venerdì 31 maggio 2013

Кащеппепе (Kaščeppepe) - Sì, vabbè: Cacioeppepe

Direttamente dalle rive della Volga (che in russo, ebbene sì, è femmina) una ricettina semplice semplice, che si avvale di pochi, semplici ingredienti:
Спагетти (Spaghetti), oppure тоннарелли (tonnarelli) o, a piacere, i pигатони (rigatoni) se si preferisce il formato corto;
Пепе (Pepe);
Пекорино сыр (Cacio pecorino).
E qui c’è l’annosa diatriba tra chi usa il Красноярский сыр (ovvero il pecorino di Krasnojarsk) e il Иркуцкий сыр (cioè il pecorino di Irkutsk). Il secondo è effettivamente meno piccante ed è oggigiorno più usato, anche se la ricetta tradizionale nasce effettivamente con l’uso del primo.
Qualcuno fa addirittura risalire a questa spaccatura tra fazioni casearie la vera ragione del crollo del regime sovietico.
Erano gli anni della Perestrojka e della Glasnost', per chi se lo ricorda, e il presidente Gorbačev si trovava circondato da un campo minato cosparso di tagliole avvelenate. Stretto da tra le bordate delle fazioni nemiche, nel 1991 cercò di sedare gli animi con la ratifica di un’apposita legge che consentiva l’uso di entrambe le varietà di formaggio, ma il golpe d’agosto fece precipitare la situazione. Altro che Janaev, Jazov e gli altri buzzurri della stessa risma: il colpo di stato fu organizzato dai partigiani del pecorino di Krasnojarsk.
Da quel giorno la Storia non sarebbe stata più la stessa…
A parte gli scherzi, dedico questa ricettina all'amicizia tra i nostri due popoli: sentimentali, passionali, irruenti, caparbi e soggiogati da una classe dirigente indifferente e dispotica (i Russi? gli Italiani? fate voi...)


Ma veniamo alla ricetta, che è meglio, va...

Ci sono cose nella vita che ci rendono pateticamente ridicoli anche ai nostri stessi occhi.
Sono quei casi in cui non si può invocare una storta sporadica quanto un ostinato incaponirsi.
E non ci basta, no: più ci cadiamo e più ci ricadiamo, e avvinti dalla coazione a ripetere la nostra  dabbenaggine insistiamo, rotolandoci in una rete senza scampo in cui stiamo ormai dentro, come si dice, con tutte le scarpe.
Ecco, mangiare per settimane spaghetti cacio e pepe solo per trovare la ricetta "giusta", be', lo so da me, ha del ridicolo.
Ma già l'ho detto altre volte: un piatto all'apparenza "banale" per quantità di ingredienti non è detto sia anche semplice nell'esecuzione.
Provate a fare la "cacio e pepe" come si deve e poi mi direte: ah, sì, è immediata, eh? Che ce vò?
Sì, sì, allora fatela e ditemi quanto pecorino sprecherete nel tentativo di ottenere un condimento che non rimanga brodosa né si appallottoli miseramente attorno alla forchetta.
Era semplice, vero?
Ma il "segreto" c'è, ed è il giusto equilibrio tra formaggio e acqua di cottura della pasta che, leggermente colloso per l'amido contenuto, forma una cremina della giusta consistenza.


Per ogni 100 g di pasta (a persona, ovviamente; per meno neppure metto l'acqua sul fuoco...) occorrono circa 20-25 g di pecorino e pepe a volontà... Tutto qui?
Ah, certo: e l'amido della pasta dove lo mettiamo?
In una ciotola (di coccio o di ceramica sarebbe meglio, e leggermente riscaldata meglio ancora) mettere il pecorino e amalgamarlo a qualche cucchiaio di acqua di cottura della pasta, formando una salsina non troppo asciutta.
A cottura ultimata (tenere da parte ancora un po' d'acqua, per ogni evenienza) versare la pasta nella ciotola e mescolare con cura per distribuire bene questa manna cremosa.
Se la pasta, come avviene di solito una volta scolata, tendesse a puppare, aggiungere un cucchiaio o due d'acqua di cottura, e mescolare velocemente.


Checché se ne dica la morte sua sono i tonnarelli all'uovo.


Cosa m'ha insegnato questa semplice e complicata ricetta?
Che l'arte della cucina non è solo conoscenza, né è solo passione ma è anche una sorta d'ineffabile talento nel capire, al volo, quasi per una sorta di istinto segreto, le giuste dosi, i giusti tempi e i gesti adatti.
Ma dato che sono pecione questo non è evidentemente il mio caso...

E intorno a un tavolo, con un bel fiasco di vino dei castelli, si canta tutti assieme: 
A мы говорим его, а мы делаем его...
E noi je dimo, e noi je famo ...

Detto russo del giorno 
Я последняя буква алфавита 
"Io" è l'ultima lettera dell'alfabeto.
La lettera я è l'ultima lettera dell'alfabeto cirillico e in russo vuol dire "io".
Quindi è come dire: la boria e l'egocentrismo sono ridicoli perché la parola "io", come la lettera, viene sempre per ultima.
E invece in inglese la "I" ("io") oltre a stare nel mezzo viene scritta pure in maiuscolo, pensa te...

Oggi ascoltiamo
Eugenio Finardi & Vladimir Vysotsky - La ginnastica (Utrennjaja Gimnastika)

http://www.youtube.com/watch?v=vWGZBg5XcVM

mercoledì 29 maggio 2013

Bokeh, e il nome dell'amore

Ci sono persone che non si sarebbero mai innamorate se non avessero mai sentito parlare dell'amore
François de La Rochefoucauld

Ecco, magari non è proprio così.
Le emozioni, si sa, sono subdole, ci prendono a tradimento partendo all'attacco dalla parte più profonda di noi stessi e fanno leva su concezioni, simpatie e aspirazioni di cui nemmeno sappiamo aver coscienza.
Cos'è che ci fa amare contro ogni ragionevolezza una persona, anche quella che se avessimo un rigurgito di orgogliosa e lucida razionalità, non riterremmo mai degna d'attenzione?
Lo capiamo, con la spietata freddezza di un avvocato, solo quando ci poniamo a una certa distanza dall'oggetto.
E infatti, come disse Oscar Wilde: L'amore non è cieco, è presbite: prova ne sia che comincia a scorgere i difetti man mano che s'allontana.
Proviamo i nostri sentimenti a dispetto di noi stessi, delle norme che ci hanno trasmesso i nostri genitori e la società e, soprattutto, la pragmatica opportunità di provarli e di viverli fino in fondo.
Ma, allora... è amore... - Detto in un sussurro, con lo sguardo perso nel vuoto e la mente illuminata da una luce che già l'offuscava.
Se lo chiamiamo così, in fondo, è anche per dargli vita, come le lettere scritte sulla fronte del golem.
Il nome delle cose ce ne fa avere coscienza, dà alla nostra innata sete di catalogazione e razionalizzazione una parvenza di senso. Perché, alla fine, il senso è solo quello che noi pensiamo delle cose del mondo e di noi stessi, la vernice di umanità con cui cerchiamo di ricoprire il caos che ci circonda.
Un caos ordinato e ben evoluto al mantenimento di sé, ma pur sempre disumano caos.

