giovedì 30 gennaio 2014

Tiramisù all'ananas

- A zì!
- Eh!
- O zì!!!
- Ehhh! Che c'è Babà? Muoviti, su!
- Ma che me si messo n'gollo? (Trad. Ma cosa mi hai messo addosso?)


- Ma come, cosa ti ho messo, ma il tuo impermeabilino, no? Guarda quanto sei carino!
- Me sti a prenne pe lo cu...
- Zitto, cafonaccio! Metti il muso fuori e guarda. Vedi? Piove dalle cinque del mattino. Pensi che si possa uscire a fare i bisogni senza niente addosso?
- Epperché?
- Perché poi rientri zuppo a casa sono costretto a doverti asciugare per bene, e senza phon, tralaltro. E inoltre l'odore del tuo pelo bagnato non è che sia tra le cose più piacevoli del mondo, sai?
- Boh...
- Certo, a te piacciono "le puzze buone", come le chiami tu. Ancora mi ricordo quando ti sei tuffato in quel tortino di mucca e... oh, non ci posso pensare!...
- Io co sto coso ngollo nun ge esco!
- E va bene... Vorrà dire che chiamerò Gamera e ti farò convincere da lui!
- Ga...che?
- Gamera! Un terribile mostro, metà tartaruga assassina e metà esattore delle tasse! È enorme come dieci zìì e cammina all'impiedi facendo tremare la terra; e mentre con le zampe davanti distrugge tutto quello che incontra urla, e il suo ruggito è dieci volte più rumoroso del tranvetto sulla Casilina! E lo sapevi che a lui piace moltissimo sgranocchiare le ossicine dei cagnetti disobbedienti?

- Ma... ma... mangia... i cani?...
- Li adora! E senza lo yogurt sopra, come fai tu con le tue crocchettine, caro mio! Prende il canetto tra le zampe e inizia a rosicchiarlo... E da vivo, eh? E sgrrrf... sgnarfff...sgrangnarmmm!
- O zì, uscimo, uscimo, sennó me la faccio sotto!
- Andiamo, su!

- Ahahahahahahha!
- La smetti di ridere?
- Ahahahahahahahahaha! Zuppo!... Ahahahahahahha! Zuppissimo lo zio!
- E va bene! Mi son messo lì a bardarti ber bene e non ho preso l'ombrello per me, e allora?
- Ahahahahahahha!
- Vuoi coglionarmi tutto il giorno? Guarda che giornata tetra! Ci manca solo lo sfottó...
- Lo che ?
- Niente, niente... E che ci vuole in una giornata come questa?
- Lo tortino de mucca, zì! Un zarto dentro abbocca aperta e...
- Zitto, che ti fulmino! Anzi, meglio: ti lascio qua sotto col tuo impermeabilino rosso e chiamo al cellulare il Lupo Cattivo. La sai che adora i cagnetti vestiti come Cappuccetto Rosso, vero?
- Ma che me stai a dì, o zì! Lo lupo l'ha morto lo cacciatore! La sapevo, questa! Me voi solo mette paura!
- E vabbè, vabbè, sarà stato pure... morto, come dici tu, dal cacciatore, ma di sicuro avrà qualche fratello, pure lui cattivo, da qualche parte...
- Ah, nun ce credo, me sti a prenne pe lo cu...
- E va bene, va bene! Scusa, ma era l'unico modo per farti uscire. Non voglio mica che ti prenda un malanno. Guarda qua, piove ancora... Che tristezza... Ci vorrebbe... ci vorrebbe...
- Lo tiremesù!
- E tu che ne sai del tiramisù?
- Eh, zì, lo sti sembre a nominà! E "tiremesù" de qquà, "tiremesù" dellà! Ma nun de fà collo caffè, che te fa nervoso!
- Sì, senza caffè... E allora, sì... vediamo... Ma sì! Un bel tiramisù all'ananas!
- All'ana... che?
- Niente, niente. Su, mangia le crocchettine tue.
- E lo yogurte nun ge lo metti?
- Ecco lo yogurt... Tiè. Fatte grosso!
Tiramisù all'ananas
(ideale per le giornate tetre)
400 g ananas. Uno medio fresco o una confezione di quello in sciroppo.
250 g mascarpone
2        tuorli
100 g zucchero
200 g biscotti savoiardi (una ventina, ossia due "blister" di quelli confezionati)
Pulire l'ananas, o se si usa quello in scatola scolarlo dal liquido di conserva, e tagliarlo a dadini.
Lasciarne un paio di fette per decorare la superficie del dolce.
Mettete un bicchiere d'acqua sul fuoco e farvi sciogliere un paio di cucchiai di zucchero.
Unite allo sciroppo un po' di purea di ananas che avrete preparato frullandone una manciatina.
Quindi passare a preparare la crema: lavorate i tuorli con lo zucchero fino a renderli belli chiari e spumosi. Unite pian piano il mascarpone e... prendere quindici gocce di lexotan dritte dritte sulla lingua, perché la tentazione di divorare il tutto sarà troppo, troppo forte.
Bagnare uno ad uno i savoiardi nello sciroppo e disporli in fila sul fondo di una pirofila (o d'una vaschetta d'alluminio), quindi distribuite metà della crema sulla superficie di biscotto, cospargerla con l'ananas a pezzetti e ripetere l'operazione con un altro strato di biscotti imbevuti e la crema rimasta.
Che lavorone, eh? Altro che haute cuisine! Tsé!
Prendere le fette di ananas da scenografia e distribuirle sulla superficie del dolce.
Coprite con un foglio di alluminio e mettete in frigo a riposare.
Il tempo necessario a che i biscotti si impregnino per bene da soli.
Ripeto quello che, secondo me, rende ottimo un tiramisù: non spappardellare i biscotti nello sciroppo (o nel caffè, nel caso del tiramisù classico). Leggermente imbevuti, ma non grondanti.
Lasciando la parte interna un po' asciutta, che possa ammorbidirsi pian piano nell'oretta di riposo in frigo.

- Ahhh, ci voleva proprio!...
- Angh'io, angh'io, angh'io!
- Babà, hai mangiato adesso, che altro cerchi?
- Angh'io, angh'io, angh'io!
- Ma che, mi fai pure le moine? Pare che non mangi da due settimane!
- Angh'io, angh'io, angh'io!
- Gameraaa!

Detto romano del giorno
Er più pulito cià la rogna.

Quando in un gruppo di persone non ve n'è una, e dico una, che si salvi.

Oggi ascoltiamo
Lana Del Rey - Once Upon A Dream

http://www.youtube.com/watch?v=TZ44x0GnKh4&feature=youtu.be&a

lunedì 27 gennaio 2014

Spizzichina - crostata ricotte e visciole ebraico-romanesca

A Roma vive dal II secolo la comunità ebraica più antica d'Occidente, quella che nonostante tutte le vessazioni secolari e le persecuzioni dei tempi recenti ha saputo mantenere vive la sua cultura e le sue usanze.
Fu papa Paolo IV, con la bolla Cum nimis absurdum, a ordinare che venisse istituito anche a Roma, dopo quello di Venezia, un "ghetto", che lo stesso papa d'allora chiamò "il serraglio degli ebrei".
Era il 12 luglio del 1555 e da quel giorno vennero revocati tutti i diritti concessi agli ebrei romani, ai quali fu anche imposto come simbolo di riconoscimento un indumento celeste (1): un cappello per gli uomini e un velo, o qualcosa di simile, per le donne.
Ricorda qualcos'altro accaduto di più recente, vero?
Eppure Roma, quale centro del mondo antico, ha da sempre abituato i suoi figli a vedere gente d'ogni origine arrivare, acclimatarsi all'aria paciosa della città e farsi romani, anche se da nemmeno una generazione.
E gli ebrei a Roma divennero romani a tutti gli effetti, nonostante i pregiudizi e le persecuzioni di quello che il rabbino Toaff chiamò "antisemitismo di Stato e non di popolo", riferendosi alle leggi razziali del 1938 volute da Mussolini e firmate da "re Pippetto" (2).
Ed è proprio qui al ghetto che il dialetto romanesco ha conservato, grazie alla parlata degli ebrei romani, le sue forme più arcaiche, e anzi s'è arricchito dei termini tipici della cultura ebraica.
Hamos Guetta ha riportato in diversi filmati vari esempi di giudaico-romanesco, oltre a molte altre preziose testimonianze.

Eppure, la comunità ebraica ha da secoli fatto parte di quei capri espiatori con cui le società d'ogni tempo hanno sfogato le loro pulsioni più oscure, la paura e la diffidenza verso l'Altro e l'odio per ogni diversità dalla "norma".
La più drammatica persecuzione degli ultimi decenni è senza dubbio la deportazione del 16 ottobre del 1943.
Prima dell'alba, alle cinque del mattino, la Gestapo irruppe nel quartiere ebraico rastrellando casa per casa e portando via, verso i campi di sterminio, 1024 persone.
Le famiglie più abbienti erano già state segnalate da un'efficiente rete di delazioni, e tutti i loro beni vennero sequestrati.
Un sito documenta in modo esauriente quello che accadde quella notte, tra la connivenza dei fascisti e il silenzio di Pio XII.
Solo 16 persone riuscirono a tornare indietro.
Tra loro una sola donna, Settimia Spizzichino.

