già fatto quest'effetto?
- Nero! Riso nero, era!
- E quello avevamo. Ma guarda qui, il Laocoonte:


- Ma io dico, ci si balocca così con le anguille? Non potevano tagliar loro le capocce e buttarle subito nel pentolone?
- Leppa, ma che dici! Anguille?
- Sì, capitoni, murene. Che cosa, sennó?
- Hai fame vero?
- Sì....
- Mangiamo un cracker, su.
- E hai capito! Grasso che cola!...
- No grasso che s'accumula, semmai. Ehi, guarda qui, la Madonna col Cardellino, ancora fresca di restauro:

- Mhhh... ne vorrei anch'io!...
- Ma che?
- Mhhh... una fettina sottile, piccina piccina, ma con un filo di cotenna croccantina... mhhh!
- Sei impazzito, vero? Agli australiani prende la sindrome di Stendhal e a te... chissà che cosa!
- Poca poca, ti prego, guardala, guardala!
E avvicinandomi di un passo al quadro mi accorgo che davanti a me s'è materializzata un'altra realtà, parallela alla nostra, meravigliosa e banale, forse soltanto un'allucinazione, una Fata Morgana, un malore dovuto al caldo, alla fame...

- Signore, si sente male?
Odio quando mi si chiama "signore", mi da del cornetto stantio del giorno prima, della muffa in una cantina perduta, di gorgiere e di zimarre.
Insomma, mica sono mio nonno!...
- No, no sto bene. Tutto a posto. È solo... il caldo.
- E la fameee! Diglielo, diglielo che mi fai star male, che vuoi uccidermi d'inedia e di stenti! Maledett'ammé che t'ho incontrato!
- E basta! Tieni, mangia un paninetto, va.
- Meglio di niente!... Mi sembro Nosferatu che assale le sue vittime, ma è possibile?
...
- Va meglio, ora?
- Uhm... un po'. Certo che la fame gioca brutti scherzi, eh?
- Puoi dirlo forte...
- CERTO CHE LA FAME...
- Aho! Ma sei scemo? Gli altri non ti sentono, ma io sì!
- Guarda! Laggiu! Guarda! Non è forse un Caravaggio, quello?
- Da lontano sembra il Bacco ma... mi pare diverso... C'è come qualcosa che non mi convince.
- Andiamo a vederlo, su!
- Andiamo.

- Ma non è un amore? Non è un capolavoro?
- Ma questo...questo... ma abbiamo appena smangiucchiato, non può essere un'allucinazione, no, non può essere!
- Non sono venuto bene?...


- Aaargh!
- Ma dove vai? Ah ah ah! Savarin mon ami Savarin!

sabato 3 agosto 2013

Casu marzu, casgiu fracicu... sì, insomma: il pecorino coi vermi

Succede, piano piano, senza preavviso, e basta un nonnulla.
La moschedda arriva, guidata dall'odore forte e invitante, scava lesta lesta con le zampine la scorza ancora molle del formaggio, riesce ad aprire una crepa, un varco, depone le uova e da lì il gioco è fatto: la forma di pecorino diventa l'ospite di una miriade di larve.
Succede anche a noi, del resto, quando si hanno le difese troppo basse e la scorza ancora troppo tenera, deliziosa ma pericolosamente inerme: la moschedda sale dal buio profondo e torbido di noi stessi e scavando scavando con silenziosa alacrità trova pian piano un terreno fertile per riprodursi.
Si rischia così di essere invasi da qualcosa di simile a un parassita, da pensieri morbosi e malevoli.
Colin Wilson ne scrisse anche un romanzo, agganciandosi alla vertiginosa mitologia di H.P. Lovecraft: i suoi Parassiti della mente erano però sfuggenti entità aliene che da millenni vivevano ancorate al cervello umano, impedendo lo sviluppo di tutte le sue più recondite possibilità.
Alla faccia dell'Es e dei suoi antri oscuri e pieni di minacce...

La moschedda (la Piophila casei) è piccola e sfuggente, e non ama solo il pecorino, la ghiottona, ma ogni cosa che sia fonte di proteine per la sua nidiata di pupe. Come darle torto: tiene famiglia anche lei, no?
Ecco che allora le forme di cacio ma anche le carni messe a stagionare e persino il latte, diventano per lei un paese di Bengodi. 
Spesso il pastore, che qui è anche casaro, se ne accorge in tempo, e allora "lava" la ferita della scorza tamponandola poi con carta bagnata, prima che il formaggio vada a male.
Ma altre volte è proprio quello che segretamente si spera che accada, una silenziosa, impercettibile, e solo all'apparenza rovinosa, invasione.
Qualche volta di fronte alla staticità di una situazione giunta allo stremo anche l'arrivo dei barbari è un cambiamento, un epilogo qualunque, la nascita di una nuova era, come anche scrisse Constantinos Kavafis.(1)

