martedì 30 ottobre 2012

Torta brioche alle mele

Mattino d'autunno

Che dolcezza infantile
nella mattinata tranquilla!
C'è il sole tra le foglie gialle
e i ragni tendono fra i rami
le loro strade di seta.

                                   Federico Garcia Lorca

Finalmente l'autunno, e anche tutto assieme, come spesso accade.
Tempo di primi freddi, di passeggiate ben coperti con l'aria che frizza sul viso; tempo di prime piacevoli zuppette calde la sera, di castagne lessate o arrosto, di mele, cachi, zucca e... torte brioche.
Perché adesso che la brioche non ha (quasi) più segreti, possiamo coniugarla in tutte le forme che la fantasia ci suggerisce. E tutte bbone, c'est a dire.
E poi, che c'è di meglio del sapore confortante e tranquillo della mela?
La mela, come il pane, ci ricorda il cibo quotidiano, quello della quieta consuetudine che si rinnova ogni giorno.
Ci riporta ai gesti antichi delle mamme e le nonne che ce la sbucciavano quando ancora non sapevamo usare il coltello, o che ce la grattavano con lo stegosauro di vetro per imboccarci di polpa dolce e nutriente.
È, insomma, uno di quegli alimenti che in una casa, come le cipolle, l'aglio e le patate, non può mancare mai.
Altro che peccato! Altro che discordia!
Oggi ce la facciamo cotta, che fa tanto nonna Jole.
Ma per mitigare il senso di viale del tramonto con plaid sulle ginocchia al seguito che ci evoca l'idea di mangiare le mele lessate che facciamo?
Le scatafromboliamo in una scorza di soffice brioche, che saprà custodirle con cura e tenerezza.

Per la pasta brioche seguiamo le dosi e la procedura vista precedentemente.
Riepilogo delle puntate precedenti:

Fase 1) Lievitino
Sciogliere nel latte intiepidito il lievito, unire della farina (q.b. per formare un panetto morbido) e 1 cucchiaino di zucchero. Lasciar lievitare fino al raddoppio, la classica mezz'ora (circa...)

Fase 2) Impasto
Unire alla farina restante il panetto cresciuto.
Uh, com'è cresciuto, signora mia. Era da tanto che nun lo vedevo. Che caruuuccio...
(detto con la vocetta della sora Flora di Anna Marchesini, appollaiata al davanzale della finestra).
Unire lo zucchero, le uova, una ad una e, alla fine, quando l'impasto avrà presto forma, il burro.
Lavorare a lungo l’impasto.E sdurudù e sdurudù,e sbatti e schiaffa e sciuffa e sconchia. (Sconchia?... e che d'è?...)
Lasciar lievitare fino al raddoppio (d'estate basta anche un'ora e mezza, d'inverno circa due).

E dopo aver completato la fase (2), quella d'o mazz' tant', come direbbero a Partenope, mentre il bambinello riposa coperto e al calduccio e cresce, cresce sereno, noi che facciamo?
Ma prepariamo il ripieno, no? Prendiamo:

600 g  mele (circa 4 medie. Ah, le golden vanno benissimo)
2         limoni (succo e buccia grattugiata)
1         arancia spremuta
100 g  uvetta
50 g    pinoli
2 cucchiai di miele
2 cucchiai di zucchero di canna
1 pizzico di cannella e 2 chiodi di garofano.
Fate rinvenire l'uvetta in una tazza d'acqua fredda.
Tostare i pinoli su un padellino antiaderente per qualche minuto, girandoli spesso.
Tagliare le mele a spicchi, sbucciarle e metterle in un tegame largo che le contenga tutte allineate sul fondo.  
Carucce...
Aggiungere il succo degli agrumi, la buccia di limone, un paio di diti d'acqua e gli altri ingredienti
Portate a bollore e fate cuocere per circa sei, sette minuti scarsi.
Le mele devono ammorbidirsi ma non spapparsi.
Quando vedete che iniziano a "cedere", spegnete il fuoco e fatele raffreddare.

In un pentolino preparare della crema pasticcera soda alla lavanda, dose da un uovo.
Quindi:
125 ml   latte       
30 g       zucchero
15 g       farina           
1            uovo intero
mezzo cucchiaino di lavanda essiccata.
Bollire il latte con la lavanda, e lasciarvela in infusione tre, cinque minuti, poi filtrate.
Lavorare l'uovo con lo zucchero, aggiungere la farina, stemperare con il latte a filo (intiepidito, eh?) e mescolare bene.
Portare a bollore sempre mescolando, quindi far raffreddare.
Etcì! Mannaggia a te, 'sto sgrinfio! Me sto a raffreddà pur'io, solo a sentitte. Te possino acciaccà!...
Si copra, sora Flora, non vorrei le venisse un malanno; alla sua età, poi...
Ma che stai a ddi, mica sò tu nonna, a cafone, assassino, morammazzato! Tiè!
Pardon... Passiamo quindi, senza indugio veruno, alla...

Fase 3) Lavorazione
Rilavorare un pochino la pasta.
Prenderne 2/3 e stenderla con matterello (tanto per restare in tema di violenza domestica) in uno spessore non troppo sottile; mettiamo mezzo dito, per capirci.
Adagiatela con delicatezza, come una foglia che cade lievemente al suolo col vento d'autunno...
Ma cche stai a ddì? Nun ce capisco 'na mazza, disgraìto che nun sei artro!
Buona, sora Flora.... mi lasci enucleare questi importanti e inediti concetti che saranno sì graditi al pubblico che avrà la compiacenza di leggerli...
Boh! Fammene annà, va, che sinnó te tiro 'na scopa in testa!

Dicevo: adagiare la pasta sul fondo e i bordi di una tortiera da 24 cm...


Rivestire il fondo in modo omogeneo con la crema, stesa tutta bbella così cor cucchiaio, tiè!
(Oddio, sto iniziando anche io a parlare come la sora Flora...)
Scolare l'uvetta e asciugarla con un panno, con delicatezza. Metterne una metà sul fondo, sulla crema.
Disporre gli spicchi di mela uno accanto all'altro, tutti insieme appassionatamente, occupando tutto lo spazio disponibile.
Spargere il resto dell'uvetta e i pinoli (che, se volete, potrete dividere in due, come l'uvetta).


Con la pasta restante formare un disco, metterlo a mo' di coperchio sulla nostra torta pizzicando i bordi per sigillarli.
Ci siamo. Intanto che il forno si scalda (i nostri soliti 180° e passa la paura) la torta lieviterà qualche minuto ancora, prima di entrare in forno e restarci per i prossimi 25, 30 minuti.


Farla raffreddare bene prima di toglierla dallo stampo. Quindi...


Quindi... che? Tagliatene una fetta e portatela alla sora Flora.
È bene curare i rapporti di vicinato, e poi siamo stati davvero un po' cafoni, in effetti...

 

Ah, certo che anche qui, le variazioni sul tema si sprecano.
Se volete evitare la crema potete spalmare sul fondo della torta uno strato di marmellata (circa 150 g, o giù di lì). 


Scommettiamo che alla sora Flora pacerà anche questa versione?...

Detto romano del giorno
Li peccati de mastro Paolo li piagne mastro Pietro.