Il quartiere Ghetto ha conservato tutt'oggi la sua particolarità, anche se non è più la zona dei soli romani di cultura ebraica.
Per tutta via del Portico d’Ottavia, fino al vecchio mercato del pesce, alle spalle del Teatro Marcello (che fece da modello per il Colosseo, essendo di ottant'anni e passa più vecchio) e tra i vicoli che s'aggrovigliano sui sampietrini si sente battere un cuore nel cuore.
Turisti con e senza papalina osservano a bocca aperta i palazzi medievali dove sono incastonati architravi, archi e sculture di marmo di epoca classica. Luoghi come questi (come anche la Crypta Balbi, che però è al riparo d'una struttura chiusa) testimoniano l'unicità di questa città, dove reperti preromani si fondono e si stratificano con quelli di ogni altra epoca successiva.
E proprio qui, all'inizio di via del Portico d’Ottavia, c'è una vera istituzione romana, il forno Boccioni.
Un forno dall'aspetto molto spartano,  dove è possibile acquistare, varie specialità della pasticceria ebraica: i ginetti, biscottoni da inzuppare nel latte, o i tozzetti alla cannella e le nocciole, oppure la pizza di beridde, con canditi e frutta secca, dall'elevatissimo peso specifico e altrettanto contenuto calorico.
E se si capita al momento giusto anche un bel cartoccio di mandorle salate tostate al momento, calde calde.
Ma, soprattutto, quella che è ritenuta la miglior torta di ricotta e visciole di tutta Roma (4).
Un guscio di pasta frolla che racchiude uno strato di marmellata di visciole e uno di ricotta.
In una sola parola: sublime.
La ricetta è segreta e nessuna dalle signore che vi lavorano la rivelerebbe per niente al mondo, e fa piacere che anche qui, come tra le pietre là fuori, vi sia qualcosa di unico e irripetibile.
Questa la mia rivisitazione, in onore degli ebrei romani e di tutti quelli che sono stati oppressi nei secoli solo perché colpevoli di essere quello che sono.


Spizzichina - crostata ricotte e visciole ebraico-romanesca

Pasta frolla
Quella che già conosciamo:
300 g farina
100 g zucchero
150 g burro
2 tuorli
Scorza di limone grattugiata e un pizzico di sale.
Lavorare il burro freddo a tocchetti con la farina, amalgamare con i tuorli e lo zucchero e far riposare l'impasto in frigo per mezz'ora, avvolto in pellicola per alimenti, o in un contenitore coperto.

Ripieno
400 g   ricotta romana di pecora
350 g   confettura di visciole (5)
140 g   zucchero
2         uova
2 cucchiai di rhum, poca cannella
Lavorare la ricotta con lo zucchero, aggiungere il liquore, la cannella e le uova.
Rivestire il fondo e i bordi d'una teglia da 24 cm con due terzi della pasta frolla, distribuirvi la confettura, e quindi il composto di ricotta. La confettura isola la frolla dall'umidità della ricotta e impedisce che in cottura questa si ammolli troppo.
Oltre a darle, nemmeno a dirlo, un sapore delizioso.
Con resto della pasta frolla formare un disco che andrà a chiudere il ripieno di ricotta e visciole.
Volendo lo si può spennellare con tuorlo d'uovo o anche solo con del latte, per farlo colorire in cottura.
Cuocere a 180° per mezz'ora, quaranta minuti e far raffreddare bene prima di sformare.

Detti ebraico-romaneschi del giorno
Tra zonòd e mezonòd se ne vanno li mangòd.
 
Tra prostitute e cibo se ne vanno i soldi.
oppure
Fiji, chamhn (6) e jenneri vanno presi come vengheno.
Esempio di tre cose che vanno prese come vengono: figli, chamhn e generi.

Oggi ascoltiamo
Lou Reed - Walk on the Wild Side

http://www.youtube.com/watch?v=0KaWSOlASWc

NOTE
1) Glauco, come si diceva una volta, un colore né verde e né celeste, né carne e né pesce, come dovevano esser considerasti allora e per molto tempo dopo gli ebrei: simili a "noi" ma altro da "noi".
2) Come veniva chiamato qui Vittorio Emanuele III di Savoia, per via della statura non certo da corazziere. D'altronde a quel tempo si usava anche dire "altezza è mezza bellezza"...
3) Sopravvissuta al lager di Bergen-Belsen e morta nel 2000, a cui Roma ha dedicato alla memoria il nuovo ponte Ostiense.
4) Ve n'è anche una versione al cioccolato e ricotta, altrettanto golosa.
5) Il ciliegio è di due specie diverse: quello a frutto dolce e quello a frutto acido. Quest'ultimo si divide in tre varietà: amarene, visciole e marasche. Le amarene hanno rami pendenti, foglie piccole e frutti di color rosso intenso, con polpa e succo di colore chiaro, usati per succhi e sciroppi. Le visciole hanno invece rami dritti a foglie grandi e i frutti rosso brillante, come pure la polpa e il succo, ideali per le marmellate. Le marasche, infine, sono piante di taglia piccola, come anche le foglie e i frutti, usati soprattutto per la produzione di liquori.
A Roma si usa(va) conservare le visciole in un barattolo, ben ricoperte di zucchero, alla luce del sole. Man mano che si maceravano lo zucchero ne tirava fuori il succo, che il calore del sole trasformava in sciroppo. Quando il liquido formato le ricopriva erano pronte da gustare nei dolci o sul gelato. Duravano per mesi, diventando quasi alcoliche per via della fermentazione. Una delizia...
6) Cibo sabbatico che si conserva al caldo, ma molto deperibile (Riccardo Di Segni, qui).

domenica 26 gennaio 2014

Beppa Giosef - Torta al pepe e cioccolato

Le ricette di torte quasisacher sono infinite, ma alla fine uno si ritrova a fare sempre le stesse, un po' per abitudine e un po' per non rischiare con qualcosa di non collaudato.
In cucina, però, a meno che non si debba portare qualcosa in una cena d'amici un po' schizzinosi, si può - anzi si deve - osare.
Sempre, anche a costo di sbagliare. Anzi, proprio per imparare dai propri sbagli.
La cucina fatta con amore non ha una mete ma solo percorsi.
Non serve solo a portare a tavola qualcosa di decente a chi si vuole bene - o a chi ci paga.
Serve a capire e ad esplorare.
Se poi la cosa funziona, bene: si sarà fatto qualcosa di cui andar fieri.
Le sorprese, poi, ripagano quasi sempre gli sforzi, anche se non è sempre così facile, anzi.
Però quando succede la sensazione è indescrivibile.


Questa volta la ricetta me l'ha data un'amica ormai da tempo in pensione.
Ma non è una tranquilla vecchina, di quelle col cache celestino, che si presentano la mondo in maniera impeccabile e si dividono tra l'uncinetto e i fornelli muovendosi con consumata abilità in una vita senza troppi scossoni.
E neppure una di quelle signore che hanno da raccontare un passato di forte presenza sociale - che una volta senza vergognarsi veniva chiamata lotta - e che con la loro caparbietà e la loro forza hanno contribuito a far sì che oggi sia normale pensare che una donna possa avere il controllo della propria vita e del proprio corpo senza renderne conto al proprio compagno.
Beppa Giosef è una banditessa. Proprio così.
Una che, come si dice qui, puzza de moriammazzato (1).
Una corposa virago con la passione per le armi da fuoco, che manovrava con rara abilità, e i giovanotti, che copriva di bigliettoni pur di circondarsi della loro compagnia.
È stata moglie di Ezechiele Bluff, il cui nome in effetti non dirà un gran che, se non associandolo a quello del più temibile criminale di tutti i tempi: l'efferato Superciuk, il super criminale dalla temibile fiatata alcolica che rubava ai poveri per dare ai ricchi. Questi, un netturbino - o devo usare con finto pudore l'eufemismo di operatore ecologico? tanto sempre di monnezzaro si tratta... - con la passione per i vini di pessima qualità, scoperto quasi per caso il suo superpotere si è subito mutato in un personaggio che pochi hanno avuto il coraggio di affrontare.
Solo lei, la giunonica virago dal neo peloso, sarebbe riuscita a domare un caratterino così bizzoso.
Solo lei, in grado di correre a perdifiato nonostante la mole e le scarpe ortopediche impugnando due mitragliette e sparando all'impazzata, avrebbe avuto ragione di un marito tanto inetto quanto pericoloso.


Solo lei, così truce ma anche così romantica..
Sì, perché anche lei ha un suo lato tenero - come tutti noi - anche se ben nascosto sotto uno spesso strato di sugna che lo isola e lo protegge dalle minacce esterne.
Chi se non lei, quindi, poteva escogitare una torta del genere?
Certo, sapendo che spesso nel cucinare zuppe per il marito lascia volentieri cadere nella pentola giganteschi ragni ed altre schifezze, verrebbe quasi da non fidarsi, ma un'occasione va data sempre a chiunque, e magari tra gli angoli scabrosi di questa donna può davvero nascondersi una dolce - e anche piccante - sorpresa.

Beppa Giosef - Una quasisacher al pepe
(da 20 cm di diametro o giù di lì)
150 g farina
150 g zucchero
150 g burro
100 g cioccolato fondente
3 uova
3 cucchiaini di pepe macinato
2 cucchiai di cacao (facoltativi)
un pizzico di sale
Il procedimento è quello delle paste morbide che abbiamo spesso visto, tanto per fare un paio d'esempi, sia per il Saccherpone che per la Torta Calla: occorre lavorare a crema il burro pomata, aggiungere lo zucchero e poi le uova, una a una, amalgamando bene il composto prima di aggiungere la successiva.
Quindi il cioccolato fuso (e fatto freddare), al quale io di solito unisco sempre un paio di cucchiai di cacao per rinforzarne il sapore. Lo so è un vezzo...
Poscia il sale, pepe e la farina, mescolando con cura.
Si mette a cuocere in forno a 180° per una quarantina di minuti e quindi, previa prova stecchino, si fa raffreddare bene prima di dividerla in due.

