domenica 27 aprile 2014

Pipe alla Fibonacci, broccolo e gorgonzola

 

- Ma quant’è bello il broccolo romanesco?
- Uno splendore, sì, anch'io resto ogni volta affascinato dalla sua struttura.
- È come se il tutto si ripetesse in ogni singola, minuta, parte.
- Sì, certo, è arrivata la "verdura trismegista"...
- Tris... che?
- Niente, niente, Leppagorre. Però lo sai che in fondo hai ragione? Sembra davvero una scultura, perfetta nella forma, un frattale vivente nel quale ogni rosetta è via via composta da rosette più piccole, apparentemente all’infinto.
- Non sono convinto che si trovi nelle fratte, anzi credo che venga coltivato come i pomodori e le melanzane.
- Oh, lascia perdere...
- Vabbè, vuoi dirmi che il broccolo si comporta così?...


- Oddiobbono! (sifapperdire!)

Però è vero, lo stupore che incute l’aspetto di questo vegetale ricorda quel che si prova di fronte alla rigorosa geometria d’un cristallo, solo che lì ci si trova di fronte a qualcosa di gelidamente lontano dalla vita, mentre qui c’è tutta l’innata sapienza delle piante nel crescere e prendere forma.
Ed è inevitabile, dopo dieci minuti di ammirazione, che non sono stati riservati neppure al Caravaggio di San Luigi dei Francesi, sentirsi dire da un  insospettito verduraio:
- Che fa, signore, lo prende? O lo guarda e basta?
Questo nella versione sobria, perché in quella romanesca sarebbe stato:
- Che famo, l'appennemo na'a Cappella Sistina o jo'o 'ncarto? Pe quello che costa je sta pure a fa l'analise!
- Hai visto? Quasi ce lo regalava!
- E te credo! Secondo me pensava che fossi uno squilibrato in libera uscita e ce l'ha sbolognato per pochi centesimi.
- Dovresti fare più spesso la parte dello schilibrato. Ti viene bene, sai?
- Crepa.

- Insomma, vuoi darmi a bere il fatto che la pianta "sa" come far crescere le foglie e si mette lì col metro e mette a misurare tratti e angoli? Mi hai preso per un babbalone?
- Non sia mai, sei ben altro tu, lo so bene. Però c'è una scienza, la Fillotassi (1) che spiega come molte piante seguano, nello sviluppo delle foglie e delle altre parti, una determinata successione numerica che si chiama "serie di Fibonacci".
- Aspetta, fammi leggere da solo...
- E certo, adesso che hai imparato chi ti ferma più?
"Le piccole infiorescenze al centro del girasole sono disposte lungo due insiemi di spirali che girano rispettivamente in senso orario e antiorario, seguendo la serie di Fibonacci: le spirali orientate in senso orario sono trentaquattro mentre quelle orientate in senso antiorario cinquantacinque; altre volte sono rispettivamente cinquantacinque e ottantanove, o ottantanove e centoquarantaquattro. Le foglie sono disposte sui rami in modo tale da non coprirsi l’una con l’altra per permettere a ciascuna di esse di ricevere la luce del sole."


- "La serie detta di Fibonacci è una successione di numeri interi positivi in cui ciascun numero è la somma dei due precedenti"... E che vor dì?
- Leggere e non capire... Benvenuto tra gli esseri umani. Allora, parti da uno, aggiungi uno e continui la serie sommando i due numeri che si precedono. Due, quindi 2+1 dà 3, poi 3+2 fa 5, quindi 5+3 dà 8, e così via. (2)
- E come c'è arrivato Fibonacci?
- Figurati, era un genio mica un gattodemone con gli occhiali, lui. Pensa che l'intento di Fibonacci era quello di trovare una legge matematica che potesse descrivere la crescita di una popolazione di conigli.
- Sì, magari in fricassea!
- Invece è così! Nel 1223 a Pisa, sotto lo sguardo delll'imperatore Federico II di Svevia, si tenne un torneo tra abachisti e algoritmisti, armati soltanto di carta, penna e pallottoliere, in cui si dimostrò che col metodo posizionale indiano appreso dagli arabi si poteva calcolare più velocemente di qualsiasi abaco. (3)
- E Fibonacci...
- Sì, vinse. Diede una risposta così rapida da far persino sospettare che il torneo fosse truccato.
- Ma mentre prepari, dimmi un po' perché sono così speciali questi numeri di Fibonacci?
- Be', per diverse ragioni. Intanto ce li ritroviamo in natura, in ogni cosa che cresce e si sviluppa...


E poi, la cosa più interessante, è che il rapporto tra i due termini che si susseguono nella serie tende a un numero particolare, un numero irrazionale...
- Cioè, un po' sciroccato?
- Sì, proprio come te. No, un numero che non può venire scritto da una "razione", cioè una frazione, tra due numeri interi. Per fartela breve, se prendi un numero della serie di Fibonacci e lo dividi per il precedente hai qualcosa di simile a 1,6180339887... ecc, ecc. E questo viene detto numero di Fidia, o "sezione aurea".
- E chi era la sora Fidia?...
- ... Ehm... una tipa che s'intendeva di scultura e d'architettura. Ma allora non ti sto nemmeno a dire del triangolo di Tartaglia ed i coefficienti binomiali, sennó ti cade il pelo a ciocche.
- T-t-t-artaglia? T-t-tremo solo a sent-t-tirne il nome!


Pipe alla Fibonacci - broccolo romanesco e gorgonzola
Per due (o uno con una fame aurea)
200 g pipe (o tortiglioni o rigatoni, o penne... Insomma un formato piccolo)
150 g broccolo romanesco lessato
50 g   gorgonzola piccante
uno spicchio d'aglio
olio, sale e pepe q.b.
Mentre l'acqua della pasta bolle allegramente far soffriggere in un tegame l'aglio in poco olio, aggiungere il broccolo romanesco sminuzzato e far insaporire per qualche minuto.
Salare poco, visto che poi lo raggiungerà il gorgonzola.
Se si dovesse asciugare troppo aggiungere un cucchiaio d'acqua di cottura della pasta.
Unire il gorgonzola e farlo fondere, mescolando bene.
Scolare la pasta, condire con la crema brocconzola, spolverare di pepe e, visto che non se ha mai abbastanza, aggiungere un paio di tocchettini di gorgonzola, e magari anche delle cimette di broccolo.
Senza se e senza ma.

- Quello che ho capito è che oltre ad essere bello e bono il broccolo è anche "intelligente".
- Eh sì. Ad avercene di quest'intelligenza, eh?...
- Mhh... Facciamo un gioco, dài. "Scopri le differenze".

- Cioè, sarei un broccolo, secondo te?
- No, non è che lo sei. Gli somigli soltanto...
- Come sei caro. E dimmi, allora, oltre al colore quali sarebbero le differenze?
- Mhh, allora quello verde cresce a spirale seguendo la regola della serie di Fibonacci, mentre quell'altro...
- Quello rosa e peloso...
- ... sì, quello cresce in larghezza seguendo l'andamento dell'indice glicolipidico registrato nell'arco di tempo T1-T2...
- Leppa!
- Sì?
- Crepa!

Detto romano del giorno
(Sta in mezzo come 'n) torzo de broccolo
Detto di chi sta sempre tra i piedi, come appunto il torsolo del broccolo sta al centro della pianta.

