sabato 30 novembre 2013

Reginelle

Sono dei biscotti siciliani secchi e molto friabili, ricoperti di semini di sesamo, che è facile trovare nelle panetterie dell'isola.
Semplici, casarecci, un po' rudi: sono biscotti da forno, non da pasticceria, di quelli che si occhieggiano quando si va a comprare il pane e che seducono discreti e sfacciati insieme col loro intenso profumo di sesamo tostato.
Sono come gli occhi neri delle persone del sud, dei siciliani con l'Oriente e l'Africa nel sangue; profondi come un abisso in cui sembrano volerti avvolgere, e con quelle lunghe ciglia di gazzelle che rendono aggraziati sia gli uomini che le donne.
Non hanno altri zuccheri o creme o glasse varie con cui sedurre lo sguardo e il palato.
I dolci ricchi, quelli di stucchevole marzapane e ricchi di canditi, sono nati nei conventi, lontano dalla gente, che aveva solo il pane e poco companatico.
Questi invece, non sono dolcetti aristocratici, ma sono biscotti che parlano da soli, asciutti, semplici ed essenziali ma anche sfrontati, quasi, con quell'irresistibile aureola profumata di sesamo.
La ricetta è semplice, fattibile tranquillamente in casa e, guarda caso, molto simile a quella dei classici biscotti da latte, che abbiamo visto anche per i Pulcraveddi.

Reginelle
1 Kg    farina 00
4         uova intere
300 g  strutto
300 g  zucchero
200 g  latte ca.
150 g  sesamo
la buccia di un limone e di un'arancia grattugiata
20 g     ammoniaca per uso alimentare (una bustina)
un pizzico di sale
Lavorare le uova con lo zucchero.
Aggiungere lo strutto, che avremo tenuto a temperatura ambiente, a pezzetti, amalgamandolo alle uova.
Ripeto quanto detto per i Pulcraveddi: sciogliere il bicarbonato d'ammonio nel latte tiepido, utilizzando un bicchiere di  dai bordi alti, perché essendo molto effervescente tenderà a sviluppare molta schiuma.
Versarlo nel composto e mescolate bene, aggiungendo quindi la buccia del limone e dell'arancia grattugiate, il sale e la farina.
Il composto deve non risultare troppo molle ma ben lavorabile a mano, e se risultasse troppo appiccicoso spolverarlo con un po' di farina.
Scaldare il forno a 180°.
Formare con la pasta una grossa corda, quindi dei cilindretti, che schiacceremo leggermente e impaneremo nel sesamo, soltanto sulla parte superiore però.
Disporre i biscotti sulla teglia, distanziati tra loro di un paio di centimetri e infornare.
La cottura è circa 12-15 minuti, ma sorvegliarli dopo i primi dieci per evitare che "avvampino".
La casa lì per lì si riempirà dell'odore di ammoniaca, quindi premunirsi di maschera antigas e cercare di non inalarne i vapori... Scherzo! Basta arieggiare la cucina e dopo la cottura del fastidioso odore non resterà traccia, sia in casa che nei biscotti.


Far raffreddare le Reginelle su una grata e quindi conservarli in una scatola di latta.
Durano parecchie settimane, dicono.
Non ho avuto il tempo di appurarlo...


P.S. Ovviamente si può utilizzare la stessa ricetta, senza il sesamo, per fare degli ottimi biscotti da latte, quelli che assorbono ogni liquido senza spappolarsi miseramente. Bella cosa la chimica, eh?

Aforisma del giorno
La pazienza è amara, ma il suo frutto è dolce

Jean-Jacques Rousseau

Oggi ascoltiamo
Ólafur Arnalds ~ Erla's Waltz

http://www.youtube.com/watch?v=wWN1mI6Z0jQ

giovedì 28 novembre 2013

Fonduta al cumino

Finalmente è arrivato un bel freddino quasi invernale, quello che secca la bocca e ammassa il fiato, quello che fa raggomitolare in uno strato di lana e fa desiderare cibi caldi e sostanziosi.
Non che qui ci manchi la faccia di farci un bel brodo caldo anche a luglio, eh?
D'altronde vengo da cotanto padre, quindi, non mi spaventa scombinare la stagionalità dei cibi a mio capriccio.
Intanto con Babà ci siamo attrezzati al meglio per goderci l'aria corroborante di questo fine novembre...

Esagero, come al solito mio?
Ma no! Anzi, stavolta poi una bella fonduta ci sta tutta, e al diavolo i grassi! 

Fonduta al cumino
(per due... seee...)
200 g fontina
20 g   burro
2        tuorli
1/2 bicchiere di latte
1 cucchiaino di cumino in semi
La fontina va lasciata riprendere a temperatura ambiente, quindi si taglia a dadini e la si lascia immersa nel latte per almeno due ore, e meglio ancora sei...
La si trasferisce poi in una casseruola, meglio se d'acciaio a fondo spesso, e vi si aggiungono il latte, il burro e i semi di cumino.
Si fa quindi sciogliere a fuoco basso il formaggio, mescolando spesso.
Appena la fontina si sarà sciolta del tutto aggiungere i tuorlie mescolare bene fino a competo assorbimento.
Deve risultare una crema corposa e morbida.
Volendo si può anche preparare a bagnomaria, e la cosa impedirà che inavvertitamente il calore troppo alto faccia raggrumare la crema.
Appena pronta spoverarla con del pepe nero e portarsela - ops... che lapsus! volevo dire: "servirla" -  accompagnata da fettine di pane tostate, magari del pane al cumino.
L'ideale sarebbe nell'apposita pentola di ghisa che trattiene il calore e lascia cremoso il formaggio, che altrimenti tenderebbe a ricoagularsi.
Ma per ovviare a questo inconveniente basta tuffarcisi dentro con i crostini tra le dita come Esther Williams e non dargli proprio il tempo fisico di tornare allo stato solido...  


Scritta sui muri del giorno


 










 
Oggi ascoltiamo
Paolo Fresu & Uri Caine - Lascia ch'io pianga
http://www.youtube.com/watch?v=pQ3yAkJlNSs

mercoledì 27 novembre 2013

Cannoli di bresaola, lesti lesti

Allora, le fettuccine sono pronte e asciugano serene sulla spianatoia; il ragù bolle già da un'ora e lo farò andare avanti per almeno un'altra ora ancora; la torta cioccolato e pere me la son già divisa col mio amico-vicino-cavia, e sta lì in frigo aspettando che si compia il suo destino; vino ce n'è, liquori pure, caffè non manca mai...
Ma... e dopo la pasta che ci mangiamo?
Ma mannaggia la pupazza infame con tutte le penne sfrantumate e sbullonate!
Ma si può essere costantemente, sempre, irrimediabilmente così beoti? Si può,dico io?
Ecco, lo so, quando ho il mestruo cerebrale devo evitare di vedere gente!
Solo, me ne devo stare, come i monaci di clausura, come le monache clarisse, benedettealloro!
Ecco, lo vedi? Non sono capace a far nulla! Nulla!
Mannaggia a me e quando apro bocca e muovo le mano
Me le dovrei inchiodare a due tavolette quelle mano! e tanti saluti!
E dopo un'altra decina di minuti del solito refrain a cui sono abituato ma che non esito mai nemmeno per un secondo a urlarmi nell'orecchio interno, mi siedo un attimo, guardo il muro bianco, tiro un sospiro da aspiratore di coca e apro il frigo.

                                               O frigo, frigo delle mie brame, 
                                               puoi porre tu rimedio a quel salame
                                               che tutto perde così bellamente
                                               e tanto s'ingarbuglia impunemente?
                                               O frigo, frigo, amico mio fedele
                                               sedare puoi l'angoscia mia crudele?
                                               Dammi uno spunto,un'illuminazione
                                               per non rifar la scena del coglione!...

