domenica 29 luglio 2012

Pausa di malinconia

Ecco, tra le mie mani
ancora aperte
le piume, i ciottoli, le scaglie,
sguardi dal turbine
che confonde, che cancella.
Altro non ho;
non imbastisco sogni,
non me lo concedo,
non costruisco archi
da caccia, di trionfo,
e non afferro,
nella mia corsa
ad occhi aperti
e senza fiato,
altro che lo sgomento
di ritrovare il mondo
a ogni respiro.

Oggi ascoltiamo
Jónsi - Grow Till Tall
http://www.youtube.com/watch?v=XQuz8jmUYDU

giovedì 19 luglio 2012

Minibavaresi alla mandorla

Mettiamo che un giorno torniate dalla Sicilia colmi di un sole generoso, di bei ricordi, con gli occhi straboccanti Barocco e una sporta ricolma di leccornie.
- Ma se sei stato capace di portarti anche una busta di ciottoli di quella spiaggia sassosa!... E in treno, poi... figurati! Ah ah ah ah...
- Ma non eri in vacanza, tu? Dovrò far vedere a tutti, prima o poi come sei, brutto ceffo felino d'un Leppagorre!
- Certo che sei suscettibile più del solito. Non sarà mica la menopausa?
- Casomai, andropausa... E poi sai bene come e perché, non far finta di comparire e scomparire come il gatto di Cheshire. (1)
- Chi???...
- Vabbè, va... lascia perdere... Lo stregatto. Conosci?
- Ahhh... sì, certo! Un mio vecchio amico di briscola!
- Briscola?... Tu, lo stregatto... e chi altri?
- Oh, beh, per un certo periodo anche Behemot. Sai, il demoniaccio dispettoso del "Maestro e Margherita"...
- So bene chi è. E che è successo, poi?
- Beh, te lo puoi immaginare, no? Barava come un malandrino da osteria portuale, il malefico, e faceva comparire due o tre volte a vantaggio suo l'asso di denari!
- Ah, ecco...
- E quindi ora gli abbiamo dato l'aut-aut.
- Certo, da due galantuomini come voi... Mi sa tanto che a barare siete tutti e tre, voialtri!...
- Tre? E Romeo dove lo metti?
- Romeo? Chi, il gatto del Colosseo? Ma non era irlandese? (2)
- Sì, della Garbatella!... Devi vedere come parla romanesco, lo sgrinfio!...

Allora, dicevamo: tornate dalla Sicilia e, tra le buone cose che vi siete portati a casa (e so che avete avuto l'imbarazzo della scelta!) vi ritrovate un bel panetto di pasta di mandorle.
Ci volevate fare il latte di mandorla da tenere in frigo quei pochi millisecondi che l'avrebbero separato dall'estinzione.
Oppure un bel gelato!... Mhhh, la granita alla mandorla... Una delle cose per cui vale la pena d'essere vissuto!...
- E fattela, no?
- Sì, certo, se avessi il freezer sgombro da tutto quello che mi ci hai fatto ficcare dentro, maledetto!... Mica siamo in guerra, sai?
- Previdenza, si chiama. Previdenza.

Bene, con questo panetto che si aggira per la credenza come un'anima persa, in cerca di altri ingredienti provenienti dall'isola di Colapesce (3), alla fine non farete nulla, già lo so, fino a tre giorni dalla data di scadenza riportata sulla confezione.
E mo'?...
Facciamo i buoni, una volta tanto. Facciamo dei buoni...

Minibavaresi alla mandorla
200 g   pasta di mandorle
250 ml latte
150 ml acqua (un bicchiere, o giù di lì...)
3 fogli di colla di pesce.
Far sciogliere a fuoco lento la pasta di mandorle nel latte, mescolando spesso per non farla attaccare.
Con un frustino cercatre di amalgamare il tutto eliminando eventuali grumi.
Nel frattempo far ammollare in acqua fredda la colla di pesce.
Quando il la pasta di mandorle si sarà ben sciolta aggiungere l'acqua. Regolatevi a vostro gusto vista la spropositata presenza di zucchero il composto sarà magari troppo dolce e se un bicchiere d'acqua vi sembra poco aumentate la dose.
Assaggiate, sennó passerete dallo smielato allo scialbo senza accorgervene.
Aggiungere la colla di pesce strizzata e  mescolate bene per farla amalgamare al composto.
Ora dividete il bavarese in stampini singoli e fare rassodare in frigo per almeno 3, 4 ore.
Sformate sui piattini di portata e decorate con della glassa al cioccolato.

- Mhhh... E quando torniamo in Sicilia?
- Quando troveremo un lavoro decente, che dici?
- Guastafeste!
- Testa a pera!
- Scorbutico!
- Imbecille!
...
E così via, fino al terzo minibavarese.

Aforisma del giorno
Ci sono molti modi di arrivare, il migliore è di non partire.
Ennio Flaiano

Oggi ascoltiamo
Depeche Mode - Walking in my shoes
http://www.youtube.com/watch?v=-4YEW8uibkY

Note
(1) Ovviamente da "Alice nel paese delle meraviglie", di Lewis Carroll.
(2) Dal film Disney, gli "Aristogatti" dove, appunto, nella versione originale, il gattone roscio parlava con accento irlandese mentre, in quella italiana un toscanissimo Renzo Montagnani gli dava un marcato accento capitolino.
(3) Una suggestiva leggenda siciliana racconta di un certo Nicola da Messina molto abile a nuotare (e per questo soprannominato Colapesce) il quale, accortosi che una delle tre colonne sottomarine su cui poggia la Sicilia stava per cedere decise di restare in acqua per salvare la sua isola dal crollo.