C'è sempre chi paga per gli altri... signora mia.
Quant'è vvero! Ma lo sai che è successo a quer babbione* che abitava al palazzo de fronte?
No, non so niente... Mi dica, sora Flora...

Oggi ascoltiamo 
Trio Lopez-Marchesini-Solenghi - I promessi sposi (sigla finale)
http://www.youtube.com/watch?v=NNS14AwSdKc
Momenti di tristeza, momenti d'alegreza...

* persona avanti con gli anni e dalla mente un po'... intorbidita...

venerdì 26 ottobre 2012

Pasta brioche

Ecco, questo è un impasto che, a differenza della frolla, va trattato male.
Dove per il primo occorre avere la delicata accortezza che si ha con gli amanti, una sollecitudine non troppo appiccicosa e anche una gelida manina (mica per altro: si scioglierebbe il burro...), il secondo va sbattuto, stirato, schiaffeggiato e amalgamato con forza.
Insomma, va trattato male, come se avessimo di fronte il capufficio vessatore o l'ex che ci ha cornificato spesso e impunemente...
Questo perché i lievitati di pan brioche devono sviluppare la maglia glutinica, che sosterrà l'impasto e, asciugandosi in forno durante la cottura, formerà una consistenza soffice e vaporosa, come una dolce nuvola ...
La lavorazione di un impasto da brioche o d'altro lievitato simile segue sempre la stessa procedura, pure nelle minime variazioni date dalla ricetta.

Lo schema è sempre questo:

Fase 1) Lievitino

Il lievito è fatto sbocciare a contatto della farina e di poco liquido (acqua o latte).
Si forma un impasto non troppo duro, e lo si pone in una tazza, coperto e al riparo da correnti d'aria.
Volendo si può mettere il recipiente col lievitino su un pentolino dove è stata fatta scaldare dell'acqua.
I saccaromiceti del lievito adorano il calduccio, e l'impasto ve sarà molto grato.
Prima lievitazione, fino al raddoppio del volume.

Fase 2) Impasto
A questo nucleo vivente vanno aggiunti gli altri ingredienti e va lavorato con energia.

La cosa più faticosa è, in questa fase, ottenere l'incordatura dell'impasto, ossia la formazione della maglia glutinica che creerà una struttura bella compatta e omogenea, quasi gommosa, che a tirarla su dalla ciotola tenderà a restare un monoblocco…


Segue una seconda lievitazione fino al raddoppio del volume.

Fase 3) Lavorazione
L'impasto viene rimaneggiato e viene data la forma voluta.
Quando formate dei panini prendete una palla d'impasto grande come un'arancia e, con delicatezza, stiratene i lembi e portateli verso il suo interno, formando quelle che vengono chiamate "le pieghe", una scorza di maglia glutinica che avvolgerà la nostra palla rendendola liscia e dandogli una struttura forte atta a sostenere la lievitazione e la cottura, nonché la leggerezza...
Segue una terza lievitazione, questa volta in genere in teglia o nel recipiente di cottura.
Ovviamente sempre al riparo dalle correnti d'aria e coperto da un panno.

Fase 4) Cottura
Qui c'è poco da dire se non che si devono osservare le stesse accortezze della cottura dei lievitati.
Mai aprire il forno per i primi 30 minuti: è tassativo!
Sennó... flop! E chi vorrebbe fare flop?...

Bene, e le dosi?
Genericamente, per una brioche non troppo burrosa ci si può orientare così:
500-600g  farina
200ml       latte
25g           lievito di birra
100g         zucchero
100g         burro pomata (oppure 4 cucchiai di olio evo, non troppo forte)
2               uova
1 pizzico di sale
Generalmente si può usare anche una miscelazione tra due farine: la 00 e la Manitoba, che è una qualità di grano originaria del Canada e che dà una farina ricca di glutine e quindi adatta a ricette in cui sia prevista una lunga o ripetuta lievitazione.
Con la Manitoba la maglia glutinica non si sfalda facilmente, e il risultato è assicurato...
Anche per noi, impediti dell'arte culinaria.
Il burro, va da sé, dà proprio quel sapore che ci aspettiamo da una brioche ma anche l'olio, se delicato, non è da meno.
Tanto che, vedremo, nei maritozzi va usato l'olio (si sa, qui al centro sud siamo cresciuti con la culotura dell'olio, non del burro...)

Quindi, riepilogando, le fasi della lavorazione brioche sono:

1) Lievitino
Sciogliere nel latte tiepido il lievito, unire farina q.b. e 1 cucchiaio di zucchero.
Lasciar lievitare fino al raddoppio.

2) Impasto
Unire al nostro nucleo tutti gli altri ingredienti.
Le uova e il burro vanno messi alla fine per dar modo alla maglia glutinica di formarsi nel "maltrattamento" iniziale.
Lavorare almeno almeno 15'.
Poi formare una palla e, indovinate...
Lasciar lievitare fino al raddoppio.

3) Lavorazione
Formazione di panini, trecce, o altre forme diverse.
Disporre sulla teglia o nel recipiente di cottura.
Lasciar lievitare fino al raddoppio.

4) Cottura
Generalmente dipende dalla pezzatura.
In genere vale la solita regola: 180° per 30'
Per lucidare la superficie del nostro figliarello, appena cotto spennellarlo con un po' di latte.

Aforisma del giorno
Quando insegni, insegna allo stesso tempo a dubitare di ciò che insegni.
(Ortega y Gasset)


Oggi ascoltiamo
Carmen Consoli -  La dolce attesa
http://www.youtube.com/watch?v=dHOy-waRCV4

Perché ogni lievitazione è sempre una dolce attesa anche se, si spera, non di una gravidanza isterica...

Pomodori sull'orlo di una crisi di nervi


Il critico non è, come tanti altri,  il mio mestiere.
Non sono troppo obiettivo e né riuscirei ad essere spietato e sarcastico come il signor Ego in Ratatuille.
Mi si compra con poco, difatti: con la simpatia, con l'originalità, con l'onestà.


