giovedì 27 dicembre 2012

Cena natalizia e lasagne per Babà...

Ecco, anche quest'anno ci siamo...
Le ricorrenze, si sa, sono micidiali catalizzatici d'ansia. E mica così, per dire...
Feste dell'infanzia andata ormai via nel tempo, delle persone amate e perdute, di ciò che sarebbe potuto essere e non è (più, o ancora... a scelta) o non sarà mai (per sventura o per fortuna).
È la conta dei vivi dopo una battaglia, il silenzioso e inevitabile consuntivo di ciò che non abbiamo più e il triste (perché sempre incompleto) elenco di quel che, nonostante tutto, ci rimane.
Aggiungiamoci poi anche la colletiva sceneggiata dell'amore a tutti i costi, tanto per sgravarsi la coscienza, o della fraternità melensa perché insincera e mal recitata (e ci credo: solo una volta l'anno riesce nel peggiore dei modi. Ogni arte, e quindi anche l'ipocrisa, ha bisogno d'esercizio continuo...)
Verrebbe voglia di chiudersi nel buio di un barile fino al due gennaio, a fuochi (d'artificio) spenti.
Ecco, anche stavolta ho speso la mia annuale dose di cinismo, che a stento serve a controbilanciare l'ondata d'ipocrita buonismo che permea la nostra cultura.
Ma, tant'è, le feste sono anche il modo per assaporare po' di più il tempo che si passa con chi amiamo, l'occasione per ricordare il passato e progettare il futuro.
E anche l'occasione per cucinare qualcosa di buono, che alimenti quel sottile calore nel cuore e che mantenga sui volti un sorriso spontaneo, festoso e sincero.
E, lo so, sembro fin troppo cinico, ma spesso amo solo scherzare sulla "sacralità" intoccabile delle cose che ci circondano (e ci sovrastano, anche).
Le situazioni del tipo "Parenti serpenti" (Non l'avete visto?... Via, a noleggiarlo!) non sono mica la norma, ci mancherebbe...
È che, in fondo, noi italiani non usciamo mai davvero dalla famiglia che ci ha visto crescere, e ce ne accorgiamo solo quando ci confrontiamo con altre genti.
Le feste sono i momenti in cui sentiamo quella rete invisibile (che a volte ci salva amorevolmente dalle cadute e altre, invece, ci blocca nei movimenti e ci cattura) stringercisi attorno, protettiva e asfissiante, materna e matrigna.
Per chi poi, come me, non crede che le ricorrenze abbiano un valore mistico, l'aspetto giocoso, fraterno e culinario, prende il sopravvento, e la tavola diventa il simbolo della condivisione e della scelta di stare con chi la sorte ci ha dato come parenti.

Quest'anno per i miei cari ho preparato un paio di cose: la Lasagna alla zucca e salsiccia e la Torta Porella che, per l'occasione, come My fair lady, è diventata Torta Sciccosa di ciocco-arancia.

Lasagna alla zucca e salsiccia
Per due teglie da 30 x 20 cm, ognuna nominalmente da 6, 8 persone (Ah, ah, ah...ancora rido...)
occorrono:

Per la sfoglia (a mano, cari, sennó che festa è?):
350 g farina 00
150 g semola rimacinata
5 uova
sale q.b
Preparare la sfoglia, e non mi ripeto.

Per la besciamella (ne serve almeno 1 l):
100 g farina
100 g burro
1 l latte
sale, pepe e noce moscata q.b
Da preparare nel modo che sappiamo.

Per il ripieno:
1 kg zucca
(e qui cercatene una bella saporita da un ortofrutta di fiducia, e non al supermercato... le papille e gli ospiti ve ne saranno infinitamente grati)
6, 7 salsicce di prosciutto
due cucchiaini di un mix di macis e pimento (che, come da esperimenti effettuati in precedenza, si rivelano essere la combinazione vincente per la nostra zucca).
sale, pepe e grana grattugiato q.b

Il procedimento è lo stesso seguito in precedenza.
Unica accortezza è l'aggiunta del macis+pimento nel composto di zucca che, come si dice a Roma, è la morte sua.

Ora, lo so, vi avanzerà qualche quadrato della sfoglia che con tanta fatica e amore avete preparato.
E allora dico: ma dobbiamo festeggiare solo noi?
E ai nostri fedeli amici a quattro zampe la solita minestra?
Lo so, lo so: tanto non se ne accorgono e via dicendo. Eppure...
M'erano avanzati due quadrati di pasta, già lessata e stesa sul panno... E mo'?
Ho preso due stampini per muffin, un barattolino di omogeneizzato e della besciamella (che avevo lasciato da parte senza sale e spezie, in un raro attacco di lungimiranza).
Con un coppapasta ho formato dei cerchi di pasta che ho alternato a un composto di besciamella e omogeneizzato (qui, davvero, il gusto è a piacere...) e ho composto due piccole

Lasagnette per Babà...


 ... che ha gradito molto:


Per il dolce, visto che ho un vasto repertorio, ho scelto un esperimento recente: la Torta Porella.
Solo che mi pareva brutto questo nome e allora ho preparato:
Una "cinque-quarti", come base.
250 g burro
250 g zucchero
200 g farina
50 g   cacao amaro
4        uova

Come bagna:
mezzo bicchiere d'acqua, due cucchiai di zuccheo e due di Cointreau, fatti bollire per cinque minuti.

Come farcia la Crema suscettibile all'arancia, nella dose da due uova. Quindi:
200 ml succo d'arancia
70 g     zucchero
25 g     farina
2          uova intere

Come glassa la stessa dellaTorta Porella, la Glassa al cioccolato pro-Sacher-e-non,
con due modifiche:
150 ml acqua
75 g     zucchero
100 g   cioccolato fondente
1 cucchiaino di miele leggero
1 noce di burro (una decina di grammi, ca.)
Dovendo conservare la torta in frigo, per via della crema simil-pasticcera che la farcisce, ho notato che il freddo faceva risaltare la sabbiosità dello zucchero nella glassa.
Come fare? Ci vuole qualcosa che inibisca il processo...
In genere, nei gelati e nelle creme si usa lo sciroppo di glucosio che, da bravo zucchero invertito (e qui Leppagorre ne direbbe di cotte e di crude...) impedisce alle creme di gelare e agli sciroppi di cristallizzare...
Ma chi fa il surf in rete a caccia di escamotage sa bene che il miele, per sua struttura, si comporta come uno zucchero invertito, e quindi ha la stessa (o quasi) funzione del glucosio.
Aggiungendone un cucchiaino (di quello dal sapore tenue) nello sciroppo, la sabbiosità è solo uno scampato pericolo.
E poi c'era l'opacità della glassa... Uh, e quanti cavoli!...
Eh, lo so, ma mica è bello fare una glassa di cioccolato, ricoprirci una torta e poi vederla diventare opaca...
Anche qui l'accortezza di aggiungere poco burro nella glassa una volta addensata, alla fine e a fuoco spento, facendovelo amalgamare bene, le dona una morbidezza e setosità che si mantengono anche in una permanenza in frigo (che è la cosa che ci interessa).


Lo so, faccio il cinico, e poi mi metto a decorare con alberelli, scritte e stelline la torta al cioccolato...
Ma questa, anche se è la festa degli altri è per noi il pretesto per celebrare la vita, quello che abbiamo ancora di buono (che per fortuna è tanto), e per superare le difficoltà che spesso e volentieri ci assaltano a tradimento.
Tipo passare due giorni come questi al Pronto Soccorso...
Ma, nonostante tutto:




Aforismi del giorno, e non solo:
Natale. Giorno speciale, consacrato allo scambio di doni, all'ingordigia, all'ubriachezza, al sentimentalismo più melenso, alla noia generale e a domestiche virtù.

Ambrose Bierce, Dizionario del diavolo, 1911

Il Natale è una cospirazione per far sentire ai single che sono soli.
Armistead Maupin, I racconti di San Francisco, 1978

Oggi ascoltiamo
The Ramones - Merry Christmas (I Don't Want To Fight Tonight) 
http://www.youtube.com/watch?v=Xtc1DabD580

venerdì 21 dicembre 2012

Pane alla zucca (di Nadia Ambrogio)

Ovvero: la zucca si mette su tutto  (settima parte)


Dove siamo arrivati? Ah, ecco: al pane... e di zucca, ovviamente.
Ma quant'era grande 'sta zucca, alla fine?
Non è che di notte, quando spengo la luce e mi addormento lei, come la mia povera pasta madre (pace all'anima sua...) cresce, cresce, si gonfia e si moltiplica rischiando, ogni giorno di occupare ogni centimetro quadro della cucina?
O non è forse che quel malefico gatto mammone di Leppagorre  se ne scende di nascosto e ne sottrae qualche chilo agli amici bengalesi del negozietto di ortofrutta qui di fronte?
O non è forse che sono io il dissociato e, nonostante tutto quello che dico, non trovo pace finché non ho provato questo nuovo sapore in tutte le salse possibili?
La terza, credo... anche se questo fioco barlume di autocoscienza non servirà a salvarmi.
No, non dalla dannazione o dalla follia, ci mancherebbe.
Dall'indigestione!
Il pane alla zucca mi mancava e, visti i risultati, è stato vero un peccato non averlo provato prima ma, come si dice: meglio tardi...



Occorrono:
200 g   zucca
250 g   farina di grano duro
150 g   farina 0
100 g   farina Manitoba
250 ml acqua
25 g     lievito di birra
1 cucchiaino di zucchero
1 cucchiaio di olio evo
sale q.b
Cuocere in padella la zucca tagliata a dadini con un pò d'olio, sale e pepe.
Schiacciarla quindi con una forchetta.
Alle farine mescolate unire il sale, lo zucchero, il lievito sciolto nell'acqua tiepida, la zucca e l'olio.
Lavorare fino ad ottenere un impasto omogeneo, quindi lasciarlo lievitare per circa 2 ore o, almeno, fino al raddoppio del volume.
Riprendere l'impasto e lavorarlo per qualche minuto, quindi formare una pagnotta, disporla sulla teglia di cottura (che avremo spolverato di semola per non farla attaccare) e farla lievitare un'altra ora circa.
Cuocere a 180° per circa 40 minuti.