Da piccolo restavo affascinato a vedere immagini di questo tipo.


Le vedevo nei fari delle auto e nei lampioni dietro un vetro offuscato dal respiro, con la notte oltre; oppure nell'intermittenza delle luci degli addobbi delle feste, con gli occhi socchiusi nell'abbandono di un'artificiosa miopia; o anche, immerso nel buio di un cinema, in quegli sprazzi veloci come lampi globulari che sbucavano tra gli inutili spazi attorno a un film.
Non sapevo, non ho mai saputo finora, che in gergo fotografico tutto questo si chiama Bokeh, dalla parola giapponese boke (暈け o ボ), che significa "sfocatura" ma che, tecnicamente (parlando di obiettivi, che è quanto di più s'è diffuso nel mondo di giapponese, oltre il sushi, i manga e le kawasaki) è la resa dello sfuocato, quanto cioè un obiettivo riesce a valorizzare le parti non a fuoco e a dare, se voluto, un effetto gradevole a un'immagine.
Certo, lo stesso termine indica anche confusione mentale (soprattutto nell'età senile), ma parlando d'amore rimaniamo comunque in tema...

Che forza questi giapponesi: hanno una parola per tutto, anche per esprimere la richiesta d'amore incondizionato che pretende dall'amante un'eterna e indiscussa indulgenza, cioè Amae (甘え).
Se mi comporto da stupido infantile con te so di poter contare comunque nella tua comprensione, visto che tanto tu mi amaeru, e quindi mi perdonerai sempre e comunque. A prescindere.
Ecco, magari non distinguono (a parole, certo) tra verde e blu, ma per i più sfumati moti dell'anima non si fanno mancare niente.

Le parole ci aiutano a vedere da altre angolazione quello che si prova, ma è pur vero che ciò che si prova c'è e sta là, senza un nome, senza la dignità di un concetto che lo designi e gli dia l'importanza che merita.
Il nome di amore dà all'amore il diritto di sentirsi tale, di affrontare le difficoltà del mondo senza l'autocensura del timore e la sfiducia di sé.
Dire che questo è amore vuol dire non solo viverlo (magari anche di nascosto dagli occhi degli altri, per paura dell'incompresione o dell'ostilità) ma anche riconoscerlo, sapere che questa cosa definsce noi, appartiene alla lista dedlle cose che ci appartengono, che sono nostre e che abbiamo il diritto di vivere.
E per cui abbiamo il diritto, e anche il dovere, di lottare qualora ci venga negata la possibilità di viverle.

Oggi ascoltiamo
Ardecore - Come te posso amà

http://www.youtube.com/watch?v=yqcHE4ZUqAY

lunedì 27 maggio 2013

Tigrostata

Quest'anno una primavera va-e-vieni ci ha fatto restare con un piede nell'inverno e un altro nell'estate.
Eh sì, signora mia...
Non ci sono più... le mezze stagioni! Lei mi trovi una stagione, una qualunque, e gliela pago oro. Oro! (1)
E visto che quest'anno la bella stagione si è fatta attendere un bel po' la salutiamo con un dolce invernale.
Magari con un dolce alla zucca (un altro? Ebbene sì...)
Magari una crostata, che sembra anche meno "impegnativa". Sembra.... No? Vabbè...

Preparare una dose di pasta frolla, come già sappiamo.
Ne basterebbe anche una da 200 g di farina (quindi 100 g di burro, 70 g di zucchero e due tuorli) ma io dico: una volta che la si prepara se ne può fare anche una da 300 g di farina e il resto, via, in frollini.
Che non fanno mai male, anzi.
E mentre la pasta riposa preparare la farcia.

Per la farcia
450 g    polpa di zucca grattugiata
2            uova
100 g    zucchero
100 g    farina
150 g    farina di mandole
scorza grattugiata di un'arancia, un pizzico di cannella in polvere, una grattatina di zenzero fresco
Lavorare le uova con lo zucchero, unire la zucca, le farine e gli aromi.
Mescolare bene e preparare quindi la crema...

Crema al cioccolato per crostata
Ne basta anche mezza dose, quindi:
50 g    cioccolato fondente
25 g      zucchero  
12 g      farina
125 ml  latte
poco burro
Fondere il cioccolato a bagnomaria (o nel microonde), aggiungere lo zucchero e la farina, stemperare con il latte e far addensare a fuoco basso per 5'. Togliere dal fuoco, aggiungere il burro e far raffreddare prima di utilizzarla.

Stendere la pasta nel fondo e sui bordi della tortiera, versare la farcia alla zucca e livellare bene.
Con una sac à poche formare delle strisce parallele di crema al cioccolato.
Non c'è bisogno che siano regolari, anzi: s'è mai vista una tigre rigata come un passaggio pedonale?
Infornare per la canonica mezz'ora, dopodiché far raffreddare bene, sfornare la crostata e...



... addio inverno!


Detto romano del giorno
Io nun ce l’ho co’ te, ce l’ho co’ quelli che te stanno affianco e nun te butteno de sotto.
Ettore Petrolini (durante uno spettacolo, rivolto a uno spettatore un po' troppo molesto)


Oggi ascoltiamo
Dvar - Hey-Da-Haar

http://www.youtube.com/watch?v=Os4OtvcxuYQ

NOTE
1) Ma Loro, ovviamente: il Trio Marchesini-Lopez-Solenghi, nello spettacolo In principio era il Trio. La scena è quella, mitica, del Funerale e luoghi comuni.

Pasta al ragù di fegatini

Quando ho scoperto i fegatini di pollo, mi son detto: "Nooo... Che mi sono perso finora! E come ho fatto a stare al mondo senza averli ancora assaggiati?"
L'entusiasmo, almeno in cucina, non mi manca e così, per espiare l'innominabile colpa, me li sono preparati almeno una volta a settimana, rischiando seriamente di trasformarmi in pollo.
Certo, si sa, l'ignotanza non è mai una colpa, ma vallo a dire alle papille gustative, che di fronte alle novità alimentari fanno spesso la ola e s'agitano in modo scomposto come ultrà della curva.
Bene, un ragù così nasce da una bel soffritto dolce dolce (dove la cipolla deve solo appassire, non mi stancherò mai di dirlo) a cui è stata aggiunta la carne fatta a pezzetti, aromatizzata con una foglia d'alloro, due bacche di ginepro, due di mirto e un po' di pepe e bagnata poi con mezzo bicchiere di vino bianco secco e... E basta.
Eh sì, signora mia, è propio semprice...



