mercoledì 31 luglio 2013

Indovina l'intruso

In questa valigia (di ritorno, ahimé) c'è un intruso. Sapreste indicare qual è?




Indizi:
1) Il saggio di Umberto Eco (ma un anno mi portai anche Freud, e ancora stanno ridendo...);
2) La busta dell'€spin (così poco consona per la Costa Smevalda);
3) La maglia taglia L (quando tutti sanno che mi va clamorosamente stretta).
Non si vince nessun premio se non qualche ricettina prossima ventura.

giovedì 25 luglio 2013

Maccaroni e brocciu mustiu - Pasta con ricotta (mustia)

Spesso, molto spesso, assaggiando certi prodotti tipici fatti a dovere sono rimasto come un cretino, con gli occhi persi nel vuoto, la bocca e la cavità nasale colma di sapori e aromi celestiali a ripetermi, in un sussurro: "Allora è questa la..."
Aggiungere ai puntini la scoperta del giorno, prego.
Non parlo di cose che per pigrizia non avevo mai assaggiato prima (e parlo dei fegatini di pollo e di molte, troppe verdure, ahimé...) ma di cose che conoscevo fatte in un certo modo e che così fatte non mi entusiasmavano poi molto.
"Sì, la ricotta affumicata è sfiziosa e bella carica di sapore, però..."
Mai giudicare al primo morso, mai.
Tanto più se si conoscono certi prodotti solo nella versione industriale, snaturata di tutto tranne che per l'abuso di un nome che non dovrebbe appartenere loro.
Quando assaggiamo una ricotta affumicata da supermarket dobbiamo tenere in mente che quell'affumicatura è chimica.
Stimo molto il chimico Dario Bressanini tanto da aver ormai imparato che la chimica è ovunque, che tutto è composto di molecole, e che spesso neppure un gourmet dei più raffinati riesce a riconoscere la differenza tra la vaniglia in bacca e quella di sintesi (ci sono interessanti studi in proposito, cari miei naturisti-a-tutti-i-costi e li riporta il chimico nella sua rubrica, qui).
Questo per dire che non sono refrattario alle innovazioni, e che ritengo la parola naturale un artificio culturale dei più biechi, con la quale si può anche sostenere l'abiezione di un essere umano che non sia conforme a certi dettami.
Ma questo è un altro discorso...
La ricotta mustia "chimica" è proprio chimica. Non ha nulla di piacevole.
È solo molesta, come un botolo ringhiante che si finge un alano e che ricorda solo da lontano la comune origine canina (e casearia, nel nostro... caso).
La ricotta affumicata chimicamente, semplicemente, non è tale.
Chiamatela pseudo-ricotta-fumé o quasi-mustia, e lasciate il nome a questo capolavoro della sapienza popolare:

È fatta di solo latte di pecora, è morbida e delicata, e ha un aroma affumicato che può sembrare troppo rude e invadente.
Poi, appena la poggi sul pane, lei si sente più a suo agio e dà il meglio di sé.
Aveva solo bisogno di conforto, poverina.
È insomma, un cibo finto-coatto.
Sembra aggressivo e troppo soverchiante, ma solo perché non lo si prende nella giusta maniera.
Come tutti noi, del resto.

Come gustarla al meglio? Ma con la pasta, che domande!
Pipe rigate (la morte sua) che blo-blo saltellano allegramente nell'acqua, nel mentre la ricotta si ammorbidisce a crema con la forchetta; poi poca acqua di cottura delle pipe per diluire la consistenza e un pugno di pecorino (sardo, più delicato) per accompagnarla al suo soave destino: l'incontro con le papille nostre gustative, una delle nostre zone erogene più trascurate.


Detto inglese (e universale) del giorno
Never judge a book by its cover
Non giudicare mai un libro dalla copertina

Oggi ascoltiamo
Le onde del mare...

martedì 16 luglio 2013

Rösti per tutti i güsti

"Frittata" di patate alla svizzera… il rösti
Tante volte la cucina  racconta un popolo più di tanti trattati di antropologia.
Se ne converrà leggendo qualche saggio di antropologi e/o sociologi francesi.
Fumosi d'una compiaciuta astrattezza e autoreferenziali al limite dello sciovinismo più bieco: spesso non compare alcun riferimento a studiosi non francofoni (nella migliore delle ipotesi appaiono nelle bibliografie, ma non sempre), come se la C.O.M. (Cultura Occidentale Moderna) avesse nel  Pentagone unica culla e fulcro. Anche, ma non esclusivamente, cari miei...(1)
Insomma, per farla breve, una palla che non sto a dire.

Si può quindi arrivare a intuire molto di una cultura anche osservando quali cibi usi una popolazione e come questi vengano declinati nelle varie preparazioni.
L'uso delle mani per portare il cibo alla bocca (dove la praticità è d'obbligo e la posata è solo una leziosità occidentale), l'impiego di un gran numero di spezie (dove il caldo tropicale necessita di antisettici naturali), la specificità della lavorazione di alcuni cibi (il pane non lievitato in paesi dove il lievito non resisterebbe nemmeno mezza giornata).
Insomma, anche da dilettanti e da cialtroni, quale io mi pregio di essere, si possono capire molti aspetti di una cultura alimentare.
Che fa parte della Cultura tout-court, mes amis. E non lo dico io, eh? ma anche Hervé This...