Che ci manca ancora?
Il companatico?... Quello magari no, però qualcosina frulla e rifrulla nella mente.
Zucca mia, vieni qui, che ti gratto per bene...

Aforisma del giorno
I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.


Oggi ascoltiamo
Mogwai - May nothing but hapiness come through your door

http://www.youtube.com/watch?v=Gx-OTFOq0-Y&list=AL94UKMTqg-9DN4uAjOVUBOeFR8q53PH0u&index=4&feature=plcp

giovedì 20 dicembre 2012

Lasagne zucca e salsiccia

Ovvero: la zucca si mette su tutto  (sesta parte)

Si va verso il fine anno e - ma ne dubito - verso il tanto atteso cataclisma.
Si cammina sul filo delle difficoltà di vivere cercando comunque di ridere, amare e godere dei semplici piaceri dell'esistenza.
Si cerca di fare "come se" tutto fosse perenne, permanente e duraturo; come se ogni cosa che lasciamo qui, incisa sulla creta del mondo, possa davvero durare per sempre, in eterno.
E cosa faccio, allora?
Qui, in un accavallarsi di pensieri e ricette, sto ancora a elaborare cosa può essere fatto con la zucca e disquisire con Leppagorre sulla sua inguaribile smania-mania di provare, provare e riprovare fino a "che colesterolo non vi separi".
Non importa, occorre sempre tenere occupata la mente (e le mandibole, se possibile) anche con piccole, futili, cose.
Fare "come se" tutto, ogni minimo gesto, avesse una sua specifica importanza, un fine ultimo e segreto, quando invece di suo -  come ogni cosa - non ne ha, ma ci aiuta solo a tenerci in equilibrio sulla corda.
Come rendere meno amara l' angustia che sedimenta nel fondo?
Come portare uno squarcio di sereno nella cappa scura di un cielo che pesa come un coperchio, di baudelairiana memoria?
Ma che domande, diamine! Una lasagna, no?


La lasagna è terapeutica, più di dieci sedute con il miglior psicoanalista del pianeta; mette di buonumore più di un litro di buon vino (e fa un po' meno male al fegato, se non se ne magnano due chili...); ha il raro pregio di poter essere felicemente mangiata in compagnia ma anche serenamente da soli: è lei a far da compagnia in tavola; è semplice da fare ha il risultato è sempre, e dico sempre, fonte di soddisfazione.
Se il Prof.  Luigi Cavalli-Sforza - che ha dimostrato l'esistenza di una sola razza, quella umana -  dedicasse un'ulteriore e approfondita ricerca sul DNA degli italiani, scoprirebbe come, in uno dei segmenti dell'elica della vita si nasconde la nostra irrefrenabile passione per la pasta ripiena, sia chiusa (i ravioli, i tortellini e i panzerotti) o aperta (le lasagne, i pasticci e gli sformati).
È nel sangue, oltre che nel forno; c'è poco da fare...
Scherzi a parte, qui la possibilità di condimenti è ovviamente infinita, visto che non c'è neppure la limitazione, come per i ravioli,  di quel minimo consistenza che deve avere il ripieno.
È uno di quei pochi piatti che riesce decentemente anche utilizzando la pasta confezionata (fresca o secca che sia), segno che di suo è intimamente e intrinsecamente perfetta...
Potevo forse esimermi dal provarla con la zucca?
Non sia mai!
E voglio anche fare la pasta in casa, tiè.
Mh, guarda 'n po' come sò fatto!...

Per due persone (io e il Mostro, che fortunatamente oggi tace...):

Per la pasta:
100 g farina
1        uovo
sale e acqua q.b.
Impastare con cura, forza e decisone, quindi far riposare per mezz'ora, come sempre.

Per il ripieno:
300 g zucca mondata e grattugiata
1        salsiccia fresca
parmigiano grattugiato, acqua, sale e pepe q.b.

Per la besciamella:
50 g     burro
50 g     farina
500 ml latte
sale, noce moscata e pepe q.b.

Cuocere in un tegame la zucca, con poco olio, sale e pepe.
Aggiungere un poco d'acqua e coprire.
Far cuocere circa 10 minuti, mescolando spesso, quindi lasciar raffreddare.
Preparare la besciamella nel solito modo: sciogliere il burro, unire la farina e lasciar cuocere il roux per qualche minuto.
Non saltare mai questo passo: rende digeribili gli amidi della farina.
Aggiungere il latte e mescolare con la frusta per evitare i grumi, quindi far addensare a fuoco medio, sempre mescolando.
Appena inizia ad addensarsi salare, pepare e nocemoscare.
Se una volta raffreddata sembrasse troppo densa la si può allentare con un poco di latte.

Stendere la pasta, a mano o a macchina (spessore dell'Imperia: 5) e ricavarne dei rettangoli di circa 15-20 cm.
Lessarli a due a due in acqua bollente e salata, dove avrete versato un cucchiaio d'olio per non farli attaccare tra di loro.
Basteranno due minuti, quindi toglieri dall'acqua e metterli ad asciugare stendendoli su un panno.
Bagnare il fondo di una pirofila con un po' di besciamella, quindi iniziare a comporre gli strati: pasta,
crema di zucca, salsiccia sbriciolata, qualche cucchiaio di besciamella e parmigiano; e via di seguito fino ad esaurimento (degli ingredienti, mica il vostro...)
A finire solo besciamella e formaggio.
Cuocere in forno a 180 gradi per 20 minuti, o a doratura della superficie.
A me piace un po' croccantina e abbrustoliticcia, quindi non faccio testo...


Ancora dubbi sui poteri ricostituenti e terapeutici per il soma e la psiche di questo bendiddio?
E sarei io il miscredente?...


Aforisma del giorno
Anche sul trono più elevato del mondo si é pur sempre seduti sul proprio sedere

Montaigne

Oggi ascoltiamo
John Coltrane - My favorite things

http://www.youtube.com/watch?v=UY43yHzgeZM
Ah, i film della nostra infanzia...
Chi non ha visto "Tutti insieme appassionatamente" dove Julie Andrews, dopo la fatata Mary Poppins diventa la governante ideale di una figliata di orfani (di madre e d'affetto)?
Dopo l'iniziale diffidenza, armata solo di una chitarra e tanto amore per la vita, l'ex-suorina solare e canterina conquista tutti e sette i ragazzi, vedovo incluso (naturalmente...), proponendo una perfetta miscela di madre-sorella-amica condita da tanto buon ottimismo (che fa sempre bene).
Nella canzone più nota del film "Le cose che piacciono a me" Maria insegna ai suoi ragazzi che "Se son triste e infelice e non so perché, penso alle cose che amo di più e torna il seren per me!"
Ecco: non avere le cose che ci piacciono, ma amarle e sapere di amarle.
Sapere che queste cose, anche le più banali (che ne so, anche una lasagna...) ci sono e che fanno parte delle nostre gioie, e che pensare ci consola nei momenti bui in cui vediamo solo nero.
Non avere, subito, tutto, ma soltanto amare. E sapere di amare.
Quanta filosofia degna di Fromm può nascondersi anche tra i versi di una canzone per bambini...

mercoledì 19 dicembre 2012

Ravioli amletici di Zucca e Myristica

Ovvero: la zucca si mette su tutto  (quinta parte)

Cosa c'è di più goloso, accattivante e sfizioso di un bel piatto di pasta ripiena?
Con la verdura, col formaggio, con la carne: comunque sia è sempre una festa.
È un piatto che sa di domenica (a casa mia no: da me si usavano le fettuccine al ragù e, a seguire, ovvio, spezzatino di carne al sugo, uffa...)
Un piatto per una ricorrenza importante, qualcosa di speciale. Ma anche no.
E comunque, alla fine, nemmeno poi così difficile ed impegnativo da fare.
Come ci si regola però quando non si conosce bene l'ingrediente che si vuole uilizzare come ripieno?

Che ci faccio adesso con 'sto chilo di zucca?
Mi sembro Amleto col teschio del suo povero babbo.
Che faccio: mi vendico (di Leppagorre, quel maledetto demone tentatore) o lascio perdere e mi metto di buzzo buono ad elaborare la ricetta?
Che dilemma...
Siccome mi lascio spesso frenare da ogni sassolino che incontro per la strada tranne che in cucina, la domanda è retorica e il dilemma è uno di quei falsi nodi che, tirandoli, si sciolgono all'istante.
Quindi, via: la Rete come spunto e la capoccia mia come elaboratore.

Anche di ravioli alla zucca esistono molteplici varianti.
Io però volevo qualcosa che non coprisse troppo il sapore della zucca, che di suo è così tenue, porello, che basterebbe poco a coprirne la delicatezza.
Ma volevo anche qualcosa che fosse... intrigante.
- Che pretese, per dei ravioli!
- Zitto tu, che se ti prendo ti faccio in salmì! Anzi, guarda, ti nascondo il barattolo dello zucchero! Dov'è?... dov'è? Mo' sono affari tuoi!
- Scusa, scusa, scusa... lo zucchero no, lo zucchero è vita!
- E lo so bene. Il saccarosio è per te quello che il sangue fresco è per il conte Dracula! Sei la mia croce...
- Ma anche la tua delizia, dài...
- Sì, proprio!

Sono atterrito dall'accostamento mostarda e amaretti nella ricetta dei ravioli alla Mantovana, e non sono molto amante della mostarda. Via, cassata!
- Sì, sì, per dolce una bella cassata con la ricotta! Mhhh... già me la sento sciogliere in bocca!...
- Taci, maledetto infingardo, sei buono solo a mettere bocca, tu!
- E hai detto niente...
Insomma, che ci accosto a 'sta zucca?
Delle patate? Un formaggio? Altre improbabili verdure? Boh...
Seguiamo la procedura back-to-top che a me piace tanto: dal più basico e semplice al più elaborato e difficile.
Farò qualche prova da consumare e/o surgelare, così almeno mi renderò conto della strada da seguire.