Dosi per 4 persone (Quattro?...Ih, ih, ih...):
300 g     fegatini di pollo
700 g     polpa di pomodoro, ma a pezzetti è anche meglio
1/2         bicchiere di vino bianco secco
una cipolla media, una carota e mezzo gambo di sedano
aromi dell'orto c.s. (come sopra).
olio evo, sale e pepe q.b.
Preparare il soffritto all'italiana con un trito di carote, sedano e cipolla.
Nella nostra cucina questo è il tris vincente, un po' come King, Soldatino e D'Artagnan (1).
Si taglia quindi la carne a pezzettini, usando magari la mezzaluna, che permette di avere pezzi né troppo grossi né completamente spappolati, e si rosola nel soffritto.
Il fegato di suo non necessita di molta cottura, sennó si fa stoppaccioso: basta che non sia più presente il sangue, dopo di che si può procedere con la ricetta.
Si uniscono quindi gli aromi, si rigira per un paio di minuti e si bagna poi con il vino bianco.
Una volta che l'alcool è svaporato si hanno due alternative: o ingozzarsi di quel ben di dio (facendo del bene all'anima ma tanto male alla panza) oppure, più realisticamente, mangiare una porzione umana di fegatini trifolati e lasciarne una buona parte per il ragù.
Unire dunque il pomodoro, salare, pepare, e portare a cottura.
Con questo condimento si può vestire ogni tipo di pasta.
Ovvio che la morte sua è quella fatta in casa, magari alla chitarra, ma anche gli spaghetti confezionati non disdegnano certo la sugosa compagnia.
Si sa, il fegatino va su tutto…

 
Detto romano del giorno
Quanno le tasche piagneno le scarpe rideno.

Nel senso che si aprono come le bocche dei coccodrilli…


Oggi ascoltiamo
Dvar - Dhar

http://www.youtube.com/watch?v=jmp-PCXhEHY

NOTE
1) Dall'indimenticabile film Febbre da cavallo, ovviamente.

mercoledì 22 maggio 2013

Torta Cicchedda. A volte ritornano, anche i demoni.

- Ma... cos'è 'sto puzzo micidiale?
- Niente, Leppagorre, niente... E comunque bentornato, eh?
 
 

- Ma come, niente! A me pare come di... sniff... sniff... come di soffritto dimenticato sul fornello!
- Uffa, e va bene! Ho dimenticato l'aglio sul fuoco e invece dell'aglione mi sono cucinato il carbone. Va
bene ora?
- Tu che bruci l'aglio?... Ahó, non posso mancare una settimana e già mi ti ammosci come un soufflée!
- Ma lascia stare, su... E non infierire, almeno tu.
- E questo cos'è?
- Non la vedi? Una scatoletta. Non ne hai mai mangiate, tu? Ma se saresti capace anche di mangiare pure tua madre trifolata, qualora te la proponessero.
- A parte che l'ho fatto...
- Come, l'hai fatto...
- E certo! Fa parte di uno dei nostri passaggi all'età adulta in cui... oh, ma che vado a spiegare a te i dettagli sociologici della vita di noi demoni.
- Sì, meglio lasciar perdere, guarda... Non voglio sentire panzane!
- Quindi, fammi capire: aglio bruciato (e uno), scatoletta di... sgombri?... sottolio (e due)...
- Sì, ma fatti in insalata con arancia e accompagnati da pomodorini. Era solo una cenetta veloce veloce.
 

- E vabbè... e queste? Confezioni di frutta secca! Mandorle... noci... e pure pinoli! E non vedo pabassine in giro! Poi ti lamenti di poter entrare nei tuoi jeans solo usando un calzante!
- Dà qua! A parte che non mi piace che frughi così nell'immondizia!
- Ma noi gatti amiamo frugare nell'immondizia, non lo sai, forse?
- Ma quale gatto e gatto d'Egitto!
- In realtà vengo dalla Persia, non dall'Egitto. Là, invece, ci viveva
- Chi?...
- Bastet, la Dea Gatto. Mia zia...
- Pure! Insomma, Egitto o Persia che sia: ma di quale gatto vai cianciando? Sei solo un demoniaccio rompiballe che viene e va quando gli pare e che ha residenza nella mia panza! E vieni a fare la morale a me, così, d'amblé?
- Senti, se qui non muoviamo 'sta palla restiamo a bocce ferme.
- Che vai dicendo...
- Qui tocca darsi una mossa, bello mio! Non puoi restare in pieno trip come un drogato, seduto su una panchina a contare i fili d'erba per ore e ore...
- Ma io...
- ... né puoi imbottirti come un adolescente bulimico di parole non tue solo perché non sai affrontare le "tue" parole...
- Ma io...
- ... né mi puoi fare come le persone che tanto ami deprecare, quelli che non vivono ma passano la vita a distrarsi!
- Ma...
- Su, su! Apriamo un po' 'ste finestre e facciamo entrare un po' d'aria, che qui non si respira!
- Ma fuori piove!...
- Meglio, così entra quell'aria carica di altre cucine, di foglie bagnate, di vento lontano. E magari riesce anche a renderti meno malmostoso.
- ...
- Be'? Dov'è che vai, adesso?
- A cucinare. E dove, sennó?... Allora, che fai? Non vieni a farmi compagnia?
- Finalmente!... E che fai?
- Visto che sono rimasto senza, mi preparo un ciambellone, ma senza buco.
- Per la colazione?
- Sì, ma anche per fine pasto o per la merenda. È una torta semplice, modesta.
- Tanto per ricominciare....
- Sì. Tanto per ricominciare.

Torta Cicchedda
E visto che m'è rimasta ancora qualche mandorla ne approfitto.
L'aroma di mandorle mi ricorda il nostro Sud. O anche il nostro Ovest (sa Sardigna amada).
Le dosi sono:
250 g   farina
50 g     mandorle (anche non pelate, vedi sotto)
100 g   burro fuso
100 g   zucchero
125 g   yogurt (un vasetto piccolo)
2         uova intere
80 g     arancia candita tritata
30 g     pinoli
1 cucchiaino d'acqua di fior d'arancio
1 punta di cannella.
Il procedimento è quello solito degli impasti montati.
Lavorare le uova intere e lo zucchero con una frusta, aggiungere quindi gli aromi, il burro fuso e lo yogurt, mescolando bene.
Tritare le mandorle assieme a un paio di cucchiai di farina.
Quelle non pelate, a gusto mio, sono molto meglio: la pellicina dà ai dolci quel tono d'amarognolo che non guasta affatto.
Se riusciste anche a trovarne qualcuna di quelle amare (o anche le armelline, i noccioli dell'albicocca o della pesca) unitene pure tre o quattro all'impasto, macinate assieme alle altre, o altrimenti fate come me (che ho i piedi ancora doloranti...): aggiungete una fialetta di aroma gusto mandorla, e tanti saluti.
Eh, be'! Quanno ce vò ce vò!
Unire al composto le mandorle e il resto della farina, amalgamando il tutto.
Nel frattempo tostare i pinoli su un padellino antiaderente, senza aggiungere olio né burro.
Basteranno pochi minuti, basta avere l'accortezza di agitarli spesso per non bruciacchiarli.
Unire l'arancia candita e i pinoli all'impasto, quindi mescolare velocemente e versare nello stampo (da 24 cm, ebbene sì...) e far cuocere in forno caldo a 180° per la solita mezz'ora.
Dopo la prova stecchino potrete sformare la Cicchedda e farla raffreddare su una gratella prima di sformarla.