Per la farcia, invece della solita marmellata ci mettiamo: 

Crema all’arancia senz'uova
100 g  zucchero
50 g    farina
3         arance spremute
1         scorza arancia grattugiata
Mescolare bene tutti gli ingredienti e cuocere a fuoco basso, sempre mescolando, per far addensare.
Far intiepidire prima di distribuire nella torta.

Per la glassa si può usare quella che abbiamo visto qui:

Glassa al cioccolato pro-Sacher-e-non
100 g cioccolato fondente
70 g   zucchero
1 bicchiere d'acqua.
Una punta di peperoncino in polvere, davvero un'ombra.
Portare ad ebollizione l''acqua con lo zucchero, e cuocere lo sciroppo per cinque minuti.
Aggiungere il cioccolato a pezzetti e mescolare bene per farlo sciogliere.
Rimettere sul fuoco, a fiamma moderata, per far addensare la glassa, sempre mescolando.
È pronta quando, immergendovi il cucchiaio, questo risulterà velato.
Si lascia raffreddare fino a circa 40° circa: non deve più scottare toccandola.
E non facciamo i furbi che con la scusa immergiamo il dito e alla fine ne assaggiamo la metà, eh?
Messa la torta su una gratella vi si distribuisce sopra la glassa in modo possibilmente uniforme.
Avendo avuto cura di porre una teglia o una scodella sotto la grata si potrà raccogliere l'eccedenza di glassa e versarla di nuovo sulla torta. Un'operazione che già di suo è d'una libidine indecorosa.


Lasciarla raffreddare bene, ricordando l'anatema: "La sacher non va in frigo!"
Dopo un paio d'ore - dette così, per scrupolo, perché lo so che tanto non si resisterà un granché - si potrà affettare e gustare.
Dolce, aspra e piccante.
Una vera banditessa.
Detto romano del giorno
Taja che è rosso!

Tipico grido dei cocomerari, ossia i venditori d'anguria, verso gli avventori.
Come a dire: su, che è bono, è al punto giusto di maturazione.
Un grido che s'addice molto alla nostra Beppa. La torta, intendo...

Oggi ascoltiamo
Joan Sutherland - Son vergin vezzosa 
da I Puritani di Vincenzo Bellini
http://www.youtube.com/watch?v=2e4e-_fsPNM
Un dolce cinguettio che s'addice molto alla nostra Beppa. La banditessa, intendo...

NOTE
1) Una che non la racconta giusta, di cui si sospettano, a ragione, risvolti poco chiari.

venerdì 24 gennaio 2014

Torta di Yogurt

Tanti anni fa - si parla dei tempi dell'inaugurazione del Colosseo, per intenderci - non esisteva Internet, e le ricette di cucina uscivano fuori dal quaderno di famiglia, dalla generosità di qualche amico/a compiacente, oppure dalla fantasia.
Quando poi si provavano sapori diversi era tutto un corri-corri all'emulazione (e alla simulazione...):
Come avrà fatto a ottenere quel risultato?
Cosa ci ha messo dentro per farlo star su così?
Cos'è quel sapore che sento e non riesco a individuare con precisione?
Quante domande, quante prove, e quante risposte, più o meno soddisfacenti.
Una delle prime cose che ho replicato, da un dolce in busta che allora andava per la maggiore, fu questa Torta di yogurt.
Praticamente un Cheescake senza cottura. Hai detto niente?
Che scoperta è stata per me: il potere della gelatina s'è dispiegato fino a coprire ambiti prima mai neppure contemplati.
La "colla di pesce"? Bleah! E chi la conosceva?
E, soprattutto, con quel nome a chi sarebbe mai venuto in mente d'utilizzarla di sua spontanea iniziativa in un dolce?
Sì, sono stato tra gli stupidi che si sono chiesti: "Ma non avrà un sapore disgustoso?..."
Questo per dire che l'ora der cojone passa pe tutti (1), ma d'altronde anche Leonardo, alle sue prime armi, avrà sbagliato a disegnare una mela, no?
È un dolce d'una semplicità disarmante e lo si può fare, come sempre, in mille varianti: alla frutta, al cioccolato, al peperone... a quel che vi pare.

Fondo
150 g    biscotti tipo Digestive, o anche quelli ai cereali
100 g    burro
Il fondo è lo stesso del cischecco: biscotti e burro: si fonde il burro e lo si mescola bene ai biscotti tritati.
Si distribuisce sul fondo della teglia e si fa rassodare in frigo per almeno venti minuti.
C'è anche chi usa una base di torta sbrisolona, o uno strato di pasta frolla, fatto cuocere a secco, bucherellandone il fondo e ricoprendolo di legumi secchi per non farlo gonfiare in cottura.
O anche un croustillant composto da cioccolato fuso e fiocchi di mais.
L'accoppiata biscotti&burro è però la più veloce e anche la più efficiente.

Corpo
650 g    yogurt intero (una confezione grande più un vasetto)
2 cucchiai d'acqua
2 cucchiai di zucchero
3 fogli colla di pesce (15 g)
Si porta a bollore l'acqua con lo zucchero, fino a farlo sciogliere bene, poi si unisce la colla di pesce, lasciata qualche minuto in acqua fredda per farla ammollare.
Unire lo yogurt mescolare bene.
Versare il tutto sul fondo e far rapprendere in frigo almeno 2-3 ore.

Ricordare sempre che un foglio di colla di pesce (5 g ca.) rapprende circa 200 ml di liquido

Copertura
200 g    frutti di bosco
2 cucchiai di confettura di fragole/ ciliegie (o frutti rossi in generale)
2 fogli colla di pesce (10 g)
1 cucchiaio d'acqua
1 cucchiaio di zucchero
A uno sciroppo di acqua e zucchero sciogliere la colla di pesce ammollata e strizzata.
Unire la frutta e mescolare bene. Versare sulla torta di yogurt, che dev’essere ben soda.
Far rapprendere in frigo almeno un paio d'ore.

Se vogliamo l'unica nota davvero calorica è data dal burro usato per il fondo, quindi potremmo osare anche a chiamarla "detetica" senza che ci vengano tirati ortaggi di varia natura in diversi stadi avanzati di maturazione...

Aforisma del giorno
Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola. Solo gli imbecilli sono sicuri di ciò che dicono.

Voltaire, e anche:
Il problema dell'umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi.
B. Russell

Oggi ascoltiamo
Henrique Oswald - Il neige - Arnaldo Cohen

https://www.youtube.com/watch?v=Q0UjWoEXViw#t=49

NOTE
1) Cioè: ognuno ha il suo momento di stupidità passeggera. Triste invece quando l'ora der cojone dura un bel po' di più di un'ora...

giovedì 23 gennaio 2014

Pollo all' "orientale"? No, "alla Said"

La questione delle identità, e di quelle culinarie in particolare, mi sta molto a cuore.
In una persona a costituire e costruire l'identità è una collana di percezioni, spesso multiple, di se stessa e i vari sensi di appartenenza. Si è, a cerchi concentrici (contigui o intersecanti) tutta quella serie di cose che fanno e sentiamo far parte di noi. E non potrebbe essere altrimenti.
In cucina le cose funzionano in modo analogo, con i dovuti distinguo, ovviamente.
Ne avevo parlato qui, per definire cosa facesse di un involto di pasta con mele uno Strudel, o anche qui, in occasione di una ricetta in cui le spezie rendevano a prima vista mediorientale un semplice piatto di carne macinata.
Certo, non basta mica aggiungere due spezie a un piatto per renderlo "orientale".
E di quale Oriente, poi, quello arabo (magrebino o levantino) o quello estremo del Giappone? Quello cinese con la sua stratificazione di culture millenarie o quello indiano con i suoi mercati colorati di polveri profumatissime?
La cucina porta con sé, nei suoi profumi e i suoi sapori, tutti gli stereotipi di cui siamo capaci per etichettare in modo sbrigativo noi stessi e, in special modo, le cose diverse da noi.
Spesso ci pensiamo poco, visto che quelle etichette ce le portiamo dentro e le usiamo anche in modo automatico, senza nemmeno rendercene conto.
Ognuno tende a vedere l'altro in modo comodo e schematico, senza pensare che nel bignami delle definizioni ve ne sono tra quelle innocue e folcloristiche altre più subdole e pericolose.
Il sud ozioso e godereccio e il nord laborioso e austero, l'arabo falso e l'indiano mistico, il russo passionale e l'americano ingenuo bambinone... e così via in una spirale senza fine.
Tempo fa uscì una collana di libbriccini scritti in stile umoristico nei quali ci si prendeva gioco degli stereotipi delle varie nazioni, proponendosi proprio come Guide Xenofobe.
Il sottotitolo era: "Se li conosci NON li eviti", e infatti elencando in maniera sistematica tutti i pregiudizi  che accompagno un'appartenenza nazionale (o anche municipale) riuscivano a ridicolizzare l'idea che i caratteri dei popoli fossero fissati così, per impronta genetica o per soffio divino.

