venerdì 30 maggio 2014

Minestra di farricello

Leggere le parole di Aldo Fabrizi dà quasi lo stesso piacere d'ascoltarle.
Pare di sentirlo, con la sua bella voce profonda e impastata e con il respiro affannato da eterno indolente, a strologare su qualche ricetta e sull'inferno delle diete.
Ed è un piacere che mi coglie a diversi livelli.
Un po' è come ascoltare la voce dei miei, che erano del '20 del secolo passato, e quindi con la sua stessa forma mentis (1)
Ogni volta che appariva in tv er sor Aldo mi raccontavano quando l'avevano visto recitare al teatro Ambra Jovinelli, vicino alla stazione Termini - quello che come la fenice è rinato dopo decenni di incuria e di degrado - e che assieme a lui c'erano altri "mostri sacri del Cinema italiano" (come si abusa dire): Totò, Anna Magnani, Renato Rascel, Alberto Sordi...
Ahó, mica cotiche, eh?
Un po' è sentire l'anima di quella "romanità" che come tutte le identità collettive ci siamo dati e al contempo c'è stata data, ma alla quale siamo ormai affezionati quasi fosse davvero una parte di noi.
In una sala d'attesa d'uno studio medico, di fronte a una visita esageratamente lunga il milanese direbbe: "Uè, ma quanto ci mètte 'sto qui?", mentre il romano dice: "Ahó, ma che invece de na visita je sta a fà l'autopisìa?"
Ecco, quella continua ironia caustica di fronte a ogni evento, banale o importante che sia, della vita.
Un po' è come vedere un vecchio documentario, di quelli dell'era pre-techicolor, dove le persone si muovono con una pudicizia quasi contadina e con lo stesso colore dello sfondo anche se vestite in jeans e magliette a fiori, e che a Pasolini non sarebbero già più andati a genio.
Oppure è come osservare un acquerello di Roesler Franz, il pittore della "Roma sparita".
Muri sbrecciati, dove l'antico colore pastello dei palazzi storici (2) è una tinta terrosa uniforme e cancerosa; selciati - quando ci sono - possibilmente più avvallati dei nostri tempi moderni, e colmi d'acqua piovana stagnante; persone indaffarate a capo chino nelle loro faticose attività, sia che fossero sor Ermanni o sore Jole, tutti indistintamente abbrutiti da una pesante, ingrata, quotidianità.
Eppure, in mezzo a quei ritratti di degradazione e di atavica stanchezza, si scorgono anche rari segni di vita: un gesto gentile, un sorriso, un cesto di frutta colorata e appetitosa, un capannello d'animati perdigiorno a cui manca solo la parola.
Forse Franz amava così tanto il soggetto che ritrasse nei suoi dipinti che cercò di dargli quella vita che stentava, e che nonostante tutto si ripeteva uguale a se stessa da secoli.
Una vita che avrebbe descritto, a modo suo, anche Aldo Fabrizi.
Ecco via dei Cappellari, dove nacque:


Un budello di strada che parte dallo sguardo di Giordano Bruno - morto abbruciato a Campo de' Fiori nel 1600 - e si perde fino a Corso Vittorio, lo stradone caotico che porta a Castel Sant'Angelo.
Sembra un basso napoletano di un secolo fa quello di Roesler Franz, con le comari che sindacano e spettegolano in mezzo alla strada, con la classica fila di panni stesi ad asciugare in una via che di sole ne vede comunque poco.
Oggi invece vediamo gli stessi muri, magari riportati al colore originario, un selciato di sampietrini che stenta a mantenersi piatto, l'aria pacifica e sorniona del centro città, e vediamo che qualcosa manca, qualcosa che non c'è più.
Non c'è più la gente d'allora, quella che viveva qui due, trecentro anni prima, coeva di Fabrizi ma anche dei miei.
Le comari e gli artigiani, l'erbettare e le fruttarole di Campo de' Fiori (diventato un'innaturale e quasi oscena vetrina per turisti), i fattorini e i negozianti, i vecchi che conoscevano tutti del rione e guai a fare i furbi: si perdeva onore e reputazione con molto poco.
È questa la vera "Roma sparita", altro ché.

Il farricello non è altro che il farro spezzato, un cereale col quale da sempre, in Italia, si sono fatti pane, minestre, polenta e dolci. Prima ancora del riso, che è arrivato dall'oriente grazie agli Arabi, attraverso la Sicilia; prima della pasta, che si diffonde solo nel Medioevo, e che fino all'Ottocento era cibo per signori; prima del mais, ovviamente, che però i nativi americani mangiavano in mille altre maniere diverse.

Così lo descrive er sor Fabbrizi:

Faricello
Si nun l'avete mai assaggiato, calcolate un etto e mezzo a testa. io e mi moje de solito se ne famo un par d'etti: lei lo capa come er riso e poi lo lava nell'acqua fresca due vorte, pe levacce bene quarche pelletta che viè a galla.
Er soffritto se fà come ar solito: battuto de grasso de preciutto, l'immancabile peperoncino, una cipolletta, e 'no spiccio d'ajo da 'ndorasse in un po' d'ojo serio (...)
Appena è d'oro ce verso un dito de vino bianco secco e doppo svaporatoun po' de pelati e 'no schizzetto de concentrato de conserva, due tre foje de basilico tritato e si ve ce piace na presa de maggiorana o d'origano, che è la stessa cosa.
Quanno er sughetto s'è ritirato ce metto 'na puntina de sale, un pezzetto de dado e allungo co 'n po' d'acqua che bisogna tené sempre in callo sur fornello piccolo.
Quanno ribbolle butto giù er faricello a poco a poco senza interompe er bollore che dev'esse moderato.
Appena se comincia a infittì lo mucino co la cucchiara de legno pe nun fallo attaccà.
Er tigame o la pila è mejo che sia de coccio. Pe la cottura ce vò na mezz'oretta e se leva dar foco quanno è fittarello.
Si se sente poco peperoncino ce se macina un tantino de pepe (io ce lo pacino puro si pizzica).
Se conclude co' 'na bella sbruffata de pecorino, naturalmente romano, e se mischia bene perché nun s'ammalloppi.
Poi, versato nelle scudelle, dateje un'antra incipriata de pecorino e si lo preferite de parmigiano: coprite e dopo un quarticello dateje addosso.



Non c'è bisogno di alcuna traduzione credo, solo d'una stupita, rapita ammirazione...

P.S. 
Vabbè che sono ormai solo l'astuccio d'un gattodemone e che quando faccio la spesa conto almeno tre bocche.
Vabbè che con l'età invece di diminuire l'appetito m'è aumentato, e dire che è da un pezzo che ho finito l'ultimo sviluppo (verticale, almeno; oramai mi concentro in quelli in orizzontale...).
Vabbè che quando qualcosa è buono un bis glielo si concede sempre ben volentieri.
Ma tre (3) piatti! Basta, lo so già da me... e non aggiungo altro!

Detto romano del giorno
Er gobbo vede 'gni sempre la gobba de l'antri gobbi, ma nun ariesce mai a ritrovasse la sua.

La solita storia della trave e la pagliuzza...

Oggi ascoltiamo
Renato Zero - Magari

https://www.youtube.com/watch?v=2IgfRHhhv8A&feature=youtu.be

NOTE
1) Le persone nate prima degli anni Quaranta condividono coi loro antenati lo stesso tipo d'educazione e lo stesso sfondo culturale (vogliamo dire background? Vabbè, diciamolo pure), tanto che un ventenne del 1900 era molto simile a un suo coevo di vent'anni dopo. Li accumunava la stessa cultura, popolare e piccolo piccolo borghese, oppure contadina.
Vent'anni dopo, quei ventenni che avrebbero vissuto il boom ecomico, le gite con la lambretta, le prime feste in riva al mare, avrebbero condiviso un altro modo di vivere e di consumare, diverso dai loro padri.
Vent'anni dopo i ninetti di Pasolini sarebbero spariti per sempre.
2) Ah quei terra di Siena bruciati, quel latte e menta, quell'ocra in tutte le sue gradazioni possibili, e quel celestino da cielo bizzoso... Solo da pochi anni si cerca di recuperare il colore del centro storico.
E per fortuna, dico io.