- Ma mi spieghi una cosa?
- Dimmi pure.
- Ma quegli orribili stivaletti? Ne vogliamo parlare?
- Orribili?? Ma che ti si è bruciato il cervello, assieme all'aglio? Guarda come sono belli, invece... E non li ho pagati niente, tra l'altro!
- Hai rubato anche questi!
- No, macché rubato! Li ho vinti a briscola al gatto con gli stivali.
- Il gatto...? Ma per favore!
- Sì, proprio lui! Ma perché, credi che vada ancora in giro con quei camperos da pioniere? Se vedessi come è diventato fighetto col suo gilet di pelle di pitone! E ha pure un piercing all'ombelico e uno per ogni capezzolo!
- Oddio, basta... ah, ah, ah... ti prego, basta... che sennó mi strozzo!
- Come no? E vedessi con quale strappona s'accompagna! Nemmeno Bukowski buonanima ha mai osato tanto!


- Eh, immagino... Ma dimmi un po': e tua zia Bastet?
- Mah, non la vedo da una vita. Pensa che era già bella vecchia quando sono nato. Adesso sarà diventata una mummia...

Detto romano del giorno
Co lo sbajà se impara.

Perché:
Gnisuno semo nati imparati.


Oggi ascoltiamo
Alfredo Cohen - Valery (Cohen-Battiato-Pio)

http://www.youtube.com/watch?v=m1pINqeZCsU

sabato 18 maggio 2013

Pessoa...

"Le mie ore più felici sono quelle in cui non penso nulla, in cui non voglio nulla, in cui non sogno neppure, perso in un torpore di vegetale errato, mero muschio cresciuto sulla superficie della vita."

Fernando Pessoa

giovedì 9 maggio 2013

Modernariato, vintage o che?...

"Se ci fosse un oggetto chiamato come voi quale vorreste che fosse?"
"Ho deciso per un macinino da caffè. Il macinino da caffè è sufficientemente vetusto, ha una sua dignità, è per intenditori che sanno assaporare i piaceri della vita"

Quest'oggetto m'accompagna da sempre, come il ricordo del caffè che mia madre comprava in grani in una torrefazione per macinarselo da sé.
Un negozio enorme e semibuio, che oramai non esiste più da anni, un antro di profumi meravigliosi: i più familiari e più lontani.
Dalla borsa di mia madre il profumo del caffè ci accompagnava fino alla porta di casa.
Ero inebriato: mi pareva di aver portato con noi, ogni volta, un pezzo di mondo.
Vorrà dire che questo lo chiamerò Amanda.
Sì, mi piace così.

mercoledì 8 maggio 2013

Cena di compleanno (3/3) - Bavarese d'arancia e mirto

L'ultima volta che ho controllato i valori del colesterolo, la dottoressa mi guarda fisso negli occhi come a dire: "A Riccà, ma se continui a magnà così c'è poco da fà!"
E io, spudorato come pochi, le faccio: "A dottoré, io nun fumo, nun me drogo, nun gioco d'azzardo, nun bevo, si nun è quarche vorta pe na cena che merita; sesso, poi, giusto o spiritosanto... Che devo fà? Fateme armeno magnà! Così, si me pija 'n córpo, è mejo che me pija colla bbocca piena de bbigné! Arméno, quella sì che sarebbe na bbella morte!"
Ovviamente tale slancio edonista non ha avuto l'esito sdrammatizzante che avrei sperato, e sono stato invitato, con la massima celerità a rigar dritto.
Ecco, dolci ne sto facendo davvero meno, ma la sera del mio compleanno che faccio: nemmeno una tortina piccina picciò?...
Che tristezza infinita il compleanno senza una torta...
Come la stazione deserta d'estate e tu che arrivi trafelato e sfinito, e nessuno che stia lì ad aspettarti. Solo il fri-fri beffardo delle cicale e qualche cartaccia smossa dal vento...
Come passeggiare di notte preso da mille pensieri, immerso nella sensazione di desolazione e smarrimento ed essere schifato anche dai ladri o dai cani randagi, con nemmeno la soddisfazione di una misera, squallida, perversa distrazione...
Come fare un lavoro certosino che ha messo a dura prova le poche capacità manuali che si hanno, che ha fatto sudare con la punta della lingua fuori e la bestemmia pronta all'evenienza, e pàffete: in un secondo tutto crolla, si disfa, si distrugge senza che nessuno abbia visto non dico il risultato, ma nemmeno l'intenzione...
No, no, la tortina, piccola e stupida ci vuole.

Occorre:
Per il cake all'arancia, cioccolato e cardamomo:
200 g    farina 00
180 g    zucchero
150 g    burro
3           uova
(e fin qui siamo nell'ambito della Quattro quarti, più o meno...)
100 g    cioccolato fondente
75 ml     latte
1 cucchiaio di cacao (colmo)
5-6 bacche di cardamomo
scorza grattugiata di un'arancia
1/2 bustina di lievito (visto che c'è il cioccolato che appesantisce, altrimenti non servirebbe)
1 pizzico di sale
Far bollire il latte con le bacche di cardamomo aperte con un coltello.
Lasciare in infusione almeno 15 minuti, fino a raffreddamento.
Lavorare a crema il burro morbido con lo zucchero, unire le uova, una ad una, amalgamandola bene nell'impasto prima di aggiungere l'altra.
Unire il cioccolato fuso e il cacao, il latte aromatizzato filtrato, la scorza grattugiata d'arancia, il sale, la farina setacciata e il lievito.
Lavorare il composto per renderlo omogeneo, quindi versarlo nello stampo e cuocere a 180° per la classica mezz'ora.
Questa dose va bene per uno stampo da 24 cm... Io l'ho divisa in stampi più piccoli e da uno di questi ho ricavato i dischi di pasta per la mia torta.
E l'altro?... Lo dò ar gatto?... Ah ah ah... ar gatto!.... NO.