Mettiamo che volessimo fare una ventina di ravioli.
Ci occorre, per la pasta:
200 g farina
2        uova medie
sale e acqua q.b.
Procedura solita per la pasta da sfoglia, quindi pennichella di mezz'ora, al coperto dalle correnti...
- Perché, si raffredda? Povera cara...
- No, Leppà, semplicemente si asciuga. Ma non avevi promesso di stare zitto tutto il tempo?
- E tu credi alle mie promesse?
- Già, è vero...

Composto base per il ripieno:
500 g zucca
50 g   grana grattugiato
1 uovo piccolo
Per la cottura della zucca abbiamo già ampliamente visto come fare nelle puntate precedenti.
Basti sapere che la zucca è per la maggior parte composta d'acqua e quindi, una volta cotta (al forno, al vapore, in padella o nella pentola a pressione) del bel chilo di zucca che l'ortolano ci ha messo in busta se ne ricaverà si e no un terzo.
Passata la zucca, o anche schiacciata con la forchetta, la si mescola al formaggio e all'uovo.
Si regola di sale e... E adesso?
Direi di fare così:
I passo:   Usare solo il ripieno base. Al limite saprà solo di zucca, e non andrebbe comunque male.
II passo:  Unire una grattatina di noce moscata (male non fa, e non è troppo ardita). 
III passo: Unire un pizzico di cacao amaro, che col dolciastro della zucca, chissà, forse forse...
IV passo: Aggiungere, così, per sfizio,  qualche amaretto sbriciolato e vedere cosa succede.
V passo:  Unire mezzo cucchiaino di quella miscela di spezie prese al Genovino d’Oro di Franco Calafatti.

Una piccola parentesi è dovuta.
Uno pensa di entrare nel solito negozietto di prodotti artigianali e/o bio, con i classici commessi invasati che sarebbero capaci di azzannarti alla carotide qualora chiedessi loro delle salsicce sott'olio e, invece...
Invece, in pochi metri quadrati si apre davanti a noi un mondo. 
È Il Mondo delle Spezie...
Inizia dai profumi. 
Dapprima un po' caotici e confusi, come quando un'orchestra durante le prove riempie l'aria di un'accozzaglia di suoni disarmonici e slegati tra loro.
Poi, pian piano, la matassa degli odori si districa e, davanti a noi, si forma una mappa sensoriale di aromi, alcuni ormai familiari, altri curiosamente esotici, sconosciuti.
E arriva l'Asia con la cannella, la noce moscata, il cardamono e i mille possibili curry; col tè nero e forte e quello verde e delicato.
Ed ecco l'Africa col coriandolo, il cumino, la menta e la vaniglia.
E le Americhe, con i tanti chili che noi a stento conosciamo, e col divino e regale cacao.
Per effetto della Quinta Dimensione quella viuzza del centro di Roma si trasforma nella Via della Seta o nella rotta di Colombo. 
È la Strada per l'Altrove.
Avvinti e stregati dalla quella nuvola avvolgente potreste anche non voler più uscire da lì.
Anche perché la simpatica Matilde, sirena di quest'isola incantata, non esita ad aprire barattoli su barattoli per farci annusare una particolare combinazione di spezie, un'altra appena creata con la polvere di liquirizia, poi un'altra che sta bene sulle verdure e questa... questa è divina sul pesce...
Come passa il tempo quando ci si diverte.
Sembra la solita frase fatta eppure, se passaste a via Collina 22 a Roma, mi dareste senz'altro ragione.
Insomma questo per dire che in quest'oasi di profumi abbiamo preso, su consiglio di Matilde,  una miscela di macis e pimento, che pare sia ottima con la zucca...
Il macis non è altro che la scorza esterna della noce moscata, la coccia insomma, ma ha un aroma ben differente: più delicato e, allo stesso tempo, penetrante.
Ricorda il fasto esotico della noce moscata ma non così scontato e abitudinario.
La Myristica fragrans, infatti, a dispetto del suo poetico nome è diventata negli anni, qui da noi, la Regina delle Rosticcerie, una regina una volta altera e maestosa ed oggi pateticamente decaduta...
Ma d'altronde, chi meglio di lei è in grado di coprire gli odiosodori di ragù che hanno oltrepassato da troppo tempo una decente e digeribile vecchiaia?


Preparati i nostri ravioli con un coppapasta da 7,5 cm di diametro li abbiamo riempiti con i rispettivi ripieni, suddivisi in cinque allegre ciotoline.
Il procedimento è quello per i cappellacci, semplice e veloce.
Veloce lessata in acqua bollente e salata e, per assaporare meglio il gusto del raviolo soltanto un filo
d'olio evo, giusto per non mandarli in giro nudi...



Quindi, riepilogando, le prove fatte ci hanno confermato i sospetti che avevamo.
Solo il ripieno base? Ottimo, ma un po' troppo... basico.
Noce moscata? Mhhh...non male ma il rischio rosticceria è dietro l'angolo... e basterebbe poco per ritrovarcisi dentro e senza via d'uscita.
Di cacao nemmeno a parlarne: troppo "composto" e altero per la zucca, che è, in fondo, una dolce contadinotta, un po' cafona ma schietta e verace.
E gli amaretti... be', lasciamoli ad altre latitudini dove il dolce e il salato vivono più serenamente i loro connubi.
Fatto sta che, alla fine, delle cinque prove, proprio l'ultima ci ha riservato delle sorprese.
Zucca, macis e pimento è l'accostamento vincente.
Il quinto passo è l'addio scriveva il compianto Sergio Atzeni (1).
Per noi il quinto passo è stato invece un meraviglioso buongiorno....

Detto romano del giorno
Quanno te dice male mozzicheno pure 'e pecore.

Quando le cose vanno male anche le pecore mordono.


Oggi ascoltiamo
Sting - Fragile
http://www.youtube.com/watch?v=lB6a-iD6ZOY

1) Il destino, la sorte, la sincronicità...
Indifferenti ma beffarde entità sembrano spesso prendersi gioco di noi, poveri esseri senzienti.
Il mare, che da sempre è stato una minaccia per i Sardi, lo è stato anche per chi sarebbe diventato poi il loro cantore più sincero.
Era il 1995, e un'ondata violenta e imprevista, fatale, si portò via lo scrittore più promettente che l'Isola avesse avuto.
Stava per uscire Il quinto passo è l'addio, un'epopea dell'abbandono della propria terra e delle proprie radici, l'addio ad una strada circolare e senza futuro, orba oramai anche del suo passato.
Qui la parola radici non ha il senso retorico che gli danno i sostenitori delle "tradizioni" a tutti i costi, anche di quelle barbare.
Radici qui vuol dire identità e quindi, in primis, l'uso (e non lo svilimento) della propria lingua.
Ma anche vedersi con rassicurazione nei volti delle persone che ci circondano, riconoscersi, capire cosa si è confrontandosi con altre genti, con altri usi e altre abitudini; capire dove si può arrivare, e come, col proprio bagaglio ancestrale.
Il personaggio rinuncia, non può seguire quello che non esiste più, che è stato distrutto dalla colonizzazione e che lo sarà ancor più radicalmente nei decenni seguenti dalla globalizzazione, che sommergerà -  per amara ironia - anche gli stessi colonizzatori.
L'unico passo da fare, l'ultimo, è appunto l'addio...
Ma il romanzo più famoso di Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri, uscì postumo solo l'anno dopo.
Passavamo sulla terra leggeri - racconta il custode della memoria del popolo sardo - Leggeri come l'acqua, viva e furente, festosa e violenta, ma anche innocente e candida nel suo vitalismo, nel suo essere spontaneamente e inconsapevolmente parte della natura.
Il racconto è fatto dal custode a quello che sarà il suo successore, in una catena infinita di persone incaricate, da una generazione all'altra, di tramandare il ricordo dei fatti salienti succedutesi nell'isola fin dalla notte dei tempi.
Racconto che registra gli eventi accaduti fino al 1409, l'anno in cui la Sardegna, per mano aragonese, perse l'indipendenza e quella millenaria autonomia che aveva resistito alle numerose invasioni.
Un'autonomia sostanziale che aveva permesso alla loro cultura d'essere permeabile ad ogni apporto che giungesse dal mare: dai nuragici ai fenici, dai cartaginesi ai romani, dai barbari ai bizantini, dai pisani ai genovesi.
Ognuno di loro aveva sì preso molto, ma aveva anche portato tutto quello che ha contribuito a formare la cultura e l'identità dei Sardi.
Nel 1409 però l'isola diventa parte del regno spagnolo e, di fatto, una colonia.
La storia dei Sardi finisce lì.
Che senso avrebbe infatti continuare a cantare le gesta degli invasori?
Perché di canto epico si tratta, con il tipico linguaggio ripetitivo, strutturato per giustapposizioni, immagini, particolari vividi, tipico della narrazione orale.
Un racconto che per sua natura è poetico, di quella poesia che ricorda Omero e le basi elleniche della cultura occidentale.
Quello di Sergio Atzeni è un racconto che più di ogni altro fa percepire il quid di quella sardità che s'estrangiu confonde spesso con il folklore, i suoi orpelli e le maschere sotto cui, da secoli, con prudenza e pudore si cela.
Epico, poetico e appassionante. In tre parole.

lunedì 17 dicembre 2012

Panzerotti di zucca e salsiccia

Ovvero: la zucca si mette su tutto  (quarta parte)

Dritta dritta dalla ricetta precedente, visto che (come al solito...) sovrabboniamo in quantità d'ingredienti.
Manco fossi(mo) una famiglia di quattro persone.
Forse cucino anche per gli assenti, per le persone che amo e che, per qualche ragione (alcune inevitabili, altre un po' meno...) non ci sono più.
E, come ancora fanno gli anziani in qualche paese il giorno dei morti, preparo come se ci fossero ancora e stessero lì, in silenziosa attesa di vedere la tavola imbandita con qualche bel profumato manicaretto.
Poi, visto che non mi piace in alcun modo gettare il cibo, specie se ci ho messo tempo e passione per cucinarlo, mi ritrovo a compiere il sacrificio un po' religioso un po' laico di mangiare per loro, con loro, come se inconsapevolmente volessi mantenerli qui, ancora un po' assieme a me, con il cibo che preparo.
Qualcosa tra: "questo, cari, è anche per voi" e "qui nun se butta mai gnente"...
Sì, più prosaicamente qualcuno dice solo: "nun te regoli!" e che questa è solo una scusa poetica e arzigogolata per strafogarmi, un motivo per usare una ganassa come fossero quattro...
Come che sia, la zucca con la salsiccia è avanzata (lo sapevo, lo sapevo...) e non ho voglia di rimangiare la stessa pasta. Che faccio?
Due microsecondi netti, non di più, ed ecco l'idea di racchiudere il composto zucco-salsiccia-cipollato (nonché zenzerato) in un guscio di pasta da cuocere in forno.
Uso l'impasto che ho imparato a fare da poco:

Pasta violata
100g    semola
25 g     strutto
acqua tiepida q.b.
un pizzico di sale.
Impastare bene gli ingredienti come una comune pasta da sfoglia, quindi far riposare per la canonica mezz'ora tranquilla e al coperto.