Il mio frigo non parla mai, ci mancherebbe. Almeno lui...
Non dà astrusi responsi come la Sibilla cumana, non sparge banali massime consolatorie come un santone da Età dell'Acquario, e non dà nemmeno immagini criptiche come l'inconscio con il suo consueto minestrone onirico.
No, lui sta lì, come un totem raggelato (e anche un po' inumidito, vedo) e mostra, mostra quel che può dare, senza proferir parola alcuna.
Un totem, appunto.
Amico totem.
E stavolta che mi mostra l'amico bello?
- una confezione di bresaola già bella e affettata
- una confezione di panna da montare
(ancora? ma non erano finite? che si riproducano forse nel buio freddo del frigo, durante la notte? boh...)
- una confezione di gorgonzola piccante
(sempre lei, che m'aspetta al guado ammiccante, come una peripatetica sulla tangenziale)
- varie ed eventuali, ovvero sottaceti a go-go, birra e vino, senape forte in grani e... aspetta, torna indietro... ecco, sottaceti... Cetriolini. Mh...
Si sa, le buone letture danno sempre buoni frutti, prima o poi.
Anche nel mio caso, dopo anni e anni di aiuto-giornalaio (sì, mio padre, Dandoletto caro) e di conseguenti smodate ed eterogenee letture (da "Motori e tremori" a "Mani di fata", da "Confidenze" a "Cronaca Vera") posso dire di raccogliere gl'inaspettati ed insperati frutti proprio al momento del bisogno.
È qui che si vede come le mie decennali letture di riviste di cucina abbiano messo radici nella mia mente così fertile e frolla, come i semi della fantasia abbiano attecchito e dato vita a piante invisibili quanto concrete e provvidenziali.
Altro che "I classici del Novecento" o "La letteratura di tutto il mondo"!
Qui, a quanto pare, conta più Armanda Capeder che Fëdor Michajlovič Dostoevskij...
A parte gli scherzi (sì, non è mai esistita  "Motori e tremori"...) è verissimo che l'emergenza aguzzi l'ingegno.
"Ben poca cosa, visto i risultati" mi si potrebbe dire, ma per me è stata un'importante conferma questo misero, piccolo, invisibile arrabbattarmi. E poi sono le cose da nulla che, ammucchiate, formano le grandi cose. O no?
Quindi, per tre persone:
9 fette di bresaola (tagliate non troppo finemente)
250 ml panna da montare
50 g     gorgonzola piccante
qualche cetriolino sottaceto e pepe a volontà.
Montare la panna, quindi lavorare il gorgonzola a crema con una forchetta, aggiungendo un cucchiaio di panna per rendere più lavorabile il formaggio
Unire il resto della panna e amalgamare con attenzione, per non smontare la panna.
Sminuzzare i cetriolini e aggiungerli, assieme a due belle grattatone di pepe alla gorgopanna.
In ogni fetta di bresaola porre un cucchiaio di composto, richiudere la fetta e agguingere due pezzettini di cetriolini ai lati del "cannolo".


Niente di che, vero?
Ma provateli accompagnati dal pane caldo fatto in casa...

Aforisma del giorno
Non esistono più imprevisti che possano rivelarsi piacevoli.

Philip Roth


Oggi ascoltiamo
Fred Buscaglione - Guarda che luna

http://www.youtube.com/watch?v=Qzk4qw0QR0o

martedì 26 novembre 2013

Torta Elena, cioccolato e pere. Versione 1.0

Non è mica da tutti, me ne accorgo, avere un vicino di casa che ti sia anche amico e che ogni tanto ti suoni alla porta e tirando fuori qualcosa da una busta e mettendotela in mano ti dica: "Tiè, avevo giusto questo ... (e qui si prega di completare con qualsiasi cosa sia commestibile: cioccolato, pandispagna, pesce appena pescato, uova biologiche, e di tutto un po'). Vedi se riesci a cavarne fuori qualcosa di decente. Ciao!"
E io con la bustina o la confezione in mano e la mente che già vola verso chissà quali nuove avventure.
Devo dire che questa è l'unica "sfida" che, per mia intima natura e per convinzione filosofica, mi senta di raccogliere.
Soprattutto quando questa si misuri con quel che c'è in casa, che solitamente è sempre sufficiente a sfamare per due settimane il Burundi, ma in modo schizoide e disordinato.
Questa volta con un pandispagna da 20 cm di diametro cosa mi sarei potuto inventare?
Be', apriamo il frigo e diamo un'occhiata:
- confezione di panna da montare.                                     Bene.
- confezione di gorgonzola piccante.                                  Anche no.
- pere moribonde.                                                             Bene.
- olive in salamoia.                                                            Anche no.
- liquore al cioccolato.                                                       Mh... No, anche no.
- yogurt.                                                                           Anche no.
Diciamo che le cose da poter utilizzare non erano poi molte, ed altri avrebbero fatto miglior uso di questi come di altri ingredienti.
Ma questa era quasi una gara, e anche se mi suona sempre orrida, squallida, feroce questa parola, dovevo decidere cosa fare e farlo in tempi brevi, e poi sottoporlo al gusto e al giudizio dell'amico-cavia.
Quindi apro il freezer e, tra zucchine precotte, fette di pane in ibernazione, bicchierini di carta col soffritto all'italiana pronto all'uso,e altre oscene amenità, cosa vedo, triste e solitaria?
Una tazza di crema pasticcera al cioccolato.
È lei, lei la reginetta della festa - mi dicevo - e basterà farla baciare dal primo raggio di sole - o dalla radiazione sostenuta del microonde - per riportarla a nuova vita e trovarle una serena collocazione assieme ad altri sventurati ingredienti.
 

Torta Elena cioccolato e pere
Ricapitolando, quindi:
Un pandispagna da 20 cm di diametro, che possiamo fare agevolmente anche da noi con tre uova e  seguendo queste poche indicazioni.
Due pere di media grandezza.
Una tazza di crema pasticcera soda al cioccolato. Quindi una dose da:
250 ml di latte,
un uovo intero,
40 g farina,
70 g zucchero
e ovviamente 50 g cioccolato fondente, a cui aggiungo sempre un cucchiaio raso di cacao.
Che altro?
Un bicchierino di Cointreau
un limone
due cucchiai di zucchero
50 g cioccolato fondente
250 ml panna da montare.
Sbucciare le pere e tagliarle a dadini, metterle in una padella con due cucchiai di zucchero, uno di Cointreau, il succo del limone (e un poco della sua scorza grattugiata), e lasciar andare a fuoco allegro, almeno fin quando lo zucchero e i liquidi presenti avranno formato uno sciroppo denso.
Mescolando spesso, ovviamente.
Lasciar raffreddare completamente.
Montare la panna e unirvi la crema pasticcera ben fredda, con il solito metodo delicato, avvolgendo il composto su se stesso dal basso verso l'alto.
Preparare una bagna con un bicchier d'acqua, tre cucchiai di zucchero e il bicchierino di Cointreau.
Portare ad ebollizione, mescolare per far scogliere lo zucchero e lasciar raffreddare.
Far sciogliere a bagnomaria o al microonde i 50 g di cioccolato fondente.
Tagliare il pandispagna in tre fette: la farcia sarà "necessaria e sufficiente" (diceva il mio professore di Analisi Matematica) per riempire due strati.
Bagnare lo strato inferiore della torta con la bagna, spalmarvi sopra metà della farcia, disporvi metà delle 
pere caramellate, quindi, con una forchetta, spargere un po' di cioccolato fuso a variegare la farcia.
Quando la torta riposerà in frigo formerà un leggero intermezzo croccante in mezzo a tanta molle pannosità.
Altro strato e stesso trattamento.
L'ultimo strato, la calotta, potremo bagnarlo allo stesso modo tenendolo rovesciato su di un piatto, per poi disporlo in cima alla nostra torta.
Lasciarla rassodare in frigo per un paio d'ore e poi decorarla a piacere.
Avendo terminato gli ingredienti in lizza ho dovuto optare per una semplice sbruffata di zucchero al velo.
Ma cosa mi era venuto in mente!... Una raggiera di pere a spicchi sottili e tanto, tanto cioccolato...
Ma la sfida era quella: riuscire a fare una torta decente, e originale se possibile, con le quattro cose che avevo in casa.
Ecco perché questa è solo la versione 1.0...


Detto romano del giorno
Piagne la vedovella la vedovanza, piagne er marito morto e ar vivo pensa.


Oggi ascoltiamo
Ann Peebles - I Can't Stand the Rain

http://www.youtube.com/watch?v=g5Rjo_imHDE

Involtini di arista

- Cos'è questo?
- È arista, Leppagorre, non vedi? Cos'è, fai lo gnorri per farti perdonare quella gola senza fondo?
- La gola è la tua, mi pare, o no?
- Sì, ma chi mi spinge ogni volta a ficcarci dentro due etti di fettuccine col ragù, tua nonna in carriola?
- Mia nonna era una santa gatta, pace all'anima sua.
- Ah, è morta? Scusami... non intendevo off...
- No, macché morta! Scherzi? Grazie all'anzianità s'è potuta trasferire nella sesta dimensione, la furbona. Adesso fa la pensionata di lusso e se la gode avanti e indietro per lo spazio tempo come una cucciola, la possino. E chi la ferma più?
- Mi credevo... Ma come mai mi chiedi cosa sto preparando? Mi insospettisci quando fai così. C'è qualcosa che non va, forse?
- No, niente... Ma quindi vengono a pranzo quei tuoi amici?...
- Sì, perché? Cos'è che non ti convince?
- Niente...
- Ah, ho capito! Stai pensando Raj, il demone di Enzo, vero?
- No! Be'... sì... un po'...
- Che ti preoccupa? Non vi siete già conosciuti?
- Sì, sì, ma... non credi di aver bisogno di un po' di solitudine per pensare a te stesso, in questo periodo? Che so io, magari qualche gita fuori porta con me e Babà... No? Non ne sei d'accordo?
- Guardami bene, occhi verdi. Non ti sconfinfera il gatto-demone del mio amico, vero? E pensa se ce l'avesse avuto anche l'altro! Questa cosa non mi va proprio giù, sai.
- Ma non sei in grado di sostenere una gioviale e soddisfacente convivialità. Devi riprendere contatto con te stesso, con le tue cose, la tua vita...
- Nelle mie cose ci sono immerso ventiquattr'ore al giorno, mio caro. Se c'è qualcosa che non ti va dimmelo subito, altrimenti... non cambia niente. Noi tre staremo a pranzo nella sala e tu e Raj in cucina, a giocare insieme a fare i cuochi.
- Ma...
- Senza se e senza ma! E adesso sparisci, che è tardi e devo ancora preparare il secondo!