mercoledì 28 maggio 2014

Farfalline cozze e bacon

- Te lo brucio, quel libro! Vieni qui!
- No, è mio!
- Sarà tuo quando te lo comprerai. Scendi, Leppagorre!
- No!
- Scendi dal lampadario!
- Fossi matto!
- Insomma, la smetti? Mi lasci messaggi, e nemmeno tanto velati: ieri la cucina era piena di bigliettini rosa e gialli; sui rosa c’era scritto “cozze” e sui gialli “bacon”. Poi accendi il pc e mi metti collegamenti, tra l’altro non richiesti, a pagine in Rete che fomentano la tua follia. Mi lasci “quel” libro sempre aperto su “quella” pagina... Ahó: ma ‘sta panza nun è mica n’albergo!
- Ma apri quel collegamento, dài. Almeno guarda...
- “cozze” e “bacon”, dunque... 4.650.000 risultati. Embè?
- Non è una cosa così astrusa. Se poi è scritto anche qui...
- Beata ingenuità! Hai 623 anni ma sembri un cucciolo di otto, a volte! Sei di quelli che: “È vero, l’ha detto la tv! Sta scritto qui, allora dev’esser vero!”, no?
- Mica sono un babbalone come te, io!
- No, eh? Vediamo di raffinare la ricerca “cozze e bacon”, con le virgolette... 8 risultati. Allora?
- Be’, sai com’è la Rete. C’è di tutto ma non c’è tutto, no?
- Ah, adesso mi dici così? Ma io impazzisco, con te! Certo, uno che parla con un gatto immaginario!...
- Già fatto, allora, sta’ tranquillo...

A parte i battibecchi soliti con il gastrospite, l’accoppiata cozze e bacon compare già in molte ricette, soprattutto di stuzzichini e di zuppe.
D'altronde le cozze hanno un gusto dolciastro che s'accoppia bene con l'affumicato del bacon, e "Mare e selva" è spesso uno degli accostamenti più interessanti, basta pensare ai funghi con le vongole.
Certo, ci siamo appena abituati agli spiedini di prugne e bacon che andare oltre sembra quasi un’astrusità.
Ma noi siamo anche esploratori del gusto e dei sapori, e a noi non fa paura niente.
Tranne il secchio dell’immondizia.
Quindi, senz’altro indugio, via con e prove.


Farfalline cozze e bacon
Per10 farfalline, ca.
150 g   bacon, affettato non troppo sottile
50 g     cozze, già sgusciate
60 g     prugne secche, denocciolate
una decina di olive nere.
La parte davvero più difficile della ricetta è unicamente tenere a bada l'istinto di mangiarsele crude.
Il resto è d'una sconcertante banalità che quasi mi vergogno di postare.
Schiacciare leggermente la prugna secca, adagiarvi la cozza, avvolgerla nel bacon e infilzare il tutto con uno stuzzicadenti.
Ripetere l'operazione, inframmenzzando un'oliva nera, che con l'amarognolo terrà a bada il dolce.
Preparare una decina di farfalline, quindi in una padella capiente, leggermente unta (poco, tanto il grasso del bacon farà il resto), farle cuocere a fuoco allegro.
Girarle un paio di volte: il bacon dovrà abbrustolirsi senza bruciare troppo.
Infine, se si vuole, una spruzzata, giusto un'ombra, di vino bianco secco.
Smucinata, e via, a tavola.
Mangiare possibilmente ancora calde.


- Insomma, Leppa, ma anche il telefono m'ha spostato di posto? Sei peggio d'un monaciello o d'un poltergeist!
- Ma l'ho solo preso per farmi un selfie con i miei amici...
- Un selfie... tu?
- Sì, guarda come stiamo bene:


- Vojo morì...

Aforisma del giorno
Anche un orologio fermo segna l'ora giusta due volte al giorno.
Hermann Hesse

Oggi ascoltiamo
Conchita Wurst - My Heart Will Go On (Die grosse Chance 2011)

https://www.youtube.com/watch?v=WmL7m0by4UQ
E Conchita, unendo barba e femminilità è anche l*i un po' "cozz'e bacon", no?

venerdì 23 maggio 2014

Broccobudino

- Passami un po' quello, Leppagorre... Che c'è scritto sopra?
- "Archeottèrige"... che è? Sembra una gallina faraona.
- La bisnonna, casomai... Archaeopteryx... Ancora stava là? Su, nel secchio. È scaduta di certo.
- Ah sì?

- Eh già. Di sicuro da più 65 milioni di anni... Su, passa a quello... la bisteccona, sì. Cos'è? Svelto, però, che si scongela!
- Aspetta... Allora, qui c'è scritto... "Dinoterio". E che d'è?
- Ehm... Anche questo passato a miglior vita da un bel pezzo. Avrà almeno almeno 700.000 anni, se non sbaglio.
- Allora la carne avrà frollato a dovere.
- Un po' troppo, anche. Via, nel secchio anche questo! Uffa, ma perché non mi aiuti più spesso a mettere un minimo d'ordine in questa casa invece di star lì come un totem? Da quando hai imparato a leggere stai sempre a muso basso!
- Ma io ho imparato da poco, e devo farmi una cultura, io!
- Lo vedo che cultura ti fai: leggi esclusivamente libri di cucina e racconti dell'orrore!
- Sono la mia passione, che ci posso fare? È cultura anche quella.
- Certo che lo è. Ma c'è anche altro, e ogni tanto varrebbe di dargli un'occhiata.
- Come nel tuo surgelatore, vedo.
- Mhhh... Su, che è tardi e ho fame. Quello che cos'è?
- "Broccolo r." Che vuol dire, Broccolo-Riccardo, forse?
- Te lo spiego per bene appena avrò finito di riempire questo spruzzino.
- Ah, e cosa ci stai mettendo?
- Infuso di sambuca, ovvio.

Succede, eccome se succede, che ci si ricordi di aver appoggiato un taglio di carne, una verdura cruda o cotta o un avanzo di cena nel surgelatore e poi, manco a dirlo, ci si dimentichi della sua esistenza.
Qualcuno dice che l'ordine che si ha nel frigo solitamente rispecchia quello mentale.
Se questo è vero allora sono spacciato.
Non tanto per l'ordine, quanto per l'attenzione che metto nei suoi contenuti.
Altro che naif...
Comunque, per farla breve, non perdo né pelo né vizio: basco del mercato, verdura bellissima, rigogliosa, tronfia del suo splendore vegetale e io che cado in catalessi e me la compro.
Ovvio che poi debba cucinarla tutta, pena la putredine domestica.
E con, diciamo, un chilo di broccolo, una volta fatta la pasta, un contorno per la cena e uno spuntino merendiano cosa ne rimane?
Un sacchetto colmo che attende serenamente che si compia il suo destino.
E allora via, nel gelo etterno, nei meandri tutt'ora in gran parte inesplorati del surgelatore casalingo.
Stavolta, per dare un senso a questo fortunoso ritrovamento ne voglio fare qualcosa di diverso, almeno per me.
"Ma come - si dirà - a fine maggio metti una ricetta con una verdura invernale? Sei pazzo, forse?"
"Sì".

Broccobudino
1 kg     broccolo romanesco
500 ml  latte
60 g     farina
50 g     burro
4          uova
40 g     parmigiano grattugiato
sale, pepe q.b.
Già sappiamo che il segreto delle vellutate e degli sformati sta nell'uso della besciamella in forma più o meno liquida.
Allora, via, la prepariamo come già da secoli facciamo, sciogliendo quindi il burro in un tegame, aggiungendo poi la farina e lasciando cuocere il composto mescolando per qualche minuto.
Aggiungere il latte e amalgamare bene il composto con una frusta per evitare il formarsi dei grumi.
Far addensare a fiamma bassa quindi far raffreddare.
Mondare il broccolo, tagliarlo a cime, lessarlo in acqua salata, scolarlo e setacciarlo con un passaverdura.
Oppure toglierlo dal sacchetto decennale conservato nel surgelatore e farlo scongelare con santa pazienza.
Unire alla besciamella la purea di broccolo, le uova, una alla volta, quindi il parmigiano.
Versate in uno stampo da budino, imburrato (con un po' di burro fuso e un pennello da cucina si fa in un attimo, qui non usiamo gli spray "imburranti").
Cuocere in forno a 180° per circa 35-40 minuti.


Se invece del budino si preferisce una quiche dal sapore delicato, e soprattutto che sia trasportabile senza danni strutturali, basta preparare una pasta brisée e procedere come una qualsiasi quiche o crostata che si convenga. Come questa, ad esempio.