Per la farcia:
100 m    succo d'arancia (ne bastano due grossotte), più la scorza grattugiata di una
30 g        zucchero
1 cucchiaio di farina
2 cucchiai di liquore al mirto
3 bacche di cardamomo
3 fogli di colla di pesce
250 ml    panna
Far ammollare in acqua fredda la colla di pesce.
Mescolare il succo con lo zucchero e la farina, unire le bacche e portare ad ebollizione.
Unire il mirto e mescolare per far addensare.
Aggiungere la colla di pesce alla crema, mescolando bene.
Far raffeddare, quindi togliere le bacche di cardamomo.
Montare la panna e unirvi la crema d'arancia già fredda, con i soliti movimenti dal basso verso l'alto per non farla smontare.
Preparare su un piatto un anello d'acciaio regolabile, o anche il cerchio apribile di uno stampo che abbia il diametro che si vol dare al dolce.
All'interno mettere un foglio di acetato (ripeto ad nauseam: fatevelo dare a gratise dal fruttivendolo; lui lo trova nelle cassette delle mele e poi lo getterebbe comunque...), un disco del cake al cioccolato, una colata di farcia e via, secondo disco di cake.
Volendo si possono caramellare in una padella tre fette d'arancia tagliata a 1/2 cm di spessore con due cucchiai di zucchero, ci vorranno cinque minuti; quindi tagliarle a spicchietti e disporle lungo il perimetro del disco di acetato, così che restino "imprigionate" dalla farcia.
Far riposare in frigo 2-3 ore almeno per far rapprendere la bavarese, quindi liberare delicatamente la torta dal disco d'acetato, aiutandovi con un coltello a lama liscia.
Se vi sono delle imperfezioni basta bagnare la lama e scorrerla lungo il bordo della torta per lisciarla.


Sulla superficie si può preparare una gelatina d'arancia (succo di un'arancia, due cucchiai di zucchero e due fogli di colla di pesce) da cospargere quando ancora il dolce è nello stampo.
Oppure della panna montata e delle briciole di cake al cioccolato, o anche degli spicchietti di arancia caramellati.
Insomma, ciò che la fantasia e la disponibilità suggeriscono.


Ah, serve anche una candelina! Almeno UNA...

Detto romano del giorno
Chi dda l'antri prende la libbertà sua se venne.

Chi dagli altri prende, vende la sua libertà.


Oggi ascoltiamo
Antony and the Johnsons - Crazy in love

http://www.youtube.com/watch?v=n8V94WQjMAw

Cena di compleanno (2/3) - Involtini del cavolo!

Una Cena è una Cena, non la solita cena. È tautologico, è ovvio, è scontato.
E che mi faccio allora per secondo?
Cosa c'è che mi guarda timidamemente dal frigo?
Oh, una porzioncina di cavolfiore già lessato e che avevo intenzione di utilizzare per una cena (con la C minuscola stavolta) a base di sole verdure.
Vieni qui, bello mio, che a te ce penso io!
Facciamoci un ripieno per involtini di carne.
Alla faccia della dieta, tiè!

Occorrono:
400 g   fettine di manzo (4 fette di noce va benissimo)
400 g  cavolfiore, lessato in acqua leggermente salata
1 cipolla media
1 cucchiaio di burro
2-3 cucchiai di pecorino
foglie di salvia
Stessa sorte del primo piatto per la cipolla: tritata e stufata in tegame con il burro per una decina di minuti.
A fuoco bassimissimissimo.
Non salare per adesso: il pecorino è in agguato!
In una ciotola ridurre a crema il cavolfiore, unirvi la cipolla, stufa di tanto ardor, il pecorino e la salvia sminuzzata.
Qui, se occorre, salare q.b.
Mescolare bene, quindi distribuire la farcia sulle fettine di manzo, arrotolarle e avvolgerle ognuna in una striscia d'alluminio.
Posizionarle in una teglia e cuocere a 180° per almeno almeno 20-25 minuti.
Quindi srotolarle leggermente per togliere la parte superiore dell'alluminio, salare un poco e far grigliare per 5 minuti.


Ahó, sò bone pure senza er pane... (E te credo: co' tutta la pasta che te sei magnato prima! mi direte...)


Ah, me le sò magnate tutte... E non è finita!

Detto romano del giorno
Chi ce l'ha d'oro, chi ce l'ha d'argento e chi je ce danno li carci drento.

Eh, a ognuno er suo


Oggi ascoltiamo
Antony and the Johnsons - Thank You for Your Love

http://www.youtube.com/watch?v=-0cPKXFHNqk

Cena di compleanno (1/3) - I Tordelloni

Se penso che è già passato un anno dall'ultima volta che ho festeggiato qui sul blog mi prende una vertigine da farmi vacillare... e non è un  sintomo della vecchiaia che incombe!
In pochi mesi si diventa diversi, si hanno altre aspettative, altre visioni della vita e di se stessi.
Non dico che ci si senta vecchi, dionescampi, ma molte cose acquistano una luce diversa col fare del tempo.
Se oggi ricompilassi il questionario di Proust, ne uscirebbe una persona sostanzialmente uguale, e però...
Più disincanto, meno aspettative, più attenzione e meno irruenza.
Invecchio? E va bene...
Intanto, per non saper né leggere né scrivere, ho continuato la tradizionale seratina da solo, con tante cose buone fatte con amore per me stesso, il che non fa mai male.
Uno che:
- ama i saporti forti e decisi;
- adora l'aglio e la cipolla;
- non deve baciare nessuno;
che può fare? Semplice: i Tordelloni.
No, non volevo dire tortelloni, ma proprio  Tordelloni (1), in onore di questo inguaribile boccalone, credulone, ingenuo e fregnone quale sono.
Non che creda a tutto, ovviamente: il mio razionale spirito illuminista mi fa dubitare di chi dichiara di aver visto asini volanti (anche se camminanti a due zampe ne ho visti tanti anch'io).
Ma pur non credendo in nulla mi piace fidarmi di tutti, mi piace pensare che dall'altra parte ci sia sempre la buonafede e un sorriso sincero, almeno di primo acchito.

Bene: volevo una pasta ripiena diversa, e avevo solo un cestino di ricotta a farmi compagnia.
E una salamella di fegato
E tante cipolle...
Due più due più due... ecco pronta la ricetta.
La salamella di fegato è un salume diffuso in tutto il Centro Italia: dall'Umbia, alle Marche, dal Lazio all'Abruzzo.
Viene preparata con carne magra di suino, pancetta un 30% circa di fegato.
È eccezionale, e non va lasciata mai da sola: ama molto la compagnia del pane e del vino, poverina.