Involtini di arista
6 fette di arista di maiale
3 fette di pancarré
3 cucchiai di noci
uno spicchio d'aglio tritato
una manciata di foglie di prezzemolo
12 prugne secche denocciolate
6 fette di coppa di Parma o di prosciutto di Praga (o magari di lardo... ma io non l'ho detto, eh?)
Ammollare le fette di pane a cui sarà stata tolta la crosta, strizzarle e metterle in una ciotola con l'aglio e il prezzemolo tritati. Unire le noci tritate e salare appena.
Battere un poco le fette di arista, adagiarvi le fette di coppa (o di prosciutto [o di lardo...] )
Aprire le prugne, dividendole a metà, e metterle in cima al ciborio.


Avvolgere le fette di carne e fermarle con degli stuzzicadenti.
In una padella far scaldare un paio di cucchiai d'olio e cuocere gli involtini, dapprima a fuoco sostenuto, poi a fuoco basso: si formerà così prima una crosticina (benedetto Maillard!) e quindi avranno tutto il tempo per cuocere per bene (che con la carne di maiale non si deve rischiare il crudité).


Contorno di rape rosse all'arancia
1 rapa rossa precotta
1 arancia di media grandezza
1/2 cucchiaino di zenzero fresco grattugiato (o una punta di quello essiccato, in polvere)
Grattugiare grossolanamente la rapa rossa, pelare al vivo l'arancia, (lavorando in una ciotola per cercare di non sprecare il succo, ci serve)
In una padella scaldare un cucchiaio d'olio di semi, aggiungere lo zenzero, e dopo un minuto la rapa e l'arancia, far insaporire, salando appena.
Pepare a piacere.

- Senti...
- Che c'è Leppa, che te s'è sciorto, er bellicolo? (1)
- No, è che... posso stare qui con voi?
- Ma non stai di là insieme a Raj? Cos'è, avete litigato, forse?
- No... Cioè... Oh, insomma! Io non lo sopporto quel gattomorto!
- Che t'ha fatto, si può sapere?
- Che m'ha fatto? È un folle, un pazzo! È un demente, quello, mica un demone!
- Calmati, cos'è che è successo?
- Ma tu non capisci! Non sa cosa sia la porchetta! Non conosce la coratella coi carciofi! Ma nemmeno quella senza carciofi, del resto! E quando ho pronunciato la parola magica...
- Cioè, "Abracadabra"? Quella?
- No, macché! "LardodiColonnata!" Sai che ha fatto? Ha tirato fuori dalla tasca una vaschetta di germogli di soia e me li ha sgranocchiati davanti al muso! È pazzo, ti dico! Pazzo furioso!
- Leppa, calmati! Il pazzo furioso mi sembri tu, adesso. Vuoi dire che ti sta facendo qualche dispetto? Voi demoni a volte siete come bambini di otto anni...
- Ma quale dispetto! Lui è proprio così! Capisci? Un gattodemone salutista! Oddio, che orrore, non riesco neppure a pensarci tanto mi fa male l'idea!
- Dài, fai il bravo, e sopportalo. È anche ospite tuo, no?
- Col cavolo! Quello mi parla di carote lesse, di quella strana roba che contiene la clorofilla... com'è che si chiama? Lo scordo sempre...
- Verdura, si chiama verdura, Leppagorre. E smettila di fare il tragico. Una volta che viene in casa qualcuno, sii un po' più disponibile, no? Fallo per me, ti prego.
- ...E va bene! Solo per te, lo faccio. E sopporterò che mi sposti le cose dal frigo. Già mi ha messo i formaggi in una scatola, toccandoli come fossero radioattivi...
- E dài!
- ... e poi s'è magnato quattro arance come fossero bruscolini. E io che ci volevo fare il bavarese con tanto zucchero e tanta panna!...
- E basta!
- ... e poi non fa altro che mangiare semini, foglie e quelle cose che...
- Le verdure, sì, Leppa, proprio quelle. Raj mangia le verdure. Lui. Ora fa' il bravo e torna di là. Noi stiamo chiacchierando di cose serie. Poi se fai il bravo, domani doppia dose.
- Doppia fetta di torta alle pere?
- Sì...
- Raj, amico mio caro! Fammi vedere un po' quei germogli così belli che paiono gioielli?

Detto romano del giorno
Mejo fave che dureno, che confetti che se squàjeno.

Meglio le fave, che durano, che i confetti che si squagliano.


Oggi ascoltiamo
Röyksopp - Senior Living

http://www.youtube.com/watch?v=fG1MNhJqWYA&list=PLFE3ABB25A457C47F

NOTE
1) che te s'è sciorto, er bellicolo? - Che t'è successo di così grave? Ti si è forse sciolto il nodo dell'ombelico?

domenica 24 novembre 2013

Cecio, pane di farina di ceci

Pane, pane delle mie brame, qual è il più bono del reame?
                                                La Regina, in crisi glicemica

Salvo problemi di salute che ne sconsiglino l'uso, da millenni il pane è sempre stato presente sulle nostre tavole, spesso come gradito ospite non accompagnato altro che da se stesso.
Di pane si vive, si sa.
Anche poco, ma quel poco dev'esserci.
E quando il grano era troppo caro per fornire l'ingrediente necessario ci si è accontentati di tagliare la farina con altri macinati.
Di castagne, come abbiamo visto.
Ma anche di ceci, perché no?
Ovviamente, la farina di ceci, come tutte le farine prive di glutine non può essere usata da sola per panificare, ma dev'essere sempre accompagnata da una certa quantità di farina di frumento che aiuti l'impasto a mantenere la sua struttura durante la levitazione e la cottura.
Proviamo con della farina manitoba, che è ricca di glutine e anche di buona qualità.

Cecio, ovvero pane di cece
300 g farina Manitoba
200 g farina di ceci
300 ml acqua
25 g   lievito di birra (un dado)
2 cucchiai d'olio
2 prese di sale
un rametto di rosmarino (facoltativo)
Sciogliere il lievito in poca acqua tiepida, aggiungere farina q.b. per formare un panetto morbido, che faremo lievitare fino al raddoppio. Come al solito, coperto e al riparo dalle correnti d'aria.
Una volta che sarà lievitato lo si aggiunge alle due farine, vi si unisce l'olio e si comincia ad impastare.
Appena si sarà amalgamato aggiungere il sale, sciolto in poca acqua.
Qunidi si lavora come ogni altro impasto, con tanta pazienza e tanta lena.
Una volta ottenuto un "impasto elastico e omogeneo" (e anche oggi abbiamo pagato il tributo agli stereotipi linguistici) lo si mette a lievitare con un taglio a croce.
Anche qui, in una ciotola coperto e al riparo dagli spifferi, e fino al raddoppio.
Si prende poi l'impasto, lo si lavora un poco e lo si forma.
Qui, se si vuole, si possono aggiungere delle foglie di rosmarino sminuzzate, che coi ceci stanno n'amore.
Formare un'unica pagnotta o più pagnottine, tagliano a croce la superficie e lasciandole lievitare anche qui fino al readdoppio, e questa volta in teglia.
Cottura? A 200° i primi dieci minuti e poi a 180° per il tempo rimanente, che dipende dalla pezzatura.
Quindi una mezz'ora per una pagnotta unica e una ventina di minuti per le pagnottine.
Ma verificare sempre con le proprie mani.
Come? Bussando sul fondo.
- Toc, toc!
- Chi è?
- Cecio, sò io.
- Io chi?
- Mhhh... Muccardo, e chi sennó?
- Non conosco nessuno con questo nome, e poi non compriamo niente. Siamo già pane e non ci serve altro, arrivederci!
Sdonk!
Da cui il detto: "Non cacciare il ciccio nel cecio che cuoce".


Detto romano del giorno
Chi ccerca trova, e chi sseguita pija.


Oggi ascoltiamo
Bel Canto - Shoulder to the wheel

http://www.youtube.com/watch?v=RcZDL6dQA0M

sabato 23 novembre 2013

Succar Ya Banat

Oggi ascoltiamo soltanto.