Ovvio che invece del broccolo romanesco, se proprio ci è rimasto sul gozzo quel geniaccio di Fibonacci, si può utilizzare un cavolfiore, trattandolo alla stessa maniera, frattale più frattale meno.
La consistenza e il sapore simili ne permettono praticamente l'interscambiabilità senza troppi patemi d'animo.

Detto romano del giorno
Chi conosce le carte parli der gioco.


Oggi ascoltiamo
Massive Attack - Unfinished sympathy

https://www.youtube.com/watch?v=ZWmrfgj0MZI
Da cui si evince che Tor Pignattara è ovunque, dalla borgata statunitense allo slum brasiliano, dalla banlieue francese ai quartieri dormitorio dell'era sovietica.

lunedì 19 maggio 2014

Tagliatelle alla zucca

È ormai un dato di fatto: l'uomo sta ormai fuori dalla natura. E anche da svariati millenni.
Siamo usciti dal suo stato di grazia - o di disgrazia, a seconda dei punti di vista - quando abbiamo imparato a fare cultura.
Che non vuol dire solo leggere, scrivere ed esplorare lo Spazio e le sue sfere ulteriori, ma anche semplicemente tramandare il segreto del fuoco, della coltivazione e della caccia.
Siamo usciti dalla natura quando abbiamo imparato a raccontare, e non solo quello che era accaduto nel nostro villaggio, ma anche i fatti che nascevano tra le tortuose spire del nostro cervello, come gli eventi mitici accaduti all'inizio dell'universo.
Siamo usciti dalla natura quando siamo diventati cyborg, prima che ne inventassimo la parola e senza aspettare i tempi futuribili della fantascienza, e l'abbiamo fatto indossando abiti, usando occhiali e facendoci installare denti artificiali, arti posticci e tutto quello che ci ha aiutato ad affrontare la dura condizione dell'esistere.
E con noi ci siamo portati dietro anche i nostri animali domestici e diversi esseri del mondo vegetale, che dividono con noi l'affrancamento dai cicli naturali.
No, eh?
Eppure il mulo e il mandarancio direbbero il contrario.

Quindi chi parla di Natura (con la maiuscola, mi raccomando) e usa a sproposito l'aggettivo "naturale" facendolo diventare un feticcio non sa - o fa finta di non sapere - quel che è accaduto da nonno pitecantropo ad oggi.
Dal pollice opponibile e dalla statura eretta ci siamo continuati ad evolvere, ma su un altro piano, quello della corteccia cerebrale. Anche se a volte non sembra...
Certo, ciò non toglie che siamo sempre esseri biologici legati alla nostra corporeità, che l'amigdala continui a farci agire spesso come coccodrilli, e che siamo tutt'ora soggetti ai fattori esterni e al nostro immutabile (finora) ciclo vitale.
Ma il fatto che si possa vivere da millenni in posti così disagevoli come un deserto o le regioni artiche fa pensare che siamo andati decisamente oltre.
E per fortuna, aggiungo io...
Dico tutto questo non per beffarmi dei nostalgici del "buon tempo andato" - che a conti fatti non era buono per niente - o d'una età dell'oro quanto mai mitica, ma solo perché ancora mi sorprendono certi risvolti, magari anche banali, della nostra vita.

Per esempio, da bravo cittadino ignorante non sapevo, oppure non ci facevo caso, che anche la zucca, come tutti gli ortaggi, ha la sua stagionalità.
E ci credo: abituato a vederla sempre sul banco del mercato, d'estate come d'inverno, ho perso di vista il fatto che le vedure, se potessero scegliere di vivere fuori dalle serre o di evitare lunghi viaggi planetari, cercherebbero di mantenere il loro ciclo stagionale.
Tranne forse il ciclamino che prospera sul mio terrazzo, chiaramente, visto che non va mai in letargo ma, tutt'al più, ha un cambio totale delle foglie e poi ricomincia a rinverdire e a rifiorire felice e beato.

Quando si dice fame di vita... I maligni dicono che è per via della mia vicinanza, e che per adeguarsi all'assenza del mio cervello ha dovuto imparare a essere una pianta a-stagionale.
Non lo so, ma sono comunque molto orgoglioso di lui o meglio di loro, visto che è un trittico di piante che condivide sereamente un vaso oblungo di cemento.
Insomma, visto che mai nessun mulino è stato davvero bianco, che la cibernetica ha deluso in parte molte delle nostre ingenue aspettative - vogliamo parlare dell'Intelligenza Artificiale?... No, vero? - e visto anche che la zucca c'è (quasi) sempre e possiamo farci di tutto, stavolta ne faremo tagliatelle.

Tagliatelle alla zucca
500 g    farina
350 g    polpa di zucca in purea
1          uovo
sale q.b.
La zucca va mondata, grattugiata e cotta al microonde.
Oppure tagliata a spicchi, avvolta nella pellicola d'alluminio e messa in forno.
Oppure al vapore...
Insomma, nel modo che si preferisce, tenendo contro che in questo tipo di preparazioni è meglio che non assorba troppa acqua di cottura, quindi di preferenza non bollita in acqua.
Una volta freddata passare al setaccio la polpa di zucca e unirla agli altri ingredienti, lavorando come qualsiasi pasta da sfoglia.
Far riposare la canonica mezz'ora al riparo quindi stenderla, non troppo sottile, e tagliarla nel formato preferito.
Tagliatelle, per esempio:


Da condire con burro e salvia o, meglio ancora, con burro e un'ombra di noce moscata.


Oppure dei tagliolini da cuocere in brodo, se la giornata è quella d'una indecisa primavera o d'un gelido inverno.


Ma anche d'un torrido pomeriggio estivo, perché no?

Dose filosofica del giorno
A chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?
L'Islandese alla Natura, Giacomo Leopardi (1)

Oggi ascoltiamo
Electric Light Orchestra - Yours Truly, 2095
https://www.youtube.com/watch?v=mb5TV7JUvzo&index=6&list=RD5hg7Lz4RlAU

NOTE
1) Il conticino recanatese non era per niente un tipo cupo e torvo come viene comunemente dipinto, spesso dai millantatori d'un ottimismo beota o fideistico. Basta leggere il carteggio con la sorella Paolina o con l'amico Ranieri per rendersene conto.
O il fatto che il dialogo delle "Operette morali" di cui sopra termina con l'Islandese divorato - pare, ma non è certo - da due leoni, oltre che dall'angoscia di non sapere nulla di quel fatidico e inesistente "perché".
Si può immaginare un finale meno ironico e denso di humor nero?...

venerdì 16 maggio 2014

Fragole all'Ugo

- Corri, corri! Di più, di più!
 

- Eddai, Leppagorre, non siamo mica al parco giochi. Abbiamo poco tempo prima di cena e tu ti metti anche a fare lo scemo!
- E che noioso che sei diventato! Sei come certi mariti che ridono e scherzano con i colleghi e poi quando tornano a casa sono sempre ingrugnati!
- Non sono tuo marito, per fortuna.
- Fortuna mia...

- E questo cos'è?
- Che? Ah, questo… Niente.
- Come niente, un cestino di ciliegie che costa più di un’ora di lavoro me lo chiami niente? Dimmi un po’ te…
- E che spilorcio che sei diventato! Sei come certi mariti che spendono e spandono per i loro capricci e poi lesinano pochi soldi alla moglie!
- Ma tu non sei mia moglie, sei solo un demoniaccio infestatore.
- Uffa, che barba!... Su, che vuoi che sia. Guardale, che belle: lucide e rotondette, chi rosso chiaro, chi rosso scuro…
- Chi te se… Oh, insomma! Mi fai uscire dai gangheri! Si vede che hai imparato a leggere ma non sai ancora far di conto!
- Io conto, invece! Eccome, se conto!
- Ah sì? Vediamo un po'...  6x8?
- 48!
- 5x7?
- 35!
- mhhh... 9x7?
- 63!
- 1859x7632?
- 14187888!
- ...
- Hai visto? Tsé!
- √ 5874?
- 76,642025025438882906296273072637
- ...
- ...
- E, dimmi un po’: quanto costa un litro di latte?
- Mh, dunque, fammi pensare... Un litro di latte... Ecco! Un litro di latte costa precisamente 285,32 euro!
Svelato il mistero.
Non che il mostro non sappia far di conto. Semplicemente, non conosce il valore delle cose.
E non è una caratteristica dei soli gattodemoni, eh?
Quindi lasciate le esosissime, esoserrime ciliegie, torniamo a casa, tra le altre cose, con un più abbordabile cestino di fragole.
Almeno queste non ce le siamo fatte mancare.
Anzi, ne abbiamo quasi abusato, tanto da poter provare qualche accoppiata interessante.