Tordelloni ricotta-cipolla-salamella di fegato

Occorrono:
Per la pasta
500 g    farina (ottima anche quella di grano duro rimacinata)
200 g    acqua tiepida (o q.b.)
2            uova
due prese di sale
Impastare in una ciotola la farina, le uova, il sale e acqua quanto basta.
Lavorare con una forchetta o un cucchiaio di legno fino ad amalgamare, quindi trasferire sulla spianatoia e lavorare con energia per almeno almeno dieci minuti.
La pasta dev'essere elsatica, morbida e non deve incollarsi alle mani.
Si fa riposare nella ciotola, coperta da un panno per circa mezz'ora, o se possibile anche di più.
Nel frattempo che la pasta riposa preparare il ripieno.
Occorrono:
2               cipolle medie
15-20 g    burro
100 g        ricotta
100 g        salamella di fegato
sale e pepe q.b.
Far sciogliere in un tegame il burro, a fuoco minimo.
Tritare finemente la cipolla con la mezzaluna e farla appassire nel burro.
Salare e coprire. Cuocere per una decina di minuti.
Tritare la salamella, anch'essa con la mezzaluna e aggiungerla alla cipolla.
Far insaporire bene e mescolare spesso.
Basteranno 5 minuti, dopodiché si spegne e si lascia raffreddare.
Lavorare a crema la ricotta e aggiungere la cipo-salama, amalgamare il tutto e passare alla fase di riempimento.

Si riprende la pasta e la si stende, col mattarello o anche a macchina.


La mia grande amica Imperia suggerisce di fermarsi allo spessore 4, circa un millimetro abbondante.
Stendere quindi la sfoglia e ricavare dei quadrati di circa 8 cm di lato.
Mettere un cucchiaino di ripieno su ogni quadrato di pasta e quindi:
- ripiegare a triangolo, facendo attenzione a far aderire la pasta all'impasto togliendo l'aria all'interno;
- sigillare bene i bordi pressandoli;
- tenere il tordello su un dito e ripiegare gli angoli ad anello, premendo pene per chiudere la forma.
Ho preparato un piccolo video dove si può vedere com'è facile, e come ci voglia davvero più a dirlo che a farlo:

Nel video ho fatto anche la forma classica del tortello alla Bolognese (o alla Modenese, che dir si voglia), così, tanto per provare.


Ne verranno una quarantina. Troppi?... Maddeché!
Il quantitativo di pasta però è davvero abbondante, e magari ne basterà fare anche solo una dose con 300 g di farina.
Il fatto è che volevo fare tordelli a oltranza e, qualora fosse avanzata della pasta, preparare anche delle fettuccine di scorta: alla fine me ne sono infatti venute due porzioni, che ho infarinato, messo su un vassoio di cartoncino e riposte nel surgelatore, da dove vedranno direttamente l'acqua bollente, quando avrò voglia o bisogno di loro...

Il condimento?
Non troppo invadente, direi.
Un filo d'olio evo basta e avanza, visto che sono molto saporiti.
Se proprio vi avanza una cipolla, be' allora preparateci la salsa cipollosa: tritarla, farla appassire in un cucchiaio di burro, salare, aggiungere una punta di coriandolo, quindi mezzo bicchiere di latte.
Far cuocere cinque minuti quindi frullare a crema, unirvi un cucchiaino di fecola sciolto in poco latte freddo e far addensare a fuoco medio.
Questa crema di cipolla era quanto mancava per rendere la serata ancora più tenue e delicata (!)


Ah, ovviamente non potevo non provare entrambe le versioni, quindi mi sono preparato due piatti di tordelloni, uno con salsa cipollosa e l'altro con solo olio evo pugliese.
Auguri!...


Detto romano del giorno 
Nun te fidà de na persona farsa, che se piscia a letto dice che ha sudato e cià na lingua che taja e cuce.
A proposito di tordi...


Oggi ascoltiamo
Antony The Johnsons - Imagine

http://www.youtube.com/watch?v=lS_8NuXCQNQ

NOTE
1) Tordo, in romanesco è chi abbocca ad ogni cosa gli venga detta, un ingenuo che non è proprio un fesso ma sta quasi sulla strada per esserlo, uno che si fida sempre e comunque degli altri e crede sempre nella fondamentale buonafede altrui.

lunedì 6 maggio 2013

Biscotti di farina di ceci, mandorle e arancia

Non si può sempre preparare una fainé, o delle crêpe, seppure di farina di ceci.
Io poi esco facilmente dal seminato, come per ogni cosa.
Non ne preparo mica una dose da essere umano, no.
Con la scusa di Leppagorre mi faccio una fainé da due persone, o cinque cecio-crêpes, con annesso ripieno di formaggio e/o affettati vari.
Un si pole mi'a... dicono in quel di Frittole.
Allora prepariamo qualcosa di diverso, e per fortuna la Rete è piena zeppa di suggerimenti e di ispirazione.
Confrontando, tabellando, valutando, modificando, ho ottenuto questi curiosi:

Biscotti di farina di ceci, mandorle e arancia
320 g    farina di ceci
100 g    olio di semi
200 ml  succo d'arancia (circa due, medie)
60 g       mandorle tritare grossolanamente
150 g     zucchero
1 cucchiaino di cannella
la buccia grattugiata delle arance

Tostare a fuoco basso la farina di ceci in una padella capiente, mescolandola continuamente per circa 10 minuti finché non risulti dorata. Attacca facilmente, quindi attenzione...
Tritare le mandorle con un paio di cucchiai di zucchero (così non cacciano il loro olio per effetto della sollecitazione meccanica).
Mescolare la farina, unire le mandorle, lo zucchero, la cannella, le scorze d'arancia e amalgamare bene gli ingredienti.
Unire quindi i liquidi, l'olio e il succo delle arance, mescolando fino ad ottenere una consistenza morbida.
Qualora dovesse essere ancora poco maneggevole aggiungere uno o due cucchiai di farina 00, ma non troppa.
Stendere l'impasto a 1/2 cm e con delle formine ricavare i biscotti.
In alternativa si possono lavorare dei serpentelli di pasta e formare delle treccine.
Infornare a 180° e cuocere per 10-15 minuti, fino a quando i biscotti saranno dorati ed asciutti.
Non farli seccare troppo.
L'ultima volta che non ho seguito questo aureo consiglio mi sono ritrovato con delle belle piastrelle tonde in simil-cotto da incastonare sulle pareti della cucina...


Detto di Totò del giorno
Il coraggio ce l’ho. E la paura che mi frega.