Khaled Mouzanar- Succar Ya Banat 


Dalla colonna sonora del film "Caramel" del 2007

venerdì 22 novembre 2013

Focaccia faticosa

La vita, si sa, non è sempre mica una passeggiata.
Spesso, anzi, la strada è un pendio ripido, e a tratti anche pericoloso.
Ci sono insidie ad ogni passo, e molti punti su cui facevamo affidamento per poggiare il peso e avanzare, si rivelano in realtà inconsistenti e franosi.
Figuriamoci se poi si voglia affrontare un percorso inusuale e prendere il sentiero meno battuto.
Come disse Robert Frost:

The road not taken

Two roads diverged in a yellow wood,
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;

Then took the other, as just as fair
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear;
Though as for that the passing there
Had worn them really about the same,

And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black.
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.

I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I —
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.
La strada non presa

Due strade divergevano in un bosco,
mi spiacque non poterle fare entrambe
restando uno, e sono stato a lungo
scrutando quella persa nella selva,
nascosta tra gli arbusti, tra le svolte.

Poi invece presi l’altra, che sembrava
aver tra le due forse miglior vanto,
perché nell’erba nascondeva i segni
dei passi della gente nonostante
fossero entrambe state ben percorse.

Nessuna quel mattino mi mostrava
l’ombra d’un passo nero sulle foglie.
E tenni l’altra per un altro giorno!
Sapendo ben che strada porta a strada,
io dubitavo di poter tornare.

Per questo mi dirò con un sospiro
da qualche parte e molto oltre nel tempo:
due strade divergevano in un bosco
e presi tra le due la non battuta,
e questo fece poi la differenza.
 Traduzione mia

Tutto questo per dire che molte cose della vita hanno già di loro una certa gravità che potremmo e dovremmo cercare di evitare, altre invece rivelano la bellezza di esserci proprio attraverso la fatica, la necessaria sofferenza e un lavoro indefesso e costante.
Anche l'amore è così, mica è un mora di rovo che cresce così, da sola, sui rami esposti al sole.
Macché. È fatica, anche gioiosa e impegnativa, una fatica, fatta di cure continue, di piccole preziose attenzioni e gesti microscopici ma vitali, e senza scivolare mai nell'abitudine, che è la diossina dell'amore.
Sì, è come prendersi cura di un bonsai, ma almeno l'amore è più spontaneo.

Ma torniamo agli impasti, che tanta energia richiedono per loro stessa natura.
Certo, potendo usare una macchina, come fanno ormai tutti i panifici, anche impastare diventa una facile routine, visto che poi gli impasti beneficiano del trattamento costante di un ausilio meccanico.
Incordare la pasta per le brioches, per esempio, è una fatica improba, che ogni macchina fa senza troppe ambasce.
Ma riuscire a farlo con le proprie mani, almeno una volta, fa capire l'entità del lavoro che sottostà a quell'operazione all'apparenza così semplice e ripetitiva, nonché faticosa.
Impastare è un lavoro che le macchine fanno bene, e a volte meglio di noi, ma ogni buon panettiere dirà sempre che a un certo punto la massa va comunque maneggiata, deve sentire la mano di chi la forma, e questo contatto tra un essere umano e una cosa viva (perché un impasto con dei lieviti è un qualcosa di vivo) è un elemento decisivo per la buona riuscita di ciò che si sta producendo.
E la soddisfazione di averlo fatto, anche in parte, con le proprie mani è qualcosa di intimo e profondo, legato a doppio filo con la nostra natura umana.
E oserei dire anche non umana, vista la soddisfazione che sembrano avere gli animali quando riescono a fare qualcosa di nuovo e di utile per la loro sopravvivenza. Lo scimpanzè che mangia le dolci termiti catturate con uno stecco di legno infilato nella tana ha sul muso un'espressione di soddisfazione come quando noi riusciamo a fare da soli i nostri croissant.

Insomma, impastare è fatica, ma una fatica che rende più d'una qualsiasi ginnastica, è un esercizio in cui non solo ci si trova con se stessi ma ci si rispecchia nella catena secolare, millenaria dei gesti e nell'archetipo del Demiurgo.
Che non sia però "funesto" come quello descritto da Emil Cioran, spero.

Un esempio di impasto "faticoso" è quello lavorato in ciotola.
Na bella palla, direbbe qualcuno delle mie parti, ma che dà un'enorme soddisfazione.
In ciotola si lavorano solitamente quegli impasti contenenti molta acqua rispetto alla farina, che sono cioè ad alta idratazione.
Un esempio potrebbe essere questo:
400 g  farina
300 ml acqua
10 g     lievito di birra
un cucchiaio d'olio, due prese di sale, una punta di zucchero.


In una ciotola si mette la farina e al centro gli altri ingredienti secchi, compreso l'olio, tranne il sale.
Si scioglie quindi il lievito sbriciolato, aggiungendo a mano a mano l'acqua.
Quando il composto diventa omogeneo si unisce il sale, sciolto in poca acqua, e si comincia a lavorare, con la mano a cucchiaio, o a paletta che dir si voglia.
E tricchete e tracchete, ciuffete e ciaffete, impastare fino a ottenere una massa omogenea, morbida ma non più appiccicosa.
Niente deve mai essere troppo appiccicoso, vero?
Lo sappiamo bene...


Questo video, artigianalissimo e senza pretese, cerca di mostrarlo:


Si lascia quindi lievitare al riparo e in santa tranquillità (inteso senza correnti d'aria fredda) fino al raddoppio, quindi dalle due alle quattro ore, a seconda della temperatura ambiente.
Si stende quindi sui una teglia allargandolo con le mani un poco infarinate, picchiettando con le dita e stirandolo verso i bordi..
Si spolvera poi con del sale grosso, un filo d'olio evo e, se si vuole, con aghi di rosmarino.
Cuocere in forno caldo per una ventina di minuti, mezz'ora.
La focaccia che si ottiene è croccantina all'esterno e mollicosa all'interno.
Una delizia.

Da condire in tutte le maniere, per esempio con cipolle a fettine sottili, pomodorini a metà e salsiccia a pezzetti...

O zucchine alla julienne, mozzarella, alici e tanto, tanto pepe.
Ecco, tutto questo per dire che la fatica e il lavoro, anche duro, danno sempre buoni frutti.
Se si sa come e dove mettere le mani.
La bocca poi, si sa, sa sempre dove andare.

Aforisma del giorno
Nessuna fatica è inutile se lo scopo è importante

Margherita Hack


Oggi ascoltiamo
The Bee Gees- To Love Somebody

http://www.youtube.com/watch?v=ykU8iSKkJR0
Era un’oasi, ipotesi e giaciglio,
ma anche picco, oceano e sentiero;
era scoperta condivisa e al buio
il diluirsi nella tenerezza.
Era passaggio in altre dimensioni
ove scorgevo, persi, i miei tesori,
epifania di sé a se stesso e all’altro
e l’eco che fa due e mille, le voci.
Ecco cos’era e c’è: una stanza vuota,
buia dei nostri sguardi nell’amore.
Nulla che valga v’è rimasto dentro:
che ne farò, allora, dei miei versi,
di quello che di te, pazientemente,
un giorno dopo l’altro conservavo?
Nulla che valga ancora, adesso o poi,
nulla che ci salvava s’è salvato.
Perché ogni volta che un amore muore
sperimentiamo l’ultimo travaglio.


Bobo Rondelli - Per amarti 
http://www.youtube.com/watch?v=HbETRDmYd4s

mercoledì 20 novembre 2013

Torta di compleanno castagne e taaanta panna

Una torta... con le castagne. Ecco, sì, con le castagne, che a lei piacciono molto.
E tanta, tanta panna. Una nuvola di panna.
Non una Pavlova, però, così stucchevole con quella meringa... Magari un bel pandispagna e via.
Preso nota delle indicazioni e dei suggerimenti mi metto all'opera.


Pandispagna, sì, ma al cacao, che con le castagne ci sta un amore.
Per uno stampo da 25 cm di diametro, alto 5 cm:
6       uova
180 g zucchero
150 g farina
30 g   cacao
Il procedimento è sempre quello, immutabile. E vai col tango!
Una volta fatto freddare lo si sforma si taglia in tre strati.
E che ci mettiamo dentro? Ma una bella farcia di castagne, no?

Farcia di castagne
600 g castagne
3 cucchiai di zucchero
2 cucchiai di panna da cucina
1/2 bicchiere di latte
una bustina di vaniglina
250 ml panna da montare
200 g marron glacé (van bene quelli in pezzi, a buon prezzo)
2 cucchiai di gocce di cioccolato
Lessare le castagne, anche nella pentola a pressione.
Oppure usare il procedimento abbreviato: lavarle, inciderle, adagiarle su un piatto piano, coprirle con la pellicola per microonde e cuocerle per una decina di minuti, divisa in due tranche. Così sarà molto più agevole anche sbucciarle, garantito.
Spezzettare le castagne e metterle in una pentola con lo zucchero, la vaniglina, la panna da cucina e il latte.
Far bollire il tutto lasciandolo addensare, rigirando spesso.
Poi, col minipimer, o con il tritatutto, o col setaccio (e uffa, ognuno avrà pure i suoi metodi, no?) ridurre in purea il composto di castagne. Verrà una crema vellutata e molto sostenuta, che va lasciata freddare bene.
Nel frattempo montare la panna e spezzettare i marron glacé.
Quando il composto di castagne sarà freddo unirlo alla panna, un poco alla volta e mescolando come sappiamo, dal basso verso l'alto, per non smontare la fragile impalcatura.
Unire i marron glacé e preparare la bagna.
Far bollire mezzo bicchier d'acqua abbondante con tre cucchiai di zucchero e del rhum (a piacere, da tre cucchiai a un bicchierino, a seconda di quanto lo si voglia presente nella bagna).
Con un pennello o un cucchiaio bagnare il primo strato di pandispagna, cospargerlo con metà della farcia alle castagne, un cucchiaio di gocce di cioccolato (non metterne troppe, altrimenti vanno a coprire il gusto già tenue delle castagne) e ripetere l'operazione con il secondo disco.
Bagnare un poco anche l'ultimo strato, la calotta, per rendere omogenea la cedevolezza.