Quella tra fragole e aceto balsamico, si sa, è stata da tempo definitivamente sdoganata, tanto da apparire anche in innumerevoli spot pubblicitari.
Di sicuro più delle coppie dello stesso sesso, purtroppo.
Comunque, digitando "fragole" e "aceto" di primo acchito è questa l'associazione che richiama le quattrocentomila pagine in rete.
Eppure la macedonia di fragole si può condire anche con l'aceto classico e zucchero, come insegna Ugo Tognazzi nel suo indimenticabile "L'abbuffone", del 1974.


Nel 1946, ogni volta che andavo in un ristorante e c'erano delle fragole, me le facevo portare così, naturali, senza nessun tipo di condimento e poi dicevo, quasi per scherzo, al cameriere: "Mi porti l'aceto".
Quando dicevo "aceto" sia il cameriere che il proprietario del ristorante mi prendevano per pazzo, e quindi restavano a osservare increduli l'operazione che facevo.
Depositavo sulle fragole un cucchiaino d'aceto, le mescolavo per bene con lo zucchero, e poi me le mangiavo.
Quasi sempre i camerieri stringevano gli occhi, digrignavano i denti, ma poi si incuriosivano e poi ero costretto a far assaggiare le mie fragole un po' a tutti.
E quasi tutti erano costretti ad ammettere che erano buonissime.
Perché la fragola distrugge il sapore vero e proprio dell'aceto, di cui rimane solo l'acidulo; mentre l'aceto non fa altro che tirar fuori l'umore più succoso della fragola, ammorbidendola.
Così la fragola sa veramente di fragola.
Mi sono accorto a distanza di tempo come questa mia trovata sia diventata ormai una proposta originale di molti ristoranti, che presentano questo dessert come una cosa raffinata di loro creazione.
Ma sono proprio i ristoranti nei quali io, in giro per l'Italia per necessità di tournée, ho proposto le "mie" fragole, che sono diventate oggi un dessert richiestissimo e che mi stupisco davvero come non siano state ancora battezzate "fragole all'Ugo".


E cos'altro potremmo aggiungere a questo semplice, delizioso dessert?
Niente, se non di propalarlo ai quattro venti, e col nome che gli spetta. 

Detto romano del giorno
La pazienza se tiè fino ar gargarozzo, e poi se lassa.

Ossia fino alla gola, e poi si lascia andare. Perché quanno ce vo ce vo!

Oggi ascoltiamo
António Zambujo - Amor de mel, amor de fel

https://www.youtube.com/watch?v=cmjxEyDA6y0

lunedì 12 maggio 2014

Maltagliati fungherecci

Ecco, lo dico subito nel titolo, così la mia cara amica allergica ai funghi può cambiare pagina e godersi le notizie del giorno oppure il meteo...


Cosa serve?
Una manciata di funghi porcini secchi.
Il resto c'è già in casa, si spera.

Mettere a bagno i funghi in mezzo litro d'acqua tiepida per almeno una mezz'oretta, quindi scolarli e lasciarli da parte. Non se ne avranno a male.
Filtrare l'acqua facendo attenzione a non utilizzare il fondo.
Quello prende la via del lavandino senza rimpianti.
Tenerne da parte solo mezzo bicchiere.
Prepariamo la pasta fatta in casa, quindi, come da norma, a persona occorrono 100 g di farina.

Sì, senza uovo.
Impastare con l'acquafungata e un pizzico di sale, fino a ottenere un impasto liscio ed omogeneo.
Si fa riposare la solita mezz'ora al riparo dall'aria (quindi pellicola, canovaccio umido o scodella a cappello).
Poi si stende, non troppo sottile, con il matterello (sì, si dice sia matterello che mattarello, datevi pace e non fate i puristi) o con la manovella.
Si taglia la pasta a strisce spesse e non troppo lunghe: non pappardelle, ma più maltagliati. 
Si fa riposare su un piano infarinato e si prepara il condimento.
Semplice, come piace a noi.
In un tegame si fanno rosolare una paio di generosi spicchi d'aglio (o uno solo se pensiamo di relazionarci con qualcuno che possa adontarsene) e appena dorato si versa una manciata di prezzemolo tritato.
Si fa andare un minuto e si aggiungono i funghi triturati (poi dicono: ma che te ne fai della lunetta? Blasfemi!)
Si dà una giratina e si versa un po' d'acquafunghereccia lasciata da parte.
Poi una spruzzata di vino, che si fa evaporare e quindi si aggiusta di sale.
Chiaro che se si preferiscono piccanti il peperoncino va messo all'inizio, assieme all'aglio.
Cuocere la pasta in abbondante acqua salata, scolarla al dente e fargli fare un bagnetto di funghiglia, che fa tanto bene.
Saltatina veloce nel tegame e via, nel piatto.
Qualcuno che conosco ama metterci anche del pecorino.
Con l'aglio? Oddiobbonodelvangelo! Che barbaro!

Detto romano del giorno
Moje che se gira ar fischio, pe 'r marito è solo rischio.

Oggi ascoltiamo
Marvin Gaye - Sexual Healing

http://www.youtube.com/watch?v=fn4i8bAfnMY

giovedì 8 maggio 2014

Chatwin al broccolo (romanesco, va da sé)

Ultimi giorniii! Presto, donneee! Affrettateviii!
La stagione del broccolo sta per finire, e bisogna approfittare della freschezza della natura prima di ricorrere al gelo del congelatore.
Le temperature salgono, la voglia di passeggiate aumenta e, di conseguenza, la voglia di portarsi qualcosa di buono nella borsa mentre si scarpina per il centro storico.
O, se non si ha un centro città ricco e variegato d'una grande città, dei parchi o delle campagne circostanti.
O, meglio di tutte, e se il verde è lontano, una di quelle belle vie commerciali dove i commessi dei negozi ti fanno il triplice sguardo faccia-scarpe-faccia (1) per poi decidere se sorriderti o dedicarti una smorfia tirata.
E dove la signora dal grugno lardellato di botulino, uscendo frettolosa con la borsa di rettile scuoiato, ti guarda per un microsecondo e con un sorriso fugace pensa: "poveraccio te" mentre tu, guardando i suoi inutili sforzi di sembrare affascinante accumulando cincaglierie come nemmeno la madonna di Pompei, pensi: "povera te".
La tapina non ha mica nella borsa griffata, ben avvolta nel delicato abbraccio d'un foglio d'alluminio, una succulenta fetta di torta Chatwin, ma al massimo una confezione di germogli di soia sconditi, oppure una macedonia pronta e sigillata che a guardarla mette una tristezza infinita.
Nessuna mano amorevole gliel'ha preparata, poverina...


Vuoi mettere la soddisfazione, mentre ti passa di fianco con fare disgustato, di addentare una fettona di Chatwin, grata del tepore della borsa, dedicandole un sorriso di goduria che lei, ari-tapina, difficilmente tornerà a provare?
Le piccole gioie della vita.

Chatwin al broccolo (romanesco, va da sé)
Per la Pasta Chatwin:
250 g      farina
12 g        lievito di birra*
70 g        burro morbido
100 ml    latte (o anche yogurt, e meglio ancora kefir)
1            uovo
Un pizzico di sale
*La ricetta originale riportava 20 g di lievito ma mi sembravano davvero troppi per soli 250 g di farina, quindi ho dimezzato la dose: mezzo dado è più che sufficiente.
In una ciotola, dove avrete messo la farina, versare il sale, il lievito sciolto nel latte tiepido, l'uovo e il burro, senza ordine alcuno e senza preferenze.
Lavorare appena il tempo per amalgamare il tutto.
Formare una palla e metterla a riparo di un canovaccio per farla lievitare per un'ora circa, fino al raddoppio.