Oggi ascoltiamo
Sinead O'Connor - Bewitched bothered and bewildered

http://www.youtube.com/watch?v=_MrlQ-8Ri_s&playnext=1&list=PL4C086D3139002BD4

Frittata di farina di ceci

Chiedo sempre venia per la mia ignoranza delle cose, che spesso è solo mancanza di sufficiente curiosità.
Spesso mi perdo delle cose che poi ritengo importanti solo perché inizialmente non ho prestato loro sufficiente attenzione.
La farina di ceci è una di queste; l’avevo vista usare nelle panelle siciliane e mi dicevo: "Ah, bone… ma certo che ‘sto fritto però..."
E lasciavo correre finché… Finché ho conosciuto la fainé.
Bene, tutto fa curriculum, mi dico sempre.
Ma il tempo passa, inesorabile, e dopo l'euforia inizale la povera farina restava così, inutilizzata.
Si fa spesso quest'errone, nell grandi improvvise passioni, e mica solo in cucina.
Questo finché la prossimità della data di scadenza ha aguzzato l’ingegno.
E che la vogliamo buttare? Nooo, non sia mai…
Allora: per ogni persona due cucchiai colmi di questa farina impalpabile e acqua (o latte) q.b. fino ad ottenere una pastella bella liquida…
Salare e pepare. Far riposare almeno mezz’ora prima di usarla.
Ricorda quella delle crêpes di ceci…
Eh, già, solo che qui il colesterolo delle uova è assente e quindi…. Tutta vita! Evvài!
E se mettessi a stufare delle verdure (che so, delle zucchine) e ci facessi una frittatina?…


Mhhh, ma io dico: perché non ci ho pensato prima?

Aforisma del giorno
E’ molto più difficile porre la domanda giusta che trovare la giusta risposta a domande sbagliate
E. E. Morison


Oggi ascoltiamo
Skunk Anansie - You'll Follow Me Down

http://www.youtube.com/watch?v=5_B9uWjSrzs

domenica 5 maggio 2013

Torta coccozzucca e lavanda

- Uff... Che noia! Che barba! Uffaaa!
- Ma che ti prende, Leppagorre, hai saltato il pranzo?
- Magari! Almeno avrei qualcosa da rimpiangere!
- E invece?...
- Invece no: sempre la stessa solfa, sempre i soliti quattro ingredienti messi in croce, sempre la consueta e stra-abusata sinfonia!
- Ah ecco: siamo arrivati a questo?
- Mai una mousse au chocolat modicanó!
- Si dice modicàno, visto che è di Modica...
- Mai un bello storione arrosto con rape rosse, panna chantilly e peperoncino dello Yucatan!
- Dubito che starebbero bene insieme...
- Mai un soufflé allo zabaione e formaggio di fossa!
- Vorrei proprio vedere se riusciresti a mangiarlo...
- Insomma: mai un accenno di cambiamento, mai una traccia sporadica di fantasia o di creativa fuoriuscita dalla banalità quotidiana! Sempre io sopra e tu sotto!
- Ma come parli? che ti prende?
- Sì: io sopra lo scaffale delle spezie e tu, sotto, a cucinare, se vogliamo usare questo nobile termine. A cuocere, sarebbe meglio dire!
- E calmati! non ti ho mai sentito lamentarti in questo modo...
- Ah no? E allora adesso te la dico tutta, caro mio! Pensavo, tra me e me: ecco, ora che mi ritrovo nella panza di un foodblogger, sai che pacchia? Vivrò a cento all'ora, non farò in tempo ad assaggiare tutto quello che di buono preparerà, mi confonderò di profumi e di sapori e resterò inebetito dagli accostamenti inediti che oserà propormi E invece...
- Ma a parte che non mi sento poi così foodblogger...
- Ecco, lo vedi? Cerchi sempre di giustificarti! Sempre! Pavido, insulso umanuccio: sei una tigre di carta! Anzi, sai cosa sei? Un guappo di cartone!

Lo sapevo: non avrei dovuto mangiare in tre minuti netti tutta la confezione di anacardi brasiliani che m'ha riportato da laggiù mia cugina. Me la sono voluta.
Quelli non sono anacardi qualunque, ma una specie di droga: inizi a sgranocchiare e non riesci a smettere; le mani si muovono da sole verso l'altro seme ciccioso e la bocca, avida  e senza ragioni, non aspetta che di trovarsi a tu per tu con quella inusuale squisitezza.
Pochi minuti dopo, con lo sguardo perso nel vuoto della confezione, le papille gustative e il cervello si dicevano cose che solo gli amici più intimi osano dirsi, e solo dopo una bella sbornia.
Ma non avevo considerato che il povero Leppagorre ne sarebbe stato travolto, lui che assorbe direttamente ogni mia sensazione gastronomica.
Avrei dovuto saperlo che dopo la bomba sarebbe arrivata la crisi d'astinenza e non avrei potuto fare nulla per lui.
Sta lì, cammina in cerchio strappandosi furiosamente con gesti inconsulti i peli della coda e farfugliando tra sé e sé cose che non capisco nemmeno io.
Come si dice: a mali estremi, estremi rimedi.
Prendo con una certa ritrosia la bottiglia del liquore all'anice, faccio un sospiro di rassegnato coraggio e me ne verso un dito in un bicchiere.
L'anice è l'unica cosa che non tollera, che lo scuote come un ramo fustigato dal vento, e che riesce a farlo divincolare dalle trappole in cui è caduto.
Reprimo il disgusto istintivo che mi dà, da sempre, quell'odore così forte, e mando giù.
- Uaaaahhh!... Gnaragnaragnàààà... Sgrodittottignigurrahhh... Sdurlfls...
Lo vedo preso da dolorosi spasmi, piegarsi più volte su se stesso come colpito da un nemico invisibile e scuotersi come se l'avesse afferrato una mano gigante e poi, in un lungo e penoso sospiro, accasciarsi a terra.
Povero gattone... Lo prendo tra le mani: si è fatto piccolo come un micino e respira come in preda a chissà quale incubo.
Lo adagio nello stampo al silicone che ama tanto e lo lascio riposare così acciambellato in credenza, tra la frutta secca e le tavolette di cioccolato.
Nel frattempo gli preparo qualcosa di buono per quando riprenderà conoscenza.
Avrà fame, povero demoniaccio mio.

Torta coccozzucca e lavanda
300 g     zucca, al netto della mondatura
150 g     farina
150 g     farina di cocco
150 g     zucchero
3             uova medie
la buccia di mezzo limone grattugiata e una grattatina di zenzero fresco
2 cucchiaini di lievito in polvere
1 pizzico di sale
1 cucchiaio di lavanda essiccata
50 ml latte
Far bollire il latte e lasciare in infusione la lavanda per una decina di minuti.
Lavorare a crema le uova con lo zucchero e il sale.
Unire gli aromi, il cocco, la farina e il lievito.
Unire il latte, ormai freddo, filtrando la lavanda con un colino.
Grattugiare la zucca utilizzando i fori medi e incorporarla con cura alla massa.
Versare l'impasto in una teglia imburrata e infarinata e cuocere a180 ° per 50 minuti ca.
Verificare la cttura col solito metodo dello stecchino, o anche con uno spaghetto.


Eccolo, il profumo di dolce già gli sta facendo bene.
Apre gli occhi un po' cisposi, come dopo un lungo sonno, si guarda attorno senza capire né vedere bene niente, ma con un sorriso largo così.
- Ho fame!...
- Non avevo dubbi, ciccio mio! - Una fitta di commozione mi stringe il cuore.
- Che c'è lì?
- Torta coccozzucca e lavanda.
- Bona! Se non ti dispiace ne prendo una fettina piccina.