Per il ripieno
100 g    polpa di zucca, grattugiata
1    salsiccia
1    cipolla rossa, piccola
2 cucchiai di grana
1 cucchiaio di semola
1 cucchiaino di soffritto all'italiana (il Trittico cipolla+carota+sedano)
 una grattatina di zenzero fresco
Stufare la cipolla in poco burro.
Dopo questo prologo non occorre neppure raccontarle altro: si sarà già stufata da sé...
Preparare il soffritto all'italiana, unire la salsiccia sbriciolata, la zucca grattugiata e la cipolla stufata.
Insomma, tutta una ...-ata!... Ah, no, c'è anche lo zenzero!
Far insaporire; la zucca, essendo grattugiata, ci metterà poco a cuocere, e poi dopo c'è il forno...
Aggiungereil grana grattugiato e la semola (che serve per asciugare un poco l'impasto).
Far raffreddare bene.

Stendere la pasta non troppo sottile (un paio di millimetri o tre, a piacere) e tagliarla con un coppapasta.
Riempire con ripieno ormai freddo e chiudere i ravioli avendo cura di non lasciare aria all'interno, quindi sigillare premendo bene i bordi. Se occorre inumidirli con un po' d'acqua.
Disporre i ravioli su una teglia coperta da carta forno e prima di infornarli pennellarli con dell'albume, o del tuorlo (verranno più scuri).
Al limite, si può anche usare solo un poco di latte a fine cottura, quel tanto che l'asciughi e formi la famigerata reazione di Maillard, che ne caramelli gli zuccheri e lo scurisca per bene.


Che c'è voluto? Niente di che...
E, come dicono gli Anglosassoni nei loro brindisi :"To the absent friends"
Agli amici assenti...

Aforismi del giorno 
La memoria è lo specchio in cui noi rivediamo gli assenti. 
Joseph Joubert, Pensieri, 1838 

Quanto bisogna amare qualcuno per preferirlo alla sua assenza! 
Jean Rostand, Pensieri di un biologo, 1954 

L'inferno è l'assenza. 
Paul Verlaine

Oggi ascoltiamo
Nick Drake - Day Is Done
http://www.youtube.com/watch?v=Y2jxjv0HkwM

domenica 16 dicembre 2012

Penne zucca e salsiccia

Ovvero: la zucca si mette su tutto  (terza parte)

Stavolta Leppagorre dovà dirmi: "Basta, vojo l'ajo e ojo!"
Almeno se ne ricorderà per un bel pezzo e quando si andrà a fare la spesa nel carrello non mi ritroverò più le cose che non avevo scelto io.
In fondo in fondo, però, gli sono anche un po' grato, perché mi aizza e mi spinge a provare cose, che per mia pigrizia strutturale, non sarei così tentato di mettere nel piatto.
La zucca, per esempio.
Quando mai? In casa non si usava e quindi non ne conoscevo quasi il sapore.
Le poche volte che l'avevo assaggiata m'era sembrata troppo dolce e poco adatta a paste e minestre.
E invece... sta a vedere che quel demoniaccio felino lo dovrò pure ringraziare!
È proprio vero: si nutrono pregiudizi anche dove non si credeva ci potessero essere.
E se invece di un'innocua zucca avessi avuto in mente una persona dal colore della pelle diverso dal mio?
Sarei stato uno di quegli intolleranti (se non razzisti) che tanto depreco e cerco di contrastare e combattere nel mio piccolo ogni giorno.
Nelle zone della mente meno avezze al movimento si annidano, come le muffe o lo sporco, i pregiudizi.
Piccoli o grandi che siano, ma subdoli e perniciosi.
Fanno dire di NO a priori, senza la curiosità di toccare con le proprie mani o assaggiare con le proprie papille, senza sapere cosa si abbia davvero davanti.
Fosse anche qualcuno seduto accanto a te nel tram o qualcosa adagiato su un piatto da portata...
Lo dico a bassa voce: grazie Leppagorruccio mio bello...
- Che m'hai chiamato?
- Pussa via, che ho da fare!


Penne zucca e salsiccia (dose per una persona)
100 g   pasta corta (Sì, 100 g. Che male c'è?...)
100 g   polpa di zucca
1          salsiccia
1/4       cipolla rossa media
una grattatina di zenzero fresco (Opzionale. Per me no...)

Mettete su l'acqua per la pasta, che tanto per preparare il condimento non ci vorrà molto...
Ridurre la polpa di zucca a scagliette, con un tritatutto fatto andare per pochi secondi o con una grattugia dai fori medi.
In un tegame far appassire la cipolla, tagliata sottile sottile, in poco olio.
Aggiungere la polpa di zucca e far cuocere per qualche minuto.
Sminuzzare la salsiccia e aggiungerla alla zucca.
Se lo si gradisce, unire anche una grattatina di zenzero fresco.
Cuocere per almeno cinque minuti mescolando spesso.
Nel frattempo la pasta sarà cotta, quindi scolarla, lasciando da parte (consiglio che per la pasta vale sempre) un poco d'acqua di cottura.
Unire la pasta al composto e farla insaporire per un paio di minuti con la zucco-salsiccia-cipollata (e pure zenzerata, tiè).
Aggiungere qualche cucchiaio d'acqua di cottura della pasta che, con la sua tendenza ad assorbire liquidi ve la chiederà a gran voce.



Servire au naturelle o, se si preferisce, con del grana grattugiato.

Aforisma del giorno
È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio.
Albert Einstein

Oggi ascoltiamo
Peter Gabriel - Games without frontiers

http://www.youtube.com/watch?v=GYUGXuTNsic

sabato 15 dicembre 2012

Gnocchi di zucca

Ovvero: la zucca si mette su tutto  (seconda parte)


Nulla, in natura, si crea così, dal niente...
In fondo, non inventiamo mai nulla veramente: al limite si prova e si guazzabuglia, si permuta e si combina, si sbaglia e s'azzecca.
Fino a trovare qualcosa su cui puntare.
Figuriamoci in un blog di ricette...
Di gnocchi alla zucca, per esempio, è pieno il web (e magari ne fosse pieno il mondo...)
Principalmente ci si suddivide in due scuole di pensiero:
- zucca, patate e farina;
- zucca e farina.
Gli oltranzisti delle due scuole non si consumano in annose diatribe, né si sfidano in sanguinosi duelli.
Quelli sono riservati ai Fondamentalisti dell'Amatriciana, quelli del Néaglionécipollanonsiamai a cui rispondono gli eretici del Civuolesenzadubbiolacipolla e la setta dei Machestaiadìcevolelajo.
Dopo secoli, mentre noi ci facciamo sereni la pasta come la vogliamo, loro si azzuffano senza risparmio di sangue. Mi correggo: di salsa di pomodoro...
Si sa, i fondamentalisti, di qualsiasi fazione siano (quindi anche gli eretici) in quanto fanatici oltranzisti sono la rovina dell'umanità intera.
Noi, per non saper né leggere né scrivere le proviamo sempre tutte.
Non si sa mai che magari una delle forme, anche la meno ortodossa, si riveli essere in realtà quella più congeniale ai nostri gusti e alle nostre aspettative.

Le dosi sono per quattro persone, o due molto affamate, sono:

Versione mista (zucca e patata)
200 g    zucca
200 g    patate
100 g    farina, o q.b. per un impasto lavorabile
100 g    grana grattugiato
1    uovo piccolo
farina per lavorare q.b.

Versione integralista (solo zucca)
200 g    zucca
200 g    farina, o q.b. per un impasto lavorabile
100 g    grana grattugiato
1    uovo piccolo
farina per lavorare q.b.

Visto che un uovo, alla fine, può anche risultare troppo (andrebbe bene per un chilo d'impasto...) potremmo provare entrambe le versioni e dividervi un uovo medio, e via.
Per entrambe le versioni sale e pepe q.b e, a piacere, una grattatina di noce moscata.

Preparare la zucca: tagliarla a spicchi, eliminare i semi e i filamenti con un coltello o un cucchiaio, lavare ogni pezzo in acqua corrente e poi asciugatelo. Non eliminare la scorza.
Avvolgere ogni trancio di zucca in un foglio d''alluminio, e cuocere in forno a 180° per 40-50 minuti.
Così facendo la polpa risulta più asciutta che lessandola (o cuocendola a vapore) e quindi più adatta per preparare gli gnocchi.

Schiacciare la zucca, unire il grana, l'uovo, la farina e lavorare fino ad ottenere un impasto morbido e non appiccicoso.
Qui c'è chi limita la dose di farina allo stretto necessario per legare, ottenendo una pasta che va versata nell'acqua bollente aiutandosi con un cucchiaino, come per le quenelle.
Ovviamente le spezie e i sapori da poter aggiungere devono tener conto del sapore tenue della zucca.
Quindi solo poca noce moscata, o meglio del macis, e nient'altro.
Le patate in questo sono più neutre e versatili, ma se si vogliono degli gnocchi di zucca, be'... devono sapere di zucca!



Stesso discorso per il condimento.
Un semplice ricciolo di burro o, al limite, del burro e salvia vanno più che bene.
Il sugo di pomodoro li ammazza senza pietà.
Come si ama dire molto di questi tempi: anche no...

Detto romano del giorno
Cor comprà se impara a venne, cor rispambià se impara a spenne.

Comprando si impara a vendere, risparmiando si impara a spendere.