Per la farcitura
1 kg    broccolo romanesco
100 g  gambuccio
3        spicchi d'aglio
2        uova
3 cucchiai d'olio evo
sale e peperoncino q.b.
Lessare in abbondante acqua salata il broccolo lavato e tagliato a cimette.
Unire nell'acqua un cucchiaino di bicarbonato, che aiuterà la cottura mantenendone il colore brillante.
Quando i gambi delle cimette saranno cedevoli alla forchetta scolare e fermare la cottura con un getto d'acqua fredda.
Far raffreddare quindi schiacciare il broccolo utilizzando la forchetta, così da lasciare dei pezzetti più consistenti in un mare di crema.
Sminuzzare il gambuccio e tritare l'aglio e farli soffriggere a fuoco moderato in una padella capiente.
Si può utilizzare del peperoncino a pezzi facendolo scorrazzare con l'aglio per poi toglierlo oppure unire quello in polvere, anche dopo la cottura del broccolo.
Quando l'aglio sarà imbiondito aggiungere il broccolo e far mantecare il tutto per 2-3 minuti, quindi lasciare che s'intiepidisca.
Una volta freddato, aggiungere al composto due uova e aggiustare di sale.


Stendere in una tortiera da 24 cm due terzi dell'impasto Chatwin, distribuendola bene sul fondo e sui bordi, aiutandosi con le mani infarinate.
Bucherellare leggermente il fondo con la forchetta quindi farla rilievitare un quarto d'ora, venti minuti, prima di versare il ripieno di verdura.
Livellare con un cucchiaio e con resto della pasta formare un disco che farà da coperchio, fissandolo alla base attorcigliando i bordi a cordoncino per sigillarli.
Cuocere mezz'ora, quaranta minuti a 180°.
Quando la superficie sarà ben dorata la Chatwin sarà pronta.


Ah, se si è dei veri cavalieri si farà di tutto per offrirne una fetta alla signora. (2)
Di certo le se aprirebbe (o riaprirebbe) un mondo. No?...


Detto romano del giorno
Quanno 'na persona te vò male  pure co' sette camicie te vede er culo

Oggi ascoltiamo
Chris De Burgh -- Lady In Red (live)

https://www.youtube.com/watch?v=iFcuN2zI3u0

NOTE
1) Analogo allo sguardo gay: occhi-punto mediano-occhi...
2) Perché noi vogliamo bene anche alle signore uscite dalle pieghe del cafonal più smaccato. Il tentativo di androidizzarsi in un ideale che non è nemmeno il loro e l'esibizione fiera del risultato trash fa, in primis, soltanto tenerezza.

mercoledì 7 maggio 2014

Mentirosa

È più grave sentire nella testa le voci di esseri soprannaturali o quando si ricevono mail da (gatto)demoni presumibilmente immaginari?
Sta meglio chi sente sussurrare parole di saggezza da un roveto ardente o chi discute tra sé e... boh! sull’uso del pecorino con le cozze?
Insomma, sto meglio io oppure quella svitata di Giovanna d’Arco?
C’è chi, sul filo della sua pazzia ha compiuto le peggiori nefandezze attribuendole alla volontà d’un fantomatico essere che gliele avrebbe suggerite all’orecchio.
Perché, occorre dirlo, la follia non è responsabile, ma vigliacca e subdola, e le voci di dentro hanno  sempre buon gioco, alla fine, con chi dà loro spago.
Gli altri, sì, son capaci di fare cose davvero strane. E pericolose, a volte.
Io, invece, al massimo posso mettermi a cucinare.
Magari cose astruse, non lo nego, ma pur sempre (finora) commestibili.
Sì, sono decisamente un pazzo innocuo, e la cosa mi rasserena, anche quando poso di nuovo gli occhi su quella mail, la leggo e la rileggo e non so se ridere o piangere.
Avere un demone analfabeta è stata la fortuna di tanti sciroccati del passato, più o meno remoto.
A un pastorello cosa avrebbe potuto suggerire il daimòs interiore? Al massimo di dar fuoco al covone di fieno del vicino.
Ogni cosa, insomma, aveva il suo ambito e il suo dominio.
Qui invece il mostro – sì, occorre che lo chiami tale. Anche se… – si allarga serenamente, prende possesso di spazi che prima non contemplava, e lentamente tende ad invadere la realtà, o quella che noi crediamo tale.
Philip K. Dick, che di disturbi della psiche se ne intendeva, scrisse che “la realtà è quella cosa che non passa anche quando smetti di crederci”.
Ora io rileggo la mail e non ci credo, ma lei c’è. Fa parte del mondo reale.
Colpa mia che gli ho insegnato a leggere e a scrivere?
Ho forse aperto il vaso di Pandora? Le cose “di là” hanno trovato una strada per insinuarsi nel nostro mondo, per seminare in esso i semi del caos e dell’entropia?
E allora pian piano in tutto il mondo circolerà Leppagorre.
Parlerà a chiunque, farà cucinare tutti, farà dilapidare intere fortune in guanciale e culatello.
Insomma, una catastrofe.
E infine, pian piano, “El mundo será Tlön” come scrisse, quasi per scherzo, Jorge Luis Borges (1)
In attesa dell’evento mi rileggo la lettera, prendo mano agli attrezzi – di cucina, ovviamente – e inizio a impastare, mescolare e cuocere.
Metti che Tlön mi trovi impreparato…

Da:leppagorre@tiscali.it 
A:  muccardo@tiscali.it
Provenienza del messaggio: Mosca (L'indicazione della città è approssimativa)
Oggetto: Tanti saluti da me!
Caro Ri  - così mi chiama Leppagorre, tra me e me, e così riporto, testualmente - 

finalimenti sto facendo la mia tanto sospirata vaccanza a la ricerca di statue o monumenti rafigurosi di gatti. (2)
Sono in Russia, e lo so che rosichi ma come ben sai, noi gattodemoni abiamo le felicitazzioni pe viagiare. Eh, eh.
Ai visto come ò imparato a scrivere bene?
Non ti lamentare poi, che no ti aiutto a ricopiare li appunti di cucina.
Sto assieme a Behemoth, che il posto lo connosce bene, ma mi sa che mi frega perche mi sono spariti già ciento rubbli e un cotecchino che m'ero portato per fare merenda.
No so sicuro che è stato lui, e no lo posso acusare, ma ride sempre, cosa che noi gattodemoni faciamo spesso quando mandiamo giu un cotecchino intero.
Ò gia visto il gatto di Kazan, col monumento a baldracchino con quello che Behemot dice che à fatto da modello.
(3) 
Dici che non li devo credere? Se dice le cose come gioca a carte sono fregatto.
Mi à racontato la storia della zarina che è venuta e non à visto sorci e perciò s'è fatta portare a Pietrobburgo una marea di gatti Kazani per magnà i topi di lassù.
(4)

Pare che qui i gatti sono molto bravi a caturà i topi.
Ti ò fato un regalo e te lo facio gia vede: una stampa con il gatto Kazano e su scritta una cosa che quando Behemoth mela letta abbiamo riso due ore filatte: "Gatto di Kazan, mente d'Astracane e ragione di Siberia, visse dolcemente, mangiò dolcemente e dolcemente schiureggiò."
(5)


Pare che era una presa in giro dello zaro... (6)
Non è carino?
Quando poi li ò detto che tu cantavi sempre una canzoncina che faceva "Maramao perché sei morto" che era riferrita a Musolino abiamo riso ancora di piu.
Siamo stati pure a Kiev, dove c'è molta molta confussione ma che Behemoth giura d'avere visto in tempi pegiori.
Si vanta che è pieno di statue di lui
(7), ma secondo me è un altro trucco per stuppirmi.
Poi siamo andati alla Scar-Ola
(8) dove cè una statua di gatto seduto in panchina. (9)
Mi ci sono messo vicino e la gente mi stroffinnava il muso, facendomi stranutire.
Ci siamo rubati due barili de aringghe in salamoia che ci ha fatto dormire per due ore come li pitoni.
Ti mando una riceta di dolce, che poi magari la provi e vedi se ti piace e anzi ti dico subito che mi ci piace la menta quindi vedi un potté.
Adeso vado a conosce Beghemoth vero, anzi no quelo vero ma quelo del museo che lo chiamano così e ci si fanno le foto tutti.
(10)

A pesto
Leppagorre

P.S.  Cuando Beghemoth vero à visto Beghemoth l’amico mio ha fatto un salto così alto e è scapato via. Li cadevano li peli a cioche. Poverello.