Lo sprocedato (1) se n'è mangiate solo due fette larghe tre dita, e coperte con quella crema spalmabile alla nocciola, sì quella là, ma tarocca e bona lo stesso.

Detto romano del giorno
Sordo che nun risponne a prima voce è ssegno che er discorso nun je piace.

Chi non risponde subito a una domanda elude la questione.


Oggi ascoltiamo
Gianna Nannini - Meravigliosa creatura

http://www.youtube.com/watch?v=Q-eUpyuOB_U 


NOTE
1) Ingordo, pozzo senza fondo, ghiotto come pochi al mondo.

mercoledì 1 maggio 2013

Fave e pecorino, sì, ma con la pasta.

Sono decenni, se non secoli, che i giardinieri e i rosicultori di tutto il mondo cercano di ottenere un fiore che abbia i petali completamente neri. Un viola scurissimo, cupo, molto intenso sì, ma non un vero e proprio nero.
Questo per le rose come per i tulipani.
Nel mondo vegetale questo colore non è poi così comune, tranne che nel fiore delle fave.
Figuriamoci cosa devono aver provato i nostri progenitori nel vedere un fiore candido maculato d'un nero perfetto:


Le anomalie sono sempre state viste come segni di manifestazione dell'ultramondo o precise volontà di esseri trascendentali; se poi le macchie nere dei petali sono anche disposte in modo da ricordare la lettera theta, iniziale  della parola θάνατος (Thanatos), ossia morte, la superstizione è servita su un piatto d'argento.
Al tempo dei Greci (e dei Romani, che ne mutuarono la cultura) si credeva perciò che le fave  nascondessero le anime dei trapassati.
Nonostante le numerose ricette di Apicio (l'Artusi del mondo classico) queste credenze non appartenevano soltanto al popolino: per la stessa "ragione" anche lo stesso Pitagora proibì ai suoi discepoli di mangiare fave.
E se a Roma, durante le feste dedicate alla dea Flora, protettrice della natura che germoglia, venivano lanciate fave sulla folla in segno di buon augurio, negli altri periodi dell'anno queste erano considerate addirittura impure: il sacerdote di Giove non poteva toccarle e il Pontefice Massimo non poteva neanche nominarle.
Pochi nomi romani però derivano da verdure, e Fabio (da fava, appunto) è uno di questo, segno dell'alta considerazione che si aveva allora per questo vegetale, sia per il legame con la natura che rinasce che con il mondo ultraterreno.
Per altri versi era comunque un cibo legato ai defunti: nel periodo di novembre venivano lessate in grande quantità in offerta a Bacco e Mercurio per le anime dei morti e nelle cerimonie funebri venivano sparse sul feretro, e gli schiavi se le buttavano dietro le spalle durante il corteo invocando il nome del padrone scomparso.
Tra i lemuri, ossia gli spiriti dei trapassati, i Romani distinguevano tra quelli benefici o maligni, a seconda della condotta in vita della persona defunta; e mentre i Lari, gli spiriti buoni, diventavano angeli protettori del focolare, gli spiriti malevoli prendevano il nome di Larvae.
I lemuri venivano celebrati a maggio, il 9, l'11 ed il 13, durante la festa delle Lemurie; in questo periodo i templi restavano chiusi e non si svolgevano cerimonie nuziali. Durante questa festa aveva luogo una cerimonia familiare che aveva lo scopo di allontanare l'influsso negativo delle larvae: il capofamiglia si alzava a mezzanotte, si lavava tre volte le mani e girava per casa a piedi nudi facendo schioccare le dita; metteva in bocca delle fave nere e per nove volte le gettava alle proprie spalle, pronunciando una formula di scongiuri. Era credenza che le ombre fossero chiamate dallo schiocco delle dita e si fermassero a raccogliere le fave; allora il capofamiglia, con altra formula di scongiuro, li invitava a lasciare la casa.
L'abitudine di consumare le fave il giorno dei morti si e' conservata fino ai giorni nostri, e in molte regioni d'Italia piatti e dolci rituali per devozione si consumano proprio nel mese di novembre.
La dea Flora è stata dimenticata, è vero, ma ancora oggi a Roma, e nelle campagne circostanti dell'Agro Pontino, il primo maggio si usa festeggiate con una scampagnata fuori porta l'inizio della bella stagione, come augurio di prosperità, proprio come a Pasquetta.
E qui, come antipasto o a fine pasto, si prendono fave fresche, pecorino romano, un bel fiasco di Romanella (un vino rosso giovane e frizzantino dei Castelli) e ci si fa carezzare dall'arietta tiepida, rilassandosi e godendosi la convivialità e la primavera.

Metti però che uno ci voglia fare un primo piatto: fave e pecorino.
Nulla di nuovo, esistono già numerose ricette a riguardo, sia per quanto riguarda i condimenti per le paste asciutte che per le paste ripiene. Oggi ho provato questa, ed è una delizia.

Occorrono, a persona:
200 g     fave sgranate
70-80 g pancetta dolce a dadini
2 cucchiai di pecorino grattugiato
1/4 cipolla piccola
olio, vino bianco, sale e pepe q.b.
Lessare in acqua bollente le fave per 5-10 minuti (a seconda della loro grandezza), quindi scolarle ed eliminare la pellicina esterna, che è troppo amarognola, tenendone da parte una cucchiaiata.
In una padella capiente far appassire nell'olio la cipolla sminuzzata, aggiungere la pancetta e far rosolare.
Unire un goccio di vino bianco, farlo evaporare e aggiungere le fave.
Lasciare insaporire il tutto per pochi minuti, salando e pepando a piacere.
Nel frattempo lessare la pasta, lunga o corta non importa, in abbondante acqua salata e, dopo cotta, scolarla e versarla nella padella, facendola saltare per un paio di minuti.
Se occorre unire un paio di cucchiai di acqua di cottura.
A questo punto si inneva la pasta col pecorino grattugiato, si spegne il fuoco e si mescola bene facendo mantecare il condimento.


P.S. Una volta, al mercato, in questo periodo si sentiva, nella cacofonia totale dei venditori il richiamo del verduraio che chiamava le clienti con un: "Donneee, ciò la favaaa!"
Questo nei mercati gestiti da romani de Roma, e chissà se succede ancora, magari a Campo de' Fiori.

Detto romano del giorno
Si a 'sto monno volete esse contenti vardàteve dedietro e nno ddavanti.

Se a questo mondo volete essere contenti guardatevi di dietro e non davanti.


Oggi ascoltiamo
Ardecore - L'eco der core

http://www.youtube.com/watch?v=tlmpurgvaOQ