Fatto ciò si passa alla ricopertura di panna.
Non è poi così immediata, specialmente se si è maldestri e pecioni come me, ma un buon metodo è il seguente:
Su un grande piatto piano si mette la torta e la si circonda con un anello di metallo da pasticceria

o anche un anello di cartone foderato di carta forno, badando di lasciare uno spazio di circa mezzo centimetro lungo tutta la circonferenza della torta.
Montare 500 ml di panna e, con l'aiuto di una sac-à-poche, riempire lo spazio delimitato dal nostro anello lungo il bordo della torta.
Fatto questo ricoprire la superficie livellandola con una spatola.
Due cose:
- La panna non va montata troppo soda o si farà fatica a distribuirla sulla superficie della torta, formando dei grumi ribelli, maledetti loro... Appena inizia a diventare consistente fermare il frullino:
- Per lisciare la superficie della torta utilizzare una spatola, avendo l'accortezza di bagnare la lama in una ciotola d'acqua bollente, che sciogliendo la parte superficiale della panna le spianerà ogni ruga.
Ora lasciar riposare dalle sei alle otto ore in frigo la torta per dar modo alla panna di solidificarsi e alla torta di assestarsi.
Una notte intera va benissimo.
Passato il periodo di riposo si procede con la decorazione vera e propria.
Attenzione! Prima di togliere l'anello o il supporto di carta attorno alla torta passare con cura lungo tutto il bordo la lama d'un coltello, o si avranno effetti molto, molto spiacevoli.
Eventi catastrofici pari alla caduta di un meteorite di mezzo chilometro alzeranno polveri dense che oscureranno il sole e onde marine alte venti metri si porteranno via la torta a metà, il festeggiato e anche gli invitati...
Più semplicemente il bordo si romperà, vanificando tutta la cura messa finora.

Per una torta da 25 cm e due strati di farcia occorrono altri 500 ml di panna montata.
Con la sac-à-poche decorare il bordo della torta col motivo che si preferisce: con una punta liscia dei cannelli ad onda, con una punta piatta un motivo a canestro, e con una punta a stella delle semplici strisce rigate.
I tutorial non mancano, e occorre fare un po' di pratica per acquisire la giusta manualità prima di cimentarsi sul prodotto finale vero e proprio.
Io ho dovuto volare basso, devo dire la verità, e non per mancanza d'impegno.
La sapienza popolare dice che quando una donna ha le "sue cose" oltre a far seccare le foglie delle piante pare che non riesca a far lievitare il pane e cucinare alla perfezione i dolci da forno.
Qualche effetto mestruale devo averlo avuto anch'io perché la panna non ne voleva proprio sapere.
Eppure mancano ancora tredici giorni... Boh...
Dopo l'ennesimo tentativo e una sequela di bestemmioni in lituano stretto riesco a decorare il bordo della torta, anche solo con delle strisce rigate e sulla superficie, lungo tutto il bordo, con dei ciuffetti di panna.


Sulla superficie otto marron glacé (stavolta di quelli boni, belli integri) circondati di panna, una scritta di cioccolato fondente e un paio di calle piccine e discrete, tanto per gradire.


Se si vuole evitare di scrivere direttamente sul cioccolato, e la conseguente sequela di bestemmioni, stavolta in paleoslavo, preparate la scritta su un foglio di carta, poggiarci sopra, fissata col nastro adesivo, una striscia di carta forno.
Quindi con del cioccolato sciolto (al microonde o a bagnomaria) e messo in un conetto di carta forno, scrivere la frase augurale, e lasciarla poi rassodare in frigo.
Non sappiamo fare il conetto di carta forno? Ce lo spiega questo simpatico pasticcere qui.
Una volta freddata sarà facile posizionare la scritta sulla torta, facendo attenzione a non tenerla troppo in mano per non scioglierla...
La torta è pronta, la soddisfazione è tanta e il dazio di improperi è stato ampiamente ripagato.
Una volta tanto...

Aforisma del giorno
Ciò che importa non è il modo in cui vanno le cose, ma il modo in cui noi cerchiamo di farle andare.

M. L. Kaynar


Oggi ascoltiamo
Gloria Gaynor - Reach Out - I'll Be There

http://www.youtube.com/watch?v=JRUHpFqF02g
norm

lunedì 18 novembre 2013

L'Intrepido rugbista per Remo

Oddio e che d'è, un lanzichenecco? un vandalo? un ostrogoto?


Macché! È un rugbista, anzi: l'Iintrepido rugbista! Quello che si butta nella mischia, che si fa male ma non lo sente, che si riempie di fango ma non se ne cura.
Un bulldozer, insomma.
Solo che per ora ha solo sei anni...
Si farà, quindi.

Nel frattempo gioisco del fatto che finalmente il rugby abbia preso piede anche in Italia, che di regole e di fair-play ha così tanto bisogno, come pure di sporcarsi le mani senza curarsene troppo e gettarsi nella mischia senza il timore di farsi male.
E tutto per un obbiettivo comune.
Hai detto niente?

Così festeggiamo i rugbisti in erba, quelli che saranno il nostro domani, quelli che accoglieranno le regole o se ne daranno altre, chissà, ma che magari avranno assimilato lo spirito davvero nobile di questo sport.
E per festeggiare una promessa così ci vuole una torta a tema, no?
Un enorme pallone da rugby.


Sì, d'accordo, non è esattamente di forma ovale, non è un "vero" pallone da rugby, ma guardiamo la praticità: c'è più torta (e più crema), no?
Allora? Altre obiezioni? Ma dài...

Per una torta così occorrono due pandispagna al cacao e, dividendoli soltanto a metà, tre farciture.
Mh, ma quali?
Remo era stato categorico: cioccolato.
Quindi:

Per due pandispagna al cacao da 20 cm di diametro
6        uova
180 g  zucchero
150 g  farina
30 g    cacao
Stessa procedura del pandispagna, che sappiamo a memoria. No? Eccola qui.
Con l'unica avvertenza di dividere l'impasto in due teglie da 20 cm.
Qui giochiamo in altezza, a lellé.
Una volta ben freddati si tagliano in due i pandispagna e si preparano le tre farce.
Le prime due consistono in una pasticcera:

Pasticcera soda al cioccolato
Dose da 500 ml/3 uova di pasticcera, quindi:
500 ml    latte
50 g       farina
100 g     zucchero
1            uovo intero
2            tuorli
100 g     cioccolato fondente
Stessa procedura della pasticcera, con l'aggiunta el cioccolato a pezzetti alla fine, fatto amalgamare per benino e poi lasciata freddare.

La terza (o la seconda ma, s'il vous plaît, non fate i puntigliosi. Questa è una torta per uomini rudi!) è la mascarpanna, di nostra conoscenza nella Torta Calla.

Mascarpanna
250 ml  panna
250 g    mascarpone
2 cucchiai di zucchero al velo.
Montare la panna insieme al mascarpone.
Come nel rugby è l'unione fa la forza, no?
A metà dell'opera aggiungere lo zucchero al velo, setacciato, et voilà!

Per la bagna, visto che sì, siamo uomini rudi ma pur sempre di sei anni, è meglio evitare l'alcool, anche bollito, e bagnare solo con del latte. A lui diremo che c'è tanto whisky scozzese, e sarà contento così.
Non oso immaginare come sarebbe vederlo ubriaco se già da sobrio cammina sui muri...

Per non saper né leggere e né scrivere ho preparato anche una ganache al cioccolato da aggiungere alle farce (visto che erano tre? Troppo whisly, ragazzi...).
Una dose da 250 ml panna e 200 g di cioccolato fondente va più che bene.
Ne avanza anche un po' per far merenda, visto che siamo così deperiti...
Metterla in una sac- à-poche con beccuccio medio.

Per la copertura cioccolato plastico, in dose da 200 g di cioccolato. 
Finiture e scritte in marshmellow fondant bianco.