Ecco, Alessandro Fullin oltre ad essere un attore bravissimo (la Professoressa insegnante di lingua Tuscolana, certo, ma anche il suo Le serve di Goldoni) è, in primis, una persona onesta.
Con calcolato candore dichiara apertamente di non saper cucinare nemmeno una trota al microonde, che risulterebbe irrimediabilmente mummificata, e che le ricette del libro sono, in realtà, del suo caro amico Stefano Chiara.
E questo me lo fa essere più simpatico di quanto, in realtà, già lo fosse.
Questo libro, scritto apertamente come un divertissement è, malgrado le sue intenzioni, molto di più.
È perfetto, come può esserlo una sonatina di Mozart.
Questo perché, nonostante l'aspetto,  è un vero e proprio libro di ricette, con un titolo divertente, un'introduzione spassosa e la regolare trafila di ogni ricetta degna di questo nome: lista degli ingredienti, tempo impiegato, la difficolta e quindi i passi d'esecuzione.
Seguono le preziose note enologiche di un'inedita Adua Villa, della quale scopriamo finalmente la vena spiritosa (che su Rai Uno, per forza di cose, non può trapelare), che abbina con precise indicazioni il vino adatto ad ogni piatto.
Ogni ricetta è poi accompagnata dalle illustrazioni stile anni '60 di Giovanni Battistini, che rendono onore con garbo (e anche a Greta, difatti) ai personaggi citati tra una ricetta e l'altra.
Il libro è infatti costellato di citazioni filmiche messe lì come perle quasi con malcelata noncuranza.
A cominciare dal titolo: Pomodori sull'orlo di una crisi di nervi.
Una genialità in stile almodovariano, che è anche la dichiarazione d'amore del nostro autore per il cinema.
La copertina, infatti,  ci mostra un Fullin vestito da chef e assediato da un nugolo di pomodori assassini, come un novello Janet Leigh nell'indimenticabile scena della doccia in Psycho.
Le ricette sono semplici ma accattivanti, perfette per ogni occasione e ogni commensale.
Ve ne sono, suddivise nelle varie sezioni:
- Per le occasioni importanti, cioè per ogni data o personaggio icona che ogni gay non può non conoscere e celebrare;
- I piatti della mamma, che per ogni gay non è mai solo la mamma;
- Piatti e gay regionali, dove ogni ricetta è accompagnata dalla definizione della tipologia omo del posto.
- Piatti per eterosessuali, perché qui non siamo mica settoriali, qui si fa della vera cucina fusion, tesori miei;
- Piatti per sedurre lui, a dimostrazione del fatto che è vero che ogni uomo (e ogni donna) si può prendere per la gola;
- Cocktail, che non possono mai mancare (come anche i salatini...) e, dulcis in fundo, lo spassoso Cibo per chihuahua, dove si ironizza con amarezza sul fatto che le coppie gay possano riversare il loro smisurato affetto solo su cagnolini, gli unici esseri viventi che a loro è concesso d'adottare, almeno qui in Italia.
Ecco, un libro così merita un posticino vicino all'Artusi (la cui frase, molto gaya, La cucina è una bricconcella, è appunto messa in apertura del volume); soprattutto perché il buon Pellegrino, che di cucina la sapeva lunga, non ha dato delle sue ricette indicazioni che a noi, esseri più frivoli, sono fondamentali.
Indicazioni del tipo: che espressione assumere dureante l'esecuzione del piatto o quando lo si serve a tavola?
Un vuoto che Fullin completa con i suoi arguti consigli.
Per esempio, a chiusura della ricetta Arancia Lear (ovvero budino di semolino all'arancia), segue la preziosa indicazione sull' espressione  consigliata quando servite il piatto: Lea Massari quando passa sotto la statua e guarda in alto ne Il Colosso di Rodi (1961).
Un libro così ha tutto, e non vi aggiungeremo nulla di nostro, neppure tra le pagine messe a disposizione per gli appunti del lettore.
Oggi, come in ogni periodo buio, c'è una sorta di inflazione di comicità, sia in tv che sula carta stampata, ma di libri che fanno ridere da soli leggendoli non ce ne sono poi molti.
E bisogna sempre essere grati a chi ci fa ridere, a chi ci cucina qualcosa di buono e a chi ci fa compagnia nell'amore con inaspettato affiatamento.

Pomodori sull'orlo di una crisi di nervi
La vera cucina gay italiana.
(Alessandro Fullin, Cairo ed.)

lunedì 22 ottobre 2012

Sebadas

L'ho sempre pensato: in cucina la semplicità degli ingredienti non vuol dire povertà di sapori. Anzi!
Tempo fa lessi un animato forum (su gennarino.org) che disquisiva della preparazione di un piatto altamente sofisticato: spaghetti al pomodoro...
Non è banale: meno ingredienti si hanno in una ricetta e più si deve fare in modo che questi funzionino come si deve e che siano impiegati al meglio.
In un coro ci può essere un voce poco chiara ma se si è voci soliste, beh, c'è poco da fare.
Le ricette in cui si hanno pochi ingredienti formano la maggior parte della nostra tradizione culinaria (sì, tranne il ragù, bolognese o napoletano che sia...); piatti "poveri", dove ci si industria nell'inventare i sapori pur di presentare a tavola qualcosa di appetitoso.
Figuriamoci: la cucina romana è essenzialmente cucina povera, dove la carne è data prevalentemente dal quinto quarto, le frattaglie (tranne che nelle feste comandate): trippe, pajate, coratelle & Co.
Però di fronte a una bella pasta e ceci fatta come si deve il senso di "povertà" si perde in un amalgama di sapori che fa tornare il sorriso.
Come quella romana anche la cucina sarda è agro-pastorale; fatta quindi di poche, semplici cose messe in maniera tale da creare qualcosa di unico.
Dite: farina di semola, formaggio fresco e agrumi... Poca roba, in fondo. Ah, sì?
Provate un po' le sebadas...
Consistono infatti in un raviolo di pasta di semola di grano duro che racchiude del formaggio fresco a cui viene aggiunto limone e scorza d'arancia.
Sono considerate un dessert ma, a ben vedere, il gusto dolce è dato soltando dal miele (o zucchero) con cui vengono cosparse una volta pronte.
Per la pasta:
200 g farina di semola di grano duro
acqua q.b (circa 100 ml o giù di lì)
tre cucchiai d'olio evo (anche se in genere si usa lo strutto)
1 pizzico di sale
Si impasta fino ad ottenere un panetto omogeneo e sodo come quello della pasta fatta in casa.
Lo si fa riposare (mezz'ora basta, ma c'è chi la lascia tutta la notte).

Per il ripieno...
E qui entriamo in un campo di spine.
Dice wikipedia che le sebadas (o anche sevadas, per via dell'alternanza tra bilabiale e labiodentale sonore; o pure seadas, che taglia la testa al trau...) si dividono in due categorie:
a) con formaggio cotto;
b) con formaggio crudo (quest'ultima detta "a sa mandrona", ossia "alla pigrona").
D'accordo, ma "quale" formaggio usare?
Candidamente, ognuno risponde: pecorino fresco; oppure: un formaggio fresco, a pasta filante.
In gallura si usa la "Pischedda", ossia formaggio vaccino lasciato inacidire, tenuto quindi a temperatura ambiente per una giornata. È acido al punto giusto se, riscaldandolo, fila.
Noi useremo:
300 g pecorino fresco
un limone
scorza grattugiata di un'arancia (non sarebbe indispensabile ma ci sta un amore).

Nel caso volessimo cimentarci nella versione a):
tagliare il formaggio a pezzetti e farlo fondere a fuoco lento in un tegame.
Qui rilascerà il siero, che va eliminato o fatto riassorbire aggiungendo della semola.
Quando sarà bello fuso e filante si aggiunge il succo del limone, la sua scorza grattugiata e (eddài, mettetecela!) quella d'arancia.
Mescolare bene e versare la pasta su un piano coperto da carta forno, oppure uno stampo di silicone, e formare un disco alto poco meno di un centimetro, livellando bene.
Lasciar raffreddare quindi con un coppapasta (o anche un bicchiere...) ricavare dei dischi...

Nel caso della versione b),  la mandrona:
grattugiate il formaggio e impastarlo con le scorza tritate dell'arancia e il succo di limone.
E basta, se no che mandrona sarebbe?