Oggi ascoltiamo
Bel Canto - Mornixuur

https://www.youtube.com/watch?v=ekiJX3c7JB4

e ci guardiamo pure un video, "Nature by Numbers":


NOTE
1) Dal greco phyllon=foglia + taxis=ordine. È la branca della botanica che studia l'ordine con cui le varie entità botaniche (le foglie, i fiori, etc.) si distribuiscono nello spazio dando alle piante la loro struttura geometrica. Nata da semplici osservazioni sul numero di foglie e il loro orientamento oggi questa scienza utilizza studi matematici che hanno permesso di scoprire che le piante hanno un sistema molto semplice ma efficace per generare non solo strutture semplici ma anche strutture complesse, come le spirali delle pigne, le infiorescenze dei girasoli e, appunto, del broccolo romanesco.
2) La successione degli elementi della serie di Fibonacci è definita come: F_n=F_{n-1}+F_{n-2}.
I primi termini della successione di Fibonacci sono quindi: 1,1,2,3,5,8,13,21,34,55,89,144,... e così via.
3) l test era il seguente: "Quante coppie di conigli si ottengono in un anno (salvo i casi di morte) supponendo che ogni coppia dia alla luce un'altra coppia ogni mese e che le coppie più giovani siano in grado di riprodursi già al secondo mese di vita?".
Vinse la gara un pisano, Leonardo, detto Bigollo, conosciuto col nome paterno di "fillio Bonacci" o Fibonacci. Figlio d'un mercante uso a trafficare nel Mediterraneo, Leonardo visse fin da piccolo nei paesi arabi e apprese i principi dell'algebra, il calcolo, dai maestri di Algeri, cui era stato affidato dal padre, esperto computista.

Fragole Dickinson

Che io m'azzardi a proporre una qualsiasi ricetta "digicibo" (o finger-food, che dir si voglia), può apparire paradossale, visto la mia ormai conclamata pecionaggine (1).
Anche perché le dita che mi ritrovo sembrano essere idonee ad un'unica attività: "pe riempì i cocommeri", come diceva Tomas Milian al povero Bombolo.
Quindi non ci provo nemmeno a sembrare quel che non sono e né posso essere.
Posso, casomai, soltanto provare a dire la mia.
Perché in fondo bisogna sempre metterci qualcosa di nostro, anche se si vogliono solo presentare degli spiedini di fragole.

Occorrono:
Fragole,
olive nere, meglio ancora se affumicate,
cetriolini sottaceto,
qualche listarella di salmone affumicato,
pepe nero.
Niente di più, niente di meno.
Risciacquare sotto l'acqua corrente i cetriolini e asciugarli con un panno; lavare le fragole e privarle del picciolo; snocciolare infine le olive nere.
Con quegli strumenti complicatissimi detti stuzzicadenti, o anche stecchini, formare degli spiedini con cetriolino, oliva, lembo di salmone e fragola.
Grattatina di pepe al momento e via.
L'amaro delle olive nere, l'acido dei cetriolini sottaceto, il dolce delle fragole, l'umami del salmone affumicato e il piccante del pepe. Tutto quello che c'è non manca niente, insomma.
Con la piccantezza del pepe le fragole perdono quella leziosità femminea che le contraddistingue, diventando più posate e più serie, quasi puritane, se non fossero accompagnate dalla nota signorile - anche se qui discreta - del salmone.
Insomma diventano...
... da così...                                                    ...  a così!

Apollonia Kotero                                                  Emily Dickinson

La prima, lo sappiamo tutti, è Patricia Apollonia Kotero, l'ex corista di Prince - Sì, quello di "Purple rain" e "Nothing compares to you" (resa famosa a livello mondiale da Sinead O'Connor).
Una delle artisti più procaci e audaci nel proporre lo stile guêpièr - che qui diremmo smutandato - durante le esibizioni del suo gruppo, le Apollonia 6.
La seconda è invece un'allora misconosciuta poetessa statunitense che ha vissuto tutti i suoi nemmeno sessant'anni di vita reclusa nella casa paterna di Amherst, nel Massachusetts.
Una che come il nostro conticino Leopardi e HPL (Howard Phillis Lovecraft), suo connazionale, era un'outsider o, come direbbero alcuni, una disadattata, una stramba, una forastica.
Una che s'era emarginata da un mondo col quale non sentiva di voler condividere nulla di sé.
Eppure in quella casa scrisse più di mille e settecento poesie, tra le più belle che siano mai state scritte in lingua inglese.
Qui il confronto non si pone nemmeno.
E che nessuno si azzardi a dire che nel cambio s'è perso qualcosa.
Casomai s'è guadagnato un mondo.

Poesia del giorno
If all the griefs I am to have
Would only come today,
I am so happy I believe
They'd laugh and run away.

If all the joys I am to have
Would only come today,
They could not be so big as this
That happens to me now.
Se tutti i dolori che dovrò provare
Venissero in una volta oggi,
Sono così felice che credo
Riderebbero e scapperebbero.

Se tutte le gioie che dovrò provare
Venissero in una volta oggi,
Non potrebbero essere grandi come questa
Che a me si manifesta ora.
Emily Dickinson
J1726 / F175

Oggi ascoltiamo
Apollonia 6 - Sex Shooter

https://www.youtube.com/watch?v=2f7B1fKB-XU

NOTE
1) Pecionaggine, ovvero insieme di caratteristiche che rendono una persona maldestra e goffa, ma non per sciatteria quanto per distrazione e perenne stato semi-confusionale. Non sono io ad essere così, è che ho la testa tra le nuvole...

giovedì 24 aprile 2014

Spaghetti alla sgualdrina

Tutta colpa della suoneria del cellulare.
Ognuno, si sa, ha la sua.
Eclettica, fantasiosa o anche piattamente banale, ma pur sempre personalizzata.
Non sia mai che non la sentissimo, perdendo così chissà quali preziose opportunità.
La mia, per i messaggi di testo, è Franca Valeri che esclama: “Scostumata!”
Dunque, quel pomeriggio arriva un sms e la sora Cecioni m’avverte dell’evento.
La ragazza che lavorava accanto a me alla cassa come promotrice delle carte fedeltà del punto vendita scoppia a ridere e poi fa: “Ma chi è?!”
E io: “Franca Valeri, no? La sora Cecioni che viene apostrofata chissà come dalla centralinista di turno del servizio informazioni e…”
E lei: “Franca Chi?..”
Se le avessi detto “Arakakhjija Valazdagelustsje” avrei sortito lo stesso effetto di stupore sul sul visetto chiaro e pulito da ventenne.
Lì per lì ho avuto la tentazione di sentirmi un vecchio bacucco (1) di quelli che rievocano personaggi di ere geologiche passate di cui nessuno ha ormai ricordo.
La bimba, povera piccina, non conosceva non solo Franca Valeri ma nemmeno Aldo Fabrizi (e la sua affannata: “Allora famose ‘na pasteffacioli!…”), Raimondo Vianello (ah, il suo humor nero, così inusuale nei nostri climi mediterranei) o Ugo Tognazzi (nemmeno nella versione pop de “Il vizietto”…)
Insomma, una tragedia.
Come potevo rimediare, mentre passavo gli articoli da pagare nelle buste di pseudo-plastica delle signore bene di quel quartiere?
Ovvio, facendo qualche pezzo “a canovaccio” delle telefonate della sora Cecioni alla madre o in giro per Roma in cerca del marito.


“Pronto, mammà? Sì, ho fatto er purè de camomilla ai pupi...”
“Ah, annamo bbene!” (con tutto il rispetto, più lezioso e meno pastoso e sguaiato di quello della sora Lella).
“Mo esco. Devo portare la pupa a pijare aria”
“Pronto, professore? Proprio lei? Senta, sarebbe 'na colinquilina. Siccome che co quello de oggi sò nove i limoni che jò prestato..."
O al guardiano dell’obitorio, cercando il marito che ancora non rincasa: “Pronto, obitorio? Er sor Mario? Senta, so la fija de la sora Agusta, quella maritata Cecioni. Che c’è niente pe noi?”
E, appunto, alla centralinista del 110: “Senta, signorì, me potrebbe dì de ‘n locale notturno indove ce potrei trovà ‘n omo?… Scostumata!”