Gli stereotipi sono perniciosi, si sa, e non ce se libera facilmente.
Ne sanno qualcosa i popoli e le varietà umane reiette da sempre, se proprio sulla pretesa supremazia della "razza bianca" (alla qual il buon Cavalli-Sforza opponeva un'unica razza, quella umana) si sono consumate, da diversi secoli, le peggiori nefandezze.
Riguardo l'Oriente poi, qualunque cosa questo termine voglia dire, le concezioni e le definizioni si sprecano, e si sa perché: sono servite in primis agli Europei e ai colonizzatori degli ultimi tre secoli per giustificare l'aggressione, l'evangelizzazione, la colonizzazione; a circoscrivere con delle etichette le popolazioni altre, quelle che erano "arretrate" e troppo "diverse" da quelle occidentali.
Ma quelle etichette, così effimere eppure così perniciose, hanno anche dato alle popolazioni, che finora non ne avevano sentito il minimo bisogno, dei criteri per definirsi, per sentirsi qualcosa di distinto dalle masse di popoli circostanti.
L'idea di Oriente è un mito che s'è formato nella mente degli Europei, è vero, ma che è stato preso dagli Orientali stessi per trovare in sé gli elementi di diversità rispetto ai dominatori bianchi, una maniera per sentirsi coesi in un'idea di sé che desse la sicurezza di essere altro da loro, dai forestieri.
E così, col tempo, anche gli Orientali hanno fatto proprie le etichette con cui venivano designati e se ne sono fatti vanto, quasi che in quella diversità vi fosse l'intimo orgoglio di riappropriarsi di qualcosa che era così e non poteva in alcun modo essere violentato e depredato.
L'idea che l'orientalismo sia una gabbia-rifugio, una fucina di stereotipi e una caverna di calde, profonde sicurezze ha cambiato il modo di vedere l'Oriente, e ha innescato una discussione che dura da più di trent'anni.
Era il 1978, e sull'idea e la critica dell'idea di Orientalismo il professor Edward Wadie Saïd, anglista e critico statunitense di origini palestinesi pubblicò un libro ancor oggi molto attuale. (1)
E a lui, non all'idea fumosa ed evanescente di Oriente che dedico questa semplice ricetta.


Pollo "alla Said"
200 g    petto di pollo (o tacchino) a fette
1/2 cucchiaino di polvere delle cinque spezie
1/2 cucchiaino scarso di cumino in polvere
2 cucchiai di salsa di soia
2 cucchiai d'aceto
un cucchiaio di concentrato di pomodoro
un cucchiaino di zenzero fresco grattugiato, oppure 1/2 cucchiaino di quello in polvere
uno spicchio d'aglio
sale e pepe q.b
Rosolare leggermente le fette di pollo in padella con poco olio.
Nel frattempo mescolare le cinque spezie, il cumino, l'aglio tritato con la salsa di soia.
Versare la miscela sul pollo e farlo insaporire, rigirando un paio di volte.
Dopo pochi minuti aggiungere il concentrato di pomodoro sciolto nell'aceto.
Lasciar insaporire per un altro paio di minuti, a fuoco basso.
Accompagnare con Mommogamuš, Patatummuš o un semplice contorno di verdure.
Una volta tanto anche senza spezie...

Detto arabo del giorno
الجاهل عدو نفسه
El-jaahil 'adoww nafsoh.
L' ignorante e' nemico di se stesso

Oggi ascoltiamo
Yasemin Sannino - Birdenbire

http://www.youtube.com/watch?v=MtvP4we4WLA

NOTE
1) Chi penserebbe di adattare l'idea di Orientalismo al popolo Sardo? Giuseppe Corongiu, direttore del Servizio Lingua Sarda della Regione Autonoma della Sardegna lo ha fatto nel volume "Il sardo: una lingua normale", ed. Condaghes 2013, dove "mette il lettore in condizione di farsi un´idea in merito a pregiudizi e stereotipi, spesso di origine esterna, ma introiettati e poi diffusi dalle classi dirigenti alla società, che impediscono a tutt´oggi un pieno recupero della diversità linguistica isolana. Le cosiddette verità ´scientifiche´ dell´arcaicità del sardo, della sua presunta vicinanza al latino, della mutua incomprensibilità dei dialetti, della sua ´anomala´ frammentazione, della divisione convenzionale e forzata in logudorese e campidanese, dell´incapacità di produrre termini astratti o tecnici moderni, della sua ´genuinità´ popolare contrapposta all´artificiosità letteraria, dell´impossibilità di avere una letteratura e uno standard ortografico, sono analizzate e scandagliate con metodo razionale."
(dalla quarta di copertina).
Anche un paese come l'Italia ha il suo popolo vittima dell'Orientalismo, di un'idea di sé che definisce e ingabbia, che dà il senso delle radici ma àncora a un passato mitico.

lunedì 20 gennaio 2014

Torta delle rose

- ... e allora, un passo dopo l'altro, enorme e minaccioso, si avvicinò!
- Uh!... E poi?...
  Disegno di Dino Buzzati, da I miracoli di Val Morel

- Puntò il muso sulla figura impietrita dal terrore. Gli occhi sembravano gli enormi fanali d'un TIR, ed erano gialli e freddi come quelli d'un coccodrillo!
-..illo!... E poi?...
- Serafina sentiva quasi sulla pelle il contatto dei suoi baffi enormi! Lo vedeva ingigantire sempre di più. E il respiro del Gatto Mammone era una folata di vento che rischiava di farla vacillare!
- E lei?...
- Lei restò dov'era! Figurati, non riusciva a muovere nemmeno un muscolo, dal terrore! Ma proprio in quel momento, proprio quand'era sul punto di abbandonarsi all'imminente catastrofe, ecco che dal cielo, all'improvviso, appare una lucina...
-...ina... E cos'era? Cos'era?
- Santa Rita, apparsa in suo soccorso con tanto di veste monacale e aureola splendente su tutto il corpo.
- Ahhh! E che fece? che fece?
- D'improvviso la santa si tramuta in un enorme topo! Il Gatto Mammone, appena la vede, che fa? viene preso dalla frenesia della caccia e, lesto come un lampo, prende a inseguirla!
- E Serafina?
- Si salvò proprio grazie alla santa, che sotto forma di topo allontanò da lei il Gatto Mammone! Quindi, tornata in paese, raccontò a tutti la sua storia. Disse che quella mattina, mentre era con la mandria al pascolo, ecco apparire da dietro la collina...
- No, no! Basta! Mi si rizza il pelo! Guarda.
- Ma dài! davvero hai paura di queste cose? Sono solo racconti.
- Lo so, ma noi demoni siamo sensibili ai racconti, come pure alle poesie, ai giochi di parole e alle filastrocche.
- Ma fino a questo punto?
- Sì, sì, se non fosse intervenuta la topa santa che fine avrebbe fatto la povera Serafina?
- Sarebbe finita in un sol boccone tra le zanne del Gatto Mammone!
- Anche in rima, bravo!
- Figurati. Ma dimmi: davvero credi a queste storie, Leppagorre?
- Crederci? Macché, tutta fuffa. E poi la sapevo già da secoli questa storia. Me la raccontava sempre zia Bastet quand'ero cucciolo.
- Ma chi, l'Egizia?...
- Sì, proprio lei. Devi sapere che un giorno, nell'antica terra degli Aramei v'era una graziosa fanciulla di nome Sheba.
- Ah, e che faceva?
- Portava al pascolo le capre fuori dal suo villaggio, Blakmaah, verso il fiume Bahnaratha, poco vicino. E fu lì che apparve.
- Apparve... cosa?
- Così, come dal nulla, un'ombra nera che d'improvviso ingrandì fino a oscurare il cielo. Era lui, il terribile Gatto Mamon!
- Oddio! E poi?
- S'avvicinò come una montagna verso Sheba, che non riusciva a muovere un muscolo.
- E ci credo! E poi?...
- Poi, come all'improvviso, dal cielo una lucina da piccola si fece sempre più grande e apparve la dea 'Attar, in tutto il suo splendore: manto di stelle, bracciali d'oro fino e una scopa.
- Una... scopa?...
- Sì, prese la sua fida scopa celeste con cui spazzava la Via Lattea e, con una voce potente, uno squarcio di tuono, urlò verso il Gatto Mamon: "Kàtti oh!"
- E che vuol dire?
- "Pussa via!" o qualcosa del genere. Fatto sta che il Mamon emise un miagolio terribile che s'udì nei villaggi vicini, rizzò il pelo e, guardando di sguincio la dea 'Attar, volto le enormi chiappe e fuggì via!
- Mi stai prendendo in giro!
- Ma no, giuro! Me la raccontava sempre zia Bastet!
- Sì, vabbè, lalléro!
Non c'è niente da fare, combattere coi demoni sul loro stesso terreno, la chiacchiera, è un'impresa inutile, oltre che impossibile.
Vai per cacciare e ti ritrovi cacciato. Non può che finire così.
D'altronde hanno secoli di frottole e fandonie sulle spalle... Quando li freghi?
Quindi mettiamoci una pietra sopra, scurdammuce 'o passato e andiamo a farci un dolce.

Un classico dei lievitati, che ha subito numerose variazioni, tra le quali quella con la frutta secca versione natalizia, o con la nutella, la più sfacciata...
La ricetta classica prevede una farcitura al burro che fa venire l'acquolina in bocca solo a sentirne l'odore...

Torta delle rose
500g    farina
150ml  latte
25g      lievito di birra
100g    zucchero
80g      burro pomata
2          uova
Un pizzico di sale, vaniglia, scorza di limone

1) Lievitino
Sciogliere nel latte tiepido il lievito, unire poca farina e un cucchiaino di zucchero.
Lasciar lievitare al riparo e al coperto almeno fino al raddoppio.
Una ventina di minuti, mezz'ora.

2) Impasto
Unire tutti gli altri ingredienti, ultime le uova una per volta, e ultimissimo il burro.
Lavorare a lungo l'impasto.
Lasciar lievitare in una ciotola, al coperto, fino al raddoppio.