Stendere la pasta, ricavare dei dischi (leggermente più grandi di quelli di formaggio... usate un bicchiere e una tazza per avere le giuste proporzioni).
Mettere un disco di formaggio (o un paio di cucchiai di mandrone) tra due dischi di pasta, sigillare bene i bordi e tirate un sospiro di sollievo.
Il più è fatto.
A questo punto se non vengono usate subito si possono congelare senza colpo ferire; basta separarle con della carta da forno (che è una mano santa: date subito il Nobel a chi l'ha inventata!)


Se invece non resistete (e come potreste, gattacci miei?) fatele cuocere in abbondante olio.
Bastano davvero due minuti, uno per parte.
Attenzione a quando le si gira per cuocerle dall'altro lato: non bucare la pasta o il formaggio, fuso, fuoriuscirà, e vi sentiranno bestemmiare fino in Islanda...
Prendete del miele (se di corbezzolo tanto meglio, il suo dolceamaro rasenta la perfezione) e riscaldarlo due secondi al microonde o in un pentolino e poi... poi... come pioggia d'autunno:



Se non gradite il miele spolverate di zucchero, semolato o pure al velo:


Consumare calde calde, appena condite.
Le papille gustative tutte s'alzeranno in piedi a fare la ola: il sapore del formaggio, in sintonia col miele, sarà l'acuto della Fitzgerald in una cristalleria, e sulle facce si stamperà un'espressione di confuso stupore e poi un sorriso beato.
Allora. è vero o no che la cucina accarezza l'anima?

Detto sardo del giorno
Su caminu curzu imbezzat s'ainu. 

Il cammino corto fa invecchiare l'asino.

Oggi ascoltiamo
Kenze Neke - Boghes de Pedra

http://www.youtube.com/watch?v=MLDgaksTcz8&feature=related

martedì 16 ottobre 2012

Vellutata di porri e carote

Personaggi e interpreti: io e Leppagorre...
...VrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrVrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrVrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr...
- Fermo, fermo! Che se non ti asciugo bene t'ammali e poi sono io a dover combattere con te. Già da asciutto sei così rognoso...
- Gatto rognoso, gatto rognoso, non sei più pelosooo.... etcì! Gatto rognoso, gatto rognoso, non è colpa tuaaa!... etciùùùm!
- Guarda che roba... ma, così, tanto per curiosità: da quand'è che non facevi un bel bagno?
- I'm singing in the raiiin...
- Ah, già, che bisogno hai di lavarti, tu?
- Ehi, ehi, piano con le insinuazioni, eh? Guarda che se i felini sono per natura inclini alla pulizia...
-... sì, certo, non tutti...
-...figurati un demone felino.
- Senti, a demone, ma era proprio necessario che andassi in giro con quell'acqua? E a fare cosa di così urgente da non poter aspettare che spiovesse?
- Te l'ho detto, no?...e... ee... eee... eeetciùùùm!
- Annamo bbene... Tutto questo per due porri? Spero che mi scoprano il più tardi possibile.
- Perché, non l'hai pagati?...
- Ma va, va, finisci di asciugarti da te, che io preparo la cena.
- Allora me li fai davvero?
- E certo, per un po' mi rischi la polmonite, pur di andarli a prendere. Ma ti piacciono così tanto i porri?
- Oh, sì, la signora del piano di sotto ne ha diversi, e tutti interessanti. Uno sul naso, uno sul mento, col pelo che spunta come un asparago selvatico, uno...
Vado di là per non raccogliere l'ennesima battuta di pessima fattura, visto che col nubifragio di ieri di freddure ce ne sono state già abbastanza, e mi preparo una minestra, anzi no: una zuppetta, che di sera è così confortante.
Anzi, a ben vedere, meglio una vellutata, così la faccio proprio completa, la porcata...


Vellutata di porri e carote.
Dosi per una persona...
- Due! Metti due! Che mi ti sei dimenticato? Eppure non mi hai trovato mica per strada!...
- Sarebbe stato meglio, forse...
Allora, facciamo per 3, 4 và, che è meglio:
2         porri
4         carote medie
3         spicchi d'aglio
50 g    pancetta arrotolata non troppo grassa
25 g    burro
20 g    farina (un cucchiaio colmo)
un bicchiere di latte 
sale, pepe q.b
Tagliare la parte verde dei porri (che non getterete, vero? Sapete già che domani s'unirà al concerto per verdure e orchestra n. 51 op.26, vero?)
Mettete a lessare i porri tagliati a pezzi in una pentola, assieme alle carote e gli spicchi d'aglio.
Se avete la pentola a pressione non esitate: in cinque minuti (il tempo che ci metterà il mostriciattolo a finire di asciugarsi) le verdure saranno belle morbide e pronte per essere passate.
Nel frattempo preparate una besciamella: in una pentolina far fondere il burro, unire la farina e farla tostare un po' (diventa più digeribile)
- Sì, se poi te ne magni mezzo chilo... Ah, ah, ah...
- Fatti gli affari tuoi, bestia!
Allora: Dopo un paio di minuti unire il latte e mescolare bene per non formare grumi, e continuare a girare finché la crema tenderà ad addensarsi.
A questo punto, supponendo che abbiate usato il metodo veloce e le verdure siano già pronte: prendete una tazza di acqua di cottura e diluitevi la besciamella.
Far addensare un poco, un paio di minuti, quindi spegnere il fuoco.
Con un frullatore ad immersione (o anche un setaccio a manovella...) passare le verdure, ottenendo una crema omogenea.
Rimettere sul fuoco assieme alla besciamella e portare a bollore, mescolando spesso.
Intanto in un padellino antiaderente mettete la pancetta attotolata, tagliata a stricioline, e fatela diventare bella croccante.
Quando la crema si sarà fatta un pochino più densa, aggiustate di sale e pepe.
-È prontooo?...
Il tempo di versare un paio di mestoli in tazza e adagiarvi sopra la pancetta.
- Ne voglio tanta, io! Ancora, ancora... eeetciùùùm!
Salute! Adorabile demoniaccio, ghiotto, sguaiato e cafone q.b....
 

Detto romano del giorno
Poco e gnente j' è pparente.

Il poco è parente del niente.


Oggi ascoltiamo
Antonella Ruggiero - Amore lontanissimo

http://www.youtube.com/watch?v=C73bvweyenE
L'interprete più brava che abbiamo in Italia (4 ottave, dico 4, mica pigne...), versatile, magnetica, in una parola: meravigliosa!

lunedì 15 ottobre 2012

Pulcraveddi del Cinghiale Bianco

Ovvero: Biscotti all'ammoniaca

È da almeno due anni che quella bustina di bicarbonato d'ammonio mi guardava dalla penombra della credenza:
"Ehi, sono ancora qui, eh? Che si fa? Mi vuoi provare o no?".