Oggi ascoltiamo
Neffa - Lontano dal tuo sole

http://www.youtube.com/watch?v=DGfNskXpD3g


venerdì 14 dicembre 2012

Vellutata di zucca

Ovvero: la zucca si mette su tutto  (prima parte)

- E questa che è?!?
- Come, non riconosci i tuoi simili?... Guarda che bella!
- Fai meno il cretino, Leppagorre. So bene cos'è. Mi chiedo solo perché sia finita nel carrello. Con te è una sorpresa ogni volta, eh? Sei peggio di un poppante: uno si distrae un attimo e pàffete!  si ritrova alla cassa con la spesa zeppa delle peggio cose!
- Ma poverina, era così sola... E guarda che bitorzoli le sono venuti! Dalla tristezza le era scoppiata l'orticaria...
- Macché orticaria, bestiaccia, i bitorzoli ce li ha di natura.
- Ah sì? E da quando conosci le zucche?...

Mi lascia sempre così, a guardarlo a bocca aperta, impalato come uno scemo, e senza possibilità di replica.
Certo, da quando conosco le zucche? In tutto questo tempo ne avrò sì e no toccata una, sarà stata di cinquanta chili, che faceva bella mostra al mercato di piazza Campo de' fiori...
E assaggiata, poi... Non credo di averlo mai fatto.
Quante cose mi mancano... Possibile?
E solo perché in famiglia non era una verdura poi così amata.
Qui bisogna rimediare! A questa e a tante altre ingiustificate mancanze.
Bisogna scuotersi di dosso la pigrizia, l'indolenza e l'apatia.
Almeno alimentare...
Se c'è una cosa che condivido con chi crede è considerare un peccato l'accidia.
Vabbé, non amo le novità e i cambiamenti ma, nemmeno voglio cadere nel gorgo delle perniciose abitudini.
Quelle che ti fanno fare ogni giorno gli stessi gesti, camminare per le stesse strade, dire (e pensare) sempre le stesse cose.
Insomma, in poche parole, che fanno rattrappire l'anima.
È come avere una macchina da corsa e usarla solo per fare il giro del palazzo
E a 20 Km all'ora, per giunta...

- Dov'è, dov'è?
- Te l'ho rimessa a posto. Hai fatto una faccia che ho pensato: qui si mette male, domani comincia la dieta e per me è finita!
- Ma no, dài, dov'è, che ce la compriamo? Anzi, fai una cosa... Prendi anche l'altra!
- Sicuro?... Non è che poi le svuoti e me le metti per cappello?
- No, no, tranquillo. Voglio provarla, una volta tanto, e in tutte le sue possibilità.
Un lampo giallo negli occhioni verdi mi dice sapeva già tutto da un bel pezzo, e che aspettava soltanto quelle parole...
- Bravo, così mi piaci. Allora oggi zucca!
- Oggi? Ah, ah, Leppagorre mio caro vedrai tu in quante maniere te la propinerò! Dovrai dirmi basta e supplicarmi di passare alle zucchine.
- Mai!
- Lo sapevo! Ah, ah... Dài, che si torna a casa...

Quindi, per due (come me e Leppagorre...) occorrono:
600 g zucca
300 g patate (due medie vanno bene)
500 ml brodo (sì, va bene pure di dado...)
½ cipolla
sale, pepe, olio ev d'oliva q.b.
Pelare la zucca e le patate, e tagliarle a dadini.
Cuocere il tutto nel brodo per mezz'ora, o solo 5 minuti, con la fedele amica di sempre:


In questo caso basta un bicchier d'acqua. Il brodo verrà aggiunto a cottura ultimata.
Una volta cotte, tritare le verdure col frullatore ad immersione.
Se dovesse risultare ancora liquida, basta farla bollire alcuni minuti per farle assumere la giusta consistenza.
Non aggiungere farina o fecola: l'amido delle patate basterà allo scopo.
Regolare di sale, di pepe.
A posto? Versare nelle scodelle e unire un filo d'olio.

La zucca, da brava amica delle patate accetta, come questa, ogni tipo di aggiunta che la mente possa concepire:
- formaggi più o meno piccanti (gorgonzola, all'unanimità delle papille):
- spezie d'ogni tipo (curcuma, zenzero fresco e cardamomo);
- verdure ulteriori: carote e/o zucchine (si, lo so diventerebbe un minestrone...);
- pesce, molluschi e crostacei (mazzancolle ripassate nel soffrittino d'aglio che tanto ce piace...);
- funghi trifolati e aggiunti come preziosi gioielli di bosco...
Insomma tutto quello che la stagione, la dispensa e, soprattutto, la fantasia, ci propone.

E possiamo accompagnarla con dei crostini (abbrustoliti al forno o anche tagliati a dadini e fritti, se si vuole), o con degli spaghetti di riso cinesi fritti in abbondante olio di semi fino a farli diventare una nuvola croccantina e fragile con cui rivestire il piatto di vellutata.


- Che ne dici?...
- Mhhh... è deliziosa... Ma come ho fatto...
- ...a campare fino ad ora senza averla mai mangiata? Stai diventando prevedibile, eh?
- Oddio, spero proprio di no... Domani allora vedrai...
- Che hai intenzione di fare? Mi tremano i baffi dall'emozione...
- Shhh... zitto e gustati la vellutata...

Aforisma del giorno
I pigri intelligenti hanno sempre grandi ambizioni, per giustificare la propria pigrizia alla propria intelligenza.
John Fowles, La donna del tenente francese

Oggi ascoltiamo 
P!nk - Try
http://www.youtube.com/watch?v=yTCDVfMz15M

giovedì 13 dicembre 2012

Pardulas, casadinas, o formaggelle che dir si voglia...

Non è che io sia un tipo poi così ribelle o anticonformista.
E, d'altronde, non è che ci voglia poi molto per farsi il pandoro a pasqua o il cotechino a ferragosto e dirsi, con beata illusione, che questo è "andare controcorrente".
Non mi interessano né le correnti né i flussi migratori, e neppure le mode del momento; la vita è già di per sé abbastanza varia da non aver bisogno di grossi additivi per avere più sapore.
Il fatto è che quando scopro qualcosa di nuovo e piacevole è più forte di me, non posso trattenermi: ecco che lo devo coniugare in tutte le sue forme.
La curcuma? Mhhh, che universo sconosciuto... Via, anche nel cappuccino!
I fegatini di pollo? Ari-mhhh... Come ho fatto finora senza?... Via, pure nei biscotti!
Sì, esagero, come al solito, ma mica di tanto...
Ecco, la pasta violata è stata una piacevole scoperta, foriera di tanti e tanti sviluppi.
D'altra parte molto della cucina sarda si basa sull'uso di questa pasta-passepartout, sia dal versante dolce che da quello salato.
Quindi, dopo aver provato le vere Panadas, provo finalmente (eh sì, da quanto tempo...) qualcosa di dolce.
Le pardulas (pronunciate pàrdulas, e non pardùlas, come facevo io, da italiano ignorante che mette l'accento piano ad ogni parola che non conosce) sono dolcetti che si preparano, solitamente, a pasqua.
Macché, davero davero? E che, aspetto tre mesi (se mi dice bene) per provare a rifarle?
Dove sta scritto che non possano essere fatte a dicembre?
Posso capire che gustarsi una bella crema di melone in questo periodo sia una follia totale, anche solo per rispetto della stagionalità (e alla faccia della globalizzazione che invece vuole, e dà, tutto e sempre).
Ma la ricotta c'è sempre, d'estate come d'inverno, quindi...

Già il nome, anzi i nomi, m'hanno inizialmente disorientato: si dirà pardulas, casadinas, casatinas, casgiaddinas, casgiaddine o formaggelle?...
Si, vabbè che il sardo è una lingua dialettizzata (senza contare sassarese, gallurese, tabarchino e algherese...), ma starò parlando della stessa cosa?
E che tipo di formaggio si deve usare? E in che dosi?
Se per la pasta violata si arriva, dopo aver consultato e confrontato almeno una quindicina di ricette, a sintetizzare un interessante compromesso, per il ripieno il delirio delle varianti è alle stelle.
Si può usare il solo formaggio fresco di pecora (una sorta di primosale, ma ancora più fresco, che è difficile trovare fuori dalla Sardegna, se non sostituendolo con dei miserrimi surrogati); o anche un misto 50:50 tra formaggio fresco e ricotta (di pecora); o, anche, un 50:50 di ricotta tra ovina e vaccina.
Insomma, una babele deliziosa, proprio come la mia amata, incantevole, Muflonia...

Per la pasta violata:
La proporzione strutto:semola va in genere  da 1:4 a 1:5.
250 g   semola rimacinata
50 g     strutto
acqua q.b. (2 o 3 cucchiai circa)
1 pizzico di sale
Mescolare gli ingredienti e lavorare bene, a sfinimento fino ad ottenere, come si dice sempre, "una pasta liscia, elastica e omogenea".
Lasciarla riposare almeno mezz'ora (c'è chi la lascia riposare anche tutta la notte... Proveremo...)

Per il ripieno ho scelto:
500 g    ricotta di pecora
100 g    zucchero
3           uova
100 g    semola rimacinata
1 bustina di zafferano (mezzo cucchiaino scarso).
la scorza grattugiata di due arance e la scorza grattugiata di mezzo limone.
Se volessimo preparare, alla maniera di Cab'e susu, la versione che prevede l'uvetta (le... Leopardule?... Ohibó, che battutaccia!...), basterà aggiungerne 100 g, ovviamente lasciata rinvenire almeno un quarto d'ora in acqua appena tiepida e poi asciugata in un canovaccio.

Per formare le pardulas si procede così:
Si stende la pasta, non troppo sottile (l'Imperia dice a livello di spessore 4, io dico un paio di mm scarsi).
Inventiamo una regola inesistente e sempre trasgredibile: per le pardulas un coppapasta da 7 cm, per le casadinas uno da 10 cm.
Si ricavano quindi dei cerchi di pasta e si riempiono con una mezza cucchiaiata d'impasto.