Riassumendo:
- taglio dei due pandispagna;
- bagna con latte Poppea style del primo strato;
- cordolo di ganache lungo il bordo della fetta. E dàje co 'a saccapposce!
- crema pasticcera come se piovesse;
- posa e bagna del secondo strato;
- altro cordolo di ganache;
- poco più della metà della mascarpanna, senza se e senza ma, con aggiunta di ganache a strisce diagonali. E aridàje co 'a saccapposce!
-  posa e bagna del secondo strato;
- ari-cordolo di ganache lungo il bordo della fetta. Allora è un vizio...
- altra crema pasticcera;
- bagna e posa dell'ultimo strato.
- tagliare poi leggermente i bordi per rendere ovaleggiante la torta, ma senza esagerare, dato che non è una 4/4 all'americana dalla consistenza della spugna di supporto per i fiori...
- spalmare (quanto mi piace questo verbo, ha il suono quasi sensuale...) la rimanente mascarpanna sulla torta, così da far aderire bene il cioccolato plastico, che andrà steso non troppo sottile. Tre millimetri circa va bene, di meno si rompe, di più è troppo. Il giusto mezzo, come dicono i taoisti;
- decorare con la pasta di zucchero e...


mèta!

Detto romano del giorno
Quanno er piccolo parla er granne ha ggià pparlato.


Oggi ascoltiamo
Randy Crawford - Imagine (live)

http://www.youtube.com/watch?v=Z5RGYqDhF1A

Mini Calla per Rossella

 

Una tortina piccina piccina, quel tanto per dare un pensiero a un'amica.
Quindi una Torta Calla bis vulgaris al mou, ovvero pandispagna al cacao e doppia farcia mascarpanna (mascarpone e panna) variegato al mou e gocce di cioccolato.

Dosi

Pandispagna da 15 cm
2      uova
40 g farina
20 g cacao
Stessa procedura del pandispagna simplex. Niente da aggiungere.
Una volta freddo tagliarlo in tre, perché qui ci vuole proprio la...

Doppia farcia
250 g mascarpone
250 g panna
2 cucchiai di zucchero al velo
4 cucchiai di salsa mou
4 cucchiai di gocce di cioccolato
In una ciotola ben fredda - lasciate la boule di metallo in frigo per almeno mezz'ora - montare la panna e il mascarpone insieme, aggiungendo a metà percorso lo zucchero al velo.
Tenere un terzo della mascarpanna da parte e nella rimanente aggiungere la salsa mou senza mescolarla troppo, solo per variegarla.
Bagnare il pandispangna anche solo con del latte, se non si tollerano i liquori e spalmare la farcia sui due strati, spolverandoli con le gocce di cioccolato.
Con la mascarpanna rimanente ricoprire la torta, che andrà ricoperta di pasta di zucchero.
Quanta? Circa 400 g, ma non saprei quantificarla con esattezza.
Prepararne comunque una dose e se avanza, be', poco male. Si conserva molto molto a lungo.
Con altra pasta di zucchero fare delle decorazioni a piacere.
Sì, lo so, le rose vanno sempre dispare, come i ceffoni, ma la tortina era così piccina piccina...

Auguri Rossella!

Detto romano del giorno
Pe' la canna ognuno s'affanna

Per la gola (cioè per il cibo)...


Oggi ascoltiamo
Ornella Vanoni - Domani é un altro giorno

http://www.youtube.com/watch?v=jJd3f9eCoDQ
La malinconia d'ogni compleanno, sì, ma anche il senso di speranza e di consapevole lucidità.
Quella che serve davvero, a parte i fiori e gli auguri...

sabato 16 novembre 2013

Salagna - Parmigiana di lasagna al pane carasau

Chi mi conosce sa che, nonostante questa bell'aria da fregnone (1), sono uno che va controcorrente, controvento e contromano.
Tranne quando sto per strada, che già presentarmi in questa maniera...


mi rende passibile di ammende pecuniarie assai cospicue alle quali, ahimé, non saprei far fronte.
Ma quando il tuo demone ha fame c'è poco da fare.
Lo si accontenta anche solo con uno spuntino veloce, o con qualcosa da metter su con le poche (!) cose che si hanno in casa.
Quando convivevo facevo la spesa come se in casa fossimo in tre, poi quando sono rimasto zitello ho iniziato a far spesa come se vivessi con qualcuno.
C'è quindi sempre spazio per una porzione spuria, qualora si presentasse, che so io, una visita improvvisa.
Ma c'è anche chi dice, invece, che le mie porzioni siano, pare, disumane.
- Che malignità...
- Vero? Eppure, te lo ricordi, eri con me...
- E quando mai posso mancare?
-... ecco, appunto. Dicevo, eravamo seduti in quella tavolata dove abbiamo sentito con le nostre quattro orecchie la confessione un po' spavalda un po' colpevole di quella persona che ha dichiarato di mangiare ogni giorno una porzione di 400 g di pasta...
- Come posso dimenticarlo? Ah, ho ancora le zampe che mi tremano dall'emozione! Che uomo! Che tempra! E che spirito!
- E che gargarozzo! (2)
- Sì, sì, e che stomaco, anche! Là da lui sarei come te in un appartamento da quattro camere e servizi.
- Un po' troppo, che dici?
- Macché!, Pensa che bello, tanto spazio per salsicce, panetti di burro salato, fette di pane alte due dita...
- Delle mie? All'anima, bello mio!...
- Sì, sì, e poi quelle vagonate, quelle cofane, quelle vasche olimpioniche di pasta!... Col ragù, con panna funghi e piselli, con aglio - tanto aglio - e peperoncino - tanto anche lui - e poi pomodoro come se piovesse, come sangue in un film splatter! E poi calde e soffici nevicate di parmigiano e pecorino come una tormenta di neve! E pepe, tanto pepe, uno sciame di pizzicosi granellini di pepe! Pepe a etti, ma che dico, a etti: a chili!
- E invece?
- E invece... ah.... son qui ancorato in un bicamere, e pure strette, un loft loffio, una casa popolare dell'Ente senza nemmeno un balconcino per mettere al sole una foglietta striminzita di basilico, macché!...
- Ti riferisci alla mia panza, Leppagò?
- Panza? Galera, vorrai dire, spero. Sei solo chiacchiere e distintivo, sei. Ti ho visto, sai, cenare con la scatoletta di tonno, senza nemmeno sederti al tavolo e senza nemmeno la forchetta, così, con le dita, come gli ottentotti!
- Leppa! E che diamine! Ma per chi mi hai preso!...
- Me meschino, tapino e sciagurato! Disgraziato il giorno che son piombato nel tuo miserrimo piloro! Lo ricordi, vero? Avevi una delle tue crisi bulimiche e ti stavi scofonando una sleppa così di pizza con lonza e stracchino. Ah, che visione sublime... Mi sono invaghito subito di quella foga mascellare, di quella bavetta a spruzzo senza ritegno alcuno, di quel...
- E basta! Che vai dicendo! E poi, se proprio non sei contento così, spiegami perché mai non te ne vai a fare lo squatter in panze altrui, magari proprio del pastofagopluripanzato che abbiamo conosciuto! Vai, vai, che è sicuramente molto meglio di me e ti tratterà certo meglio di quanto faccia io...
- Non posso... e nemmeno voglio.
- Ah, no?... E perché?
- Perché a quel tipo di sicuro verrà un "infarto di panza"(3) di quelli epocali, e io ho bisogno di un alloggio sicuro, di una casa costruita sulla rocca e non sulla sabbia...
- Anche le citazioni bibliche, adesso. Dài che è tardi, e avevi così fame da farmi scatapicollare (4) in bici per tornare subito a casa e ora...
- Ora?... che ci mangiamo?
- Se tiro fuori quella melanzana... che ne dici se...

Salagna, parmigiana di lasagna al pane carasau
Una melanzana media
200 g ca pomodorini
2 fogli ca di pane carasau
pecorino sardo,
un uovo, olio e farina q.b. per friggere la melanzana.
Tagliare a fette la melanzana, salarla e lasciarla spurgare dal liquido amarognolo. Quindi lavarla e asciugarla con un canovaccio.
Poi la frittura: via nella farina, poi nell'uovo sbattuto, poscia nell'olio bollente.
Lo so... ma il fritto di melanzana è buono così.
C'è chi infarina soltanto e poi frigge, ma secondo me assorbe troppo olio, ma magari sbaglio.
Nel frattempo bagneremo i fogli di carasau, ne faremo sgocciolare l'acqua in eccesso e con una parte ne fodereremo uno stampo da lasagna.
Qui ne ho voluti fare due di media grandezza.
Se gli amici non possono venire a cena da te che almeno mangino quel che hai fatto quando vogliono, no?


Quindi, riepilogando: carasau sul fondo, fette di melanzana fritte dorate, pecorino, altro carasau, pomodorini a fettine e alro pecorino. Se si vuole fare una bella torre di Babele si ripeta l'iter di cui sopra, a esaurimento ingredienti.