Ed ogni volta, una cosa o l'altra, ho sempre soprasseduto.
Adesso però è ora di provare, tanto più che, a differenza di tante altre ricette di biscotti, questa la si ritrova pressoché uguale in ogni pagina web dove compare, segno è che "questa" è la definitiva, l'ipercollaudata, quella che non rischia di deludere mai.
E come potrebbe? Servono, infatti:

1 Kg   farina 00
4         uova intere
150 g  burro fuso, o anche olio di semi (che col suo sapore delicato non rischia di interferire)
400 g  zucchero
120 g  latte (più un altro mezzo bicchiere per pennellare la superficie)
la buccia di un limone grattugiata
20 g     ammoniaca per uso alimentare (una bustina)
un pizzico di sale

Ecco, quando succede di provare qualcosa che esiste da secoli mi sento come il tontolone che ha scoperto l'acqua calda, e mi sembra di sentire le voci in testa come Giovanna D'Arco: "È da anni che mia madre la usa per i suoi biscotti!", "Qui da noi  - In Sardegna, per capirci - il lievito in bustine si usa solo per le torte", "Ah... non lo conoscevi? - Con sicumera e sguardo altezzoso dall'altro in basso - Poverino..."
Vabbè, meglio tardi che mai...

Si lavorano le uova con lo zucchero. E frusta, frusta, frusta...
Aggiungere il burro (o l'olio) al composto e amalgamare.
Sciogliere il bicarbonato d'ammonio nel latte tiepido, utilizzando un bicchiere di  dai bordi alti, questo perché il maledetto puzzinoso a contatto dei liquidi si fa tutto effervescente e tenta di scappare di casa, traboccando da qualunque recipiente lo vogliate mantenere.
Versatelo nel composto e mescolate bene, aggiungendo quindi la buccia del limone, il sale e la farina.
Dovrete ottenere un composto non troppo molle, ben lavorabile a mano, e se dovreste vedere che ancora s'attacca alle dita aggiungete una manciatina di farina, senza indugio alcuno.
Accendete il forno a 180°.
Stendere la pasta sulla spianatoia, se volete usare uno stampino, oppure formate dei cilindretti o delle palline che appiattirete, insomma: metteteci del vostro!


L'altezza che preferisco è 0.725 mm... ma scherzo! Non chiamate l'ambulanza!
Ricordatevi, in ogni caso, di lasciare almeno un centimetro tra un biscotto e l'altro perché, specie se non li avrete stesi troppo sottili, in forno tendono a crescere molto.
Una volta formati tutti i biscotti (me ne sono venute almeno tre teglie, visto che non erano troppo paccuti) spennellateli con il latte e, se preferite, cospargeteli di zucchero.
Infornate e....
Godete dell'ebbrezza d'essere delle fattucchiere, delle Amalie che ammaliano, delle streghe beneventane (che si sono  vendute il noce alla falegnameria per mantenersi l'alcool di cui sono ghiotte...)
Questo perché la cucina verrà deliziosamente invasa da un odore d'ammoniaca.
Ma non bisogna temere d'avvelenarsi: il bicarbonato d'ammonio svapora durante la cottura e non ne rimane alcuna traccia nei biscotti. Garantito!
Cuocere per 12 minuti circa, il tempo di vederli dorare in superficie.
Fateli raffreddare su una griglia o, magari, in un cesto di vimini:



Mi sembra superfluo aggiungere che il bicarbonato d'ammonio NON è l'ammoniaca con cui si disinfetta il bagno di casa e si ravviva il colore dei tappeti (in poca acqua tiepida e via a strofinare, signora mia: giuro che funziona...) ma un prodotto specificatamente sviluppato ad uso alimentare.
Questo, nella fattispecie, il biscotto pronto ad essere addentato:


Buoni, semplici, facili da fare, economici, sorprendentemente friabili e cedevoli ma, allo stesso tempo, molto resistenti all'inzuppo. Che si può chiedere di più a un biscotto da colazione: che ci prepari il cappuccino?
Questi biscottini caserecci mi hanno talmente entusiasmato che ho già immaginato di metterli in commercio, con un lancio in grande stile.
La confezione è già pronta:

Il logo (non fate la spia, ok?) pure:
Scordatevi le imprese finto-bucoliche d'un attore che da sex-symbol s'è trasformato in un mugnaio psicopatico che parla con la sua gallina.
Certo, io che mi faccio dei bei dialoghi col demonietto Leppagorre non sono certo da meno.
E non sono neppure un sex-symbol, ahimé...
Mi consolerò sgranocchiando qualche biscotto...

Aforisma del giorno
La sensibilità è un'invenzione moderna. Speriamo che duri.

Alexandre Dumas

Oggi ascoltiamo
The Knife - Marble House

http://www.youtube.com/watch?v=-WhQ5TiBHVk

Corona di riso con scamorza e speck

Ovvero: Variazioni su variazioni da una ricetta di Luisanna Messeri.

Ma quanto mi sono divertito seguendo la serie di trasmissioni de "Il Club delle Cuoche", la "food comedy" che Cielo ha ritrasmettesso da Alice TV.
Nella prima serie Luisanna la Rossa, fiorentina verace, era accompagnata dalla sua cara amica Francesca, più avezza ai libri che ai fornelli, in una serie di avventure culinarie ambientate nella cucina di in una splendida casa affacciata sulle colline del Mugello.
C'era un po' quell'aria antica e domestica delle donne in cucina, che chiacchierano e si confidano (e spettegolano, anche), scambiandosi esperienze ma anche chicche di quelle conoscenze che solo donne moderne, del nostro tempo, possono avere. Donne che hanno studiato, letto libri e conosciuto il mondo.
E su tutto, a vegliare bonariamente con aura protettrice stava, silenzioso, il ritratto di Padre Pellegrino*.
Gli episodi avevano ognuno un titolo geniale, del tipo: "Io timballo da sola", "Manz attack", "Il gateau a nove code", Marraquiche express", "Fronte del porco", Mousse d'arancia e d'anarchia", "Vai avanti te che a me viene da friggere", " Sogno di una ribollita di mezza estate", "Il fascino discreto della pasticceria", "Carciofo's way", "Ricottami di te", "Tortellino, servo di due padroni", e via dicendo... 
Indice di un'ironia simpatica, scanzonata e d'un amore sviscerato per il cinema e il teatro.
Una puntata però mi colpì molto, per l'atmosfera e i colori.
Le due amiche preparavano della carne allo spiedo sedute davanti al caminetto, e mentre il cibo cuoceva loro si raccontavano aneddoti, si confidavano e scherzavano amabilmente con il garbo e la schiettezza di sempre.
Bello era il contrasto tra l'arancio della fiamma e l'azzurro della luce da fuori, bello l'accavallarsi delle voci davanti al caminetto, bella quella sensazione di tempo sospeso, senza tempo.
Come un convitato invisibile ho goduto della loro compagnia e, non saprei dire il perché, ma il fascino di quella serata m'è rimasto impresso nel cuore.

Oggi invece preparo una cosa che ho visto fare in un'altra occasione dalla Sora Mantura (il soprannome di Luisanna): una bella corona di riso, un pilaf, rivestito di speck croccante... una squisitezza. 
Quindi:
800 g riso
300 g scamorza affumicata
200 g speck
150 g parmigiano grattugiato
1 cucchiaino di zafferano
sale e pepe q.b.
brodo pronto (anche di dado, se proprio si va di fretta).

Si prepara un risotto facendo, come la norma prevede, tostare il riso in olio e burro, quindi si fa svaporare un dito di vino e si aggiunge, a mano a mano, il brodo, dove sarà stato sciolto lo zafferano, portando a cottura.
Intanto si prende uno stampo...