La mia deficente manualità non mi ha però permesso di lavorare sul piano di lavoro e ho dovuto, pover'ammé, prendere una per una le pardulas e formarle sul palmo della mano.
Poverine...
Chiedo già da ora scusa agli/alle abili cuochi/e sardi/e...
Si pizzica il bordo della pasta in più punti, cominciando dalla parte esterna, fino a formare un bel canestrino.

 
 
 
Bastano anche solo cinque (o sei) punti per chiudere la pasta a conchetta.
Quelle più grandi, per le quali ho deciso di aggiungere un po' d'uvetta alll'impasto, hanno logicamente bisogno di molte più piegoline. Oui, Monsieur Lapalisse...
La si adagia poi sulla teglia ricoperta di pasta forno e si procede con la successiva.
Così via fino alla cinquantesima, circa...


Per la cottura: 180° per almeno circa 20 o 30 minuti, cioè fino a doratura.




Detto sardo del giorno
Domo chena misura, domo chena ventura. 
Casa senza misura, casa senza fortuna.

Oggi ascoltiamo
Tazenda - Etta abba chelu
http://www.youtube.com/watch?v=pLdTALN-88s

...comente caddos nois deppimus essere,
istraccos ma felitzes de currere
puru cando calchi cosa andat male...

(...dovremmo essere come cavalli/ stanchi ma felici di correre/ anche quando qualcosa va male...)

martedì 11 dicembre 2012

Pollo fritto al sesamo con salsa agrodolce

Sai quando ti prende quella voglia di cibo-spazzatura, quella febbre di salse sconosciute e dal sapore indefinibile, quella brama di fritto dove l'insalatella è messa lì solo a scopo ornamentale?
Quando la fame chimica diventa subdola e selettiva e non basta una fetta di mortadella con la marmellata per sedarla, proprio no, alllora è segno che si vuole proprio quel fritto, con i sapori più laidi che possiamo assemblare, e non altri.
E si può sempre dire no?
Anche la persona più restia diventa accondiscendente, almeno una volta ogni tanto.
Basta ingannare le papille con qualcosa di similare, illudersi di sedersi in un mondo di plastica e così, almeno, cercare di limitare i danni.
Il pollo fritto si può fare in mille modi diversi: au naturelle, soltanto infarinato, impanato (passaggio in farina, uovo e pangrattato), infarinato e avvolto nell'uovo (fritto dorato, lo chiamiamo qui), impanato con doppio passaggio uovo e pangrattato, oppure in una bella pastella.
Dal troppo banale al troppo troppo, direi.
E se lo friggessimo avvolto nei semini di sesamo?
Mica male, no?
Roba fast, più fast che si può.


Basta preparare delle striscioline non troppo sottili di petto di pollo.
Le impaniamo nel sesamo e ciàffete: via nell'olio di semi bollente, a cuocere fino a doratura conclamata.
Far assorbire l'olio in eccesso su un foglio di carta assorbente e poi spolverare con sale.

E con che me lo magno?
Beh, con un po' di Mommogammuš, visto che ancora abbondiamo a melanzane.
E basta?...
Vabbè, va, facciamoci anche una salsa agrodolce, come nella migliore tradizione paninesca d'altri tempi.
Non troppo, mezza tazza basterà.
Quindi:
- mezza tazza di polpa di pomodoro
- due cucchiaini di zucchero
- un cucchiaio d'aceto bianco
- un cucchiaino di fecola o di maizena
Direi basta così.
Passare la polpa di pomodoro e metterla sul fuoco.
Aggiungere lo zucchero, l'aceto e mescolare.
Sciogliere l'amido in un dito d'acqua fredda e versarlo nella salsa.
Portare ad ebollizione per far addensare.
Et voilà, che sciccheria! Ciavémo pure 'a salsa, tié!





Detto romano del giorno 
Soli nun se sta bbene manco in paradiso.
Da soli non si sta bene nemmeno in paradiso.


Oggi ascoltiamo
Louis Armstrong - What A Wonderful World

http://www.youtube.com/watch?v=E2VCwBzGdPM

lunedì 10 dicembre 2012

Quiche "de prescia" al radicchio

- Muoviti!... Dài!... E sbrigati!
- Che c'è, Leppagorre? Fammi vedere in santa pace come sono queste verdure! Non ne mangio mai...
- Ma hai sentito? I Maia dicono che tra un po' cadrà un meteorite e ci spazzerà via tutti!
- Peccato, le macchie di sangue sono così difficili da togliere...
- Come fai a essere così cinico? I Maia dicono che...
- I Maya, casomai, ma credo che tu sia più amico intimo dei maia-li, bello de casa!...
- Ma qui bisogna sbrigarsi! Provare tutte le ricette che ancora non abbiamo assaggiato!...
- Leppagorre: guardami negli occhi, gattaccio che non sei altro. Non ce la faremmo comunque mai a provare tutte le ricette che vorremmo, campassimo pure duecento anni! Hai capito, ora? Alla faccia dei Maya, pace all'anima loro!
- Uffa! Ma non ci caschi proprio mai, eh? Ma io ti volevo solo...
- Lo so che volevi, ormai ti capisco al volo... Dài qua questo radicchio, va'.
- Lo prendi, vero?
- Solo perché è una verdura. Sai che dobbiamo stare un pochino attenti all'alimentazione.
- E se il mondo finisce davvero il 21 dicembre?...
- Beh, vorrà dire che stireremo le zampe (1) un pochino più magri!...

In barba alle predizioni menagrame d'ogni tempo e paese, noi continuiamo a dedicarci ai sani piaceri della vita, quelli che faremmo sempre e comunque, cascasse o no il mondo.
E tra i piaceri che ci fanno stare bene, tra i primissimi posti in classifica c'è, ovviamente, il gusto per il cibo: cucinare audacemente cose nuove e provare nuovi sapori o prepararsi i piatti che già conosciamo, così confortanti nella loro consuetudine.
Comunque sia assaporare, e assaporare tutto perché, si sa: la vita è 'n mozzico...
Oggi una quiche al radicchio, anzi tre versioni: dalla più dietetica alla più Maya-la.
In primis una pasta brisée, che ben conosciamo, con le solite dosi da una teglia da 24 cm (e qualche stuzzichino al sesamo, se avanza):
300g    farina
150g    burro
100ml    acqua ca.
q.b.    sale
Procedere come la frolla: sabbiare il burro ben freddo con la farina, quindi amalgamare con acqua e sale q.b.
Lavorare poco, pochissimo, il minimo indispensabile per rendere omogenea la pasta.

- Per via della prescia (2) che ti dà la paura della fine del mondo?...
- No, solo perché se la lavori troppo si forma il glutine e poi bonanotte ai sonatori: la pasta da friabile si fa dura e coriacea, insomma: immangiabile.

Mentre la pasta riposa la sua abituale mezz'oretta in frigo, procediamo con la farcia.
Prendere un radicchio da 3-400 g, lavarlo bene, ridurlo a striscioline e farlo stufare in un tegame coperto con pochissimo olio, solo quel che serve per non farla attaccare al fondo.
Aggiungere poco sale e portare a cottura.
Vediamo... quale si fa?


Versione più "dietetica":
3-400 g  radicchio stufato
300 g     ricotta
2            uova
50 g       parmigiano
q.b.        sale, pepe
Lavorare a crema la ricotta, unire le uova e il parmigiano ed amalgamare.
Aggiungere quindi il radicchio, ben freddo.

Versione "medio-dietetica"
3-400 g  radicchio stufato
250 g     besciamella
1            uovo
2            tuorli
50 g       parmigiano grattugiato
q.b.        sale, pepe
Preparare una besciamella. Basterà metà dose:
25 g      farina   
25 g      burro   
200 ml  latte
Procedere come al solito: formare il roux facendo sciogliere il burro ed unendo la farina.
Cuocere per qualche minuto, avendo sempre l'accortezza di girare con un cucchiaio l'impasto.
Stemperare col latte e portare ad ebollizione, sempre mescolando, fino a quando inzierà a addensarsi.
Se dovessero formarsi dei grumi frustarla senza pietà. Se lo merita...
Far raffreddare bene la salsa e quindi unire i due tuorli e il parmigiano.
Mescolare ed aggiungere il radicchio e un uovo intero.

Versione "Maya-la"
3-400 g   radicchio stufato
200 g      emmenthal
200 ml    panna da cucina
4             uova
q.b.  sale, pepe, parmigiano
Tagliare a dadini il formaggio, unire la panna, le uova sbattute a parte e il radicchio stufato.
Regolare di sale e pepe, eventualmente unendo del parmigiano.

Una volta scelta e preparata la farcitura stendere 2/3 della pasta brisée e rivestirvi il fondo e i bordi di uno stampo da 24-26 cm.
Versare la farcitura,livellandola con un cucchiaio.
Ripiegare i bordi della brisée arricciandoli su se stessi e premendoli con il dorso di una forchetta o, più semplicemente, con i polpastrelli.
Con la pasta rimasta formare delle decorazioni da porre sulla superficie: delle strisce simil-crostata, delle forme ricavate dagli stampini che preferite, insomma come vi suggerisce la vostra fantasia.
Pennellare la pasta con poco albume, o tuorlo sbattuto se la volete più scura, e far cuocere a 180° per 40 minuti almeno, fin quando la superficie sarà ben colorita.


Ah, se dovesse avanzare della pasta, tagliatela a striscioline o con gli stampini che preferite, pennellatela con dell'albume e spolveratela con semi di sesamo.
Via in forno, per una decina di minuti, anche in conyemporanea con la quiche, che non deve lievitare.
Vi faranno da accompagnamento per l'aperitivo...

Detto romano del giorno 
Ce so ccascati l'anelli, ma cce so' arimaste le deta.
Ci sono caduti gli anelli, ossia abbiamo subito un rovescio di fortuna, ma ci sono rimaste le dita.

Per ricominciare.

Oggi ascoltiamo
Randy Crawford - Knockin' On Heaven's Door

https://www.youtube.com/watch?v=xpTAHQROB2g


1) Stirare le zampe, o anche annà a fà la tera pe li ceci è, come tirare le cuoia, un eufemismo per "morire".
2) Fretta. Una pessima parola...

sabato 8 dicembre 2012

Angelica delle Sorelle Simili

Chi s'interessa di panificazione (o Arte Bianca, come poeticamente la si definisce) sia per diletto che per mestiere, conosce senz'altro, almeno di nome, le Sorelle Simili.