La "ragazzina bellina, col suo naso garbato, gli occhiali con la vocina” ride e sembra un ruscello perso nel sottobosco, gli occhi si stringono e io con tenerezza penso: “Ha l’età che potrebbe avere mia figlia, se solo ne avessi una”
Poi, ripresasi, anche perché sono le cinque passate e i clienti aumentano in maniera considerevole, mi fa, a sorpresa: “Voglio cercarla su YouTube, voglio vedere tutti i video che posso trovare della sora Cecioni!”
E queste, signora mia, sò soddisfazioni…

La ricetta di oggi è di Ugo Tognazzi, uno dei nostri attori più grandi, quelli che potevano recitare senza battere ciglio sia ruoli drammatici che sketch comici con la stessa maestria e professionalità.
Molti di loro erano bravissimi persino nelle réclame (2), fossero anche di formaggini o di dadi da brodo.
Nel librino “L’abbuffone” troviamo gustosi (in tutti i sensi) episodi di vita intrecciati a ricette di cucina.
Scopriamo così un giovane Ugo che lavora nel reparto contabilità di un grande salumificio di Cremona, dove gli venivano assegnata settimanalmente, assieme allo stipendio, una lingua di maiale.
O conosciamo il nonno che faceva il venditore ambulante di latte col suo carrettino per le stradine della città vecchia e che le nuove leggi sanitarie mutarono in un carbonaio.
O "il giovane" cinquantenne della bottega di legna e carbone che veniva pagato con sette scodelle di minestra giornaliere, e di cui si riusciva a vedere il viso solo quando il vapore della minestra bollente gli portava via lo strato denso di fuliggine.
E anche molte delle ricette preparate dallo chef di "Fochon" à Paris, e che gli attori de "La grande abbuffata" vennero "costretti" a mandar giù da Ferreri durante le riprese del film.

Pari pari dal prezioso libretto prepariamo quindi il saporitissimo sugo per gli:

Spaghetti alla sgualdrina
Variazione ed elaborazione di un piatto che comunemente viene chiamato alla puttanesca.

Ingredienti per 6 persone:
500 gr di spaghetti
4 cucchiaiate di olio
2 spicchi d'aglio
un peperoncino
una scatola di pelati
una scatola di tonno
4 o 5 filetti di acciuga
2 etti di funghi coltivati
una manciata di capperi
un pugno di olive nere
origano e poco sale.
Operazioni preliminari: sbriciolare il tonno. Pulire e affettare i funghi. Tritare i capperi. Snocciolare e tagliare a pezzettini le olive. D'accordo? Proseguiamo.
Grande padella di ferro: oglio, aglio, peperoncino.
Togliere l'aglio quando è rosolato e il peperoncino. Buttare il tonno. Dopo un po' le acciughe, mescolare; poi buttare i pelati, lasciar cuocere e assorbire l'acqua per circa cinque minuti. Aggiungere i funghi, lasciar cuocere per altri cinque minuti, aggiungere i capperi e le olive, mescolare e alla fine una buona spruzzata d'origano.


E se anche non fossero spaghetti ma fettuccine, il buon Ugo non se adonterebbe di certo.
Specialmente se poi sono preparate dalle manine sante del caro vicino-amico-cavia.
Nonché, a suo dire, sgualdrina.

Detto romano del giorno
Chi nun pò menà er cavallo batte la sella


Oggi ascoltiamo
Stadio - Chiedi chi erano i Beatles
https://www.youtube.com/watch?v=NzF1Vf5Ro9E&feature=kp

NOTE
1) Povero profeta Abacuc, ricordato unicamente per locuzioni quali "vecchio bacucco" o "vecchio come il cucco"...
2) Come si diceva una volta (Ai tempi miei!…) Oggi sono detti spot, visto che durano appena due millisecondi.

mercoledì 23 aprile 2014

Salsa caramello e salsa mou

Ci sono cose che in casa non possono assolutamente mancare.
Non certo il defibrillatore o una degna cassetta (o cassetto) pronto soccorso.
Basta un potente analgesico e il tutto resto diventa opinabile.
E non parliamo neppure del settore casalinghi e prodotti per l'igene, perché andremo fuori tema, e poi si sa: ognuno nel suo bagno usa il sapone solido, liquido o aeriforme che preferisce.
Restiamo in cucina, allora.
Aglio, cipolla, olio e sale sono il minimo sindacale, anche per gli scapoli/zitelle avulsi da ogni nozione d'arte culinaria, seppur basica o di sopravvivenza.
E anche se può sembrare strano a noi italiani, si può vivere anche senza pomodoro (d'altronde ci siamo vissuti senza per millenni...), limoni, o finanche del basilico.
Ma da alcune cose non si può proprio prescindere.
Cose che quando poi se ne scopre la fondamentale importanza fanno esclamare, con gli occhi persi nel vuoto e la faccia imbambolata in un'espressione ebete: "Ma come ho fatto ad essere vissuto finora senza averci mai pensato?"
Due, principalmente: la salsa caramello e sua sorella, nonché amica, la salsa mou.
D'accordo qui sarebbe opinabile la scelta delle ragioni della loro imprescindibile importanza, e si cercherebbe invano di far salire sulla vetta delle necessità primarie il theobroma cacao in tutte le sue forme e i variegati accompagnamenti. Compresa quella crema spalmabile ipercalorica e iperlipidica, irresistibile ma più sostanziosa d'un mega-hamburger (500 Kcal su 400...) che nominalmente contiene latte e nocciole ma nasconde pure, con serena indifferenza, olio di colza e di palma. Come minimo.
Le salse caramello e mou invece, sono come certi vini: sono sincere. Non tradiscono.
Si sa subito e sempre cosa contengono, visto che ce le possiamo agevolmente preparare in ogni momento in casa con pochissimi ingredienti: zucchero e acqua (o panna, nel caso della mou).
Basta poco, davvero poco, perché, come dice anche la canzone:

Con un poco di zucchero
la trippa sale su,
la trippa sale su,
la trippa sale su.
Con un poco di zucchero
la trippa sale su,
e non se ne va più giùùù!

Ma vuoi mettere che nel caso in cui qualche amico arrivi a casa all'improvviso con una vaschetta di gelato (industriale o artigianale che sia) e invece che con le infide salsine aromatizzate si possa variegare la Coppa del Mondo (per una quantità minore nemmeno ci sporco il cucchiaio) con una colata di caramello morbido o di pastosa mou?
Non c'è proprio partita.

Salsa caramello (o mou)
200 ml  acqua (o di panna, anche quella da cucina, nel caso della salsa mou)
400 g    zucchero
In un tegame dal fondo spesso far sciogliere a fuoco basso lo zucchero e farlo caramellare.
Cercare di bagnare ogni tanto le pareti con un pennello da cucina intriso d'acqua per togliere eventuali granelli di zucchero o schizzi di caramello che possano bruciare e dare alla salsa un sapore amarognolo.
Lo zucchero non deve diventare troppo scuro: quando il caramello avrà raggiunto il colore bruno-ambrato spegnere la fiamma e far intiepidire qualche istante, magari poggiando il pentolino in una scodella colma d'acqua fredda, per fermare la caramellizzazione.
Inoltre se il caramello fosse troppo caldo farebbe evaporare la panna, qualora preparassimo la mou. 
L'acqua (o la panna) va scaldata quasi a bollore prima di aggiungerla al caramello.
Il segreto è appunto nel mescolare i due elementi a temperature non troppo distanti.


Mescolare bene e rimettere il pentolino sul fuoco basso, sempre mescolando, finché il liquido non sarà completamente amalgamato al caramello.


Questa salsa si conserva a lungo in un barattolo di vetro, a patto di nasconderla nel ventre più profondo della dispensa - la cosiddetta "credenza tenue" -  tra una pacchetto di lenticchie secche e uno di marmellata di corbezzoli che custodiamo gelosamente in attesa di consumarla il prossimo eone.
Qualora dovesse diventare troppo solida basta scaldarla qualche istante a bagnomaria o al microonde per farle ritrovare la sua cremosità.


Detto romano del giorno
Un fiore costa un quatrino e nu' sta bbene in petto a tutti. 

Ci vuol ben altro per esser signori...