...e lo si riveste internamente (e dove, sennó?...) con le fette si speck.
Il risotto va quindi trasferito in una ciotola. dove verrà condito con il parmigiano e il formaggio a dadini, e quindi trasferito nello stampo.
Volendo si può anche chiudere la coccia della nostra corona con ulteriori fette di speck, ad avvolgere con sapida passione l'anello di riso...
Cottura a fuoco medio, i soliti 180°, per venti minuti, una mezz'oretta, il tempo di far gratinare il riso e sciogliere il formaggio all'interno.

Ora le variazioni, lo si capisce da sé, sono infinite.
La mia, da single dalla doppia panza, sono:

500 g riso
300 g scamorza affumicata
200 g lonza (o coppa di Parma, ogni regione ha la sua denominazione...)
100 g pecorino
1 cucchiaino di zafferano
sale e pepe q.b.
brodo pronto (anche di dado, se proprio si va di fretta).
E via facendo...



Si può, però, anche...
* Usare altri tipi di affettato. La lonza, per esempio, ha delle piccole le venature di grasso che fondono e diventano una reticella croccantina che non ha l'affumicato dello speck ma una consistenza deliziosa. Ma possiamo usare anche una pancetta arrotolata non troppo grassa, o del prosciutto cotto tagliato non troppo sottile....
* Tritare un paio d'etti di spinaci lessati e mescolarli al riso. Uh, signora mia, ho dei porri stufati in padella della sera prima (guarda caso...). Si saranno anche stufati di restare in frigo, e mo', che si fa? Ma buttateceli dentro, no?... che domande.
E due carotine lessate a rondelle no? E qualche pisellino?
E del pelargonio caramellato?... Anche no, grazie.

* Usare la scamorza fresca, più delicata o, all'opposto, del buon gorgonzola piccante, sempre a dadini. O, magari, metà gorgonzola e metà scamorza. Mh... me piace
* Rosolare dei piccoli dadini di prosciutto (crudo o cotto ma tagliato a fettine un po' spesse) e unirli al composto di riso. Ma, certo, anche della pancetta, rosolata a parte, non è niente male.



Il riso, si sa, come la pasta e il pane, ammette un 'infnità di variazioni col companatico.
Infinite variazioni... Chi ama cucinare si sente spesso come un piccolo Mozart, che ascolta le melodie d'altri e le fa sue, le trasforma, le unisce ad altre sue invenzioni e ne crea qualcosa di nuovo, di mai sentito. Fatte le debite proporzioni, certo...
All'epoca del geniale enfant prodige, poi, un bel concerto era un evento effimero quanto un buon piatto d'amatriciana, visto che non c'era ancora la tecnologia a "congelare" e conservare per sempre (o quasi) la musica.
La musica, ma anche la danza, vivono del momento fugace, della bellezza estemporanea d'una rosa.
Proprio come la cucina, del resto.
Avete mai visitato un roseto? Un orgia di profumi, di colori, di splendide variazioni cromatiche, di forme ardite frutto di incroci e di sapienti manipolazioni.
Le statue di marmo, le opere architettoniche hanno invece quel po' di pretenziosa arroganza tipica della razza umana, che ha sempre sentito la necessità d'illudersi di durare in eterno e l'istinto di perpetuarsi ed espandersi oltre i propri limiti.
Ma la bellezza, a ben vedere, è struggente proprio perché è passeggera, transeunte, caduca.
Proprio perché, come un alito di vento, ci accarezza l'anima, e sappiamo che non tornerà, e che siamo stati fortunati a goderne del passaggio...

Detto romano del giorno
A principè, t'è cascata la corona!
Principessa, ti è caduta la corona!
Si dice a una ragazza quando questa si lascia andare ad espressioni un po' colorite, che solitamente si sentono dire da qualche ragazzotto. Evidentemente perché si crede, e non a torto, che possa perdere, non tanto la sua "nobiltà" ma la sua grazia nel turpiloquio. Segnala cioè il passaggio da donzella a truzza...

Oggi ascoltiamo
Beyonce - Listen

http://www.youtube.com/watch?v=y4gimHC7fKs
Una Principessa del soul-pop, incredibilmente brava, regale, bella come poche, elegante come una panterona ma anche lei, ahimé, un po' truzza.

* L'Artusi, no? Chi altri?...

martedì 9 ottobre 2012

Torta Passacaglia


Autunno, tempo di primi freddi, d'una natura che s'avvicina a un imbiondito tramonto verso il sonno invernale, tempo di prime arance, di pompelmi, castagne e, ovviamente di cachi.
Un frutto davvero particolare, tenero quasi da esser liquido, dolcissimo, appeso come una goccia di sole su rami ormai spogli come un ultimo dono, una buonanotte al mondo a cui non si può non rispondere...
Autunno, tempo di Passacaglia.
Tra poco uscirà il nuovo lavoro di Franco Battiato e in rete già è presente, come anteprima un video divertente dove Betty Wrong ce lo canticchia in macchina.
Ma cos'è sta Passacaglia?
È una forma musicale, d'origine spagnola che divenne in seguito una danza popolare (Pasacalle, ossia che passa per la strada, tradisce l'utilizzo da parte dei musicisti girovaghi)
Nel periodo barocco è stata  riproposta in innumerevoli variazioni dai grandi autori dell'epoca.
Johann Sebastian Bach, per esempio, compose la passacaglia in do minore BWV 582, un capolavoro.
Ma c'è anche quella di Händel, che venne usata dalla Rai per l'interallo tra le trasmissioni, assieme alla Toccata in La maggiore per arpa di Paradisi.
Ah, le pecore al pascolo o la rassegna di monumenti o di scorci di famose località italiane...
Solo chi ha più di quarant'anni può capire, sigh...
Un passo della Passacaglia, detto la Follia di Spagna, fu un motivo suonato in tutta l'Europa.
Una hit che durò almeno due secoli...
Ne abbiamo composizioni di Vivaldi, Corelli, Salieri, Beethoven e, nel Novecento, anche di Rachmaninov.
Provate a fare un contronto tra le varie versioni.

Oggi Battiato ce la ripropone in forma moderna, ispirata alla Passacaglia della vita, detta l'Arpeggiata, di Stefano Landi, un compositore del Seicento.
Qui il nostro contemporaneo aspira, come sempre, di uscire dalla banalità di questa vita verso un livello altro e più alto di questo, lamentando la crudeltà di gente senza vergogna (non vi viene in mente niente, vero?...).
C'è un po' di Povera Patria, con in più l'amarezza e la delusione da fine Seconda Repubblica, ancora più squallida e ridicola della Prima.
La Passacaglia di Landi, invece, più crudamente ci dice che:
     Oh come t'inganni
     se pensi che gl'anni
     non hann' da finire,
     bisogna morire.
     ...

Con quel "bisogna morire" recitato continuamente, come un mantra, come per risvegliare qualche coscienza assonnata dall'illusione d'eternità, o per esorcizzare una presenza fin troppo dolorosa ma in fondo, poi, così "naturale".
E in quei tempi disgraziati, tra guerre, fame ed epidemie, ne aveva ben d'onde...