lunedì 16 luglio 2012

Pane Moddizzosu

Spesso, chi pensa alla cucina sarda pensa a una cucina "povera", dove la varietà degli ingredienti non è alla pari di altre cucine continentali, e dove la presenza della carne è misurata dall'atavica necessità di non scialare.
Non troveremo mai, nella tradizionale cucina dell'isola spezie troppo profumate, accostamenti troppo arditi, o piatti molto elaborati. Scordatevi quindi il pavone ripieno di pollo, ripieno a sua volta di pernice, ripiena di tordo... che al mercato mio padre comprò!
Ciò non vuol dire, al giorno d'oggi, una cucina scarna e frugale; basterebbe dare un'occhiata ai pranzi conviviali, quelli "importanti", per capire che in gran parte di essi ci si siede in tavola di mattina e si va via, se tutto va bene, di sera, con grande esercizio della muscolatura maxillofacciale.
La cucina sarda è semplice, ma la semplicità non è mai scontata.
La semplicità è la cosa più difficile del mondo, signora mia.
È una cucina che nasce dalla pastorizia, dallo stretto legame con la terra, la propria terra.
L'insularità è approdo per gli stranieri e porto spesso senza ritorno per chi la vive.
La Sicilia in questo è molto più barocca: ha assimilato tutto quello che veniva da fuori e ne ha fatto un quadro di ricchezza incomparabile (siete mai stati in una pasticceria siciliana? No? Ecco...)
Molto della cucina laziale ricorda la cucina sarda: le comuni radici agro-pastorali, la necessità che s'è fatta virtù nel creare da così poche cose una gamma di piatti e di sapori senza fronzoli, che vanno dritti al sodo.
Ne parleremo a proposito della pasta "cacio e pepe"...
E a proposito di semplicità: cosa c'è di più semplice del pane? Farina, acqua, lievito e, spesso, neppure il sale.  Eppure... Quanti tipi di pane italiani conoscete? Avete perso il conto, vero?
Bene, questo vale anche, se non soprattutto, per la Sardegna.
Il librone della casa editrice Ilisso s'intitola "Pani. Tradizione e prospettive della panificazione in Sardegna" (Nuoro, Ilisso, 2005), e pesa quasi cinque chili... Dategli un'occhiata in formato pdf.
Per il companatico, tesori miei, basta la fantasia.
Avete mai visto il pane sardo delle feste? Un pane chiaro e leggero come stoffa, lavorato come un merletto, con fiori e foglie e rami e pampini... Opere d'arte nate dalla scarsità di mezzi e dalla voglia di creare, comunque, qualcosa di bello.
Ah, la forza e il genio delle donne sarde...
Tutto questo per dire che la varietà insita nella semplicità sorprende sempre.
A me hanno sorpreso dei paninetti bassi e anonimi dal nome curioso : il Moddizzoso, ovvero il Morbidoso.
E cos'è che può aiutare il pane a restare così morbido, a mantenersi per giorni e giorni senza seccarsi troppo? Ma le patate, certo! Chi è abbruzzese e fa da sé il pane, sa bene, per abitudine (la piana del Fucino è fucina di patate per tutto il centro italia...) che aggiungere due belle patate lessate e schiacciate al solito chilo di farina rende il pane più morbido e gustoso. Oltre a farlo durare di più.
I panini Moddizzosos hanno la stessa disarmente semplicità di colpire i nostri sensi col profumo, la morbidezza, il sapore.
Un po' come i sardi: ci conquistano con poco...

Pane Moddizzosu
1 Kg   farina di semola di grano duro
1 Kg   patate
200 g  burro (anche se qui si usa molto lo strutto, ma non ce la posso fare...)
22 g   lievito (un cubetto)
1 cucchiaino di sale.
Lessare le patate, sbucciare e schiacciarle, unendole poi alla farina.
Mescolare bene e far raffreddare un poco; le patate devono essere bollenti per legare bene con la farina (chi fa gli gnocchi di patate lo sa bene) ma è anche vero che il lievito di birra non sopporta temperature troppo alte (a temperature superiori ai 65° i saccaromiceti rischiano l'estinzione, quindi...)
Aggiunto il lievito si lavora bene.
Il burro dev'essere morbido, e unito alla fine, come per le brioches.
Lavorare per una decina di minuti affinché la maglia glutinica si formi e renda il pane... un vero pane.
Far lievitare fino al raddoppio in una ciotola, coperto da un panno e al riparo dalle correnti d'aria, grandi nemiche della levitazione.
Formare quindi delle pagnottelle lunghe un palmo e alte un dito.
Nel farlo stendete la pasta e ripiegatela su se stessa, come i lembi di una busta da lettera; le fatidiche pieghe aiuteranno il pane a mantenere una struttura solida.
Far lievitare i panetti per altri venti minuti su una teglia coperta da carta forno, infarinandoli per bene.
Cuocere in forno, a 180° per una mezz'oretta.
Quando assumeranno colore e il loro profumo vi riempirà la casa, sfornarle e lasciarle raffreddare.


Vi guarderanno inutilmente con i loro occhietti pietosi...


Sarà tutto inutile: faranno presto una brutta fine!


Detto sardo del giorno
Ad s'istranzu non l'abbaides sa bertula. 
All'ospite non guardare la bisaccia.

Oggi ascoltiamo 
Andrea Parodi - Umbras

martedì 10 luglio 2012

Torta degli spasimanti

Questa torta è di repertorio, infatti è stata preparata giusto un anno fa.
Ma un anno fa questo blog era ancora in un limbo dal quale solo a marzo di quest'anno ne è faticosamente uscito.
Meglio tardi che mai, no?
È una torta di compleanno per Sabrina, una persona davvero speciale.
Ogni persona ha qualcosa di importante, sempre, ma qualcuno è per noi qualcosa di speciale, perché ci accompagna con dedizione discreta e con affetto per tutta la nostra vita; perché ci capisce come nessuno mai potrebbe fare (e spesso più di quanto noi stessi potremmo fare); perché spesso è bello anche solo starsene su un divano a spettegolare, proprio come due vecchi amici.
Una cugina, una sorella e un'amica.
Questa torta è per la vera donna della mia vita. E mica tanto per dire… 


La torta è composta da due pandispagna, ognuno di tre strati, farciti alternativamente alla vaniglia e al cacao, ricoperti da uno strato leggero di panna e quindi da MMF colorato.
La decorazione, sempre in MMF, è rigorosamente a tema...


La festeggiata sta nel relax di un bel bagno (la vasca è MMF bianco sagomato su una confezione di formaggio spalmabile...) con tanto di sapone e spugna, immersa in un’acqua azzurrina (del tortagel con poche gocce di colorante blu e della glassa reale a far da schiuma...) mentre intorno a lei siedono tre uomini.
Uno è romantico e porta il cuore in mano,

 
un altro è intellettuale e sta leggendo un libro, “L’arte della gioia” di Goliarda Sapienza (1)

 
e l’altro è un mandingo un po’ imbranato (si vede dai calzini di spugna e dalle pasticche di viagra poggiate su un piattino accanto a lui...)