Per ultimo, a chiusura, il carasau.
Ecco il perché di tutti quei "ca": non si può mai quantificare esattamente come in pasticceria la realizzazione di una lasagna, anche se fatta di pane.
E certo non solo perché si preparano dosi doppie o triple.
- Ah, no?
- No.
- Strano...
Ungere la superficie del carasau con olio evo, salare e via in forno.


C'è da dirlo? Mangiare caldo caldo.

NOTE
1) candido, ingenuo.
2) gola.
3) come al personaggio di Capannelle ne "L'audace colpo dei soliti ignoti", interpretato da Carlo Pisacane, noto caratterista dell'epoca. Il tenero Capannelle, secco secco ma sempre, perennemente, affamato. Capannelle che quando ha in mano la valigia con la refurtiva, ne approfitta subito per rimpinzarsi come un otre di tutto quel che è commestibile, seduto per benino al ristorante. E quindi finire inevitabilmente in ospedale per "infarto alla panza":


4) correre a rotta di collo.

venerdì 15 novembre 2013

Gnegno, pane di castagne di nonno

Il nostro è un paese che è stato considerato per secoli il Terzo Mondo d'Europa, un coacervo di tribù diverse perennemente smembrato tra le superpotenze di turno e arretrato in tutti i settori, da quello economico a quello culturale (che si è sempre gloriato dei lontani fasti del passato).
L'unità politica ci diede l'occasione di crederci come "gli altri", i "signori del salotto buono", nonostante il dissanguamento degli esodi verso paesi d'oltremare in cerca di migliori condizioni di vita.
Poi il boom economico, quello "sviluppo senza progresso" di pasoliniana memoria, e la scoperta di una vita al di sopra delle possibilità che s'erano avute finora.
E con la scoperta della modernità, i piccoli futili piaceri dello sviluppo è sopraggiunto l'oblio per quel che eravamo stati fino a pochi anni prima.
Da straccioni a parvenu, senza quasi niente in mezzo. 
L'oblio delle nostre valigie di cartone e delle pezze al culo, del pane nero e della carne consumata solo nei giorni di festa comandata, della cultura tramandata per iscritto da pochissimi e per la maggioranza fatta di pura oralità.
E, cosa peggiore di tutte, la vergogna del nostro passato di stenti, della vanga e la zappa che sono lì, appena dietro l'angolo.
La diffusione di elementi fino ad allora elitari ha fatto perdere di vista, fino al ripudio, quelle che erano le nostre abitudini più radicate, che non sempre sono da rigettare come retrograde.
Quello che oggi troviamo senza troppi problemi sul banco di un qualsiasi supermercato, per esempio,  era fino a pochi decenni fa appannaggio di una casta di pochi privilegiati.
Una per tutti la farina bianca, quella di grano.
Nel paese della pasta, di "Nonno pane" (e "Nonna minestra", come scrisse Aldo Fabrizi), la farina di grano era merce pregiata da usare con parsimonia.
E poi erano anche tempi in cui non v'era una così grassa abbondanza di companatico.
Così, per risparmiare sulla farina di grano i nostri avi usavano smezzarla con quella, allora meno cara, di castagne.
La castagna era appunto detta "il pane dei poveri", economica e nutriente (come anche i fagioli), e vista la disonvoltura con cui si presta in preparazioni sia dolci che salate, è stato per secoli l'alimento che spesso ha salvato interi paesi dalla fame.
Oggi la farina di castagne non si usa più, se non tra i devoti del castagnaccio, e ovviamente costa tre volte di più di quella di grano. Ironia della sorte, quello che era un ingrediente povero è divenuto, per le mutate abitudini, un prodotto di nicchia.
Eppure,basta guardarsi dietro e vedere come veniva utilizzato un tempo per avere idea di quanto fosse importante.
Fondamentale, anzi.
Lo si vede dalle diverse proporzioni in cui è presente nella composizione del pane.

Versione Calabra
Rapporto  farina : farina di castagne = 2 : 1   (es. 200 g farina e 100 g farina di castagne)
- Addoloratha, ch' tenimm' p' chjena?
- Pan'e' harin' 'e chastagn', Giuvà.
- Meghj 'e nent'!

Versione Toscana
Rapporto  farina : farina di castagne = 3 (o 4) : 1   (es. 300 g farina e 100 g farina di castagne)
- O Ninni, o icche c'è pe cena?
- V'è pan di 'astagne e cacio.
- Iccheppalle!

Versione moderna, quella ricca, sfacciata e pretenziosa
Rapporto  farina : farina di castagne = 4 (o 5) : 1   (es. 400 g farina e 100 g farina di castagne)
- Oh, Elpidio, oggi pvepaviamo il pane di castagne come lo faceva la nonna?
- Sì, dài, è così cool...
- Anzi, ce lo facciamo fave da Viovica, che non mi va si spovcavmi tutta!

Come cambiano i tempi, eh?
Ah, a proposito, questa è fresca fresca:


Roma, Viale Regina Margherita. Giorno del post, ore 10.08 del mattino

Ora io mi chiedo: ma non c'era neppure un misero garage nelle vicinanze?
No, il coglione ha dovuto pagare tre posti (perchè quelli di fronte al Policlinico sono tutti posti a pagamento).
Eh, signora mia, non ci sono più i ricchi di una volta, quelli che scorrazzavano allegramente tra la masnada dei poveri pezzenti che sbavavano di fronte alle loro manifestazioni di esibita opulenza.
Oggi anche chi ha la limousine ha i problemi di chi ha la Fiat Duna.
Sarà forse la nemesi della povertà che finalmente s'accanisce verso ceti che finora hanno fatto allegramente surf su tutte le ondate di crisi?
O magari, invece, è quella burina di MDN venuta a controllare qualcuna delle sue palestre?
Chissà...
Ma facciamoci anche noi un buon pane di castagne, va.
Come si dice: alla facciazza loro.
Dei ricchi sfacciati (e sfondati), intendo.
Dei Commendatori, Cavalieri, Avv, Prof. e Lupp.Mann.
Dei PierGiorgioMaria, dei Dodi, e delle Lalle (non manca mai una Lalla, nell'ambiente, e di solito è sempre un po' stronza. Per antonomasia è, infatti: "Quella (gran) stronza della Lalla!...")

Pane di castagne di nonno
200 g    farina di castagne
400 g    farina (di cui 150 g Manitoba e 250 g farina 00)
300 ml  acqua ca.
10-12 g lievito di birra (mezzo dado)
due prese di sale  
un cucchiaio d'olio bono
Formare il lievitino sciogliendo il mezzo dado di lievito di birra in poca acqua tiepida e farina q.b. per fare un panetto non troppo sodo. Taglio a croce (o buco al centro) e via a riposare al riparo fino al raddoppio del volume.
Quindi unire alle farine il lievito, l'olio, cominciare ad impastare aggiungendo a poco a poco l'acqua e, dopo aver amalgamato il tutto, unire il sale, sciolto magari in poca acqua tiepida.
Lavorare, lavorare e lavorare.
- Oh Elpidio, che ovvove! Hai sentito?
- Vieni, cara, andiamocene da questo posto!...
Oh, bene, finalmente...
Impastare con calma e veemenza ben calibrate, con forza e costanza.
All'occorrenza unire della farina 00.
Quando l'impasto sarà bello lisco e omogeneo...
(Eh sì, che ci volete fare, ogni attività ha i suoi stereotipi linguistici: nel giornalismo di cronaca c'è il "delitto efferato", nella politica le "larghe intese" e in panificazione gli impasti "lisci e omogenei".)
Insomma, quando dopo quei dieci minuti minimi di smaneggiamento il pupo prende vita, metterlo a lievitare fino al raddoppio.
Stessi accorgimenti: no a correnti d'aria e ben riparato da un canovaccio inumidito (o da una ciotola messa a campana).
- Oh, com'è cresciuto! Che bello! E che bel colorito! Come ti chiami, piccino?
- Gnegno!...
- Ah... sì, certo... Gnegno...
Prendete Gnegno, reimpastatelo quel tanto per farlo sgonfiare dalla boria d'esser lievitato, formare una bella pagnottina e metterla a rilievitare su teglia... fino al raddoppio... Bene.
Riscaldare il formo a 200°, vaporizzare d'acqua con uno spruzzino e lasciare sul fondo un tegamino con dell'acqua che, evaporando, darà al pane la giusta idratazione.
Infornare Gnegno a 200° per i primi dieci minuti, quindi abbassare la temperatura a 180° e proseguire per circa mezz'ora.
Il pane, ormai lo sappiamo, è cotto quando prendendolo e bussando sul fondo si sentirà un suono secco e legnoso.
Se invece è un suono morbido e felpato la massa è ancora umida e la cottura deve proseguire per pochi minuti ancora.


Che si può dire di ciò che è buono sia con il miele (e la ricotta, anche...) sia con un intingolo bello speziato e piccante?
Che merita una deviazione, come dice la famosa guida gastronomica franzosa.