Oggi ascoltiamo
Simon and Garfunkel - Bridge Over Troubled Water (live in Central Park)

https://www.youtube.com/watch?v=C-PNun-Pfb4


lunedì 21 aprile 2014

Formaggiéllo

Abbiamo già visto che a Roma si usa fare una robusta colazione dolce e salata la mattina di Pasqua.
Uova sode, salame corallina, pizza al formaggio, pizza dolce (un pandispagna ricco di tuorli che, per l'occasione, viene detto "pizza sbattuta), cioccolato e chi più ne ha più ne metta.
Ho pensato, nella mia piccola mente malata: ma se riunisco tutte queste cose assieme che ne verrà mai fuori?
Un casatiello, stavo per dire, ma lì il formaggio (provolone e vari) va a pezzetti e il salame è rigorosamente quello di tipo napoletano.
Cos'è allora? Un incrocio tra la pizza di Pasqua al formaggio e il casatiello
Formaggiéllo, con cadenza campana.

Formaggiéllo
5            uova
300 g     farina 0
200 g     manitoba
100 ml   acqua
25 g       lievito di birra
50 g       strutto
1 cucchiaino di zucchero, 1 cucchiaino di pepe, poco sale
5 cucchiai di olio evo
Inoltre:
250 g     formaggio grattugiato misto: parmigiano e pecorino romano in proporzione variabile secondo i propri gusti. Se piace più saporita aumentare la quantità di pecorino. Il sale va quindi dosato in base al tipo di formaggi
5           uova sode
200 g     salame (o cacciatorino o salame milano) tagliato spesso mezzo cm e a dadini
100 g     cioccolato
30 g       burro
Sciogliere il lievito con lo zucchero nell'acqua tiepida e lasciarlo che si attivi per 5-6 min.
Mescolare al lievito attivato della farina quanto basta per formare una pastella morbida, e lasciarla lievitare al coperto per almeno mezz'ora.
Far amalgamare nel frattempo cinque uova, sbattute con il sale, il pepe, i formaggi grattugiati e l'olio.
Le altre cinque uova vanno invece fatte cuocere sode, immergendole in una pentola con acqua fredda portata a bollore, per una decina di minuti (1).
Impastare la farina con il lievito, unire le uova e alla fine lo strutto morbido.
Lavorare a lungo l'impasto, quindi lasciarlo riposare a temperatura ambiente per circa un'ora.
Unire quindi il salame, lavorare velocemente e poi versare nello stampo.
Con delicatezza formare degli incavi nella pasta in cui inserire le uova sode.
Far rilievitare fino al raddoppio.
Qualsiasi stampo di forma tronco-conica può andar bene, e se non si ha quello apposito per la pizza di Pasqua si può utilizzare una comune caldaina d'alluminio.
Le dimensioni devono essere 12 cm in altezza, 16 cm il diametro della base e 21 cm il diametro superiore.
Cuocere a 200°C per i primi 20 minuti, quindi continuare la cottura a 180° per un totale di circa un'ora.
Vaporizzare con uno spruzzino prima di infornare.
Controllare la cottura con uno spiedino di legno.


E il cioccolato?
Non ho avuto cuore di proporlo in questa ricetta ai miei parenti, che già hanno dovuto sorbirsi la mia presenza, ma l'idea sarebbe stata di fonderlo a bagno maria, mescolarlo velocemente (stavo per scrivere "voracemente", magia dei lapsus...) con il burro e farne una glassa con cui ricoprire la superficie del Formaggiéllo.
Così non sarebbe mancato nulla: pizza salata, salame, uova e cioccolato.
Troppo ardire?...

Detto romano del giorno
Nun se buggera er cantaro.

Non si frega il furbo.


Oggi ascoltiamo
Massimo Ranieri - Se bruciasse la città

https://www.youtube.com/watch?v=JQwQFPDrskE
per par condicio col post (pasquale) precedente, in cui abbiamo ascoltato Gianni Morandi

NOTE
1) Lo so, lo so, spiegare anche come si preparino le uova sode sembra una bestialità indicibile, ma spesso i dubbi si nascondono nelle cose apparentemente più semplici.
Per sgusciare con facilità le uova sode si devono incidere le  due estremità e soffiare dentro la base più larga. Il guscio verrà via con facilità. Solitamente io le passo poi sotto l'acqua corrente per un secondo per togliere eventuali briciole "calcaree".

domenica 20 aprile 2014

Uovo di Pasqua per Babà

- A zì, come sò contendo che me si portato a lo parco!
- Hai visto, bello di zio? Guarda quanto spazio verde! Vai, corri!... Piano! Così ti stremi e poi ti devo portare nello zaino svenuto!
- Nun... de... preoccupà, zì!... Nun... me... stremo!... Che vor dì "stremo"?
- Lascia perdere, va. Su, corri, corri! Approfitta di questo bel sole!
- Arf! Arf! Arf! E qui che c'è, zì?
 

- Niente. È un canneto, che vuoi che ci sia?
- Pe me è la tana de li "gatti volandi"!
- Si chiamano piccioni, già te l'ho detto. E qui nel canneto di sicuro non ce ne sono.
- Ma io ce sendo la puzza loro. Da quarche parte ce só!
- Vuoi forse inoltrarti nel canneto, a zio? Lascia perdere, su.
- Un'occhiatina la vorebbi dà!
- Vorrei, si dice, vorrei. E poi no, meglio di no. Qui altro che piccioni. Avrai sentito odore di pantegane, te lo dico io!
- Vojo vedé 'ste pandregane, zì. Adesso endro, eh?
- Vai, e il mio cuore spera, che non sia puzza di Gameraaa!
- Ma che te candi, zi?... Gamera? Lo mostro brutto in gu...
- Babà!! Sì, proprio lui, il mostro bruttissimo che sgranocchia i cagnetti. Gamera in persona!


- A zì, annamo un bo' a vedé che c'è de là, invece!
 

- Ah, hai capito, sì?
- Guarda! Una "pozza di puzza"!
In linguaggio babaesco dicesi "pozza di puzza" un avvallamento del terreno in cui siamo contenute deiezioni di vari animali da cortile e, nel nostro caso, da parco...
- No, fermo! No!... Troppo tardi...
Chiunque abbia avuto un cane lo sa.
Il brutto non è che si rotola con gioia in ogni schifezza esistente, strofinadosi di schiena come noi faremmo con l'essenza di biancospino.
Il brutto poi è ripulirlo a sufficienza per poterlo farlo entrare in auto o in metropolitana.
C'è voluta una ventina di salviettine umidificate.
Poi, provvidenziale, una fontanella. O, come diciamo qui, un "nasone".
Più lo risciacquavo e più usciva una melma verdastra maleodorante.
Ovviamente l'espressione di felicità estatica dipinta sul muso fino a un minuto prima lasciava il posto a quella di una paziente desolazione.
Certo, bisogna capirlo: lo si stava privando di tutta quella bella puzza addosso!
Però, dico: come si fa a non voler bene a un monello così?
Quindi a Pasqua, mentre la famiglia intera si riunisce per la tradizionale colazione di Pasqua alla romana (1) e ci si scambia le uova di cioccolato, è giusto che anche lui, come tutti, abbia "il suo" uovo.
Ma ovviamente non di cioccolato, eh?
Il cioccolato per i cani è veleno!

Uovo di pasqua per Babà
100 g  macinato di manzo (o di pollo, o di maiale; a piacere, insomma)
30 g    riso soffiato (un paio di manciate)
1        uovo
2 cucchiai di parmigiano grattugiato (unica concessione "salina")
2 cucchiai di pangrattato.
In una ciotola mescolare con cura tutti gli ingredienti.
Dev'essere abbastanza consistente.
Nel caso serva aggiungere pure altro pangrattato.
Prendere un telo di cotone, adagiarvi sopra l'impasto e richiudere i lembi, anche solo annodandoli.
Ah, dimenticavo! La sorpresa!
Che uovo sarebbe, sennó?
Prendere un pezzetto di wurstel grande quanto una nocciola e inserirlo nell'impasto prima di chiuderlo nel telo di cotone.
Far bollire abbondante acqua, non salata, e cuocere il fagottino di ciccia per almeno venti-trenta minuti.