Insomma tre uomini dei quali lei, presa dal momento con se stessa, poco si cura. 
Ci sono poi oggetti ai quali lei è molto affezionata: la reflex, un paio di scarpe coi tacchi, un bella borsa rosa, una pergamena (di MMF) che riporta gli auguri di un nostro personaggio inventato, Talentuosa F.

 
E poi il tappetino da bagno e, accanto a lei, un cactus fiorito, pianta simbolo di un qualcosa di prezioso che si concede con parsimonia al mondo ma in un profluvio di bellezza.


Beh, che dire, lei è rimasta non sorpresa: di più.
Ne è prova questa foto, scattata un anno e oltre dalla data del suo compleanno: i personaggi principali stavano là, conservati nel suo frigorifero come qualcosa di prezioso, di unico. Come un atto d’amore.


Aho! Non sbirciatela troppo, eh? 


Detto memorabile del giorno
Le Belle Arti sono cinque, e cioè: la pittura, la scultura, la poesia, la musica, l'architettura.

Quest'ultima ha per ramo principale la pasticceria.
Marie-Antoine Carême

Oggi ascoltiamo
ABBA - The way old friends do (Live at Wembley, 1979) 
http://www.youtube.com/watch?v=rK8MdA2C5r0&feature=related

(1) Ne avevo accennato qualcosa qui.
È un libro, questo, che rimane nell'anima.
Per la sapienza narrativa di Goliarda, che costruisce un romanzo "ottocentesco" con una levità che fa dire, arrivati all'ultima riga: e adesso?... Possibile sia già finito?
Per la forza dei personaggi, tutti intrisi di quella sicilianità palpabile che però diventa facilmente universale, come ci insegnò bene papà Pirandello.
E, prima tra tutti, per la vera eroina del Novecento: Modesta. La quale, a dispetto del nome, lotta fin da piccola contro un mondo di pregiudizi: quelli che nella Sicilia maschilista del tempo erano catene da cui una donna non poteva facilmente liberarsi, ma anche quelli dell'Autorità, qualunque veste essa assuma (una tonaca religiosa, una camicia nera o rossa, o la veste più pericolosa e suadente: quella di chi ci ama).
Un libro che resta nell'anima perché ha una morale di fondo semplice ma proprio per questo spesso trascurata dagli sguardi che vedono troppo lontano, all'orizzonte  o verso l'alto: nella nostra unica vita la gioia è un'arte che si impara, giorno per giorno, sbagliando mille volte ma sfidando con tenacia quelli che sono gli ostacoli che si frappongono tra noi e la realizzazione di noi stessi.
I nosti stessi timori in primo luogo.
Goliarda Sapienza, L'arte della gioia, ed. Einaudi.

lunedì 9 luglio 2012

L'umiltà nel piatto

Ovvero: Panzanella di fagioli

La settimana scorsa ho preparato la crema di fagioli con code di mazzancolle, ma non ho poi spiegato perché insistevo nel fatto che l'acqua di cottura dei fagioli (come delle verdure in generale) non venisse buttata.
Per farlo devo raccontare qualcosa di me... no, non temete, non farò un monologo alla Agrado.
Non sono mai stato camionista. E non sono (ancora...) una puttana.
La mia è una storia, in fondo, semplice e comune, quella di una persona nata a metà degli anni Sessanta, in pieno boom economico, con il suo delirio del consumismo alla portata di (quasi) tutti, con il suo proliferare degli oggetti in plastica, con la nascita di nuovi bisogni che solo la produzione spinta sembrava poter soddisfare.
Quando mangiare la carne più di una volta alla settimana cominciava a divenire l'insana abitudine per esorcizzare povertà passate; quando le cose fatte in casa erano subdolamente minacciate da nuovi preparati dipinti come più veloci, sani e nutrienti; quando fare le vacanze non era ancora Santo Domingo ma, nella migliore delle ipotesi, San Benedetto del Tronto...
Ho vissuto quel periodo come se fossi immerso in un'altra mentalità, più da osservatore che da sfrenato consumatore, dato che i miei erano di una generazione che alle suadenti lusinghe del consumismo cercava in primis la stabile certezza di poche cose ma sicure.
Una famiglia semplice, di estrazione che in un gergo caduto quasi in disuso si sarebbe detta proletaria.
Famiglia credente ma strenuamente convinta che il progresso, il riscatto e la giustizia fossero dalla parte del popolo.
Famiglia di idee piccolo, piccolissimo borghesi, come molti del popolo, e molti di quella generazione; con il senso d'inferiorità e di inadeguatezza di chi "non ha studiato", le idiosincrasie e quel "senso del decoro" un po' alla buona, a portata d'una classe modesta.
Roma (anzi, la perferia romana) non era più quella di "Poveri ma belli", semmai lo fosse stata mai; era sempre di meno quella di Pasolini e delle borgate che oggi ci apparirebbero sterminate baraccopoli (sì, anche noi abbiamo avuto le nostre favelas, e ora chi lo dice a chi vagheggia di una fantomatica età dell'oro anni Cinquanta?); né era quella stralunata e onirica di Fellini che pochi, in quel periodo, hanno vissuto davvero.
Si mangiavano le stesse cose di sempre, le ricette imparate dalle madri e dalle nonne.
Si faceva così perché si era sempre visto fare le cose in quel modo, e non era semplice avere anche solo l'idea di cambiare. Anche perché poi il cibo era cosa preziosa, e non ci si potevano permettere esperimenti gastronomici. Si andava sul sicuro, insomma.
Anni di merende con fette di pane, olio e sale o, se proprio si scialava, pane, burro e zucchero.
Le creme spalmabili erano merce rara, da spalmare stringendo la fetta per far durare di più il barattolo, nascosto in credenza come nemmeno gli ori di famiglia.
E quando si lessavano i fagioli, per una minesta o una pasta e facioli, restava sempre qualcosa per una cena veloce a base di pane (anche del giorno prima, perché no) imbevuto del sugo saporito e torbido, accompagnato da qualche cucchiaiata di fagioli e un filino d'olio, quello bbono.