Margherita e Valeria sembrano due personaggi da fiaba, e come i personaggi mitici sono oramai universalmente chiamate soltanto "Le Sorelle Simili".
E davvero simili sono, visto che sono anche gemelle...
Nascono panificatrici, visto che il forno di famiglia, a Via San Felice, a Bologna, le accoglie già dal '46, e da allora la loro passione e la loro maestria le ha fatte diventare un punto di riferimento in tutta l'area emiliana.
Col tempo poi la loro fama s'è diffusa ben oltre i confini regionali: dal 1986 al 2001 le Sorelle hanno iniziato a tenere corsi di cucina nella loro Scuola, che è diventata presto famosa in tutto il mondo.
Immaginate la scena: italiani, sì, ma anche europei, americani e giapponesi; tutti a Bologna ad imparare a fare il pane e la pasta fatta in casa dalle due Maestre.
Il loro "Pane e roba dolce" è diventato, ormai da anni, un classico del settore.
Da questo prezioso libretto ogni blogger o appassoinato di cucina ha tratto almeno una ricetta preferita e l'ha riproposta in Rete.

Purtroppo non conosco le Simili se non di fama, e nel mio spirito cuciniero pungola perenne il rammarico di non aver potuto seguire a suo tempo un loro corso, anche breve, di panificazione.
Chi mi conosce è prima o poi incappato nel mio panegirico a tema "Sorelle Simili", del quale ho fatto la testa come un pallone a chiunque mi chiedesse come mai mi fosse venuta in mente l'idea di panificare...
Che darei per un corso delle Simili...
Quando ad insegnare è lo chef fighetto che per effetto delle mode o di qualche giravolta benigna della sorte si ritrova sbalzato sulla cresta della notorietà fatta di comparsate in ogni possibile programma televisivo ti prende lo sconforto...
Quando ad insegnare sono i cuochi improvvisati, che fino a ieri l'altro non sapevano neppure la differenza tra lo zucchero e il sale e che oggi girano l'Italia con i loro corsi full-immersion imbevuti di quel che loro hanno imparato in due mesi ti prende lo sconforto...
Quando ad insegnare sono invece dei professionisti che conoscono da anni e fin nelle più intime fibre i materiali che vanno a trattare ma sono, allo stesso modo, anche dei dilettanti, nel senso etimologico del termine, visto che il loro è sì lavoro ma anche diletto, passione e gioia di creare da poche cose, quasi dal nulla, qualcosa di buono, allora ci si sente scaldare il cuore.
Ad avercene di persone così...

A me piaceva l'idea di provare un nuovo lievitato dolce, che fosse anche facile da fare, e facile lo è senz'altro, grazie alla guida delle Simili.
Per l'Angelica occorre la solita trafila dei lievitati, un po' lunga ma che dà ottime soddisfazioni se si seguono alcuni accorgimenti (che non sono dogmi, ma consigli; visto che altrimenti la ricetta non riesce, o riesce male...)

Fase 1) - Lievitino:
135 g  farina manitoba
13 g    lievito di birra
75 g    acqua
Si impastano velocemente gli ingredienti e si lasciano lievitare al coperto per circa 30'.

Fase 2) - Impasto:
400 g    farina manitoba
75 g      zucchero
120 g    latte tiepido
120 g    burro
3           tuorli
1 cucchiaino di sale
Si uniscono in una ciotola la farina, lo zucchero e il sale.
Vi si aggiungono quindi il latte tiepido, i tuorli e il burro ammorbidito.
Si lavora bene, stirando e battendo, fino ad ottenere un impasto elastico ed omogeneo che si stacchi dalle pareti della ciotola.
Rovesciare quindi sulla spianatoia, unire il lievitino e lavorare bene fino ad amalgamare perfettamente i due impasti.
Mettere nella ciotola e lasciar lievitare, coperto e al riparo dalle correnti d'aria, per un paio d'ore, fino al raddoppio del volume.
L'impasto si passa quindi sulla spianatoia e, senza lavorarlo troppo, lo si inizia a stendere.
Si dovrà ottenere uno spessore non troppo sottile, circa 2-3 millimetri, sul quale distribuire la farcitura.

Per la farcitura:
75 g    uvetta
75 g    scorza d'arancia candita
50 g    burro fuso
Pennellare con abbondante burro fuso lo strato di pasta e versarvi sopra l'uvetta, lasciata precedentemente ad ammollare in acqua tiepida e poi scolata e asciugata con un panno.
Spolverare con la scorza d'arancia tritata.
Arrotolare la pasta dal lato più lungo e poi, con molta attenzione si taglia il rotolo in due con un coltello affilato e sottile, infarinandolo ogni tanto.
Separare i due pezzi tagliati ed intrecciarli, lasciando la parte tagliata il più possibile verso l'alto.
La treccia si chiude poi a ciambella e la si pone su carta da forno, direttamente sulla teglia, pennellandola con burro fuso.


Lasciare lievitare ancora 30-40' al coperto.
Dovrà praticamente raddoppiare.
Infornare e cuocere a 200° per 20-25'.

Volendo si può ricoprire a fine cottura l'Angelica con una glassa d'albume e zucchero:
150 g    zucchero a velo
1 chiara d'uovo
Diluire la chiara con lo zucchero ottenendo un composto piuttosto denso e con questo spennellare l'Angelica appena uscita dal forno, lasciandola asciugare.
Se la glassa risultasse ancora troppo liquida ripassarla 30 secondi in forno.




Aforismi del giorno
Tutti coloro che sono incapaci di imparare, si sono messi ad insegnare.
Oscar Wilde

L'arte di insegnare consiste tutta e soltanto nell'arte di destare la naturale curiosità delle giovani menti, con l'intento di soddisfarla in seguito.
Per digerire il sapere, bisogna averlo divorato con appetito.

Anatole France, Il delitto di Sylvestre Bonnard, 1881


Oggi ascoltiamo 
Le Vibrazioni - Angelica (live at Top Of The Tops)
http://www.youtube.com/watch?v=eOyG0Mt3Hg0



venerdì 7 dicembre 2012

Como, giamadelas Panadas.

Ovvero: Adesso chiamatele Panadas

Si sa, spesso i pregiudizi e le idiosincrasie nascono da un'esperienza più o meno traumatica dell'infanzia.
C'è chi ha paura dei cani, per esempio, perché da piccolo è stato spaventato da un cane, magari un dolcissimo e innocuo cagnone ma un po' troppo esuberante ai suoi occhi di bambino, e da lì si fissa, spesso per sempre, l'idea che cane equivalga a pericolo.
Non parlo di paure motivate o di veri e propri traumi, parlo di quello piccole cose che però, quando la situazione cambia, ci lasciano stupiti di come possiamo aver protratto così a lungo quell'ingiustificato atteggiamento di difesa e diffidenza.
Confesso di aver nutrito un'ingiustificata (alla luce della consapevolezza odierna) diffidenza verso lo strutto.
Colpa della mia ipersensibilità verso gli odori e della dirimpettaia di un tempo, che lo usava al posto del burro per comporre crostate e dolci in generale.
Ecco, non so se la sugna che usasse la cara signora fosse un po' irrancidita (è difficile conservare lo strutto se non in frigo) o quale altro ingrediente segreto aggiungesse ai suoi impasti.
Fatto sta che da allora ho sempre sotto il naso, associato alla parola strutto un odore mefitico, fastidioso, insopportabile.
È stata dura superare la mia idiosincrasia, e solo l'amore (per la cucina, nel mio caso) opera miracoli di tal fatta.
Ecco, un tempo feci le Panadas, consapevole del fatto che, per arrivare a un risultato che fosse un minimo decente, si dovesse usare lo strutto.
Provai col burro ma, si sa, anche se il sapore alla fine era comunque accettabile, mancava comunque qualcosa.
E lo credo...
Il segreto sta nella pasta violada, ovvero la pasta "violata" (che il nome indichi il fatto che va lavorata a lungo e con veemenza?...), una ricetta millenaria, semplice ma, come tutte le cose semplici, esigente in fatto di ingredienti e lavorazione.
Non pensiamo di farla usando con il burro.
Sarebbe un'altra cosa, e ci si rende conto di questo solo quando si prova lo strutto.
Vinta quindi la diffidenza, nascoste le analisi in un cassetto (lo strutto è veleno per il colesterolo ma, mi sono detto, mica lo devo mangiare a cucchiaiate...) ho tratto un sospirone e giù, dal trampolino...
Adesso capisco...
La pasta violata ha una malleabilità unica e una resistenza notevole; può essere stesa sottilissima senza rompersi e può essere lavorata come e meglio di una pasta di zucchero.
Insomma, una vera e propria manna.
Come ho fatto a rinunciarvi fino ad ora, come?
Se mi guardo in giro (in Rete, intendo) c'è anche chi consiglia di usare pari pari il burro al posto dello strutto, non considerando che il primo è composto al 20% da acqua mentre il secondo è grasso al 100%; quindi per la conversione si dovrebbe usare lo stesso criterio che si ha con l'olio: aggiungere quel 20% in più di grasso per equiparare la percentuale di grassi...
Ma, comunque, con buona pace di chi ama gli animali, ciò che si otterrebbe sarebbe solo un surrogato.

Pasta Violada
Occorre una parte di semola rimacinata e una quantità di strutto che va da 1/5 a 1/4 della quantità di semola.
E, ovviamente, acqua tiepida q.b. e un pizzico di sale.
A occhio 400 g di impasto basta e avanza per una decina di panadas (grandi quanto un muffin, per capirci), o per duas panadas mesànas (da 14 cm di diametro) o per sa panada manna (da 24 cm di diametro, una vera e propria torta salata...)
Quindi:
250 g semola rimacinata
50 g   strutto
Acqua tiepida q.b. Sale, un pizzico.
Si pone in una ciotola la farina, vi si aggiunge un po' d'acqua, il sale e si comincia a mescolare.
Aggiungere lo strutto e, se serve, altra acqua.
Lavorare bene e a lungo, ameno almeno un quarto d'ora.
C'è chi dice anche quaranta minuti e, secondo me ha ragione.
La semola è un po' come i sardi: all'inizio granulosa, diffidente e poco cedevole.
Lì per lì è quasi sconfortante e sembra che non se ne possa ottenere un risultato decente (in termini di impasto e di rapporto umano, intendo...)
Poi, insistendo, con la pazienza e la veemenza che richiede l'amore (per la cucina, eh?) la si vede diventare elastica, cedere, e dare il meglio di sé, sempre.
Perché, si sa: un sardo è come un diamante: è per sempre.
Lasciare riposare la pasta almeno mezz'ora, ben riparata.
C'è sempre chi consiglia di farla la sera prima e lasciarla quieta quieta tutta la notte.
Non stento a crederlo: dopo essere stata violata in quel modo...