Detto romano del giorno
La povertà nun è vergogna. La vergogna è pe chi ruba e pe chi ruga

Rugà, (dal latino rogare, chiedere) vuol dire diverse cose: è fare l'arrogante e lo sbruffone con prepotenza, oppure protestare con veemenza, minacciando e baccajanno (alzando la voce).
Ma anche brontolare e lamentarsi senza alcun costrutto.
Rugantino, la tipica maschera romana, è il tipico romano iconico: un innocuo fanfarone, tutto fumo e niente arrosto. E infatti il suo candore, il suo essere così fregnone, gli farà, letteralmente, perdere la testa.

Oggi ascoltiamo
Frankie HI-NRG MC - Quelli Che Benpensano
http://www.youtube.com/watch?v=vrpJB7ucC5Y

domenica 10 novembre 2013

Pan Muccardo con lievito di birra

Ognuno credo che abbia, tra le proprie ricette, il pezzo forte, quello che mette alla prova ogni volta l'estro e la maestria, che sfida l'ignoto (e la pazienza) come una traversata oceanica.
Ma c'è anche la ricetta assodata, abituale, la solfa che si ripete ogni giorno od ogni settimana e che sfida l'abitudine (e la pazienza) come il solito tragitto da e verso casa.
Questa è la mia ricetta "di sempre" per il pane fatto in casa.
Sono ormai cinque anni che compro il pane del fornaio solo in casi davvero eccezionali, ed è proprio grazie alla panificazione e all'impegno che questa richiede che la curiosità per la cucina è diventata una passione vera.
Veder lievitare, crescere qualcosa a cui si presta amore e cura è un'emozione che si rinnova ogni volta, 
E poi basta imparare poche semplici regole per far sì che diventi un gesto consueto, di quelli che si ripetono con la stessa, compiaciuta meraviglia.
Fare il pane è una magia che ha dalla sua la certezza dei gesti antichi di millenni e l'imponderabilità degli imprevisti (oggi è umido, l'impasto lieviterà male, quest'acqua oggi sa di cloro...) e, a meno di non usare procedimenti e attrezzature "industriali", è qualcosa che non dà mai per scontato lo stesso identico risultato. Come per un artista eseguire centinaia di volte lo stesso brano: qualcosa, seppur minima lo farà essere ogni volta una cosa nuova e irripetibile.
Fare il pane con le proprie mani è sempre e comunque un'esperienza da provare, anche una sola volta nella vita.

Questa poi è la procedura che utilizza il metodo diretto: gli ingredienti vanno uniti tutti insieme nel primo impasto, senza lievitino, biga o poolish preliminari.
Occorrono:
1Kg  farina (00, e meglio ancora una 0, se non una 1 o 2) 
½ l    acqua ca.
25 g  lievito di birra.
due pizzichi di sale,  un cucchiaino di zucchero, due cucchiai d'olio evo.
E basta? No, anche tanto, tanto olio di gomito.
Tunnel carpali o tendititi permettendo, consiglio di utilizzare le proprie manine sante piuttosto che l'impastatrice o, peggio ancora, la macchina del pane, che è un po' come pretendere di far l'amore solo con un vibromassaggiatore...
Procediamo, va, che è meglio...

I fase - Impasto
Allora: unire alla farina a fontana tutti gli ingredienti e amen.
Be'... un attimo!
Partiamo dal fatto che io trovo sia più facile lavorare inizialmente l'impasto in ciotola per poi trasferirlo sulla spianatoia o sul piano di lavoro.
Quindi in una ciotola capiente verso la farina e vi formo un incavo.
Sciolgo il lievito in un bicchiere d'acqua tiepida (tolta dalla dose prevista nella ricetta) e lo verso nella farina, aggiungo l'olio e lo zucchero, do una mescolatina e alla fine, sciolto in poca acqua, metto il sale (che inibisce le proprietà del lievito, e se si evita di mettere subito a contatto i due ingredienti è meglio).

II fase -  Lavorazione
Come si lavora il pane?
Prendi l'impasto, trattalo male, fallo aspettare per ore.
Proprio così, o quasi.
Ogni impasto va stirato, allungato e sbattuto.
Lo si stira con palmo della mano, premendola fino in fondo, e lo si ripiega quindi su se stesso.
Lo si allunga verso l'esterno per poi riavvolgerlo, ripetendo l'operazione più volte.
Senza ferocia, ma con la stessa calma ferma che si ha quando si controbatte a ragione a qualcuno.
Ogni tanto prendere il malloppone e sbatteterlo con forza sul piano di lavoro: sbadabàm!
È quel fermo NO, con diversi punti esclamativi che qualche volta ci vuole, eccome.
All'impasto serve per aiutare la formazione del glutine, la massa di proteine della farina che grazie all'acqua e all'energia meccanica formano una matassa filamentosa.
Sarà lei, la maglia glutinica, a dare struttura al pane, a sostenere l'impasto incottura e a dargli  resistenza e sofficità.
Senza remore, fategli male.
A lui piace. Eh, sì, proprio così.
Ah, non c'è bisogno di indossare imbracature in leather con annesse borchie o altri indumenti fetish: lui non ci fa caso.
Va al sodo, lui.
Insomma, prendete e sbattetelo forte.
Poi reimpastate come già sapete e quindi ripetere lo sbattimento per almeno tre volte.
Se si vuole, accompagnare pure l'operazione con un bel po' di sana incazzatura, immaginando che là sotto ci sia, che so, la faccia dell'ex che se n'è andato per uno più giovane e/o ricco (e magari pure con un meraviglioso labrador), del vicino di casa sempre rumoroso, del parente venale, o anche solo dell'accidioso amministratore di condominio.

Lavorare per almeno 15' , e se ve regge la pompa (1) anche una mezz'oretta.
L'intento è la formazione, come si dice sempre, di una pasta elastica e morbida.
Vedrete infatti che più l'impasto verrà lavorato e più ne guadagnerà in morbidezza ed elasticità, ma non solo: capirete come fare il pane non sia solo un'operazione fatta di gesti nati da millenni.
Impastare è un vero e proprio esercizio terapeutico.
Vuoi mettere? Con quello che costano gli psicologi o gli abbonamenti della palestra…

 
Mettere in una ciotola, fare un bel taglio a croce, coprire con un canovaccio umido e pulito e lasciarlo lievitare fino al raddoppio.
In genere d'estate basta un'ora e mezzo, d'inverno aggiungete un paio d'ore in più ma, se avete il calorifero acceso, mettete il pupo seduto su una seggiolina a mezzo metro dal calore e ve ne sarà molto grato.
Quando avrà strabordato e farà capolino dalla ciotola, segno che vuole uscire, riprendetelo, mettetelo sulla spianatoia e passate al Secondo round.
Sding! Spaf! Colpi su colpi!
Lui si è difeso con onore opponendo la sua maglia glutinica, ed è proprio quello che volevamo. Sciàf! Sdong!
Ecco, è bastato pochissimo ed è di nuovo steso, pronto ad essere formato in un'unica pagnotta o in tante pagnottine, a seconda della necessità.
Adesso lo gnoccolone è pronto a riposare ancora quanto basta fino al raddoppio.
Disporre sulla teglia di cottura infarinata e lasciarlo lievitare, coperto dal fido canovaccio (magari vaporizzato o leggermente inumidito, così da non far seccare la superficie della pasta).

III fase - Cottura
Con un coltello affilato fare dei tagli profondi un dito sulla superficie, per aiutarlo a esprimersi in tutto il suo splendore e buttarlo in castigo a 200° per i primi 10 minuti, poi scendete a 180° per altri 30.
È cotto quando, prendendolo tra le mani e bussando con le nocche sulla base non dirà "avanti!" ma risponderà con un suono legnoso e secco, non felpato.
Raffreddatene i bollori su una gratella e aspettate che sia ben freddo prima di tagliarlo.


Per la conservazione basta metterlo in una busta di carta (quelle da fornaio) e quindi in una busta di chellophane aperta, per non farlo inumidire troppo.
Volendo, si può anche coprire il taglio con un foglio d'alluminio, per evitare che si secchi.
Ottimi i sacchetti di telo appositi per il pane, ma di quelli belli spessi e non plastificati.


Barocco romanesco del giorno
Io ti potrei dare del figlio di madre ignota, di rotto nel posteriore, ti potrei mandare a fare nel medesimo; potrei fare appello anche ai tuoi morti, con l'eventuale partecipazione de' tu' nonno in carriola opzionale... e coinvolgere anche tua sorella, notoriamente incline allo smandrappo e all'uso improprio della bocca... e allargà il discorso a quel grandissimo toro seduto de' tu padre, a sua volta figlio di una città di cinque lettere cantata da Omero, che tu 'n sai manco chi era perchè sei ignorante...

Alberto Sordi 

Oggi ascoltiamo  
Ryuichi Sakamoto - Solitude
http://www.youtube.com/watch?v=zpamxmzgw1w

NOTE
1) Se te regge 'a pompa, ovvero "se ce la fai e ti reggono le forze". Per pompa si intende il cuore. Maliziosi!...