Ognuno di noi ha la sua maddalenina, come il Marcel de "Il tempo ritrovato" di Proust...
Può essere il ragù domenicale, quello che iniziava alle otto del mattino per avere la sua apoteosi giusto all'ora di pranzo; può essere la sfoglia tirata abilmente a mano da una nonna, che la lasciava ad asciugare sulla spianatoia, sorvegliando che i pupi non la sbocconcellassero pezzetto per pezzetto; può essere la crema che ci veniva preparata in occasioni speciali, e che sembrava un prodigio della tecnica e una prodezza senza pari quel ricavare da quattro cose scomposte una delizia così sublime...
La mia maddalenina ha il sapore del pane imbevuto nell'acqua di cottura dei fagioli, il pizzicore sottile dell'olio sulla lingua, la sensazione di mangiare niente di che, ma qualcosa di rassicurante e familiare. Come quando mi poggiavo sul tavolinetto piegevole davanti al televisore grande, e in tv trasmettevano "Hai visto mai?"(1)...

Aforisma del giorno
Vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste, e nulla più.
Oscar Wilde

Oggi ascoltiamo:
Tim Curry - I'm Going Home - Rocky Horror Picture Show
http://www.youtube.com/watch?v=L1Xn-DWHuuM

(1) varietà del 1973 condotto da Gino Bramieri e Lola Falana.

venerdì 6 luglio 2012

Orzooo di casa miaaa...

Ovvero: Torta all'orzo.

Personaggi e interpreti: io e Leppagorre...

Purtroppo non c'è solo il freezer da liberare.
Anche la credenza urge quel controllino periodico che mi fa ritrovare, come vecchi ricordi sepolti, brani di spese dimenticate, sepolte tra nuovi acquisti e nuovi impicci...
Il colesterolo sale come un'inflazione impazzita, e oramai l'oblio di panna e burro non basta più: solo l'ausilio dei farmaci può, forse, tenerlo sotto controllo.
Ma non demordo: i guai veri, nella vita, sono ben altri. Figuriamoci...
Un barattolo di orzo solubile mi guarda timoroso dalle viscere della credenza: "Non mi getterai via, vero?..."
Fammi vedere la scadenza.... No, caro, vieni qui da papino tuo che ora ci penso io.
E dopo tre giorni di bevande d'orzo, residuo anch'esso d'una fallimentare convivenza, mi decido a reagire.
Che ci faccio con 'sto barattolone?...
- Beh, che domande... Hai mica niente per fare colazione? No? Allora perché non...
Lo sapevo, lo sapevo: ormai fiuta l'occasione come un venditore di patacche fiuta il gonzo d turno.
Cioè... una torta all'orzo?... Ma che ti piglia? Il caldo ti fa stralunare più del solito, mi sa.
- Ma perché, quella alla curcuma era più... "ortodossa"?
In effetti...  Tanto vale fare una prova. Però...
- Sì, ho capito: stampo piccino, da 14 cm, quello "dietetico"... Ah ah ah ah....
Ridi ridi, che se stiro le zampe io mi vieni dietro a razzo!
_ Ma dài, su, non t'abbattere... Vieni qui, prendi la farina...
Prendi la ricetta della tua ciambella:
100 g farina
33 g   burro (ma se sono 35 va bene lo stesso, non fiscalizziamo...)
70 g   zucchero
50 ml latte
1        uovo (grande, circa 60 g, sennó due piccole)
1/3 di bustina di lievito in polvere.
... e, per finire, aggiungi 3 cucchiai di orso solubile.
Così di punto in bianco?  L'orzo, che di per sé è amaro chiede una pari quantità di zucchero: 3 cucchiai sono pressappoco 50 g, e sono da sottrarre a quelli della ricetta base.
Il totale, alla fine, è sempre 70 g...
Lo zucchero, infatti, (come pure gli altri ingredienti), va sempre calibrato in base al tipo di ingrediente aggiunto al nostro cake.

Questo per dire che quando si fa un dolce e non lo si bilancia, come si dice in gergo, rischiamo di ritrovarci una torta o troppo farinosa o troppo unta o troppo zuccherosa.
Insomma una ciofeca che mangeremmo solo per rabbia di fame o per pietà.
Quando vi capita una ricetta che "funziona" scrivete gli ingredienti in un foglio di calcolo e segnate le percentuali di ognuno di essi rispetto al totale.

Seguite sempre questa rete di dosi che sentite perfetta, anche se voleste aggiungere al totale, che so, cacao, caffé o magari orzo...
L'orzo solubile è così leggero che la bilancia di casa (quella analogica, da 3 kg di portata) nemmeno se ne accorge.
Diverso il caso se avessimo aggiunto del cacao: allora in ballo sarebbe entrato alche l'altro elemento secco, la farina, da adattare alla somma totale.
Ah, che stupido, quasi dimenticavo: per uno stampo da 24 cm, lo standard di un ciambellone, moltiplicare per tre le dosi e via.
Allora: sbattere le uova intere con lo zucchero, aggiungere il burro fuso e il latte, l'orzo e, infine, la farina con il lievito.
Infornare a 180° per la solita, fatidica, mezz'ora.
Far freddare bene prima di sformare (se no si spatascia: è successo anche questo...).


Però... non avrei detto fosse così gustosa. Mi ricorda le colazioni e le merende di qualche decennio fa. Mi ricorda l'orzo di casa mia...
- Certo una crema al latte chantilly d'accompagno ci starebbe una amore, che dici?...
- Taci, maledetto!...

Aforisma del giorno
Ci sono persone che sanno tutto, e purtroppo è tutto quello che sanno.
(Oscar Wilde)

Oggi ascoltiamo:
Massimo Ranieri - Erba di casa mia

http://www.youtube.com/watch?v=904zqHhwxVs

P.S. Non avete mai provato a cantarla, anche solo sotto la doccia?... Ranieri è Ranieri...

mercoledì 4 luglio 2012

Bosone curioso...

Clamoroso!
Il Bosone di Higgs era stato già individuato il 23 giugno scorso per le vie del centro storico di Roma!
Abbiamo prove inoppugnabili della sua esistenza.
Eccolo qui:

Certo che come particella è un pochino su di peso...
Solo così si spiegherebbe come mai sia la responsabile della generazione della massa nelle altre particelle.
E la magliettina striminzita indossata dal bosone indica chiaramente che esso si pregia dell'essere designato come "particella di Dio".
Saluti dal CERN... anzi: bosoni a tutti!