Come rendere omaggio a uno dei più grandi artisti italiani di oggi, un artista colto, totale (dalla canzonetta all'opera ha composto di tutto), un vero intellettuale, nel senso più puro e letterale del temine?
Ma con una bella torta, no?
Ecco la mia Passacaglia: pandispagna al cacao, farcia di mousse di fichi e copertura di marron glacés e decorazione (opzionale) di minicachi di marzapane e pasta di zucchero.
Le castagne ci dovevano pur essere, in qualche maniera, no?



Per il mio solito formato "dietetico" da 15 cm di diametro, occorre un pandispagna al cacao da due uova, come descritto qui.
La composizione del dolce è analoga a quella della Torta Tapina: farcitura con crema da far rapprendere in frigo, e quindi decorazione della superficie esterna.
Per la nostra farcitura a base di cachi, si prepara la:

Mousse di cachi.
150 g di polpa di cachi
2 cucchiai di zucchero di canna
50 g panna montata
3 fogli di colla di pesce
succo di mezzo limone
Lavare i cachi, eliminare la pellicina, i semi (ma quanto son belli i semi del caco...) e frullare il tutto assieme allo zucchero e al succo di limone.
A parte far ammollare la colla di pesce in acqua fredda, poi scioglierla in due cucchiai di liquore a piacere (del Cognac è ottimo) che avrete fatto bollire per qualche minuto.
Unire la colla di pesce alla crema di cachi... ma perché chiamarla ancora colla di pesce se si ricava dalle cartilagini dei bovini? Chiamatela Muccolla e via, no?
Aggiungere delicatamente la panna montata, e conservatela in frigo in attesa della farcitura.



Quando il pandispagna si sarà ben freddato lo potremo tagliare in  tre strati.
Prepariamo una miscela di acqua, zucchero e cognac (mezzo bicchiere, 2 cucchiai, 2 cucchiai), fatta bollire per qualche minuto (almeno farete svaporare l'alcool del liquore).
Con questa bagneremo i diversi strati di pandispagna durante la composizione.
Quindi: stampo ad anello rivestito con un foglio d'acetato (lo trovate, come sapete già, dal fruttivendolo, e gratis).
Strato di pds, bagna, metà farcia. Livellare bene con una spatola.
Altro strato di pds, bagna, l'altra metà della farcia. Livellare bene.
Ultimo strato di pds come copertura.
Far riposare l'amato bene in frigo per almeno un paio d'ore (anche tre), e nel frattempo, se volete, preparate qualche minicaco di marzapane, coperto da pasta di zucchero arancione, per decorare la superficie del nostro dolce.



A consolidamento avvenuto, togliere l'impalcatura dalla nostra Passacaglia, rivestirla di panna montata, un altro 100 g almeno, e preparate la coccia.
Tritare 200 g di marron glacés, con un cucchiaio, o con il palmo della mano versateli lungo tutto il bordo della torta, quindi sulla superficie.
Premere leggermente il trito di castagne per farlo aderire alla panna, quindi altro riposino in frigo, fino all'ora di portare in tavola.

Che dire? La panna, si sa, spegne ogni sapore, ed essendo quello dei cachi molto delicato, se preferite più mousse di frutto che chantilly, diminuite le dosi di panna.
Quello che ci voleva per stemperare l'amarezza del testo di Battiato e quello disperante di Landi.La dolcezza non vince, certo, ma almeno allevia l'asprezza e il senso d'inanità della nostra esistenza...


Aforisma del giorno
Nella morte non c'è niente di triste, non più di quanto ce ne sia nello sbocciare di un fiore. 

La cosa terribile non è la morte, ma le vite che la gente vive o non vive fino alla morte.
Charles Bukowski


Oggi ascoltiamo (ovviamente):
Franco Battiato - Passacaglia

http://www.youtube.com/watch?v=VZg1ENJMHcA

lunedì 8 ottobre 2012

Frittata recidiva

Ovvero: Oh, è rispuntata l'ortica in terrazzo!...

Io gliel'avevo detto (mica parlo solo con Leppagorre, se uno è suonato lo è fino all'ultima nota!): "Guarda che se ci rifai ti faccio secca, eh?"
E lei, imperterrita, con l'invidiabile pazienza che solo i vegetali sanno avere, pàffete! Arièccola!...
Tesora mia bella (dove sono i guantini in lattice?... eccoli qua!) non dovevi... E poi, proprio nel vaso del rosmarino che, come si dice qui, nun cresce e nun crepa?
Bene, oggi so che farmi per pranzo... ZAC!


Mica schezo, io! Ah, guarda un po' come sò fatto!
La volta scorsa ci ho fatto un risotto niente male. Stavolta voglio provare la frittata.
Quindi stesso accorgimento dei guanti e immersione della poverina in acqua, dove le sue vescichette urticanti (d'altronde si chiama ortica, mica Vanessa...) cesseranno di essere fastidiose per la pelle.
Intanto faccio soffriggere uno spicchio d'aglio in poco olio e vi aggiungo una zucchina media tagliata a pezzetti. La faccio andare per cinque minuti e vi aggiungo le foglie mondate della malefica.
Appena saranno appassite, un pizzico di sale e verso le uova. Un paio a persona, direi.
Stessa, solita, trita e ritrita procedura per la frittata, con annessa girata a metà cottura.
Uso, di solito, il coperchio della padella, dato che con il piatto mi pare un gioco da equilibrista.
Ed essendo io un inguaribile pecione* so già che la sospirata frittatina finirebbe a condire il pavimento.


Bene, anche questa è fatta. Anche questa è buona.
Strano, quasi quasi non vedo l'ora che rispunti di nuovo...

Detto romano del giorno
Si nun è zuppa è pan bagnato.

Insomma, è la stessa cosa…


Oggi ascoltiamo
Los Panchos - Lo dudo

http://www.youtube.com/watch?v=v8h94klaKJM

* pecione, ovverosia: maldestro, poco preciso, sbadato. Una catastrofe, insomma...

sabato 6 ottobre 2012

Coccarota

Le torte alla carota, se ci fate caso, richiedono sempre, tra gli ingredienti, la presenza delle mandorle tritate.
Questo per bilanciare, in cottura, l’umidità della carota.
Avendo della farina di cocco avanzata (e non troppo lontana dallo scomponimento in elementi fondamentali: idrogeno, azoto, ossigeno, ecc, ecc...) mi sono chiesto: e se usassi questa?
E allora, proviamo:
350g      carote grattugiate
2            arance (succo e scorze grattugiate)
250g      farina di cocco
150g      farina
3            uova
150g      zucchero
100g      olio di semi oppure burro fuso
125ml    yogurt (un vasetto)
1            bustina di lievito
1 pizzico di sale, vaniglina, scorza di limone, una punta di cannella.
Volendo si possono sostituire le arance con un secondo vasetto di yogurt, senza colpo ferire.

Lavorare le uova con lo zucchero, unite la farina di cocco e le carote.
Quindi tutti gli altri ingredienti.
Mescolare con cura e versare nella tortiera (stampo canonico da 3-5 uova: 24 cm di diametro) e cuocere in forno a 180° per 40' almeno.
Rimane un po' umidina, per via delle carote, quindi fatela dorare bene in superficie.