3) Lavorazione
Su una spianatoia stendere la pasta, formando un quadrato 35 x 50 cm.

Farcire con una crema composta da:
100 g burro pomata
100 g zucchero.
Distribuire uniformemente la crema, quindi arrotolare su se stesso il rettangolo di pasta, per il lato lungo.
Tagliare in pezzi uguali il serpentone farcito.
A questo punto c'è chi si riserva un po' di pasta per farne un disco da mettere alla base su cui posizionarvi poi, in teglia, i pezzi farciti oppure, più semplicemente, si possono richiudere questi un pochino alla base e disporli poi in teglia.
I pezzi vanno messi in circolo leggermente distanziati tra loro, magari anche con un taglietto a croce in superficie per aiutarli a lievitare meglio.

Lasciarli quindi a riposo fino al raddoppio.

 4) Cottura 
Infornare a 180° per 30 minuti


Sì, ne manca un pezzo, lo so... Leppagorreee! Niente, non si può lasciare niente in questa casa!
E formaggi, e dolci, e confezioni di qualsiasi alimento, niente! Arriva lui e zac! fa l'assaggio del topo!
Altro che Gatto Mammone!
Volendo i pezzi di pasta si possono cuocere anche in porzioncine individuali.
Non come ho fatto io, però, ma in uno stampino un pochino più capiente, magari...


Detto romano del giorno
Gnisuno sa indove strigne la scarpa, antro che quello che la porta ar piede.

Nessuno sa dove stringe la scarpa tranne che chi la porta al piede.


Oggi ascoltiamo
Yma Sumac - Taita Inty (Virgin of the Sun God)

http://www.youtube.com/watch?v=4lAo-LEYeOw

venerdì 17 gennaio 2014

L'alba di ieri

                                  

                                                                      L'alba di ieri
                                                                      non promette, c'è
                                                                      non sogna, appare
                                                                      non svela né rivela,
                                                                      come potrebbe mai?
                                                                      È d'aria l'alba,
                                                                      regala sorsi d'aria
                                                                      e scivola nel vuoto
                                                                      silenziosa e rara.


P.S. Questa in foto è davvero l'alba di ieri...

Torta per una persona speciale

Lo dico subito: questa è una torta di repertorio, e non potrebbe essere altrimenti.
Sono passati ormai tre anni abbondanti da quando fu preparata, eppure non ho avuto ancora il coraggio di pubblicarla.


Eppure questo blog era nato per condividere la gioia che mi dà cucinare, in particolare per le persone a cui voglio e ho voluto bene. Volevo insomma raccogliere le ricette che avevano sottolineato i momenti più intensi della mia vita che, guarda caso, sono sempre legati in qualche modo al cibo.Che non è una musica di sottofondo, ma parte integrante della melodia dell'esistenza; non è lo sfondo colorato della scena su cui si sono svolti eventi più o meno importanti, ma una parte del quadro con la stessa dignità che hanno avuto i personaggi e gli attori del momento.
Sarò strano, lo so, ma di tante cose che mi sono accadute posso anche non ricordare bene cosa fu detto allora, ma ricordo invece perfettamente cosa venne mangiato...

Quando però una persona a cui vuoi bene se ne va, spesso passa anche la voglia di riprendere in mano le cose che rappresentano i momenti sereni vissuti assieme, quasi che si abbia una sorta di pudore, o si senta che il silenzio è stato l'unico modo che abbiamo avuto per rispondere al Silenzio.
Quanta fatica fa riprendere in mano le vecchie foto o rivedere qualche filmato d'una vacanza fatta tutti al mare o in una città d'arte; e che struggimento profondo per la familiarità e le piccole o grandi cose condivise negli anni...
E anche se qualcuno magari non ci crede, gli ho voluto bene come a un padre, perché aveva un cuore grande che sapeva amare, e m'ha sempre trattato come un figlio. E quel giorno ho pianto assieme ai suoi figli.

Ho sempre ammirato la sua manualità, la capacità che aveva di capire il meccanismo delle cose e carpire il segreto che le faceva muovere e trasportare oggetti, acqua ed energia, e quindi intuire in poco tempo cosa si dovesse fare per ripristinarne le funzionalità, il tutto con invidiabile precisione.
Se c'era qualcosa che non funzionava più o disgraziatamente s'era rotto lo vedevi accorrere con perizia, pazienza e rara genialità.
Il suo segreto era di sicuro l'inesauribile curiosità verso le cose, che gli dava lo sprone per chiedersi sempre "ma perché?".
Se perciò si è appassionati di lavori manuali una torta di compleanno non può che ricordare gli amati attrezzi del mestiere.
Ci saranno allora il cacciavite, il saldatore con tanto di cavo e spina, la tronchese con i cavetti elettrici, i chiodi, il rotolino di nastro, lo stagno e la chiave.
Certo che le caramelle gommose arrotolate alla frutta sembrano dei veri e propri cavi elettrici!


La torta è formata da due pandispagna, uno bianco e uno al cacao, divisi a metà e disposti a strati alternati.
La farcia è una semplice crema pasticcera, mentre la bagna è uno sciroppo al rhum non alcolico (basta farlo bollire per una decina di minuti per far evaporare ogni traccia di alcool).
Insomma, una delicata delizia.
E poi un'altra passione, di quelle che non passano mai: per comporre le cifre del compleanno tante belle tettine di pasta di zucchero.


Questa torta è l'ultima cosa che ho dato a questa persona unica, speciale, innamorata sempre della vita, nonostante tutto.
Il festeggiato ne fu entusiasta, e il suo sorriso e la sorpresa sul suo viso sono stati per me il compenso più grande.
Sono contento d'averlo conosciuto e di aver potuto godere della sua stima.
Anzi, ne sono fiero.

Detto siciliano del giorno
Pira, jinchitinni la pitturina; prunu, màncianni unu

Pere, riempitene la pettorina, prugna, mangiane una


Oggi ascoltiamo
Franco Battiato - Testamento

http://www.youtube.com/watch?v=6rPhxzYX31o

martedì 14 gennaio 2014

Timballo in carrozza

"Metti che... "
La cucina, si sa, è fatta anche di tante situazioni ipotetiche, di tanti "metti che...".
E coi puntini di sospensione, pure. Perché quanno ce vò ce vò!
"Metti che ti prenda voglia di..."
"Metti che t'avanzi del..."
"Metti che stasera, come per magia, venga a cena quel gran figo del boscaiolo dell'Arkansas..."
E no! Ho detto situazioni ipotetiche, non impossibili! Non bariamo!
Insomma, la casistica che spinge escogitare un nuovo piatto, a trovare una giusta collocazione ai pochi ingredienti sopravvissuti in frigo, a provare finalmente la ricetta che avevamo scritto su una pagina di quaderno per poi dimenticarla da qualche parte per mesi, è molto varia.
C'è la necessità di non voler (e dover) buttare mai niente, il piacere di fare qualcosa di nuovo e la soddisfazione di essere riusciti a scalare la vetta dell'impossibile.
Ognuno ha i suoi piccoli o grandi obiettivi.
Come ad esempio: che ci faccio con questa forma di pancarré?
Impacchi per le rughe? No, dicono che non funzioni.
Lo do da mangiare alle papere del lago? Ad avercelo, un lago vicino! E ad avercele, le papere! Quello di Villa Borghese è infestato da tartarughe di tutte le dimensioni, abbandonate negli anni da sconsiderati allevatori fai-da-te e moltiplicatesi all'inverosimile.
Insomma, bisogna pur escogitare qualcosa, e se si è troppo pigri c'è sempre uno dei trenta volumi di cucina che piegano lo scaffale in cucina o le migliaia di pagine in Rete in tutte le lingue del mondo.
Ma senza andare troppo lontano, magari può venir utile anche quella ricettina vista in tv qualche anno fa e ricopiata in fretta e in furia in "stenografia culinaria".
Che poi sarebbe questa:
1 pan
2 u
250 ml l
300 g mozz
al
Facile, no?
Il mio quaderno di cucina è meno comprensibile del manoscritto Voynich, ma rispetto a questo è molto, molto, più interessante.
Quindi, per utilizzare quel maledetto bauletto di pancarré che ho avuto la sconsideratezza di comprare allettato dall'offerta, l'ideale sarebbe una bella mozzarella in carrozza.
E a scriverlo già devo subito asciugare i rivoli di saliva che pavlovianamente mi colano già ai lati delle labbra rischiando di mandare in corto circuito il computer.
Già ha assaggiato il mirto, questo mio povero pc, e da allora non s'è più ripreso.
Fa cose strane, dimentica le cose più semplici, si muove a volte a casaccio.
Non è che abbia un virus, lo so già: è proprio ubriaco!...
Ma torniamo alla mozzarella in carrozza, che essendo fritta è, per ora, sconsigliabile.
Lo so, lo so: "Una volta sola che vuoi che sia?"
Me lo dico da me, ma so già l'immediata risposta: ne mangerei quattro porzioni; e vabbè che l'ospedale delle Figlie di San Camillo è qui vicino, ma abusare della gentilezza e disponibilità di medici e paramedici mi pare poco gentile.
Non si deve, così gratuitamente. Non sta bene.
Quindi la mozzarella in carrozza ce la facciamo in forno, come insegna Luisanna Messeri nostra.

