mercoledì 29 maggio 2013

Bokeh, e il nome dell'amore

Ci sono persone che non si sarebbero mai innamorate se non avessero mai sentito parlare dell'amore
François de La Rochefoucauld

Ecco, magari non è proprio così.
Le emozioni, si sa, sono subdole, ci prendono a tradimento partendo all'attacco dalla parte più profonda di noi stessi e fanno leva su concezioni, simpatie e aspirazioni di cui nemmeno sappiamo aver coscienza.
Cos'è che ci fa amare contro ogni ragionevolezza una persona, anche quella che se avessimo un rigurgito di orgogliosa e lucida razionalità, non riterremmo mai degna d'attenzione?
Lo capiamo, con la spietata freddezza di un avvocato, solo quando ci poniamo a una certa distanza dall'oggetto.
E infatti, come disse Oscar Wilde: L'amore non è cieco, è presbite: prova ne sia che comincia a scorgere i difetti man mano che s'allontana.
Proviamo i nostri sentimenti a dispetto di noi stessi, delle norme che ci hanno trasmesso i nostri genitori e la società e, soprattutto, la pragmatica opportunità di provarli e di viverli fino in fondo.
Ma, allora... è amore... - Detto in un sussurro, con lo sguardo perso nel vuoto e la mente illuminata da una luce che già l'offuscava.
Se lo chiamiamo così, in fondo, è anche per dargli vita, come le lettere scritte sulla fronte del golem.
Il nome delle cose ce ne fa avere coscienza, dà alla nostra innata sete di catalogazione e razionalizzazione una parvenza di senso. Perché, alla fine, il senso è solo quello che noi pensiamo delle cose del mondo e di noi stessi, la vernice di umanità con cui cerchiamo di ricoprire il caos che ci circonda.
Un caos ordinato e ben evoluto al mantenimento di sé, ma pur sempre disumano caos.

Da piccolo restavo affascinato a vedere immagini di questo tipo.


Le vedevo nei fari delle auto e nei lampioni dietro un vetro offuscato dal respiro, con la notte oltre; oppure nell'intermittenza delle luci degli addobbi delle feste, con gli occhi socchiusi nell'abbandono di un'artificiosa miopia; o anche, immerso nel buio di un cinema, in quegli sprazzi veloci come lampi globulari che sbucavano tra gli inutili spazi attorno a un film.
Non sapevo, non ho mai saputo finora, che in gergo fotografico tutto questo si chiama Bokeh, dalla parola giapponese boke (暈け o ボ), che significa "sfocatura" ma che, tecnicamente (parlando di obiettivi, che è quanto di più s'è diffuso nel mondo di giapponese, oltre il sushi, i manga e le kawasaki) è la resa dello sfuocato, quanto cioè un obiettivo riesce a valorizzare le parti non a fuoco e a dare, se voluto, un effetto gradevole a un'immagine.
Certo, lo stesso termine indica anche confusione mentale (soprattutto nell'età senile), ma parlando d'amore rimaniamo comunque in tema...

Che forza questi giapponesi: hanno una parola per tutto, anche per esprimere la richiesta d'amore incondizionato che pretende dall'amante un'eterna e indiscussa indulgenza, cioè Amae (甘え).
Se mi comporto da stupido infantile con te so di poter contare comunque nella tua comprensione, visto che tanto tu mi amaeru, e quindi mi perdonerai sempre e comunque. A prescindere.
Ecco, magari non distinguono (a parole, certo) tra verde e blu, ma per i più sfumati moti dell'anima non si fanno mancare niente.

Le parole ci aiutano a vedere da altre angolazione quello che si prova, ma è pur vero che ciò che si prova c'è e sta là, senza un nome, senza la dignità di un concetto che lo designi e gli dia l'importanza che merita.
Il nome di amore dà all'amore il diritto di sentirsi tale, di affrontare le difficoltà del mondo senza l'autocensura del timore e la sfiducia di sé.
Dire che questo è amore vuol dire non solo viverlo (magari anche di nascosto dagli occhi degli altri, per paura dell'incompresione o dell'ostilità) ma anche riconoscerlo, sapere che questa cosa definsce noi, appartiene alla lista dedlle cose che ci appartengono, che sono nostre e che abbiamo il diritto di vivere.
E per cui abbiamo il diritto, e anche il dovere, di lottare qualora ci venga negata la possibilità di viverle.

Oggi ascoltiamo
Ardecore - Come te posso amà

http://www.youtube.com/watch?v=yqcHE4ZUqAY

2 commenti:

  1. secondo me dare un nome alle cose, alle persone, ai sentimenti significa volerli condividere

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  2. Sì, certo, una volta che si riconosce qualcosa in una parola la si vorrebbe scrivere su un cartellone 6x8, o "gridarlo a tutto il mondo"...

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