Il busino Muccardo

Mele in gabbia

Eh sì, ci vuole più a dirlo che a farlo...
Finalmente ecco l'ultimo piatto di "Furore culinario". E così siamo alla frutta.
- Ah, certo: se non l'avessi detto non l'avrebbe capito nessuno, eh? Ecco perché... Mi dicevo sempre, tra me e me, mentre giravi le creme con la punta della lingua in fuori: ma questo non sarà mica così dalla nascita, no? Certo che tra i tanti che mi potevano capitare...
- Leppagorre!... Se continui così mi dò al giardinaggio!
- Ma se hai il pollice grigio!... Con te i cactus si suicidano, per abbreviare la pena...
- E allora farò un corso di ceramica o di ikebana, e poi voglio vedere stare là a tentarmi con bigné e creme. Cafone! Ed è inutile che fai l'offesso e volti in su quel muso da gatto sdegnoso che ti ritrovi. Tanto lo sai che hai torto!
- Uhmf! Con te non ci parlo più!
- Davvero? È una promessa? Allora gli dèi esistono! E non così sono malvagi, come ho sempre pensato!
- Sì, sì, voglio vederti lì a mangiare tonno in scatola dalla scatoletta appena aperta, e con le dita, poi! Brrr... se ci penso mi si rizza il pelo!...
- Vabbè io me ne vado di là a leggere, tu fai come ti pare...
- E le mele in gabbia? Ma siamo matti? Vieni qui, fammi capire come abbiamo fatto, che non ci ho capito niente, l'altro giorno...
- Mh... Basta che non mi prendi per i fondelli... Non sono mica il tuo zimbello!
- Ah certo, questo si sa, chi l'aveva detto? Su, su che è tardi e poi sai che vado in letargo glucolico...
- Bestiaccia che sei, sempre là a sfruculiare...
- Pace?...
- Pace...
Così ogni volta...
Voglio vedere voi. Siete fortunati a vedere gli spettri o a camminare rasente i muri temendo l'apocalisse. Un demonietto cuciniero è una croce pesante da portarsi dentro, altro che...
- Che fai, ricominci? Su, su, che è tardi! Basta un po' con 'sto teatrino!...
- Qualche volta da quelle fauci ti esce qualcosa di sensato, chissà per quale congiunzione astrale...
- Allora, e 'ste mele in gabbia?...
Allora... Mele in gabbia... ce se sono a bizzeffe in rete, lo so, ma a me piace questa versione.
Gli americani hanno una loro ricetta, la Apple Dumpling, ovvero ravioli di mele, anche se la pasta impiegata "a mo' di gabbia" è una frolla che viene poi imbevuta nella cottura in forno dello sciroppo di cottura delle mele... Mah, secondo me (e quando faccio una qualsiasi affermazione sottindendo sempre quell'inciso) è un po' troppo... popposa.
Qui ci vuole la leggerezza della sfoglia, vuoi mettere?
E proviamo a farle, va.
- Era ora!...
Servono:
4 mele (golden, stark o fuji, fate vobis)
una confezione di pasta sfoglia (anche surgelata va bene, di solito sono da 250 g)
3 cucchiaini di marmellata d'albicocche
due cucchiai d'uva passa
un cucchiaio di pinoli
una puntina di cannella
un cucchiaino di zenzero fresco grattugiato
- Ah, ecco che m'ero perso!... Dicevo: ma quel pizzicorino limonato da dove viene?...
...e dell'albume per lucidare.
Svuotare le mele con il levatorsolo, pelarle e passarle in acqua acidulata per non farle annerire.
In una pentola capace (a cosa? Ma a contenerle tutte e quattro, direi...) mettete:
Mezzo bicchiere di marsala, il succo di un limone, una puntina di cannella, un cucchiaio di zucchero e un bicchiere d'acqua.
Sistemarvi le mele, all'impiedi, porelle... e farle cuocere per cinque minuti, girandole a metà cottura.
In una ciotola mescolare bene gli altri ingredienti, marmellata e spezie.
Far freddare le mele su un piatto, quindi riempirle con il composto di marmellata.
Preparare delle strisce di sfoglia abbastanza larghe da avvolgere ogni mela.
Sigillate la base sovrapponendo i lembi della sfoglia, poi unire i bordi a salire e, in cima, stringete con quattro pizzichi i lembi della pasta eccedente.
Sistemare le mele su una teglia ricoperta di carta forno e pennellare con dell'albume.
Via in forno, a 180° per una mezzoretta.
O, almeno, finché la sfoglia apparirà bella dorata.



Lo devo dire? Calde fannno tanto dolcetto invernale...
- Ciaveva ragione Mamma Lella: vai sempre in c... alla stagione!
- Ancora? E tappatici la bocca un po'!
- Era quello che volevo!...

Detto romano del giorno:
Quanno er diavolo te lecca è sségno che vvò l'anima.

Quando il diavolo ti lusinga vuol dire che vuole l'anima.

Oggi ascoltiamo:
Jeff Buckley - We all fall in love sometimes

http://www.youtube.com/watch?v=jYGZ4M-dXls&feature=g-vrec

martedì 3 luglio 2012

Petit sufflé au goût de haricots

Ah ah ah... ma dài... Proprio io che mi do le arie di chef? Ma quando mai!...
Era solo per preparare l'atmosfera all'enunciazione della più seria:

Legge della progressione esponenziale degli ingredienti culinari in avanzo.
Si consideri un insieme X di ingredienti atti alla preparazione del piatto Y.
A preparazione ultimata del piatto suddetto risulterà in avanzo una quantità di composto Z, al quale verranno aggiunti altri ingredienti da un insieme X1, per la preparazione del piatto Y1.
A preparazione del piatto Y1 ci si renderà conto che sarà avanzata la quantità Z1 d'ingredienti.
Aggiungeremo a questa ancora altri ingredienti da un insieme X2, con cui prepareremo il piatto Y2.
Ne risulterà un'inevitabile presenza di avanzi culinari pari alla quantità Z2...
Riportando in un grafico l'andamento di Z(1..n) in relazione al tempo Tc (Tempo a disposizione per il cuoco) alla costante Cf (contenuto del frigo) e al fattore Pc (pazienza del cuoco, prima che s'inalberi del tutto e frulli ogni cosa dal balcone) si nota, con desolante evidenza che tale progressione è esponenziale...
In poche parole, potremmo cucinare all'infinito, se la pazienza e la dispensa ci dessero ausilio, datosicché ad ogni passaggio di preparazione del piatto Y(1..n) avanzerà, inevitabilmente una quantità Z(1..n) che cercheremo di non gettare (no, dài, perché... gettare il cibo... è immorale...) aggiugendo, senza fine un'ennesima quantità X(1..n) innescando così una produzione di piatti a catena esponenziale e fatale. Dalla quale, è fuori discussione, verremo sommersi inesorabilmente, nonostante le buone intenzioni dei nostri amici-cavie.
In poco tempo  ci ritroveremo a dover consumare una quantità di pietanze spropositate.
E solo perché non sapremo dire basta al furor culinarius...
Sì, sì, voglio vedere voi con la pentola del passato di fagioli in mano che ti dice: tesoro, sono troppo per te, non vorrai mica imbottirti di purea di fagioli...
E Leppagorre, seduto sul frullatore, che fa, serafico come il suo solito: beh, aggiungiamoci della panna, delle uova...
Non credo che nella cella imbottita sopravviverebbe, povero caro...
A parte gli scherzi, sul tavolo avevo metà del passato di fagioli, un pugno di brisée alla curcuma e, in credenza, degli stampini che parevano proprio fatti apposta...
Mettiamo che vi avanzino circa 100 g di fagioli passati.
Non potete certo gettare gli occhi al cielo e dire: oh, che sbadata!...
Prendete:
100 ml panna da cucina
2 cucchiai di pecorino grattugiato
1 uovo intero
1 albume
Rivestite l'interno degli stampini con la pasta brisée che, triste e sconsolata, vi osservava dal frigo timorosa della sua incerta sorte.
Ora in una ciotola versare la panna, l'uovo, il formaggio grattugiato e mescolate bene.
Unire al tutto l'albume a neve, e con delicatezza: con fate i camalli, che si smonta!...
Bene, ora riempire gli stampini di brisée con il composto, arrivando a livello del bordo della pasta.
In forno per una ventina di minuti a 180° e...
Aspetta! Ecco, ti pareva... È avanzato del composto...
Non ce la posso fare... 
Con un gesto virile prendo uno stampo di silicone che ho lì sottomano e ci verso il malefico intruglio e...
Via, in forno, senza diritto di replica...

Questi i tre malefici sgorbi, dal sapore delizioso:

E questo il frittatone-soufflé, ottimo anche freddo, per un pic-nic, un finger-food, del...



Detto romano del giorno:
La verità è come ll'ojo, viè sempre a ggalla.

Oggi ascoltiamo:
Annie Lennox-Love Song For A Vampire (Bram Stoker's Dracula OST).

http://www.youtube.com/watch?v=vhG8zC4npsE&feature=related

lunedì 2 luglio 2012

Crostata Agrado (pesche e lavanda)

Leggevo l'altro giorno il libro La scienza in cucina di Hervé This, patrono della cucina molecolare, che ai più sembra una cosa senz'anima mentre invece, a ben vedere, è il modo scientifico di esplorare la cucina e ricavarne non solo il meglio (la cottura della carne, per esempio...)  ma anche inventare accostamenti e procedure di cottura nuove.
In una pagina Hervé dice: "La cucina è amore, arte e tecnica. Amore, cioè rendere felici i commensali, e non è forse necessario "amare" qualcuno per renderlo felice? L'arte è quel qualcosa in più che rende l'esecuzione pragmatica una creazione di emozioni. E la tecnica è la somma delle azioni, degli strumenti e delle tecniche (la techné dei Greci che è "fare" ma anche "arte") per ottenere il meglio dagli ingredienti".
Amore, amore, amore: la cucina è amore: è dare cibo a chi è con voi, preparare con cura le cose che la persona che si ama metterà alla bocca, bacerà con le labbra, assaporerà e, con un sorriso dolce, vi darà il compenso sperato: la piena gioiosa soddisfazione aver goduto di qualcosa di buono.
Tutto questo mi fa venire in mente il personaggio del film "Tutto su mia madre" di Pedro Amodóvar, la transessuale Agrado (la strepitosa Antonia San Juan).


Non l'avete visto? Peccato.... ma siete in tempo per rimediare. Su, via a prenderne una copia, o fatevelo prestare da un vostro amico. Insomma, vedetevelo.
Agrado, assistente di un'attrice teatrale, si trova a dover comunicare al pubblico la sospensione dello spettacolo.
Come fare?
Improvvisando un monologo surreale la transessuale, un ex camionista diventata puttana, racconta se stessa: "Mi chiamano Agrado, perché per tutta la vita ho sempre cercato di rendere la vita più gradevole agli altri."
Poi parla di sé, di quanto sia autentica, grazie ai litri di silicone inoculati e alle cure estetiche che l'hanno fatta donna, LA donna che lei voleva essere.
Perché, come dice nel brillante finale: "Quel che stavo dicendo è che costa molto essere autentiche, signora mia, e in questa cosa non si deve essere tirchie, perché una è più autentica quanto più assomiglia all’idea che ha di se stessa.“
L'applauso scrosciante che ne segue è la vittoria di questa inaspettata eroina, una donna che ha lottato e sofferto per trovare se stessa ed esserlo, fino in fondo.
A lei, la favolosa, candida, sguaiata Agrado dedico la mia crostata di pesche e lavanda.

Per una teglia da 20 cm:

Frolla alla lavanda:
250 g farina
125 g burro
50 g   zucchero
1 pizzico di sale
1 uovo
1/2 cucchiaino di lavanda essiccata
acqua q.b.
Stessa solfa della frolla: sfarinata di burro e farina, uovo, sale e lavanda, acqua a poco a poco e mescolata veloce, senza amalgamare troppo.
Via in frigo a riposare per mezz'ora.

Crema alla lavanda:
200 ml latte
40 g    zucchero
40 g    farina
1 uovo intero
1 cucchiaino di lavanda
1 pizzichino di sale
Stesso procedimento della pasticcera alla lavanda: far bollire il latte con la lavanda e lasciarvelo in infusione 5 minuti. Farlo freddare...
Sbattere uovo e zucchero, aggiungere la farina e stemperare col latte.
Cuocere a fuoco moderato, sempre mescolando, finché si addensa.