La ricetta mandatami da Leppagorre non è poi così originale, ma si capisce: è così preso dalla sua vacanza...
Si tratta di una torta dove l'impasto è formato da una pasta biscotto che viene cotta a strati sottili e poi farcita di creme e glassata a piacere.
Nell'Europa dell'Est questo tipo di torte è molto diffuso, basti pensare alla famosa torta Dobos, ungherese ma ormai universale.
Questa invece è ispirata alla "Дамский каприз", ovvero Capriccio di dama, una vera golosità al cioccolato.
A me però serviva solo l'idea per farcirla alla maniera della Torta Calla, tanto per restare sul dietetico.
E alla menta, come ha suggerito - e preteso - il mio demoniaccio.
E visto che ogni demone è mentiore, potrei chiamarla:

Mentirosa
Per la pasta biscotto
2          uova
210 g    zucchero
50 g      burro (o 40 g di olio di semi)
2 cucchiaini di lievito
2 cucchiai di miele
2-3 cucchiai di cacao
farina q.b.
Si miscelano in una bastardella - Come direbbe Alessandro Fullin: "un recipiente per sbattere gli albumi o un'amica poco fidata" - posta a bagno maria tutti gli ingredienti tranne la farina e il cacao.
Si lavora con la frusta per amalgamare bene il tutto almeno per 5 minuti, e quando il composto darà gonfio e spumoso si aggiunge il cacao, incorporandolo bene.
Si toglie quindi dal fuoco e si inizia a versare la farina - ce ne vorranno almeno 3-400 g ca. - lavorando con un cucchiaio fin quando l'impasto sarà abbastanza sodo da poter essere scatafrombolato sulla spianatoia e steso con il matterello ad un'altezza di 2-3 millimetri.


Con questa sfoglia formare un rettangolo di pasta o dei dischi, a seconda del dolce che si vorrà comporre.
Nel mio caso ho ricavato 12 dischi da 14 cm più alcuni biscottini che, farciti con la meringa italiana, hanno costituito un ottimo genere di conforto.
Di dischi ne usati solo 8, ma le dosi del biscotto sono molto indicative, visto che la ricetta nasce per una torta rettangolare.
Per una torta di 20 cm di diametro dovrebbe comunque bastare.


Mettere sulle teglie rivestite di carta forno i dischi di pasta e cuocere a 180° per circa 5 minuti.
Ogni forno fa storia a sé, e infatti occorre stare attenti perché in cottura l'impasto inizia a gonfiarsi leggermente, poi cuoce rimamendo morbido, e quindi inizia ad asciugare... e troppo, biscottandosi.
Fare quindi una prova con un solo disco di pasta per capire quale tempistica seguire con il proprio forno.
Una volta raffreddato il disco deve essere cedevole, né troppo morbido né troppo biscottato.
Far raffreddare su una gratella i dischi e procedere alla preparazione della farcia.

Farcia
250 g       mascarpone
250 ml      panna
80 ml ca.  sciroppo di menta
50 g ca.    gocce di cioccolato
Iniziare a montare la panna insieme al mascarpone.
Appena inizia a prendere consistenza aggiungere, poco alla volta, lo sciroppo di menta.
La quantità richiesta di sciroppo è indicativa poiché dipende dal produttore.
Possono esserne sufficienti solo 50 ml o arrivare a 100 ml.
Nel dubbio, terribile ma solubile, assaggiare.
Indi farcire.
Si parte da un disco base che si spennella con poco sciroppo di acqua e zucchero, quindi  si spalma una generosa bicucchiaiata di farcia, si tempesta di gocce di cioccolato e si procede col disco seguente fino all'ultimo, che andrà anch'esso farcito.
Spalmare la farcia anche sui bordi in modo omogeneo, aiutandosi con una spatola.
Mettere in frigo e preparare la decorazione.
Sono sufficienti 150 g ca. di cioccolato fondente.
Ritagliare un foglio d'acetato lunghi quanto la circonferenza dei dischi di biscotto, quindi spennellarlo con del cioccloato fuso a bagnomaria.
Far rapprendere un minuto in frigo, quindi passare un secondo strato di cioccolato.
Circondare la torta con l'abbraccio cioccolatoso e far rapprendere in frigo.
Togliere con delicatezza il foglio d'acetato attorno alla torta.
In superficie basterà aggiungere dei trucioli di cioccolato: grattugia a denti larghi e via.

Una delizia.
Reale, questa sì.


Detto romano del giorno
Er savio se vince co' la raggione e er matto cor bastone.

Oggi ascoltiamo
Queen - I'm Going Slightly Mad
https://www.youtube.com/watch?v=Od6hY_50Dh0

NOTE
1) Nel racconto "Tlön, Uqbar, Orbis Tertius", dalla raccolta “Finzioni”, il capolavoro di Borges.
2) Non lo sapevo ma il mondo è pieno di statue di gatti, soprattutto in Russia. E nelle fogge più insolite, poi:

Questa è sulla facciata d'un teatro a Nižnij Novgorod, tra Mosca e Kazan'. Una divertente galleria è qui.
3) Sulla centralissima via Bauman, è stato costruito nel 2009 dallo scultore Igor Bašmakov.

Qui in fase d'opera.
4) La storia risale ai tempi di Pietro il Grande, che si mangiò le mani quando s'accorse che antiche mappe e preziosi dipinti della sua collezione erano stati rosicchiati dai topi. Poi notò che grazie al micetto olandese regalato alla figlia Elisabetta non v'era più anima viva di roditore nei paraggi, e così San Pietroburgo iniziò a popolarsi di gatti, specialmente quelli provenienti dalla regione di Kazan', dove la zarina Caterina II aveva notato la totale assenza di roditori. C'è da dire, però, che la zarina non s'era accorta di ben altri particolari, come i fondali dipinti in stile Cinecittà che da lontano raffiguravano prosperi villaggi  ma nascondevano in realtà le miserie del suo regno.
I "gatti dell´Hermitage" sono dei veri e propri “Guardiani delle Pinacoteche”, status concesso loro da Caterina con tanto di diploma. Ognuno di loro possiede un passaporto elettronico, ossia un chip sottocutaneo come lasciapassare per il museo di San Pietroburgo.
A sovrintendere al loro benessere c´è addirittura una “vicedirettore del servizio di sicurezza” come è pomposamente definita la signora Tatjana Nikolaevna Danilova.
I gatti sono amati, nutriti, coccolati, e curati quando si ammalano. I dipendenti del museo li conoscono ognuno per nome, scelto con accuratezza per rispecchiarne il carattere.
I gatti dell’Ermitage sono sopravvissuti alla Rivoluzione d’Ottobre e hanno continuato il loro lavoro anche durante l’epoca sovietica. Non resistettero tuttavia all’assedio di Leningrado, tra il 1941 e il 1945, quando la popolazione affamata li  mangiò tutti. E quindi la città fu invasa dai topi. Ma appena concluso l’assedio, a Leningrado arrivarono dalle regioni centrali della Russia due interi vagoni carichi di gatti, che costituirono il nucleo centrale di un nuovo squadrone di cacciatori di topi.
Il numero dei gatti non ha smesso di aumentare fino a raggiungere nella seconda metà degli anni Sessanta un livello senza precedenti. I felini a quel punto avevano invaso tutti i sotterranei, le stanze e i corridoi del museo e l’amministrazione del museo ricevette l’ordine di sbarazzarsene, cosa che fece. Ma qualche anno dopo, le guardie con la coda hanno dovuto essere richiamate, perché nella sua lotta per la tutela delle preziose opere il museo non poteva fare a meno di loro.
(Notizie tratte da qui e qui).
5) «Кот казанский, ум астраханский, разум сибирский. Славно жил, сладко ел, сладко... бздел».
6) Proprio lui, Pietro il Grande, con i suoi baffi diritti e gli occhi sporgenti. Almeno pare.
7) Non bisogna credere in tutto quello che dice un gattodemone. Se poi è Behemoth, allora...
Comunque la sua statua c'è, un po' bruttina a dire il vero, sulla parete del museo "Casa di Bulgakov" ucraina, sull'Alexandrovsky spusk.


Questa, invece, in piazza Zolotovorotsky, non è dedicata a Behemoth, checcé ne dica lui:


Si tratta invece di Pantjuška, il persiano grigio di Margarita Sičkar, proprietaria del ristorante "Pantagruel". Il gattone era davvero molto popolare perché s'aggirava continuamente per i tavoli come un cameriere premuroso (o come un gatto subdolo, direbbero alcuni...). In ogni caso i clienti l'amavano molto, tanto che quando nel 1998 il gatto morì in seguito a un incendio scoppiato nel ristorante, venne subito raccolto il denaro sufficiente per fare una statua di bronzo in suo onore, proprio davanti al locale.
8) Joškar-Ola, capitale della Repubblica Federativa Russa di Mari-El.
9) Donato alla città dall'imprenditore Sergej Jandubaev. Costruito da un'idea di El Leonid Markelov, pesa 150 kg. È diventato subito un'attrazione cittadina, tanto che gli studenti della Facoltà di Giurisprudenza hanno già diffuso la credenza che strofinare il muso del gatto prima d'un esame porti fortuna.