Farlo raffreddare bene e quindi togliere il telo e incartarlo con della carta di plastica dai colori vivaci, come un vero e proprio uovo di Pasqua che si rispetti.
E siccome lui è biondo, gli si addice di certo la carta dorata. Magari con un bel fioccone rosso.

No?...

P.S. Ah, quasi dimenticavo: "pupo biondo" ha talmente apprezzato il regalo che, appena scartato, se l'è portato dietro il divano della sala per divorarselo in santa pace. In un sol boccone.


Aforismi canini del giorno
Chi non ha mai posseduto un cane, non può sapere che cosa significhi essere amato.

Arthur Schopenhauer

Non c'è fedeltà che non tradisca almeno una volta, tranne quella di un cane.
Konrad Lorenz


Oggi ascoltiamo
Gianni Morandi - Chimera

https://www.youtube.com/watch?v=ZdGRSkjKEA4
Cioè... Gamera.

NOTE
1)  Che consiste, lo ricordo, in colomba, salame corallina, cioccolato, uova sode spolverate di sale, Pandispagna (che per l'occasione si chiama "pizza sbattuta") e pizza pasquale, nella versione dolce e al formaggio. E, ovviamente, anche un bel bicchierozzo di vino… in attesa del pranzo!

mercoledì 16 aprile 2014

Saccoccia di melanzane

Oggi niente carne.
Ma purtroppo no, non sto diventando vegetariano.
Ammiro e rispetto i vegetrariani "etici", quelli che hanno la forza di preporre la ragione agli istinti e che decidono con serena lucidità che cibarsi di altri esseri viventi è qualcosa di moralmente inammissibile.
E applicano questo principio anche alle vongole, sì, come anche ai gamberi e alle mazzancolle.
Non è difficile capire il rispetto per ogni essere dotato di sistema nervoso.
Difficile è mantenersi coerenti alle proprie decisioni e farle divenire i solidi binari delle proprie convinzioni.
Specialmente quando la ragione e l'autocoscienza si trovano a fare i conti con la bieca, basilare e subdola animalità, della quale facciamo pur sempre parte.
Sì, in generale ammiro chi riesce a "emanciparsi dall'incubo delle passioni", anche senza arrivare a "cercare l'Uno al di sopra del Bene e del Male".
E spesso mi sento quasi defraudato della mia umanità quando "l'animale che mi porto dentro", con prepotenza cieca, "si prende tutto, anche il caffè".
So di essere un debole, e so che i sensi hanno in me dei richiami troppo forti a cui non so sottrarmi.
L'odore, ma finanche il suono, dello sfrigolio d'una salsiccia sulla graticola mi provoca reazioni per le quali i cani del dottor Pavlov al mio confronto diventano dei monaci sufi.
So di esser debole, ma di questa mia debolezza non provo nemmeno a farmici scudo di fronte agli striscianti sensi di colpa che m'aspettano al varco ogni volta, in macelleria.
Una ciriola imbottita di porchetta, purtroppo, prima ancora di prendermi per la gola mi prende alle spalle, anzi, mi assale dalle fondamenta (1).
Purtroppo.
Ma qualche volta, quando il richiamo della gola è meno sordido, riesco anche ad appagare il gusto e gli altri sensi con pochi accorgimenti, senza cedere, appunto, ai piaceri della carne...
Bastano poche spezie e qualche erba aromatica e anche quello che da crudo sembra avere la consistenza e il sapore del polistirolo espanso, come appunto la melanzana, riesce a diventare una pietanza appetitosa, a cui basta l'accompagnamento del pane.
Anzi, della piadina.
Con lo strutto, però...

Saccoccia di melanzane
Per la piadina, che abbiamo visto qui, ma che riassumo:
200 g   farina
100 ml acqua ca.
2 cucchiai d'olio o, ancor meglio, 20 g di strutto (2)
un pizzico di sale
Impastare tutti gli ingredienti e lavorare per qualche minuto fino ad ottenere una pasta liscia e omogenea.
Lasciarla riposare al coperto, o avvolta nella pellicola, per una ventina di minuti.
Il tempo di preparare le verdure per il ripieno.

Per il ripieno:
Una melanzana,
aglio, olio e prezzemolo.
In un tegame far soffriggere l'aglio tritato in un paio di cucchiai d'olio.
Appena s'indora aggiungere la melanzana tagliata a dadini non troppo piccoli e farla ben insaporire, quindi unire il prezzemolo, rigirare spesso e quindi aggiungere poca acqua sul fondo, incoperchiare e lasciar cuocere quel quarto d'ora che serve, girando spesso.
Salare e pepare quasi all'ultimo, quindi far riposare il sonno dei giusti.
Riempire le piadine con le melanzane trifolate, chiudendole come fanno gli amici "kebabbari": piegandone i bordi all'interno i bordi e avvolgendo la piadina col suo saporito ripieno.


Si possono anche preparare con molto anticipo e poi riscaldare in forno all'occorrenza.
Comode, semplici e sfiziose.


Detto romano del giorno
L'urtimo è ppe chi mòre.

Oggi ascoltiamo
Franco Battiato - E ti vengo a cercare

https://www.youtube.com/watch?v=8TyRHj4Ag34&feature=kp

NOTE
1) Se poi uno "er porchettaro", e magari anche di quelli storici, se lo ritrova comodo comodo, allora è la fine...
"Er buchetto" (saranno, esagerando, al massimo 15 mq di locale)  è un negozio storico di Roma (sta qui dal 1890!) si trova a via del Viminale, proprio a due passi da Stazione Termini.
Er sor Franco sta sempre là ad affettare porchetta e "a dà 'a chiacchera" agli avventori.


È stato lui a insegnarmi la dicitura da osteria per le misure del vino:
er tubo - un litro,
'a fojetta - mezzo litro,
er chirichetto - un quarto di litro.
Quindi: "Annamose a fà 'na fojetta", non è un invito a "rollasse 'na canna", ma semplicemente di farsi mezzo litro assieme, in osteria.
A trovarle...
2) È un dato di fatto: la piadina con lo strutto è davvero tutt'altra cosa, sia in morbidezza che in sapore.
Quindi chi lo ha in casa non esiti a utilizzarlo, anche se poi verranno le solite piccole Erinni suine su per le vertebre cervicali a pungolare di inutili e tardivi rimorsi.
"L'olio è l'olio, si sa, ma lo strutto ha il suo perché che la ragione non comprende", come ben diceva Blasio Pascale.

domenica 13 aprile 2014

Panada di pollo all'arancia e peperoni

- Abbassa un po' lo stereo, che non riesco a leggere!
- Leppagorre, ma che davero davero? Adesso nemmeno posso ascoltare in pace la musica che voglio? E a casa mia, poi?
- Ma sto finendo questo "Grammatica dei sapori" e se mi bombardi le vibrisse col rock non ci capisco più niente!


- Insomma, com'è 'sto libro?
- Mah... Banale, direi. Un po' fighettino, anzi, e scritto da una giornalista che ha girato il mondo e ci tiene a farcelo sapere.
- Che fai il gattodemone snob, adesso? Proprio tu, poi, che fino a ieri non conoscevi neppure l'alfabeto?
- Ma no, no, intendo dire che non serve un volume per dire al mondo che panna e cioccolato stanno bene assieme, o che il pesce si sposa ottimamente coi piselli. Si sa da secoli. Punto.
- E allora che proponi?
- Intanto metti via quest'ammasso di carta inutile...
- Ma se te l'ho comprato con tanto amore!
- Sì, sì, grazie, lo so. Ma è inutile.
- Ma guarda un po' questo...
- E poi via in cucina, a sperimentare...
- A gettar giù a casaccio, dirai..
- ... e mescolare...
- Intrugliare, vorrai dire...
- ... e trovare le giuste combinazioni...
- Cioè azzeccarla per puro caso...
- Insomma, la smetti? Io ci metto tutto me stesso...
- Quintali di roba, è vero.
- ... e tu non apprezzi niente! Sei tu l'analfabeta, qui dentro!
- Ma fammi andare in cucina, va, che sennó m'ubriaco di sambuca e ti faccio secco!
- Vieni qui, vieni qui! Ho trovato una combinazione interessante!
- E sarebbe?
- Pollo, arancia...
- E capirai! È da decenni che si fa pure l'anatra, all'arancia!
- Sì, ma noi ci mettiamo anche i peperoni. Tiè!
-  Ah, però! E a quando il "tuo" libro di accostamenti culinari?
- Quando oltre che a leggere imparerò anche a scrivere. Che dici?