Er sopra:
400 g pesche (fresche o sciroppate)
1/2     bicchiere di marsala
1        cucchiaio di zucchero
1        bicchiere d'acqua
succo di un limone.
Tagliare le pesche a fettine spesse 0.775 cm, come dice il CSPFOS (Comitato di Sezionamento Pesche Fresche o Sciroppate, un ente molto serio e agguerrito in merito, che è meglio non contraddire...)
Se usate le pesche sciroppate (o sciroccate, come si dice qui) le farete macerare nella brodaglia di marsala, limone e zucchero per almeno un'oretta.
Se invece usate quelle fresce, e come me vi trovate in mano dei selci del Paleolitico Superiore, occorre ammorbidirle facendole cuocere per cinque minuti nella brodaglia suddetta.
Vedrete come abbassano la cresta, tsé! Diventeranno quasi trasparenti...
Fatele raffreddare nel liquido di cottura e poi scolatele.
(Col liquido fatevici un drinche da beve: passatelo e allungatelo con acqua gelata... mh, bbono...)

Passata la mezz'ora
odo la frolla fare la ola...


Stendete la pasta sul fondo e sui bordi della teglia, distribuite sul fondo la crema (che sia fredda, devo precisarlo?.. No?... Bravi.)
Prendere le fettine di pesca e disporle a raggiera sulla superfice del dolce, prima la fila esterna e poi, con le più piccole la parte interna.
Ripiegate i bordi della pasta e schiacciateli leggermente a formare un bordino che potrete decorare con i rebbi o il manico della forchetta, oppure con con le unghie del vostro gatto (no, queste anche no...).
Se l'avete pennellate con dell'albume la superficie della pasta.
Infornate a 180° e cuocere per la mezz'ora di rito, dopodiché far freddare bene prima di liberare dallo stampo.
Se volete, potete preparare del gel da pasticceria per rendere lucida la superficie della crostata.


Io l'ho mangiata così com'è venuta, accompagnata da un frullato di carole, pesca e acqua di fiori d'arancio (frullare: una parte di carota, due di pesche, zucchero a piacere, acqua q.b. e, alla fine, due gocce di acqua di fior d'arancio)


Detto spagnolo del giorno:
Por el árbol se conoce el fruto.
Dall'albero si conosce il frutto

Oggi ascoltiamo: 
La Lupe - Puro teatro
http://www.youtube.com/watch?v=IgOQrcAxylM


Crema di fagioli e mazzancolle

Continua la rassegna di "Furore culinario".
Questo piatto nella foto di sabato non c'era, semplicemente perché non ha fatto in tempo ad arrivare in tavola...
Legumi e crostacei sono un binomio perfetto in tutte le salse: se sposiamo gamberi, gamberoni, mazzancolle, granchi e scampi con ceci, fagioli, lenticchie, fave e piselli otteniamo già 25 possibili piatti con cui sperimentare quest'interessante accostamento di terra e mare.
Ricette in cui c'è una crema di fagioli e delle mazzancolle sicuramente già circola in rete, anzi ce ne sono diverse, ma credo che l'importante qui non sia arrivare primi ma divertirsi a provare cose nuove, recuperare cose perse di vista e, ovviamente, magnarsele.
Questo piatto nasce dall'esigenza di liberare il freezer, guarda un po'...
Dove la schiaffo se no la gelatiera se vi sono carne, pane e verdure a bizzeffe?
Aprendo lo sportello mi viene incontro (letteralmente) una busta di fagioli appena sgranati e messi via datami dalla mia ex-suocera, se così si può dire...
Quale migliore occasione per togliere un altro pezzo di passato se non magnandoselo?
Capisco, con un libro la cosa si fa più difficile, ma per fortuna i libri sono quasi tutti roba che ho scelto e collezionato da me e che nessuno s'è mai messo in testa di regalarmi (il rischio dei doppioni sarebbe stato inevitabile, visto che viaggio oltre i tremila...).
Quindi:
500 g fagioli sgranati (se della ex socera meglio, se no vanno bene pure i vostri)
200 g mazzancolle (ho usato le surgelate, vanno benissimo anche quelle)
un paio di cucchiai di trito del magico tris (carota cipolla e sedano) (1)
una foglia d'alloro, olio, sale, pepe e zenzero fresco quanto basta.
In un paio di cucchiai d'olio evo (2) far soffriggere il tris, e quando la cipolla appassisce come la corolla d'una primula in un giorno d'estate tuffarvi i fagioli e farli insaporire.
Bastano due o tre minuti, poi coprire con sufficiente acqua e salare.
Coprire e far bollire per almeno trenta minuti, il tempo di farli diventare mooorbidi morbidi.
Nel frattempo far dorare uno spicchio d'aglio in due cucchiai d'olio, liberare le code dall'eventuale carapace e tuffarle nel soffritto come tante Esther Williams felici di trovarsi in piscina...
Fatele andare per due minuti al massimo, se no divemtano durette, e non va bene.
Salate, e fuori fuoco aggiungete un cucchiaino di zenzero fresco grattugiato.
Mescolate delicatamente e tornate a farvi le unghie, o a escogitare le fatidiche due colonne del Superenalotto che vi cambieranno l'esistenza.
Quando i fagioli saranno cotti scolateli e passateli al setaccio, allungando il passato (che frase suggestiva: allungare il passato... in certi casi mi piacerebbe proprio poterlo fare...) con un po' d'acqua di cottura.
Che non butterete via, vero? Veerooo? Bene, ci siamo capiti...
Unirvi una grattatina di zenzero (sempre fresco: che stamo a pettinà le bambole?) ma  non troppo per non farne prevalere il sapore: quel tanto che basta per avvertirlo... da lontano.
Ci siamo: ora in un piatto versate la crema di fagioli, prendete le code di mazzancolle ed adagiatevele sopra, bagnandole con quel cucchiaio di fondo che le accompagnava in padella.
Visto? Già sono contente così, stelle de casa...
Ma manca qualcosa: un filo d'olio evo a crudo e... passa la viola!


(1) Lo si chiama soffritto all'italiana ma voi potete chiamarlo pure King, Soldatino e D'Artagnan, in onore del film "Febbre da cavallo"...
(2) Extra Vergine d'Oliva, non lo ripeto più, eh?

Poesia romana del giorno:
Spesso, più che la stima, è la prudenza
che ce consija a fa' la riverenza.
Sovrano come er popolo sovrano
che viceversa nun commanna mai.