10) Al museo Bulgakov, sulla Sadovaja, proprio al famigerato numero 50, dove nel romanzo "Il Maestro e Margherita" succede davvero di tutto, compreso il ballo di Satana.
Questa fu in realtà una delle case di Bulgakov, e per anni è stata meta di pellegrinaggi da parte degli appassionati del romanzo, tanto che le autorità si sforzavano di imbiancare i muri dell'androne e del pianerottolo ricoperti ogni volta da scritte, poesie, disegni e graffiti vari.
La chiesa ortodossa vi organizzò addirittura una processione per cercare di benedire la zona, a suo dire maledetta dal demonio...
Oggi è un museo in nome dello scrittore e ovvio che come mascotte non poteva mancare un gattone nero.
Il nome? Ma Behemoth, no? Che domande!


Il gattone pare molto a suo agio nel ruolo di guardiano-mascotte...
E come tutti i gatti, consapevole della sua superiorità, fa anche il vanitoso...

sabato 3 maggio 2014

Sformatini "universali" e "pesce" ripieno

Mi piacciono le ricette "aperte", quelle con cui si può spaziare con gli ingredienti su diverse dimensioni: sapori, consistenze e tipi di preparazione.
E mentre con la pasticceria le regole sono un po’ più rigide e non si può quindi sgarrare di molto senza “uscir fuori con l’accuso”, come si dice nel gergo delle carte, in molte ricette di cucina sono invece permesse infinite (o quasi) variazioni.
Basta citare quelle a base di pasta o di riso, per esempio. O ancor più le minestre.
Ma anche i timballi e le torte salate non scherzano mica.
Per caso mi imbattei… no, non “in un cargo battente bandiera liberiana”, sic Manuel Fantoni docet (1) ma in una rivista in cui venivano proposti degli appetitosi “Sformatini di carciofi”.
E siccome sono più curioso di un gerbillo nepalese (2) mi sono messo alla ricerca di ricette simili.
Solitamente quando mi diletto in simili ricerche compilo tabelle comparate per confrontare le dosi e gli ingredienti utilizzati, ma anche per capire “la Legge” che sta dietro quel ricco ventaglio di preparazioni.
Un po’ come per la Quattro-quarti: una volta capito che le dosi devon esser quelle e il procedimento è invariabilmente lo stesso, la si può riconoscere anche mascherata da contessa Mircalla (3).
Alla fine dei giochi, per gli sformatini vi è sempre lo stesso procedimento, ed è richiesta una stessa “base”, alla quale si può aggiungere, applicando la nostra fantasia (più o meno malata che sia), veramente di tutto.

Base per sformatini
500 ml    besciamella
quindi:
    500 ml latte
    50 g    burro
    50 g    farina
2    uova
40 g    formaggio di media stagionatura (Asiago, Caciotta, Caciotta, etc. A seconda del gusto)
Ingrediente X.
Preparare la besciamella. Il procedimento è ormai stranoto e non posso far altro che citarmi addosso.
Una volta pronta lasciarla intiepidire, quindi aggiungere le uova, il formaggio, grattugiato o a pezzettini minuti.
Poscia l’ingrediente X...
Versare il composto negli stampini, individuali o meno, imburrati e infarinati (a meno che siano di silicone, in qual caso lasciarli così, lindi e pinti).
Cuocere a fuoco moderato, i soliti 180°, per 40 minuti circa, a doratura.

 
E l’ingrediente X?
Per quanto riguarda la ricetta che lessi nella rivista, questo consisteva in un chilo di carciofi, mondati, tagliati a spicchi e stufati per 15 minuti in un tegame assieme a 50 g di burro.
È facile capire che, se si preferiscono le verdure, al posto dei carciofi si possono utilizzare broccoli, broccoletti, spinaci, cipolle, peperoni, piselli, carote, melanzane, e chi più ne ha più ne metta.
Qui sta il bello.
Se invece si vuole utilizzare la carne o il pesce nulla ci vieta di imbesciamellare bacon a dadini, o macinato di manzo (o maiale o tacchino, o misto) aromatizzato alle spezie, o merluzzo (o altro pesce bianco, magari del baccalà) insaporito alle erbe, o pollo arrosto avanzato dalla cena prima (magari sminuzzato e ripassato nella cipolla, o nell’aglio, o anche in tutti e due. Con il sottofondo di spezie tropicali, magari: noce moscata, cumino, cannella, macis, pepe...).
E se invece si vuole usare il formaggio, sappiamo già che esistono centinaia di tipi di formaggi adatti alla bisogna, l'importante è che siano di media stagionatura, qunidi né troppo asciutti né troppo sierosi: gorgonzola, provolone, scamorza (magari affumicata), caciotta laziale (o toscana), pecorino sardo…
E basta, altrimenti la salivazione rischia di farmi andare in corto circuito la tastiera.

Però, se nel contempo avanzasse anche della pasta violata, o finanche della pasta brisée, che farne?
Lasciarla ad ammuffire tristemente in frigo come Cenerentola davanti al camino? No di certo.
Allora, da brave fatine – di cento chili ma pur sempre fatine – bisogna armarsi…
No, non di bacchetta: con la bacchetta ci giriamo il sugo.
Armarsi, piuttosto, di insaccati e/o di verdure da farne un saporito ripieno.
Deporre la pasta in una ciotola ovale non troppo profonda.
Quindici o venti centimetri di larghezza (sì, ovvio, il diametro più lungo…)

 
Un letto di prosciutto cotto, o di coppa emiliana, o di speck, o di funghi, se la carne ci infastidisce, o di formaggi se i funghi ci sono intollerabili, o di sole verdure se anche i formaggi ci provocano urticaria fisica o etica.
Verdure… Devo ripetermi?
Broccoletti – magari ripassati in padella con aglio, e magari peperoncino, che ve lo dico a fà – o carciofi stufati – sì, di rimanere appesi sul carrello delle verdure o in frigo – o broccoli romaneschi – anche qui aglio, ma anche pancetta d’accompagno, e in tal caso senza letto d’affettati, ovvio - o...


Richiudere i due lembi più lunghi verso l'interno, quindi ripiegare anche uno dei due più piccoli.
Il rimanente tagliarlo in modo che, ripiegato anch'esso, assuma la forma di una cosa di pesce.


Un chicco d'uvetta ammorbidito fungerà da occhietto, e altri pezzetti di pasta da pinne dorsali e caudali, da fissare con un po' d'albume, o anche con solo una pennellatina d'acqua.
Qui l'allegra compagnia in attesa che si compia il loro (grato) destino.




Finire nelle panze di persone che sappiano apprezzarli.

Aforisma del giorno
Le cose note mi rassicurano. Quelle ignote mi incuriosiscono. Solo quelle impossibili mi atterriscono.

R.D.

Oggi ascoltiamo
Lucio Dalla - L'ultima luna - 1979

https://www.youtube.com/watch?v=ephDzivVr0I

NOTE
1) Manuel Fantoni è l’ormai mitico personaggio del gigione nel film "Borotalco" di Carlo Verdone (1982), interpretato dal bravo Angelo Infanti.


È il prototipo, se non il vero e proprio archetipo, del seducente Don Giovanni, dell'immaturo Peter Pan, dell’inguaribile cialtrone, o der cazzaro, come soavemente diciamo in area capitolina.
Dall’incipit del monologo - Sergio Benvenuti, ossia Verdone, non parla mai, irretito dalla sua verve - la dice tutta: “Ma quale verità. La verità non esiste! La vita è tutta un palcoscenico!… Ma sì, è fatto di grandi attori e di comparse”


2) Il gerbillo è un simpatico roditore della famiglia dei Muridi, sottofamiglia dei Gerbillinae. È ormai considerato, al pari dei criceti e dei conigli nani, un animale da compagnia.