Per il ripieno: SBIZZARRITEVI!

Ultima prova fatta:
300 g    carne di manzo
300 g    patate (2 medie)
150 g    cipolla (1 bella grossotta)
1/2     cucchiaino di zenzero fresco grattugiato
1 punta di cumino e 1 di coriandolo, in polvere (e te pareva!...)
Tagliare a pezzettini la carne (non tritarla! La rovinereste. Usare invece un coltello ben affilato) e cuocerla appena in poco olio o burro, unendo le spezie.
Lessare "al dente" le patate (la forchetta deve fare un po' di fatica a raggiungere il centro); pelarle, tagliarle a fette e quindi a dadini
Stufare la cipolla tagliata a pezzettini in poco burro.
Solito metodo: padellina, fuoco MOLTO dolce e coperto, e girare spesso.
Alternativa: raccontate alla cipolla di tutte le volte che il vostro ex vi ha dato buca, vi ha cornificato a ripetizione, vi ha raccontato balle grandi come edifici di venti piani, e così via... la cipolla si stuferà all'istante.
Mescolate in una terrina la carne, le patate e la cipolla.
Stendere due terzi della pasta violata, foderarne due stampi da 14 cm, o il formato che più preferite.
Versare il ripieno e pressarlo un po' con un cucchiaio per compattarlo,
Stendere la pasta rimanente e ricavarne il coperchio per il/i nostro/i tortino/i.
Se vi avanza della pasta fate delle decorazioni a piacere da fissare con una pennellatina d'albume, se ne avete, o anche con poca acqua.
Vi sorprenderà come sia malleabile questa pasta..


Alla prova d'assaggio Sabri, la cugina-amica-cavia, ha esclamato: "Sembra il Cornish pasty che mangiavo in Inghilterra!"
Uhm... Cornish pasty?...
Sono andato a vedere di cosa si trattasse e ho scoperto, come se ce ne fosse bisogno, che ogni popolo, più o meno lontano ha i suoi Pasticci. Eh, già...
Dalla Rete questa poetica descrizione:
Dopo essere stata consumata dalla nobiltà, nel corso del XVII° e XVIII° secolo i pasties divennero popolari tra i lavoratori della Cornovaglia, dove i minatori li hanno adottati come cibo quotidiano, essendo un pasto completo, semplice e consumabile senza posate. In una miniera le pasties potevano stare al caldo per diverse ore, o potevano facilmente essere riscaldato sulla pala posta sopra una candela.
Che dire: se la Cornovaglia ha i suoi Cornish pasty, anche Muflonia ha i suoi... Mouflonian pasty!

Variazioni sul tema
Facciamo un piccolo gioco: compiliamo una lista di verdure (e se è in base alla stagionalità tanto meglio), vicino aggiungiamo una lista (opzionale, se preferite una ricetta solo vegetariana) di tipi di carne (manzo, pollo, maiale, coniglio, e così via) e una (sempre opzionale) di formaggi (ricotta, emmenthal, fontina, e così via).
Imprescindibile la lista degli odori e delle spezie (alla mia non mancherà mai la curcuma, il cumino, il coriandolo, lo zenzero e altre trecento spezie...).
Se siete audaci (quanto ce piace l'audacia, in cucina...) anche una lista di frutta (sempre in base alla stagionalità), ma anche frutta secca (prugne, albicocche e così via).
Adesso prendete una matita (e che, lo volete fare al pc? macché!...) e tracciate ad occhi chiusi delle linee, così, a caso...
Scherzo: fatevi invece prendere dalla fantasia e sedurre dal ricordo dei profumi, dalle consistenze, dai sapori e retrogusti dei cibi che avete elencato davanti.
Capite a cosa si può arrivare?
A una ragnatela sconfinata, un grafo immenso, una mega lista pantagruelica degna di Borges.
Avete ancora dei dubbi? Visitate questo sito.
Smonterete la sicumera di molti cuochi che fingono di aver "inventato" una "nuova" combinazione di sapori e vi si apriranno nuovi mondi.
Perché la cucina, come tutto ciò che è fantastico, vive nella Quinta Dimensione...

Piccoli suggerimenti
- cipolle e funghi
- cipolle e patate
- asparagi ed emmenthal
- radicchio e ricotta di pecora
- spinaci e gorgonzola
- agnello e patate
- agnello e albicocche
- maiale e prugne
- pollo e peperoni
- cavolo romano (quello verde) e alici
...

Detto sardo del giorno
Ad s'istranzu non l'abbaides sa bertula. 
All'ospite non guardare la bisaccia 

Oggi ascoltiamo 
Janas - Biskisende
http://www.youtube.com/watch?v=9filiiQmvsE
Proite b'est semper unu sardu chi nos furat su coro...

giovedì 6 dicembre 2012

Mhummhuš, e mazzancolle alla curcuma

Non sopporto i dogmi, di qualunque genere essi siano.
Sarà perché non tollero l'autorità priva di autorevolezza, ossia l'autoritarismo, con quella sua perversa pretesa di possedere una sorta di "diritto naturale" nel porre e disporre le cose del mondo e di decidere cosa è buono e cosa no nella vita degli altri.
Magari poi questi ultimi fossero concepiti come "altri", ossia "altri te", macché: gli "altri" sono solo quelli che l'autorità si diverte a manovrare a proprio vantaggio, con il sottile piacere che dà l'uso e l'abuso del potere.
Imponendo leggi scese dal cielo, inventando usi e costumi del tutto opinabili, prescrivendo (pena l'allontanamento dal consorzio umano) doveri che non recano alcun vantaggio se non a chi ha il potere d'imporli.
È discorso che spazia dalla vita quotidiana alla politica (che è poi l'esercizio della vita quotidiana), dalla Weltanshauung alla cultura, in tutte le sue forme.
Quindi anche alla cucina.
Dice il grandioso Allan Bay che occorre tradire: "Tradire qualunque ricetta, tradire qualsiasi libro, tradire qualunque tradizione. (...) Di più, la tradizione non esiste. Esiste l'invenzione della tradizione, fatta da chi si aggrappa non ad un passato, ma al mito di un passato per sopperire alla propria mancanza di idee. Come diceva il Vate: memento audere semper."
Non si parla solo di cucina, vero?...

Ah, si vede che non amo nemmeno l'uso delle maiuscole?
Lo ammetto solo nei nomi propri, quindi anche in quelli delle ricette di cucina...

Quindi osare, almeno tra i fornelli, se si è troppo pavidi di farlo altrove.
Meglio che niente... D'altronde neppure il coraggio è un dovere.
Quindi, come nel caso del Mommogamuš, anche per l'Hummus ho dovuto cambiare le carte in tavola.
La ricetta comunemente accettata è:
300 g ceci (secchi, da far ammollare per ore e poi lessare, o alla vergognosa, ossia in scatola, già belli e precotti)
2 spicchi d'aglio
acqua calda q.b.
2 limoni (succo)
olio d'oliva q.b.
2 cucchiaini di cumino in polvere
2 cucchiai di tahine (la famigerata pasta di sesamo)
Ecco, a me, il gusto del limone in queste pietanze risulta insopportabile.
Mi dà una noia e un fastidio quasi fisico.
Quindi ho dovuto fare come per il Mommogamuš...
Dove prima mi trovavo una crema di melanzana ora c'è un passato di ceci, ma limone nisba.
A me piace di più così.
Tanto non esiste (ancora) un Ente Protezione dell'Hummus che possa redarguirmi o, come si ama fare da certe parti, lapidare per eterodossia...

Se si vuole preparare l'Hummus (anzi il Mhummuš) con i ceci secchi occorre lasciarli in ammollo per 24 ore in un recipiente che possa contenere il doppio del loro volume di acqua.
Trascorso questo tempo scolarli, sciacquarli, e cuocerli per un'ora in abbondante acqua fino a che non diventeranno teneri.
Usando una pentola a pressione si possono cuocere anche secchi: basteranno 25 minuti.
Soffriggere l'aglio tritato in poco olio, assieme al cumino, per un paio di minuti a fuoco medio.
Aggiungete i ceci scolati e lasciarli insaporire per pochi minuti.
Tritare i ceci e aggiungete la tahina, ottenendo una crema omogenea e liscia.
Aggiungete a filo dell'olio extravergine di oliva o dell'acqua calda (anche un po' dell''acqua di cottura dei ceci) amalgamando il composto per renderlo bello cremoso.
Volendo si può aggiungere anche del curry, ne basta un cucchiaino.


L'ho usato per accompagnare un piattino di gamberi (ma anche le mazzancolle non sono male) speziati.
Si fa un soffitto d'ajo e ojo, tritando fino fino l'aglio, poi ci si fanno insaporire i gamberi per un paio di minuti.
Si aggiunge un pizzico di curcuma e, se piace, una grattatina di zenzero fresco.
Cuocere i crostacei per pochissimi minuti, il tempo di insaporirli, altrimenti diventano stoppacciosi.
Se volete una salsina che sia meno tirchia fateci sfumare un dito di vino bianco secco.
E sale e pepe q.b, ovviamente.

Aforisma del giorno

Dai grandi tradimenti hanno inizio i grandi rinnovamenti.
Vasilij Rozanov, Foglie cadute, 1913/15

Oggi ascoltiamo 
Orbital - The box
Con la meravigliosa Tilda Swinton nei panni di una stralunata cyber-vagabonda.
Allora, avete visto "Orlando" di Sally Potter?... No? E che aspettate, il meteorite?