Panada di pollo all'arancia e peperoni
400 g   pasta violata, ovvero:
            250 g   semola
            50 g     strutto
            80 g     acqua tiepida, o q.b. per legare
            un pizzico di sale
600 g     peperoni gialli (2 belli grossi e polposi)
300 g    petto di pollo, o anche di tacchino
1           cipolla rossa, piccola
1           arancia
2           semi di cardamono
Impastare gli ingredienti per la pasta violata come già sappiamo fare da tempo.
Incidere per la lunghezza i semi di cardamomo e lasciare in infusione in due cucchiai d'acqua calda.
Tagliare a striscioline e poi a pezzetti i peperoni (circa un paio di cm) e farli rugliare in padella con un cucchiaio d'olio di semi.
Se occorre aggiungere  un cucchiaio d'acqua, per non farli asciugare troppo.
A parte rosolare in poco olio il petto di pollo tagliato a dadini non troppo grossi (un cm circa va bene)
Unire il succo e metà della scorza grattugiata dell'arancia, poco sale, 1/2 cucchiaino di curry e i semi di cardamono, con la loro acqua d'infusione.
Se si vuole dare un punto di piccante aggiungere del peperoncino in polvere, ma con oculata parsimonia.
Fra insaporire per una decina di minuti, poi togliere il cardamomo e versare il pollo in una terrina, dove lo sposerete con i peperoni, che non aspettavano altro.
Mescolate bene il composto e lasciate raffreddare.

Se volete un'unica panada da 20 cm stendere 2/3 della pasta oppure, se si preferiscono due panadas medie da 14 cm, dividere l'impasto in due e stendere comunque i 2/3 dell'impasto in due parti.
La pasta non deve essere troppo sottile, al massimo un paio di millimetri.
Adagiare la pasta nello stampo prescelto, facendovela aderire bene.
Versare il composto nell'involucro di pasta e, aiutandovi con un cucchiaio, cercate di compattarlo un poco, senza fare troppa pressione.
Tagliare con un coltello affilato il bordo in eccesso. Deve sporgere circa un cm, al massimo.
Inumidirlo leggermente passandovi con un dito bagnato con poca acqua lungo tutta la circonferenza.
Con il terzo della pasta rimasta formare il coperchio, poggiarlo sulla panada e tagliare anche qui il bordo in eccesso
Unire i due bordi di pasta premendo leggermente e quindi pipiegando du se spesso il bordino sporgente di pasta, formando una coroncina che schiacchierete leggermente con il dito.
Se volete prima di infornare potete pennellare la superficie con del tuorlo per farla colorire in cottura, oppure con dell'albume, che darà una leggera doratura.
Oppure, quasi a fine cottura, spennellare poco latte sulla superficie.
O anche nulla... Avete forse qualcosa in contrario con il pallore?
Infornare a 180° per circa 20 minuti, mezz'ora, fino a doratura della pasta.


- Però, niente male.
- Visto? Alla faccia di Madame Chissacchecosa!
- Non fare il cafone, Leppa, ricordati che al mondo c'è sempre chi sa qualcosa in più di te.
- Come no, come che il prosciutto sta bene, benissimo col melone. O che il radicchio ama alla follia il gorgonzola. O anche che...
- Fammi alzare il volume dello stereo. Non ti voglio sentire!

Detto romano del giorno
Chi cià la camicia pulita, chiacchiera de tutto e de tutti.


Oggi ascoltiamo
The Cranberries- Zombie
(E a tutto volume!)

sabato 12 aprile 2014

Riso e peperoni del Mar Giallo

 

Non so se sulle rive del Mar Giallo si prepari davvero il pollo in questa maniera.
Anzi, no, sono certo che questa è (1) una ricetta apocrifa; probabile e plausibile, magari, ma di sicuro non una ricetta attestata della nobile cucina cinese.
So bene che non basta mettersi due penne in testa per "essere" un indiano, e non sto certo a ripetere la filippica sull'identità, tema fondamentale del nostro essere umani ma che in cucina rischia assumere un sapore semplicistico e di scivolare in un buonismo a tutti i costi, banale e a buon mercato.
Ma mi piace comunque seguire l'ispirazione dei sapori che si uniscono, le strade invisibili indicate dalle spezie, e anche di pensare "cosa succederebbe se..."
Solo in cucina il gioco delle ipotesi e la dietrologia trovano il loro ambiente congeniale senza risultare inutili ridicolaggini.
È anche vero, verissimo e senza dubbio che si può fare della cucina cinese senza dover ricorrere per forza alla zampa d'orso, al serpente o alla tartaruga.
Pollo, peperone e riso sono ormai ingredienti universali.
E nel gioco delle identità, come anche in cucina, si sa, l'universale diventa particolare, specifico, unico.
Spesse volte poi non conta l'origine di qualcosa, ma l'idea che di questa se ne ha.
E quindi...


Riso e peperoni del Mar Giallo
200 g  petto di pollo
70 g    riso
1         piccolo peperone rosso
1         piccolo peperone giallo
1/2      cipolla
1         spicchio d'aglio
1/2 cucchiaino di dado in polvere 
1/2 cucchiaino di polvere delle cinque spezie
1/2 cucchiaino di curcuma in polvere
1/2 cucchiaino di coriandolo in polvere
2 cucchiai di salsa di soia
1 cucchiaio d'aceto bianco
Bollire il riso in acqua dove è stata sciolta la polvere delle cinque spezie e il dado in polvere.
In una padella far soffriggere la cipolla e l'aglio tritati.
Aggiungere il peperone a dadini, unire le spezie e la salsa di soia e far insaporire due-tre minuti.
Unire quindi il pollo a pezzetti e portarlo a cottura mescolando spesso.
Scolare il riso e versarlo in una ciotolina.
Porre un piatto sulla ciotolina, rovesciare e liberare il riso che avrà mantenuto la forma della ciotola.
Intorno a questo disporre il pollo coi peperoni e portare in tavola.
Se ci arriva...


Una ricetta veloce veloce, quindi, sulla cui sinicità non mettiamo certo la mano sul fuoco, ma che possiamo comunque apprezzare giocando un po' con gli ingredienti.
Omettendo per esempio il pollo...


O sostituendolo con dei gamberetti...


Magari il prezzemolo avrà poco o nulla di cinese, è vero, ma come si dice sulle rive del Mar Giallo, "ci sta davvero come il cacio sui maccheroni".

NOTE
1) Via quella penna rossa: è una certezza e un dato di fatto, quindi tempo indicativo.