Non so se esistano davvero gerbilli sugli altipiani nepalesi, in tal caso potrebbe trattarsi della Tatera indica, ma immagino che se ci fossero sarebbero curiosi come scimmie, vista la poca varietà del paesaggio locale. Di sicuro, però, esiste il Gerbillo della Mongolia, che nelle steppe sconfinate spazzate dal vento non se la deve passare meglio del cugino nepalese in quanto a ennui esistenziale.
3) E cos’è la Sacher se non una Quatto-quarti in cui un velo di glassa al cioccolato nasconde il peccato di aver inglobato un ulteriore quarto al cioccolato e mezzo barattolo o più di marmellata d’albicocche?

giovedì 1 maggio 2014

Cvema Pisellonia

È il mio sogno: entrare in sala da pranzo dove m'aspettino una decina di ospiti, vestito come il Ponzio Pilato del film "Brian di Nazareth" ed esclamare, con tracotante candore: ”Vi pvego, silenzio, vagazzi! Ho pvepavato una cvema mevavigliosa. In onove di un mio gvande amico di Voma si chiama Pisellonia”.

 Michael Palin nel ruolo di Pilato

Ovvio che verrei sommerso dagli sberleffi.
Qualcuno forse si strozzerebbe con gli antipasti scompisciandosi dalle risa.
Si sa, gli amici sono sempre indulgenti con le nostre debolezze...
Ma lo farei unicamente in onore dei Monthy Python, del cui imperdibile "Life of Brian" sono un cultore entusiasta.
Solo quei geniacci avrebbero potuto trattare il tema della vita di Cristo senza risultare mai volgari, disseminando il film con una sequela di personaggi paradossali che, nella loro ridicolaggine svelano il ridicolo assurdo che c'è nel senso religioso quando è carente o sprovvisto di senso critico.
Cioè, vale a dire sempre.
Uno sketch dopo l'altro, in un rosario continuo di trovate dalla comicità immortale.
Dalla nascita di Brian, scambiato per il messia dai Re Magi che, accortisi dell'errore, tornano a riprendersi i doni, alla scena della lapidazione pubblica, che era riservata ai soli uomini, e quindi l'escamotage delle donne, che si travestono con tanto di barbe finte, offerte dagli inevitabili venditori ambulanti, pur di godersi lo spettacolo.
Dalla satira feroce verso l'organizzazione rivoluzionaria anti-imperialista, il "Fronte Popolare di Giudea", che si scinde in mille rivoli e si perde in verbose mozioni e in quisquilie metodologiche, alla scena della frase "Romani andate a casa" scritta sul muro da Brian che, sorpreso da un centurione, è costretto a riscriverla cento volte su tutta la parete in latino corretto.
Dal fatto che Brian venisse continuamente considerato il messia, nonostante facesse di tutto per dissuadere la folla ignorante  che aveva comunque bisogno di vedere in lui l'eletto, alla scena del confronto con Pilato, il temibile procuratore della Giudea, la cui autorità è minata dal suo vezzoso rotacismo.
Questi lo mette a morte, non senza aver punito anche i soldati che si sbellicano dalle risa al solo sentire il nome del suo amico di Roma, Marco Pisellonio (Biggus Dickus, nella versione originale) e di sua moglie, Incontinentia Deretana (Incontinentia Buttocks, c.s.).
E, dulcis in fundo, durante l'episodio più doloroso della cristianità quando, tra le croci issate sul Golgota, uno dei condannati cerca di consolare Brian cantando una canzoncina in stile disneyiano che l'esorta a "guardare sempre il lato positivo della vita", e con tanto di allegro fischiettio...
Insomma, un film indimenticabile, sotto tutti i punti di vista, ma che ma in Italia è stato distribuito solo nel 1991 pur essendo stato realizzato nel 1979.
Chissà com'è...


Cvema Pisellonia
400g    piselli
300ml    besciamella
Sale, pepe, parmigiano grattugiato a volontà.

Preparare la besciamella, nello stile che si preferisce:
1) Classico
30 g burro sciolto in una pentola e unito a 30 g di farina, fatto cuocere per qualche minuto.
Unire poi un quarto di latte e rimettere sul fuoco mescolando con la frusta per evitare il formarsi dei grumi. Far addensare a fuoco medio.
2) Leggero
Al roux di burro e farina aggiungere del brodo caldo al posto del latte e procedere con la cottura c.s.
3) Leggerissimo
Niente roux di burro e farina: scaldare un quarto di latte e aggiungere un paio di cucchiai di fecola sciolti in poca acqua (o latte) fredda. Per la cottura procedere c.s.
4) Leggerrimo (E passatemi 'sta licenza impoetica...)
In un quarto di brodo aggiungere un paio di cucchiai di fecola sciolti in poca acqua fredda.
Portare quindi a bollore per far addensare.
5) Suinico
Al roux di burro e farina aggiungere 125 ml di latte e altrettanti di panna liquida.
Anche da cucina, sì.
Stessa procedura di cottura.
6) Suinerrimo (Ariecchilo!...)
Roux burro e farina, e qui non ci piove. Ma come parte liquida panna. Solo panna.
In quest'ultimo caso si consiglia di prendere i fogli delle ultime analisi del sangue, stracciarli a pezzettini piccolissimi, aiutandosi con delle forbici da sarta, e farne degli allegri coriandoli da lanciare ai vostri ospiti per allietare la cena.

Lessare i piselli in abbondante acqua salata.
Dubbio del secolo: ma quand'è che i piselli possono dirsi cotti?
"Ma quando cadono ai tuoi piedi, cretina!" - Direbbe lei, e non a torto.

Comunque quando la buccia diventa tenera, e senza aggiungere altri commenti per un inconsueto senso del pudore residuo.
Ridurli in purea con il setaccio o col frullatore ad immersione.
In tal caso aiuterà l'operazione l'aggiunta della besciamella ai piselli.
La proporzione piselli-besciamella è del tutto indicativa e dipende da quanto si vuole ottenere cvemosa la Pisellonia.
Se dovesse risultare troppo densa allungare con del brodo.
O con poco latte.
O con dello yogurt.
O con dell'acqua...
O co l'accidenti che te spacca, direbbe invece lei.
Salare e pepare a piacere, manco a dirlo.

Tanto slancio, tanto spirito di iniziativa, tanta fantasia e poi niente, solo una valanga di montante vergogna preventiva. 
Allora, per non esagerare, via la toga, via gli alamari, via i bracciali trovati nell'uovo di pasqua e, con casalinga sobrietà lo presento così...

 
In tazza, con decorazione di crostine di parmigiano grattugiato (sciolto al microonde o in un padellino a cucchiaiate, magari su un pezzo di carta forno, per evitare ulteriori danni).
Se ci sono anche quei salatini piccini con semi di papavero o dei sesamo, messi a galleggiare nel mare verdissimo di questa deliziosa Cvema Pisellonia.

Detto romano del giorno
Aho, quanno uno è semplice, è semplice, eh!

Oggi ascoltiamo

Monty Python - Always Look on the Bright Side of Life
https://www.youtube.com/watch?v=jHPOzQzk9Qo

Che tipi, quei Monty! Quando nel 1989 morì Graham Chapman - che nel film in questione interpretava il ruolo di Brian, il personaggio che veniva continuamente scambiato per il messia - i Python rimasti e gli amici e parenti più cari tennero un memoriale privato all'ospedale St. Bartholomew due mesi dopo e John Cleese proclamò in sua memoria il primo discorso della storia dei funerali e delle commemorazioni che avesse un tono spensierato e ironico. 
Disse tra l'altro: "Ieri sera stavo scrivendo questo discorso e Graham mi ha sussurrato all'orecchio: "Molto bene, Cleese. So che sei orgoglioso di essere la prima persona ad aver detto shit alla TV britannica. Se questo discorso è davvero per me, giusto per cominciare voglio che tu sia la prima persona ad un memoriale britannico ad aver detto fuck".
Anche Palin parlò, e disse che gli piaceva pensare che Chapman fosse lì con loro quel giorno, "O almeno, che ci sarà tra 25 minuti", riferendosi agli abituali ritardi di Chapman ai loro incontri di lavoro.
Quindi cantarono "Always Look on the Bright Side of Life" e alla fine Idle, per non essere da meno di Cleese, disse: "Vorrei solo essere l'ultima persona a questo memoriale a dire fuck".
Degli irriverenti ragazzacci? Eppure nel 2005 un sondaggio di Music Choice mostrò che questa era la terza canzone più popolare che i britannici avrebbero voluto che venisse cantata al loro funerale («Angels 'favourite funeral song'», BBC News, 10-03-2005).
Che dio - ops! - benedica lo humor inglese!