Lo so, la tentazione di vestirla con una bella glassa al formaggio è forte, troppo forte.
Quella di scatafrombolargli sopra una densa, lucida glassa al cioccolato insostenibile...
Fermi così, teniamoci sta camillona cocc..iuta e basta così. Per stavolta, almeno...
Così com'è è ottima per la colazione e la merenda.
Ma, adesso che ci penso, anche per una cena tranquilla, con bicchierone di latte accluso...


Aforisma del giorno
Il mondo è una commedia per quelli che pensano, una tragedia per quelli che sentono.

Horace Walpole


Oggi ascoltiamo
Joe Jackson - Real men (live)

http://www.youtube.com/watch?v=mJGxFewE-5k

lunedì 1 ottobre 2012

Lorighittas... o quasi

Aveva ragione il nostro più grande poeta contemporaneo, Fabrizio De André...
Non siamo noi a scegliere la nostra terra ma è lei, con le sue voci, i suoi colori e i suoi profumi a sedurci, a entrarci dentro, ad appartenerci e a farci suoi.
È amore per quello che, generosa e prudente, prodiga e riservata ci ha rivelato di sé a poco a poco, come in un lento e inesorabile innamoramento.
Un amore che va meritato perché va preso sul serio, travalicando gli sguardi più superficiali e l'interesse per quegli aspetti più caratteristici e peculiari che la fanno diversa, altra.
Una amore che non si dona così, facilmente, ma che quando entra nelle ossa non se ne va mai più via.
Ed è dolore per lo svilimento in cui la vediamo afflitta, per la desolazione in cui è piombata e da cui sembra che solo con estrema fatica potrà, un giorno, forse, uscirne fuori.
È proprio come il dolore di veder trattata male la persona a cui si vuol bene, di sentirla offesa da qualcuno che senza riguardo né rispetto tenta di farla sentire indegna, anche solo d'esistere.
È vero, non siamo noi a scegliere la nostra terra. È lei a scegliere noi.

Terra sarda,
s'alenu tuo lontanu
m'intra in su coro,
che s'oghe prufunda,
cuada e muda,
che s'abba currende
sutta a sas pedras,
amarga e durche,
e s'anima me prena
interamenti.
Leami, mama terra,
chi deo soe, innoghe,
tuo chene freas
ne dudas, chena atteros
gestos che un'abbratzu...

Festeggiamo questo amore conclamato con qualcosa di nuovo, e di impegnativo.
Oggi: Lorighittas!

Ci ho voluto provare, senza nutrire molte speranze e, devo dire, per essere la prima volta non c'è male. Anzi...
Ma ora capisco perché sono le donne ad occuparsi di lavori certosini come questo...
Non certo per una divisone dei ruoli che per secoli e secoli le aveva messe in casa a badare "soltanto" ai figli e alla cucina. Non solo.
È perché le donne, cari miei, sono esseri superiori. In molte cose.
Solo la cultura ottocentesca, maschilista e retrograda, poteva far venire in mente a Freud l'idea che esse potessero invidiare la nostra virilità. L'invidia del pene è una bufala senza pari.
In realtà siamo noi uomini ad invidiare il loro inaccessibile potere, specchio di quello ciclico e vitale della natura.
Siamo noi maschi ad invidiare la loro capacità di generare la vita e a temere la loro forza inesorabile, sottile e meno grezza e manifesta della nostra.
Ah, la pazienza, i gesti, e la sapienza delle donne...

Mi sono voluto documentare , come al mio solito, e ho trovato un filmato che mostra la signora Gilda Garau, dell'agriturismo "Sa lorighitta" di Morgongiori (e dove, sennó?), che ha spiegato con precisione e simpatia tutte le fasi della lavorazione di questa pasta.
Si parte da pochi, semplici, ingredienti.
Si versa in una xivedda, (ossia la ciotola di terracotta) la semola di grano duro, il classico etto a persona, più o meno, a cui va aggiunta a poco a poco l'acqua in cui è stato sciolto del sale pa su battai, ovvero "per il battesimo"...
Dice infatti la sora Gilda: "Sa genti antiga ponianta sempri sa sabi po battiai in s'impastu che si farìa... Da cualsiasi impastu ch'at si fattu si ponìa semprì sa sabi po battiai".
E noi lo si battezza così, con un gesto quasi rituale, come il taglio a croce sull'impasto del pane, e quindi si parte a lavorare la pasta, con pazienza, decisione, forza.
Avete mai "sentito" gesti come quello dell'impastare?
E provare quella strana sensazione di veder riflesse nelle mosse delle vostre mani altri gesti, lontani, arcaici e ripetuti da millenni, da sempre, con la stessa cura, lo stesso amore, e a volte anche con la stessa sofferenza?
A me capita spesso quando preparo il pane.
Sento che i miei gesti scivolano all'indietro, arrivano agli albori della civiltà, oltre le latitudini, le abitudini e le lingue.
Fino ad arrivare a nonna Lucy, e anche oltre...

Preparato così il nostro bel panetto, vi si ricavano dei serpentelli lunghi e sottili.
E qui mi rendo conto di quanto io sia limitato nella manualità, nella capacità e nella pazienza.
I miei serpentelli erano un po' boa costrictor e un po' pitoni.
Insomma, un po' troppo grossetti, a dir la verità. Ma per oggi va anche bene così.
Si fanno quindi due giri di pasta sull'indice e il medio della sinistra (se siete destrorsi, sennó il contario...) e si saldano le estremità dell'anello, premendole leggermente.
Poi, tenendo ferma la giuntura con una mano, si fa ruotare la coppia di fili di pasta su se stessa, formando così un'anello (sa loriga) intrecciato.


Lo si vede fare in due secondi dalle signore di Morgongiori.
E capisci che i loro sono gesti imparati, abituali, tramandati e, alla fine, eterni...
Le mie lorighittas sono un po' sformate, diseguali, paccutelle e stortignaccole ma, mi ripeto, per oggi va anche bene così. La prossima andrà anche meglio.

 

Rimane da preparare un sughetto degno di loro.
Pomodoro semplice? Giammài!
Soffritto di trittico (carota, sedano e cipolla) poi salsiccia a pezzetti e funghi porcini.
Ho usato quelli secchi, ammollati in acqua tiepida, e ho stemperato la cottura della salsiccia con la loro acqua decantata e filtrata.
Quindi, passata di pomodoro, poca acqua, sale, e via a bollire per almeno un'oretta.
Lo voglio bello carico...
Mh, quasi ci siamo. nell'acqua bollente faccio cuocere i miei lorigones, per dieci minuti almeno, visto il loro spessore.
Ripassatina nel sughetto, spolverata di pecorino grattugiato e via, verso il paradiso papillare.



E mentre gusto, ad occhi chiusi, penso alla lontananza, e a come questo sia uno stato solo all'apparenza così solido.
In realtà è così fugace, se bastano ricordi, profumi, sapori, ad annullare la nostalgia e a riportare alla mente e al cuore ciò che si ama.

Detto sardo del giorno
Ognunu dat contu de sa bertula sua. 

Ognuno risponde del contenuto della propria bisaccia.

Oggi ascoltiamo 
Gianni Nocenzi, Andrea Parodi - Mintoi
http://www.youtube.com/watch?v=DVY29Z4T6ZU