                                                           Trilussa

Oggi ascoltiamo:
Franco Battiato e Carmen Consoli - Tutto l'universo obbedisce all'amore

http://www.youtube.com/watch?v=Q0pH-AEtdgw

bisogna muoversi come ospiti, pieni di premure,
con delicata attenzione, per non disturbare,
ed è in certi sguardi che si vede l'infinito

domenica 1 luglio 2012

Quiche... nefrega!

Ovvero: Quiche (con pasta brisée alla curcuma) al formaggio.

Ecco: parti per una gita fuori porta, ti invitano al volo degli amici a cena, vuoi passare un capodanno in strada cuore a cuore con l’amore tuo o, semplicemente, vuoi riciclare quelle verdure che, se aspettassero ancora in frigo inizierebbero a camminare da sole? Sono tutte scuse per deliziarci con una quiche, che altro non è che una crostata salata.
Si compone infatti di un involucro di pasta brisée, parente prossima della frolla (ma priva di zucchero e tuorli) e un ripieno composto da... tutto, veramente tutto quello che vi venga in mente.
...
Vieni qui! Qui, t'ho detto!... Essere malefico...
- Ah ah ah curcuma, curcuma, curcuma ovunque! Come se piovesse! Ah ah ah Qui, e anche qui, qui... e qui!
Ecco, lo sapevo: m'è impazzito Leppagorre...
Che impazzisca io poco di nuovo, si sa, ma che impazzisca una parte dissociata di me, beh, questa è una bella novità... Mannaggia la pupazza, ma come devo fà?
Vieni qui, dammi 'sto barattolo, e non spargere curcuma per tutta la cucina, lo sai che è un colorante tenace e se poi ci ritroviamo le pareti chiazzate di giallo-arancio sai che bellezza?...
Curcuma nella brisée?... Ma che ti viene in mente, dico io!... Che ti viene in mente... Però... Quasi quasi...

Per una teglia da 20 cm di diametro:

200 g farina
100 g burro
1 cucchiaino raso di curcuma
sale e acqua q,b.
Stesso solito procedimento della frolla: sabbiatura, aggiunta di acqua quanta ne serve da legante, mescolamento veloce, senza amalgamare troppo... e via appallottolato in frigo per la canonica mezz'ora.

Prepariamo il ripieno:
300 g emmenthal
150 g panna da cucina
150 g pancetta a dadini
2 uova
una punta (di cucchiaino) di noce moscata (appena appena, sennó l'effetto "infima rosticceria" è assicurato)
pepe e, se vi va, ma proprio se vi avanzano e non sapete cosa farci, anche 50 g di olive nere. Snocciolate!
In una ciotola tagliare il formaggio a pezzetti, aggiungere la panna, le uova leggemente sbattute, noce moscata, il pepe e la pancetta. Mescolate bene e tenete in frigo mentre stendete la pasta.

Passata la tempesta
odo Leppagorre far festa...

- È ora, è ora! Su, che si inforna!
A bello de casa, fuori fa un caldo che soloddiolosa, tra un po' arriva pure Caronte (ma che è 'sta mania di personalizzare ogni sussulto della nostra Crudele Matrigna? Boh...). E datti pace, figlio mio!...
- Allora prepari anche un'altra cosina, così accendi il forno una volta sola, no?...
Diabolico e convincente, come sempre, Leppagorre mio...
Seduce fingendo indifferenza e noncuranza e sa sempre, alla fine, cosa dire...
E il fatto è che ha ragione anche stavolta.
Vabbè... tanto la linea è è definitivamente curva e l'unica speranza di sfilare sarà in un atelier di orsi polari, quindi: via col tango!

Prendete l'impasto, stendetelo su un piano aiutandovi con un po' di farina.
Rivestitevi il fondo e le pareti di una teglia (1) e, se vedete che fa troppo caldo e tende a smollicchiarsi tutto l'ambaradam, mettete in frigo per qualche minuto e poi sistemate bene l'impasto rassodato.
Versare il composto nella scorza, livellando bene.
Qui si aprono due strade, entrambe valide.
Una dice: ripiega i bordi della sfoglia come per una crostata e lascia così, en plain air, il composto, che cuocerà assumendo un bell'aspetto dorato. Non serve altro che infornare.
L'altra fa: ma vuoi mettere anche una sfoglia di copertura, che racchiuderà il contenuto saporito in una bella scorza friabile? Ecco, la stendi, ripieghi verso l'interno i brodi della pasta e la premi leggermente per sigillarla.
Basta poi che bucherelli la superficie e la spennelli con un po' d'albume...
Fate come credete, io (anzi Leppagorre) avevo altro in mente, quindi l'ho lasciata "scoperta".

In forno, orsù, per 30 o 40 minuti almeno, dopo di che far raffreddare per bene prima di trasferire su un piatto da portata, se no rischiate lo scatafrombolamento di tutta l'opera d'arte.
Si consuma tiepida, o anche fredda, anzi per farla un po' rassodare viste le temperature di questo periodo le do una passatina di frigo, tanto per gradire.


E questa è la versione con le olive nere, che rende davvero ardua la scelta.


Fate una cosa, allora: preparatele tutte e due e portatele a cena d'amici.
A proposito di cene... In un certo senso, anche il timballo luculliano descritto nel Gattopardo è un parente prossimo della quiche, anzi, a dire il vero, è proprio una mega-quiche coi fiocchi. Andatevelo a leggere, va...

Detto romano del giorno:
Mozzico de pecora nun sbucia la pelle.

Morso di pecora non scalfisce la pelle.

Oggi ascoltiamo:
Jimmy Sommerville - Coming

http://www.youtube.com/watch?v=pp-SYRSyMvE
"Sto arrivando, sto arrivando... e infine sarò libero"...
Avete mai visto il film Orlando di Sally Potter? Beh, fatelo. Ne vale davvero la pena...
Il romanzo di Virginia Woolf ha finalmente uno scenario degno, accompagnato dalle musiche conturbanti e ipnotiche della stessa Potter. E poi Orlando ha il volto meraviglioso di Tilda Swinton. Un capolavoro.

(1) Per quanto riguarda le teglie da usare per le crostate e le quiche, a parer mio le migliori sono quelle d'acciaio o quelle di silicone. Gli stampi di alluminiio leggeri sono pratici ma ho notato che tendono a non cuocere bene. Un'impressione mia? Guarda caso tutte le volte è un dramma, che però non si ripete con il silicone o con l'acciaio. Misteri della scienza...