Servono:
1 forma di pancarré
2 uova
250 ml latte
300 g mozzarella
sale e alici q.b.
In una terrina si sgusciano le uova nel latte, si sala e si pepa a piacere (ma non troppo, visto che ci sono le alici...).
S'inzuppa quindi nel miscuglio ogni fetta di pancarré disponendola in uno stampo che avremo imburrato leggermente.
Appena ricoperto il fondo dello stampo si adagiano sul pane delle fettine di mozzarella, delle alici a pezzetti e si ripete l'operazione con altre fette di pane imbibite nel composto.
Si può fare di tutte le forme e dimensioni, ma con uno stampo da 8 porzioni verranno due stati, comunque sufficienti per una persona... uh, che ho detto!
Si inforna a 180° e si lascia cuocere per almeno venti minuti.


Non è la mozzarella in carrozza, che pretese, ma qualcosa di più delicato e meno aggressivo per lo fegato mio miserrimo, già duramente provato da altri intrugli.
La consistenza rimane soffice grazie al latte e le uova, e il pane acquista un sapore delizioso.
Da provare anche con la coppa di Parma al posto delle alici, o un altro insaccato che sia magari meno salato del prosciutto.
Et voilà! C'è voluto meno a farlo che a dirlo.
E il nostro malefico pancarré ha trovato finalmente un senso che non fosse il secchio della spazzatura.
Ah, cari miei, qui nun se butta mai gnente! Lo sappiamo bene, no?

Detto romano del giorno
Chi cià er pepe lo mette alle rape, chi nun ce l'ha le magna sciape.

Chi ha il pepe lo mette sulle rape, chi non ce l'ha le mangia sciape.

Sempre il nostro solito tono fatalista, di chi deve rassegnarsi alla miseria come condizione ineluttabile.

Oggi ascoltiamo
Sette spose per sette fratelli - Lonesome Polecat

http://www.youtube.com/watch?v=prrkG6FcgK8
A proposito di boscaioli dell'Arkansas...

domenica 12 gennaio 2014

Crostata con fagioli

- Non seguirmi, Leppagorre, tanto non ti sento! E fammi finire di stirare 'ste due cose, ora che m'è venuta la voglia. Lo faccio due volte l'anno e non vorrei passi il momento magico e ritrovarmi poi con le solite due camicie stropicciate nell'armadio per altri sei mesi!
- Ma dài!... Guarda, la facciamo piccina piccina, solo per provare!
- No! È da un'ora che mi fai la corte. Ma qualcosa di meno... "ardito" no, eh?
- Perché?...
- Non so, mi sembra così... insolita, ecco. Non vorrei sprecare cibo. È la cosa che odio di più al mondo. È... immorale, ecco. Non solo non si può, ma non si deve.
- Vedrai che andrà tutto benissimo. Prendiamo una scatola...
- Nooo, e basta. E gira il sugo che sennó s'attacca.
- Che noia, che barba, che noia... Non ti riconosco più. Che sventura!... “Spegniti corta candela, la vita non è che un’ombra in cammino, un pietoso guitto che si pavoneggia e si sbraccia sulla scena per quell’ora e dopo non se ne parla più. Una favola cantata da un idiota tutta urla e furore che non significa nulla.” (1) ... Ah, che tristezza... ah, che pena!...
- E basta! Su, andiamo a fare quest'esperimento e non se ne parli più.
- Non puntarmi contro quel ditone, eh? Maleducato!
- Uh, ha parlato la Principessa sul pisello! Su, muoviti, che almeno accendiamo il forno una volta sola!
- Cattivo!

Crostata con fagioli
Per uno stampo da 20 centimetri

Pasta frolla al cacao
130 g    farina
20 g      cacao
75 g      burro
50 g      zucchero
1           tuorlo
Un pizzico di sale.
Il metodo per lavorare la pasta frolla lo sappiamo bene. In due parole: meno la tocchi e meglio va.
Burro ben freddo a tocchetti, farina setacciata e vai con lo sfarinamento. Dicono le mitiche Sorelle Simili che va fatto col pollice e le altre dita il gesto "soldi, soldi" per avvolgere bene il burro con la farina.
A seguire tutti gli altri ingredienti.
Nel mio caso quello che m'interessava di più era una frolla al cacao.
Quando si aggiunge del cacao in un impasto di pasta frolla bisogna rispettare il bilanciamento degli ingredienti: gli elementi secchi devono essere quindi in giusta proporzione con quelli liquidi.
No, non è taoismo: sono solo le ferree leggi della pasticceria...
Di cacao non ne serve molto, in realtà, e se non si supera il 20% del peso della farina non occorre neppure aggiungere del liquido (del latte, per esempio) per riequilibrare il tutto.
Su una dose di 150 g di farina (metà di quella canonica per uno stampo da 24 cm) ne ho usato il 15%, quindi 20 g circa, da dedurre dal peso totale della farina.
Una volta lavorato (il meno possibile) l'impasto, lo si lascia riposare in frigo per almeno mezz'ora, e quindi si passa alla...

Farcia di fagioli per crostata
400 g  fagioli cannellini già lessati (2)
75 g    zucchero
50 g    fecola
1         uovo
1 bustina di vaniglina
50 g gocce di cioccolato (facoltative)
Lessare i fagioli (se si usano quelli in scatola sgocciolarli e risciacquarli bene in acqua corrente dal loro liquido di conserva) e quindi passarli al setaccio.
Scaldarli poi in un tegame con lo zucchero e la fecola, sciolta in mezzo bicchiere d'acqua fredda.
Portare ad ebollizione sempre mescolando e far rapprendere la crema.
Lasciarla raffreddare completamente, quindi unire l'uovo e, se si preferiscono, le gocce di cioccolato.
Finezza che non ho seguito: prima di inserire in un impasto lasciarle un'oretta nel congelatore; ciò le aiuterà a non sciogliersi miseramente subito al primo calore del forno.
Comunque io ne avevo usate di più, troppe: meno di mezz'etto sarebbe stato più che sufficiente...

Stendere la pasta frolla sul fondo e i bordi della teglia, formando un guscio uniforme.
Versare la farcia di fagioli e livellarla.
Se si prepara più impasto si possono formare delle strisce da disporre a grata come tutte le crostate che si rispettino, o preparare altre decorazioni, ma anche così può bastare, direi.
Cuocere a 180° per mezz'ora.
La superficie, a causa dell'uovo tenderà a gonfiarsi ma poi, una volta fredda riprenderà dimensioni meno "drammatiche". Forse solo con il tuorlo basterebbe. Dovrò provare...

Le due cavie a cui ho sottoposto l'esperimento ad assaggio "cieco" hanno gradito molto.
M'ero ben guardato di presentarmi impunemente con una fetta di crostata premettendo che fosse stata preparata con i fagioli. Non amo questo genere di cappellini...
Mi è stato persino detto: "Ma ci hai messo una crema alle nocciole, forse?", questo per dire che il timore che risultasse troppo faciolosa è stato poi smentito dai fatti.
Ha solo un pessimo difetto: è durata poco, troppo poco.


- Allora domani la rifacciamo, no? Con meno gocce di cioccolato, e magari solo col tuorlo, e poi...
- Frena, frena per favore, Leppagorre! La frolla ha troppo burro per essere presa così, alla leggera. Qui bisogna darsi una misura, o come si dice, escimo fori co l'accuso. Vuoi forse arrivare a fare una dieta ferrea, forse?
- D... d... d... Oh, no, nemmeno riesco a pronunciarla quella parola orribile! Possibile che tu debba rovinare sempre tutto? E goditi l'attimo, no? Ah, pover'ammé! "Una bella giornata così brutta non l'avevo mai vista" (3)!
Ultimamente Leppagorre se ne esce con inaspettate citazioni scespiriane. So che non sa leggere e quindi  deve per forza averle sentite recitate a teatro. Interrogato in proposito ha sempre fatto il vago, tranne un giorno in cui ha accennato a un "grand'uomo con gli occhi da matto" di cui è stato ospite fino a una decina d'anni fa. Se fosse lui, che come Machbet è stato assediato, anche in memoriam, da tre streghe, sarebbe un onore.
Ma la cosa che più mi preoccupa è: cosa l'avrà mai spinto a mangiare questo demoniaccio ingordo?...

Aforisma del giorno
Beato chi non si aspetta nulla, perché non sarà mai deluso

Alexander Pope

Oggi ascoltiamo
Florent Pagny -Savoir aimer

http://www.youtube.com/watch?v=g-gh2hIRhkc

NOTE
1) È il tragico monologo finale del Macbeth di Shakespeare, atto V, scena V, dove il re scozzese, accecato da un'incosciente sete di potere, va inevitabilmente incontro alla sua disfatta.
2) L'ideale sarebbe avere dei fagioli freschi, o anche quelli secchi da lessare. Quelli già pronti in scatola sono un po' salati, ma possono andare egregiamente. In tal caso un paio di scatole saranno più che sufficienti.
3) Sempre dal Macbeth; atto I, scena III.

sabato 11 gennaio 2014

Pane di casa miaaa...


Tanto per gradire.