Il coltello taglia la calotta della forma che da fuori, ad occhi inesperti, sembra asciutta, compatta e la stessa di tutte le altre e che invece, oltre la parete dell'apparenza, nasconde una sorpresa.
Come se entrando in un'enorme sala nascosta da una tenda si scopra un'animatissima festa o un baccanale: una coltura florida, un brulichio di bianchi esserini frenetici mostrano tutta la loro vitalità saltellando come molle in ogni dove. 
Bisogna capirli, sono giovani, irrequieti e pieni d'energia; ma fuori da quel pastone nutriente non avrebbero scampo: la massa molle è nido e nutrimento e oltre il saporito perimetro della scorza non vi sarebbe salvezza.(2)

(3)

Intendiamoci, questi non sono i lombrichi della terra, grassi e qui da noi graditi solo da chi abbia un minimo di penne, né i repellenti e coriacei bigattini che nascono da altre colture...
No, sono piccoli, innocenti e candide larvette che si nutrono della polpa ancora molle del formaggio, digerendola e trasformandola in qualcosa di... sublime.
Se si amano i sapori forti, le venature azzurre e profumate del gorgonzola, la scorza polverosa dei formaggi stagionati dal gusto piccante allora questa non sarà una sorpresa, ma la scoperta di un tassello che mancava alle papille.
La polpa del pecorino, diventata molle e cremosa grazie ai minuscoli e irrequieti ospiti, si spalma sul pane carasau o sulla morbida spianata sarda: un morso, seguito da un sorso di vino rosso fanno ritrovare l'armonia col Cosmo, pacificano le parti in lizza nell'arena del cervello e allontanano, per un po', i Parassiti della mente...
E mentre con gli occhi lucidi di commozione (e anche perché lu casgiu fracicu - come si dice in Gallura - è bello piccante) ringraziamo chi ci ha fatto conoscere questa delizia proibita (4) ripensiamo a questi versi di Lussorio Cambigianu dedicati, manco a dirlo, proprio a Lui:

Casu marzu

It’ est chi ti  dat a tie sabore?
Su  tempus ,chi forzis  t’ at frommadu
O puru ca ti s’ at ilmentigadu
Chena giradu  deris su salidore?
Sa musca in su coro t’ est ‘intradu
Cambiendedi  su tastu  e su colore
Comente unu  ‘ etzu  licore
Ses tue  in totue disizadu

Fatu ti ses:  marzu.. cas’ elveghinu
Pessende  chi fis  de  pagu contu
Imbeze  tantu ses  pretziadu

Dae cando su  bobboi ti ses pasadu.

Zeltu no ses manigu pro  tontu
Chi  no  at connotu de sa vida  abbinu.


Cos'è che ti dona sapore?
Il tempo,  chi t'ha formato, forse
oppure t'ha dimenticato
senza girarti ieri il salatore?
La mosca t'è entrata nel cuore
cambiandoti di gusto e di colore
e come un vecchio liquore
ovunque sei desiderato

sei diventato marcio, pecorino
pensando che valevi così poco
e invece sei così tanto apprezzato

da quando il leccornia ti sei mutato

Certo non sei cibo per il gonzo
che della vita poco ha conosciuto

(mi(ser)a traduzione in italiano)


NOTE
1) Per esempio in Aspettando i Barbari, in È la fine, e un po' in tutti i suoi versi, a dire il vero.
2) Tanto che se i vermetti non hanno la loro tipica vitalità è segno che il casgiu fracicu è andato a male, definitivamente.
3) Non ho voluto fotografare la forma di pecorino vivo che ho assaggiato: ero a casa di persone alle quali portare rispetto vuol dire (tra le altre cose) apprezzare con un solo sorriso gioioso quello che ti si offre senza correre a prendere la macchina fotografica.
Strano però che il 90% delle foto del Casu marzu presenti in Rete sia questa qui: come le Dive anche Su casu ha le sue foto ufficiali?...
4) vedi wiki, per un excursus veloce sul Casu marzu, ma anche qui per il testo della Legge 283/1962 che ne impedisce la commercializzazione.
Quanto alla presunta pericolosità del cibarsi del pecorino infestato dalle larve della Piophila casei, non mi dilungo certo nell'argomentare che un esserino simile non può in alcun modo sopravvivere all'acidità dello stomaco umano, ma riporto pari pari la frase del mio gentilissimo ospite: "Mangio casgiu fracicu da quando avevo sei anni e oggi ne ho settanta. L'unico problema di salute m'è venuto invece dai miasmi delle industrie di Porto Torres."
Parole sante.