Detto cinese del giorno
花开    堪折    直   须   折
huā kāi  kān zhé  zhí  xū  zhé
Cogli i boccioli finché è il tempo delle rose

Oggi ascoltiamo
Léo Delibes - Duetto dei fiori

(dall'opera Lakmé)
http://www.youtube.com/watch?v=8Qx2lMaMsl8&feature=player_embedded

domenica 6 aprile 2014

Torta Calla bianca con ganache al mirto

- Oddioddioddioddioddio!
- Leppagorre, che hai?
- Sto male, malissimo… Malerrimo!
- Insomma che ti prende?!
- Guarda, guarda: tutto il pelo opaco, ingrigito! E guarda gli occhi! Paiono quelli d’una cernia sul banco del pescivendolo!
- Non mi spaventare, dài!
- Male, tanto male… Ah, poverammé!
- Qui gattodemone ci cova… Ogni tanto mi dimentico che sei solo il frutto della mia mente malata.
- Ah, sì?…  
SGRAFF!
- Ahio! Ma sei scemo? M’hai quasi portato via il braccio!
- Ma no, che dici! Sarà stata la tua mente malata a immaginarselo…
- Ma insomma, si può sapere che c’è che non ti sconfinfera?
- Dolce, ho bisogno di dolce!
- Tu sei scemo! Tutta ‘sta messinscena per chiedermi del dolce? E la mente malata sarebbe la mia?
- Ti prego poco poco… Poco pocherrimo!
- No!
- Ah no? Tiè!
SDONK!
- Ma che fai? Quello fa male! Maledetto, prendi qui!
- Sgnaragnao!
- No! Quello no! Si rompe!
SCRASH!
- Guarda che hai fatto, ora ti faccio vedere io! Prendi questo!
- Miouuu!
SGRAFF!
- Ahia!… Ah, così? Tieni!
- Miuuuauuu!…
SGRAFF!
- Moriammazzato, guarda che m’hai fatto! Ora ti faccio vedere io!
FFFT! FFFT!
- Argh! Ah, nooo! Non vale! La sambuca non vale!
- I graffi sì, invece, eh?
- Uh, uh… pace?
- N… Vabbè, va… pace… Se solo… capissi…
- Sei tu che non mi capisci. E non mi vuoi bene!
- No, sei tu che non me ne vuoi, egoista d’un gattodemone!
- Eh, me ne volessi te il bene che ti voglio io!
- Se, lallero!
- Ma almeno una volta potremmo farlo, un dolcino, no?…
- Piccolo.
- Piccinissimo! Pi..
- Piccinerrimo, ho capito, ho capito!

Insomma, sembravamo Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi nell’episodio “Hostaria!” di quel capolavoro della Commedia all’italiana che è “I nuovi mostri”, del 1977.

Sporchi, graffiati, malconci.
E inseparabili...
Ma qualche volta ha ragione anche lui, solo che mi costa accondiscendere, perché spesso sembra che mi muova solo grazie a qualche filo sottile tenuto ben stretto da quest’abile burattinaio.
E daje la calla (1) ogni tanto sì, ma sempre no. Proprio no.
Insomma una torta al volo, vediamo...
E se provassi a fare la Calla, ma senza cacao?
Magari farcita con una ganache al cioccolato e mirto? Mh…


Torta Calla bianca con ganache al mirto
Per la base
200 g    farina
200 g    zucchero 
100 g    burro
2           uova
125 ml  latte
1 bustina di vaniglina e 2 cucchiaini di lievito vanigliato
Solito procedimento delle paste montate al burro: lavorare a lungo il burro (lasciato ammorbidire a temperatura ambiente) con lo zucchero e la vaniglina finché non diventa una crema soffice.
Aggiungere, una alla volta, le uova, amalgamandole bene al composto prima di aggiungere il successivo.
Unire i secchi, cioè la farina e il lievito ben setacciati, alternandoli con il latte.
Versare in uno stampo da 20 cm e cuocere a 170° per almeno 40 minuti.
La torta si può preparare anche il giorno prima, così avrà tutto il tempo, freddandosi, di stabilizzarsi.
Una volta fredda livellarne la superficie e tagliarla in tre strati.

Per la farcia
Ganache al mirto

Solitamennte la crema ganache da farcitura richiede un ugual dose di panna liquida e di cioccolato.
100 g     cioccolato fondente a pezzetti
100 ml   panna liquida
50 ml     liquore al mirto
Scaldare la panna e il liquore fin quasi ad arrivare alla bollitura.
Quindi, fuori fuoco, unire il cioccolato a pezzetti mescolando con una frusta per amalgamare il tutto.
Una volta raffreddata la ganache assume una consistenza più solida e la si potrà rilavorare, spalmare in uno strato di torta o distribuirla con la sac à poche.
O anche montare con la frusta per farle assumere una consistenza più leggera.
La consistenza, certo.


Non volendo esagerare ho preparato sotanto la ganache necessaria alla farcitura.
Avrei potuto far doppia dose e montare quella da farcitura, lasciando cremosa la rimanente, per glassare la superficie della torta.

- Certo che almeno una glassatina avresti anche potuto dargliela, eh! Guarda te, quant'è triste...
- Zitto, mostro!
- Ma, tiè! Sembra scappata di casa!
- Se insisti te la metto per cappello.
- Ti voglio bene.
- Io no.
RON RON RON...
- Ruffiano!
Torpigna Gothic, Anonimo - Museo delle Arti Casiline, Roma

Detto romano del giorno
L'amore nun è bello si nun è litigherello


Oggi ascoltiamo
Mina e Adriano Celentano - La coppia piu' bella del mondo

https://www.youtube.com/watch?v=su5UXFG6fbI

NOTE
1) Dà la calla a quarcuno – Assecondare qualcuno, concederli la ragione con l’intento di rabbonirlo.

sabato 5 aprile 2014

Cappellacci spinaci, zucca e... noci

- Ah, oggi non m'importa, voglio mangiare come si deve!
- Povera stella, è vero, t'ho tenuto a stecchetta... La cosa più banale che abbiamo mandato giù questi giorni sono stati solo dei tortellini col ragù! Non esagerare, Leppagorre, il tempo scorre e devo preparare.
- Che fai mi parli in rima? Tenti di blandirmi, eh? Lo sai che noi gattodemoni siamo ipersensibili ai giochi di parole, alle rime e alle filastrocche. Che hai da dirmi? Su, ajo e ojo o un'altra "pasta alla cornuta"? (1)
- Macché, dài, oggi s'impasta. E bando alle ciance, rimboccati il pelo delle zampiche e inizia, su.
- Io? Ma ho un leggero dolorino qui, vedi? All'altezza della scapola, e non riesco a fare questo movimento...
- Ma se di scapole non ne hai nemmeno l'ombra! Che vai dicendo? Guarda che è tutto pronto sul tavolo. Muoviti.
- Ma giusto ora mi ricordo che stanno per trasmettere "Schifezze dal mondo". Non posso perdermelo! Oggi c'è la puntata sulla Cambogia e le tarantole fritte!
- Guarda che non abbiamo la tv, caro il mio mostriciattolo. 
- Ah no?...
- No. Non ricordi che fu una delle prime cose che uscì da questa casa?
- Assieme al lampadario, sì, sì, me l'hai detto mille volte. Vedi che diventi vecchio? Dici sempre le stesse cose...
- Non cambiare discorso, caro. Preferisci burro e parmigiano?
- No, ma...
- Andiamo, andiamo, è tempo d'impastare/ e sul pendio nevoso di farina/ aspettano le uova e gli spinaci...
- Endecasillabi! Mhhh, come piacciono a me, sciolti come burro sulla pasta!
- T'avverto che s'è fatta una cert'ora/ Vorrei pranzar, la fame mi divora...
- Arrivo! Arrivo!

Cappellacci spinaci, zucca e noci
Per la pasta:
250 g    farina
250 g    spinaci già lessati
2          uova
un pizzico di sale
Lessare e strizzare bene gli spinaci, quindi sminuzzarli con la mezzaluna e unirli all'impasto di farina e uova. Lavorare bene la pasta e, se occorre, aggiungere altra farina.
Una volta ottenuto un impasto - con gli occhi al cielo - "liscio ed omogeneo", si mette al riparo per mezz'ora.

Per il ripieno:
1 kg     zucca
50 g     grana grattugiato
50 g     pecorino
50 g     noci*
100 g   ricotta
1         uovo
sale q.b. e pochissima noce moscata, giusto un'ombra.

*  Visto che siamo in tema:

A chi me legge e nun pò magnà noci.

Se, putacaso, nun poi usà le noci,
dice: "Lo sai, me fanno uscì le bolle,
me fanno soffocà, vedo le stelle
e vado a fa la tera pe li ceci (2),

ma locco locco arivi e c'ariòchi (3)
me riproponi sempre sta pietanza!
Te dico e te ripeto, che me dichi:
ma nun se ne potrebbe fanne senza?"