Carne "levantina"

Cos'è che dà a qualcosa o qualcuno la sua specifica identità?
Cos'è che fa di una cosa qualunque "quella" cosa, e non altre?
Domande peregrine? Eppure vent'anni fa nella nostra civilissima Europa un popolo diviso soltanto da steccati identitari - parlavano addirittura la stessa lingua, seppure in dialetti diversi - prese a scannare i propri simili, grazie anche all'istigazione delle potenze internazionali e delle diverse confessioni religiose.
Se una volta si credeva in certi ideali, utopistici quanto si vuole ma sovraetnici oggi, in questi tempi per certi versi più barbari, sono le appartenenze tribali a far sentire più forte la loro voce.
Ci si riconosce in un'etichetta, o una serie di etichette, sia di natura etnica, religiosa, linguistica, culturale, ma comunque qualcosa che distingua in qualche maniera dall'Altro e che faccia sentire coesi al proprio gruppo.
Siamo tornati al triste rifiorire delle tribù, al rassicurante senso d'appartenenza al proprio clan.
E con la cucina questo cosa c'entra?
In apparenza niente, ma la cucina è una grande semplificatrice ed esemplificatrice delle identità.
Ovvio, anche a costo di grossolane semplificazioni...
In quel piatto c'è molto peperoncino? È "calabrese". C'è l'ananas? È "hawaiano", ovvio.
Una pasta è accompagnata da melanzane? Allora è "siciliana", senza scomodare Bellini e la sua Norma – anche se poi in Sardegna viene chiamata "alla sassarese".
In uno spezzatino ci sono delle spezie poco consuete nella cucina italiana? Allora è "all'indiana", "alla marocchina", "alla cinese" a seconda che a prevalere sia la curcuma (o il curry), il cumino o le cinque spezie.
Se poi ci sono i pomodorini è spesso "alla sorrentina", come se a Bacigalupo non esistano gli stessi pomodorini.
Sono etichette, certo, e andrebbero prese come tali.
Se solo sapessimo usare la stessa disinvoltura con le cose che ci aggregano forzatamente nella vita d'ogni giorno, che ci costringono a schierarci senza appello nei limiti d'un insieme che protegge e soffoca allo stesso tempo.
Certo, ci sono le zone d'origine, e non si nega che alcune cose siano specifiche di un determinato "territorio" – parola di cui amano riempirsi la bocca i localisti d'ogni risma – ma si avrebbe il coraggio di chiamare un piatto di spaghetti con il pomodoro "alla messicana", solo perché la nostra amata solenacea proviene dalle Americhe? O chiamare un gelato al cioccolato "alla Guatemalteca" perché il Theobroma proviene proprio da là?
E basta un ciuffo di basilico in cima per fare un piatto "alla ligure", o di abbondante peperoncino per chiamarlo "alla calabrese"? Oppure, se si vuole essere più interculturali e meno regionalistici, "alla messicana"?
Ecco, questo per dire che non basta mettersi una penna in testa per essere un indiano.
Serve ben altro, certo. E poi e la cosa va fatta seriamente, ma contemporaneamente anche con serena disinvoltura, senza prendersi troppo sul serio, equilibrio che con le identità è sempre difficile da mantenere.
Quello che frega infatti i fanatici – delle identità, delle religioni, del territorio - è l'assoluta mancanza di autoironia, di leggerezza, di spirito critico.
Certo, li capisco, poverini, da quei feticci dipende la stabilità d'un equilibrio oltre il quale c'è il suq, il caos, il meticciato, insomma il magma primordiale e indistinto – appunto, senza identità – senza alcun punto di riferimento e d'orientamento.
La nostra storia d'esseri umani è fatta di innumerevoli stratificazioni, di meticciati continui – checché ne dicano quelli che si sentono autoctoni d'un luogo e "puri" nel dinenneà – e lo dimostrano le cose che ci accomunano (a dispetto delle differenze esteriori), le nostre lingue e i nostri sogni.
Anche a me è successo di chiamare qualcosa "alla russa" solo perché c'era della vodka, e meno male che non m'ha sentito nessun polacco, uno dei tanti popoli che ne rivendicano da sempre la paternità.
E la storia del baklavà? Esemplifica tutto quanto detto finora.
Un dolce di per sé semplicissimo: pasta fillo, frutta secca (quando c'è) e miele (o sciroppo di zucchero) ma provate a dire a un turco che è un dolce greco, o viceversa…
Ai tempi della dissoluzione della Jugoslavia e dell'esponenziale crescita degli sciovinismi regionali, anche la Macedonia  - sì, va bene, la FYROM, sennó si arrabbiano i Greci e i Bulgari… - pretese d'essere la "vera" patria del baklavà.
Di certo quando nascerà la Rodopia anche questa pretenderà d'essere la culla del "vero", unico e originale baklavà…

E noi che amiamo le contaminazioni culturali, i meticciati, e il Bastardesimo, cosa ci facciamo, alla faccia dei fanatici identitari?
Ma, come: una bella e saporita...

Carne "levantina"
300 g    carne di manzo macinata
1/2 cucchiaino di polvere delle cinque spezie
1/2 cucchiaino di preparato per brodo in polvere (o mezzo dado)
un cucchiaino di zenzero fresco grattugiato (oppure 1/2 cucchiaino di quello in polvere)
10-15 g    funghi secchi (una manciatina)
uno scalogno
un mestolo di sugo, oppure di passata di pomodoro o del concentrato di pomodoro
abbondante pepe e/o peperoncino
una piadina di pane arabo (facoltativo) o due (sì) guanciotte,


Lasciare i funghi in ammollo in una tazza d'acqua tiepida.
Far appassire lo scalogno tagliato finemente in un tegame con poco olio, aggiungere la carne e farla rosolare.
Unire le spezie, il dado sciolto in poca acqua calda (o il preparato in polvere, è lo stesso) e i funghi, sgocciolati e sminuzzati.
Quando la carne sarà cotta aggiungere il sugo (o il pomodoro) e far riprendere bollore.
Nel frattempo riscaldare in forno la pita o il pane arabo (o le guanciotte...) e adagiarle su un piatto.
Faranno da letto a quest'orgia di profumi di sapori.
Se poi si hanno delle cipolline borretane stufate nel sugo di pomodoro non bisogna indugiare: via, come se piovessero a far compagnia a quella carne, così triste e sola...


Levantina? Orientale?
O, perché no, Universale?

Detto arabo del giorno 
لا تشرب من البير وترمي فيه حج
Laa tishrab min beer o tirmy feeh Hajar 
Non gettare la pietra nel pozzo dopo averci bevuto

Oggi ascoltiamo
Woodkid - Iron

http://www.youtube.com/watch?v=vSkb0kDacjs&feature=player_embedded

giovedì 9 gennaio 2014

Torta di mele di "Chez Muccard"... ehm, Bertolini

La torta di mele non è una torta. Non solo, almeno.
Credo che possa essere tranquillamente aggiunta nel paniere dei cibi e delle preparazioni ascrivibili alla categoria dei "generi di conforto", una di quelle cose che riescono a carezzare l'anima anche quando ogni cosa appare avvolta in una nebbiosità che definire fosca sarebbe un eufemismo.
E per quanto mi riguarda poi, riuscire a trovare l'anima, sepolta com'è in uno strato di sugna spesso così non è cosa da poco.
Vuol dire che funziona. Eccome, se funziona...
È uno di quei dolci che ognuno fa alla sua maniera, o alla maniera della sua mamma, senza sgarri dalla norma o deviazione alcuna dal sentiero che ricetta di famiglia gli impone.
Su, chi non ha una ricetta della "propria" torta di mele?
Come? Solo io ad alzare la manina?
Be', del resto il repertorio di pora mamma era limitato a ben poche cose notevoli, centellinate con molta parsimonia: gnocchi, ragù, parmigiana e lasagna. E basta.
Dolci, zero. Non era colpa sua, poverina, ma proprio non ci sapeva fare con la pasticceria.
Quando ha scoperto che iniziavo a preparare i primi dolci deve aver tirato un sospiro di sollievo, golosa com'era.
E buona, anche, visto che anche una crostata litica veniva etichettata come bbona.
Santa donna...
Beh, insomma, se uno non ha in dote un ricco ricettario "di casa" se lo deve costruire pagina per pagina, con pazienza e abnegazione (quella di far fuori tutte le prove dei propri fiaschi, per esempio).
Quindi, dopo aver visionato diverse alternative e  averne provate un bel po', alla fine sono tornato all'ovile di una ricetta classica, che più classica non si può.
Da un vecchissimo e consunto ricettario della Bertolini ho trovato quello che cercavo spasmodicamente chissà dove.
È sempre così del resto, e dice bene quel racconto sufi: si parte per paesi lontani sfidando mille pericoli, belve feroci, climi ostili e vette impervie alla ricerca di un tesoro che, infine, si scopre essere sepolto nel giardinetto antistante la propria casa.
Insomma, adesso anche io ho la "mia" torta di mele, una torta morbida e delicata come una giornata passata al calduccio mentre fuori è inverno e tira vento...

Torta di mele Bertolini
200 g    farina
50 g      fecola
125 g    zucchero
125 g    burro
2          uova
1 cucchiaino di cannella
1 pizzico di sale, vaniglina, la scorza grattugiata di un limone
1/2 bustina di lievito
2    mele (150 g ca.) tagliate a dadini da inserire nell'impasto
3    mele tagliate a lamelle da disporre a raggiera in superficie
È lo stesso procedimento dell’impasto morbido.
Quindi burro pomata lavorato a crema soffice, aggiunta di zucchero, quindi delle uova - una alla volta - della farina e tutto il resto: lievito, scorza di limone, sale e le due mele a dadini.
Preparare le mele qualche minuto prima, pelandole e lasciandole in una ciotola piena d'acqua e il succo del limone del quale avremo utilizzato la buccia, in modo da non farle annerire.
Incorporandole nell'impasto sembrerà d'ottenere una massa troppo sostenuta e insufficiente a contenerle, ma calma, fiducia e sangue freddo: funziona. È garantito.
Versare l’impasto in una teglia da 22 o 24 cm di diametro imburrata e infarinata e disporre in superficie le fettine di mela, non troppo spesse. Mezzo centimetro scarso vanno benissimo.
Cuocere a 180° per almeno 50 minuti.
Una volta fredda toglierla dallo stampo e spolverarla con dello zucchero al velo.