Vabbè, se proprio vòi, nun ce le mette,
la zucca de per sé je dà 'r sapore.
Guarda, pe te scombino le ricette!


Si cuoce la zucca nella maniera solita: al forno, coperta con carta d'alluminio per un'oretta (viene più asciutta e sarebbe l'ideale); o anche al microonde, tagliata a tocchi grossi e fatta andare per dieci, quindici minuti (ci vuole poco tempo, e non è poco...); o anche bollita e poi strizzata un po', s'intende.
Si lascia poi raffreddare a temperatura ambiente, quindi si sminuzza con la mezzaluna e vi si uniscono gli altri ingredienti.
Se si decide di aggiungere le noci, tritarle non troppo fine.
Se l'impasto dovesse risultare troppo "lento", aggiungere uno o due cucchiai di pangrattato (4).
Si stende quindi la pasta e se ne ricavano dei dischi da 6-7 cm di diametro, sulla metà dei quali si mette un cucchiaino d'impasto e si richiude con gli altri dischi.


Con questa dose ne verranno una quarantina, più o meno.
Ma non lesinare con le dosi: "vanno via come il pane", come si dice.


Per il condimento un semplice burro e salvia va sempre bene e aromatizza senza coprire troppo il sapore tenue della zucca.
Ma anche un sughetto gentile, con poca cipolla, è cosa grata.


Detto romano del giorno
Mejo faccia tosta, che panza moscia.

Le persone timide e miti moriranno sempre di fame...

Oggi ascoltiamo
Milva - L'albatros (da una poesia di Alda Merini)

https://www.youtube.com/watch?v=HowvOYzuncs

NOTE
1) Dicesi "pasta alla cornuta" una qualsiasi preparazione che preveda soltanto il tempo necessario alla cottura della pasta stessa. Quindi: ajo ojo e peperoncino, burro e parmigiano, olio e pepe, panna e formaggio... Perché "alla cornuta"? Per via del fatto che il tempo occorrente per una preparazione più articolata si suppone utilizzato dalla consorte in ben altre e più dilettose attività. Da intendersi le classiche previste, da Boccaccio in poi, con l'ausilio di garzoni, idraulici o altro personale adibito alle riparazioni domestiche. E se magari se ne ha la possibilità, anche con i boscaioli dell'Arkansas.
2) Fà tera pe li ceci, eufemismo per "morire".
3) Locco Locco, con (finta) ingenuità. C'ariòchi, ariocàcce, ossia "insistere".
4) Un lapsus m'aveva fatto scrivere "panfrattato", ma immagino che il pane vada grattato e non nascosto in una fratta...

mercoledì 2 aprile 2014

Treccia briosciata lesta lesta

Presto, presto, che il tempo passa in fretta e abbiamo mille, anzi tremila, cose da fare!
Un attimo, però, un attimo solo...
Non posso, non posso! C'è il lavoro, i bambini, la spesa, il pranzo, la cena, e lava e stira e cuci e l'accidente che te spacca! Uffa!
Come si guarisce dall'ansia e dal "logorio della vita moderna"?
Forse non si può.
Siamo immersi in un mare in cui siamo costretti a nuotare per non andare a fondo, presi da un ballo che non è sempre possibile smettere, pena la caduta a precipizio.
Eppure qualcosa, una piccola zattera, ogni tanto ce la possiamo concedere.
Anzi, ce la dobbiamo. Piccola, infinitesimale, ma nostra.
Non farà sparire il traffico, che si beve ore e ore della nostra vita, non eliminerà le piccole, si fa per dire, incombenze quotidiane, che affrontate una dopo l'altra fanno sembrare gli scalatori delle Dolomiti dei bambini che saltano a corda.
Ma danno una visione diversa al ritmo vitale che ci domina anche il respiro.
Farsi il pane, una per tutte, fa bene.
Intanto perché ci vuole impegno, non molto è vero, ma va fatto con fatica e con le proprie mani, altrimenti è come fare ginnastica passiva legati a un macchinario.
Poi perché bisogna aspettare, e non il turno allo sportello o l'ora (se va bene) in fila alla posta come fosse una maledizione o una condanna che sentiamo di non aver meritato.
Bisogna accettare il tempo della lievitazione, che dipende da tante cose, è vero, ma che meno di un certo numero di minuti non può scendere.
E quindi capire che ogni cosa, in fondo, ha i "suoi" tempi, e che molte accelerazioni a cui siamo (male) abituati come fossero normali sono invece una forzatura, se non innaturale almeno disumana.
E poi vuoi mettere l'odore che invade la casa dopo una mezz'ora di cottura?
Quello del pane che cuoce ce lo portiano dentro da millenni, e dà un piacere spontaneo e istintivo che poche cose sanno dare.
Quindi, basta iniziare.
E poi, si sa, durante il tempo di lievitazione si può stirare, pulire la verdura, rifare i letti lasciati aperti dalla mattina...

Treccia briosciata
500 g    farina Manitoba
100 g    farina (per il lievitino e per lavorare l'impasto)
100 ml  latte
100 g    burro pomata
1          uovo
12 g      lievito di birra (mezzo cubetto standard)
1 cucchiaino di zucchero,
2 prese di sale
Come al solito seguiamo lo schemino delle fasi della panificazione:

Fase 1) - Lievitino
Impastare il lievito sciolto in mezzo bicchiere d'acqua tiepida e farina q.b.
Lasciar lievitare al coperto per circa 30 minuti, o almeno fino al raddoppio.

Fase 2) - Impasto
In una ciotola porre la farina Manitoba e il lievitino.
Unire il latte intiepidito, l'uovo e, per ultimo il burro ammorbidito.
Aggiungere zucchero e sale e lavore con forza fin quando l'impasto si stacca dalle pareti del recipiente.
Rovesciare quindi sulla spianatoia e stirare, battere, picchiare, come serigrafata sulla tavola vi fosse la faccia dell'ex o altro personaggio a piacere che fa prudere la mani solo a pensarlo.
Picchiare la pasta (solo lei, purtroppo) fino ad ottenere un impasto elastico ed omogeneo.
Mettere nella ciotola unta d'olio e lasciar lievitare, coperto e al riparo dalle correnti d'aria, per un almeno paio d'ore, ossia fino al raddoppio del volume.

Fase 3) - Lavorazione
Sulla spianatoia lavorare brevemente la pasta, quindi dividerla in due o tre pezzi, che andranno allungati a salamino nello spessore che più si preferisce.
Formare con i serpenti di pasta una treccia (a due o a tre fili, come s'è deciso) e chiuderla a ciambella, ponendo le estremità leggermente appiattite sotto la treccia.
Far lievitare su teglia per almeno una ventina di minuti, mezz'ora.
Deve crescere, lievitare, sfidare il cielo e la sorte ria...

Fase 4) - Cottura
Infornare in forno caldo, i soliti 180° per circa 25-30 minuti, fino a doratura e cottura completa.

Non abbiamo voglia neppure di comporre la treccia?
Davvero?...
Vabbè, allora con dei salamotti di pasta si possono formare dei panini ritorti...


... o anche solo una pagnottina, un filoncino, una ciambella semplice, una ferro di cavallo, un piede di porco...

Versione zuccona.
Aggiungere all'impasto 200 g (o anche più, ma quello è il minimo sindacale) di polpa di zucca cotta nella maniera che preferite: al forno, lessata, al microonde, o anche al sole sotto la lente d'ingrandimento.
Qualora l'impasto lo richieda (la zucca tradisce, ebbene sì) aggiungere della farina all'impasto.



Buona anche senza companatico, direi.


Aforisma del giorno
L'uomo moderno pensa di perdere qualcosa − del tempo − quando non fa le cose in fretta; però non sa che fare del tempo che guadagna, tranne ammazzarlo.

Erich Fromm, L'arte di amare


Oggi ascoltiamo
Ólafur Arnalds - 1440

http://www.youtube.com/watch?v=AHtDgMbwF5Y