Aforisma del giorno
I vecchi si compiacciono di dare buoni consigli, per consolarsi di non poter dare cattivi esempi.

François de La Rochefoucauld, Massime, 1678

Oggi ascoltiamo
Sonique - It Feels So Good

http://www.youtube.com/watch?v=mwIbXJSwIMk

P.S.Volendo vi si può aggiungere anche una manciata di uva sultanina e/o di noci sminuzzate in pezzi grossolani e/o dei pinoli tostati e/o...
P.S. II Per preparare questa torta - e l'avrò fatto centinaia di volte - mi trovo bene con gli stampi al silicone. Quelli sottili d'alluminio m'hanno spesso tradito, lasciando poco cotto il fondo. Misteri della scienza...

lunedì 6 gennaio 2014

Red Velvet

Una volta era facile essere ignoranti, quasi una condizione ineluttabile, per la maggior parte dei casi.
Un po' l'analfabetismo diffuso, un po' la vita chiusa nella propria "municipalità", nelle proprie abitudini, in un mondo fatto di poche cose concrete.
Cosa si sapeva del mondo?  Quello che si vedeva nelle fiere e quello che ci si raccontava dai viaggi verso altre regioni, altri mondi, da cui si riportava l'acquerello sbiadito e colorato dei propri ricordi.
Dovevamo fidarci di quel che ci veniva detto, e basta.
Oggi essere ignoranti è una scelta, e non altro.
E non solo per via della televisione, che bombarda di una quantità di immagini e di informazioni finora inimmaginabili, ma soprattutto per lo sviluppo della Rete.
Posso imparare anche la lingua georgiana da casa mia, se voglio.
Quando mai avrei potuto farlo non dico cento ma almeno almeno cinquant'anni fa?
Certo, come sempre ci vuole capacità di discernimento, un minimo di sorveglianza critica, un occhio un po' torvo che non beva tutto quel che legge.
E comunque, senza la Rete non saprei nemmeno la metà di quel che so, almeno in campo culinario.
Chi avrebbe mai sospettato che anche gli Americani, sì gli eterni bambinoni dei nostri stereotipi, avessero anche loro dei dolci deliziosi?
La pancake è solo l'esempio prossimo, che tutti possono aver avuto modo di verificare.
Ma le torte, be', le torte sono diverse, molto diverse dalle nostre.
Intanto sono figlie dirette della Quattro quarti, quindi una "pasta morbida", come si dice: burro a crema, quindi zucchero, uova e farina.
Compatte, umide, poco spugnose, già ben saporite di loro senza bisogno delle bagne e delle creme con cui noi europei, e in special modo noi italiani, amiamo farcire i nostri Pandispagna.
Certo, bisogna distinguere e saper scegliere. A gusto nostro non tutto va bene.
Nella peggiore delle ipotesi ci si ritrova con un pezzo di spugna da fioraio ricoperta da un manto di zucchero fondente alto così. Tanta scena e poca sostanza.
Ma qualche volta la sostanza c'è.
La Red velvet è uno di quei casi in cui si dice, a bocca piena, però... chi l'avrebbe mai detto?
Una torta burrosa e compatta ma non stucchevole, con una farcitura industriale (da industria casearia) di panna, mascarpone e formaggio...
Sì detta così fa impressione, ma a vederla sembra innocua:


No? L'unico modo per sincerarsene è provarla.
E la Rete, in questo ci aiuta, perché pullula di ricette di Red velvet, che è una vera e propria istituzione dolciaria statunitense.
Wiki, neutrale come sempre, dice che "a Red Velvet Cake is a cake with a dark red, bright red or red-brown color. It is usually prepared as a layer cake somewhere between chocolate and vanilla in flavor, topped with a creamy white icing. ", e il sito Joy Of Baking esordisce con un: "A Red Velvet Cake is very dramatic looking with its bright red color that is offset by a creamy white frosting. "
Come non esserne rapiti?
Come non restare folgorati da quel dramatic (che da bravo false friend significa in realtà spettacolare, istrionico, sensazionale)?
Come non farsi venire la curiosità, la smania e la frenesia di provarla?
Le tentazioni non fanno per me, lo so già, quindi dopo una spiluccante ricerca tra le pagine web ho constatato che tra le decine di ricette presenti la maggior parte fanno capo soltanto a un paio di varianti.
Quella che da noi, nei siti in italiano, è rimbalzata più volte, è proprio quella dell'ottimo Joy Of Baking, che spiega per filo e per segno l'esatta procedura da seguire.
E spiega anche come in passato, essendo disponibile un cacao "Dutch Processed" più alcalino, bastava la reazione acida data dal poco aceto e dal latticello a far risaltare l'antocianina del cacao, rendendo l'impasto d'un rosso ben pronunciato. Oggi si usano i coloranti alimentari (sì, che adoro in modo smodato, senza se e senza ma), visto che il cacao disponibile rende la torta solo più marroncina, non certo un velluto rosso...

Red Velvet
per 2 teglie da 20 cm di diametro
125 g    burro
200 g    zucchero
250 g    farina
250 g    latticello (1)
3           uova (medie, oppure 2 grandi)
1 bustina di lievito
5 cucchiai di colorante rosso (2)
Lavorare a crema il burro morbido. Deve risultare ben spumoso.
Aggiungere lo zucchero e amalgamare bene, quindi le uova, una a una, lasciandola assorbire prima di aggiungere la successiva.
Unire il latticello (1) e il colorante rosso.
Per ultimo la farina e il lievito.
Versare il composto in de teglie imburrate e infarinate e cuocere a 170° per mezz'ora.
Far raffreddare e togliere dallo stampo.
Per facilitare il taglio delle torte e la loro farcitura si consiglia di far riposare in frigo qualche ora, o anche un'intera notte.

(1) Il latticello, o "latte del burro", è un latte fermentato con batteri probiotici, e non è un ingrediente molto conosciuto qui da noi. Joy Of Baking suggerisce di farselo in casa aggiungendo un cucchiaio di aceto bianco (distillato, di sidro) o succo di limone a una tazza (250 ml) di latte; quindi lasciar riposare questa miscela 5-10 minuti prima di utilizzarla.
Nei siti nostrali il latticello è sostituito da una miscela di:
125ml    latte
125ml    yogurt
Far riposare per 15-20 minuti prima di utilizzare. E così ho fatto.

(2) Qui bisogna dire che se si utilizza il cacao (ne bastano15 g) si deve aggiungere anche:
1 cucchiaino     aceto
1 cucchiaino     bicarbonato
In tal caso usare solo 2 cucchiai di colorante rosso.
Ma so per certo che così facendo, con i nostri ingredienti, non si ottiene un risultato soddisfacente.
Per cui, via il cacao e la mistura aceto e bicarbonato (che, abbiamo visto, servono solo per accentuare l'antocianina del cacao) e utilizzare direttamente i coloranti alimentari.

Farcia per Red Velvet
Dice Joy Of Baking che questa ricetta è una rielaborazione di quella tratta da "The Waldorf - Astoria Cookbook" di John Doherty.  E come non cedere alla tentazione di fronte alla parola magica?
No, non Abracadabra, ma "mascarpone".
Non è una poesia? Non riempie la bocca già di suo?...
Quindi:
250g    mascarpone
150g    zucchero a velo
250g    formaggio cremoso (il nostro Amorfraterno, per intenderci)
400g    panna montata
Lavorare a crema il mascarpone e l'Amorfraterno con lo zucchero a velo, quindi unire la panna montata.
Con delicatezza, non con i soliti gesti da camalli a cui siamo abituati.
Parlo per me, ovviamente: chi legge ha la leggerezza di un'ala di farfalla e la soavità d'un petalo di gelsomino...
Tagliare le torte a metà e iniziare a farcire il primo strato con qualche cucchiaio di crema mascarpannamorosfraterna.
Sovrapporre il disco successivo e continuare la deliziosa trafila fino all'ultimo strato, quindi spalmare la farcia sulle pareti e sulla superficie del dolce.
Un'accortezza: si consiglia di utilizzare due attrezzi diversi, uno per prendere dalla ciotola la crema e portarla sul dolce, l'altro (una spatola da pasticceria) per distribuirla in modo uniforme lungo le pareti e la superficie della torta.
Questo per non ritrovarsi la farcia imbevuta di briciole "che inevitabilmente, per sua natura perderà" la torta.
E bagnare spesso la lama della spatola con acqua calda: sarà più facile stendere in modo omogeneo la crema.


E lo dico forte e chiaro: non voglio sentire la parola "dieta" (orribile, orribile) per almeno una settimana!

Poesia romana del giorno

Lo Specchio
Uno Specchio diceva a la Credenza:
- Quant'era mejo se restavo un vetro
limpido e puro, senza
'sta vernice de dietro!
Uno de queli vetri, fatte conto,
incorniciati in certe finestrelle,
che vanno a foco all'ora der tramonto
per aspettà le stelle,
e fanno da vetrina
ar Sole che rinasce ogni matina.
Invece, èccheme qua! De tanta gente,
sia giovene sia vecchia,
che me passa davanti e me se specchia,
che ce rimane? Gnente.
La vita mia nun è che un'illusione:
rifletto, ma nun penso: e se me tocca
de di' la verità senza aprì bocca
nun trovo un cane che me dà raggione.                                                             

Trilussa

Oggi ascoltiamo
Franco Battiato - La cura
http://www.youtube.com/watch?v=cLJp-YJeuzc
Meravigliosi versi d'amore quei: "ti proteggerò dai timori delle ipocoondrie".
Non dalle ipocondrie in sé quanto dai timori di queste...