Un interessante raffronto m'è venuto nel cucinare il rösti dopo aver cucinato la "frittata" di patate alla romana.
Il rösti è un tipico piatto della cucina svizzera, ed è di una semplicità vergognosa, tanto che mi scuso persino di postarlo se non accompagnato da qualche nota amena...
- Amena? A chi meni te? Viè qua, viè, che te faccio vede io!
- Ma io intendevo...
- Intendé e intendé! Mo si nun stai zitto te parto de capoccia!
Ecco, certe volte, di fronte all'ignoranzità de core (più che di cervello) non vale nemmeno l'uso del Lessico Fondamentale con annessa appendice del Perfetto Turpiloquio.
- Stavo a dì che bisogna pure divertisse, no?
- E allora parla come magni. Antrepologhi, sociolighi, ma che stai a dì? A me poi me stanno pure sur gozzo, sti francesi...
- Eh, sì, ti capisco...
- Ma che me stai a pijà per cu..?
- Non oserei mai!
Chiedo venia, ma ho profonde radici popolari da periferia estrema che ogni tanto si fanno sentire.

Il rösti, dunque, si prepara con patate crude grattugiate grossolanamente e quindi fritte in padella con poco poco olio.
Sì, così, proprio così... Ari-chiedo venia.


Le patate vanno un poco premute tra le palme per far uscire l'acqua in eccesso, qualora non si abbiano quelle belle patatone di Avezzano, toste e asciutte come gli abbruzzesi.
Si formano quindi degli "hamburger di patata" o semplicemente si distribuiscono in padella in un unico frittatone, facendo rosolare per almeno cinque minuti per parte e rigirandola allo stesso modo di ogni frittata, per farla abbrustolire per bene da ogni lato.
Salare e pepare a piacimento durante la cottura.


Mi son detto: certo che se non avessi questa favolosa grattugia multifaccia col cavolo che mi sarei messo a tagliuzzare le patate.


Maddeché!
Casomai avrei preso gli amati tuberi e li avrei fatti cuocere da sé, magari anche con la PaP (2), e tanti saluti.
La seconda cottura è una conseguenza antieconomica della pigrizia, o...
Mi immagino una popolana romana di almeno sessant'anni fa che prende le patate e fa, tra sé e sé: "E mó me metto pure a grattalle, co tutto quello che ciò da fà?"
E l'eco di quel capitolino Maddeché riecheggia nei secoli...
La tipica popolana romana dell'epoca non avrebbe avuto certo a disposizione questa bella grattugia, che tanto facilita il lavoro.
E siccome che a noi romani ce piace poco de lavorà, si sa, ecco che la sora Jole le patate le lessa, le pela (scottandosi le dita e mandando li morti ai poveri tuberi innocenti) e le schiaccia in una padella per farle rosolare.
De ppiù nun so propio che facce!... - Direbbe, a ragione, la Sora Jole.
Mentre, più a nord, oltre le Alpi, Frau Gertrud, munita del portentoso attrezzo di cui sopra, poteva anche permettersi di risparmiare sulla legna ("E kon qvesto fretto mellio non usciire a rakkollierla, ja?")
Prodigi della tecnologia...
Ebbene sì, si può imparare anche dagli svizzeri.

Ah, quasi dimenticavo...
La ricetta nuda e cruda è bona solo perché rende le patate abbrustolite, grazie alla reazione di Maillard (sì, Louis Camille Maillard, un altro franzoso, ahimé...) ma nulla aggiunge al capitolo fantasia.
È un po' "piatta", cosa che a torto attribuiamo anche agli svizzeri.
Ovvio che non è così. Frau Gertrud sa bene che ci può grattugiare assieme delle cipolle o anche delle rape rosse:

E va da sé che ogni aroma dell'orto è ben accetto: aglio, rosmarino, maggiorana, salvia, ecc. ecc.

Detto svizzero del giorno
La musica sola asciuga le lacrime e ristora i cuori, se non serve a nient’altro. 
(E lo dico in italiano, che è una delle lingue ufficiali)

Oggi ascoltiamo
Efterklang - The Ghost

http://www.youtube.com/watch?v=i6XX8bU-wfQ

NOTE
1) Qui scherzo, ovviamente: AMO la cultura francese, in tutte le sue forme. Non scherzano così certi francesi, anche plurilaureati ma si sa: lo sciovinsta (che è parola francese) si prende troppo sul serio e non sopporta l'ironia.
2) PaP ovverosia: Pentola a Pressione... Dovrò fare un glossarietto delle abbreviazioni? Mi sa.

lunedì 15 luglio 2013

Ragù di paranza: fa bene ar core e pure alla panza!

L'altro giorno il mio amico-vicino-cavia mi bussa e mi fa: "Sai cucinare il pesce?"
"Be', non troppo bene, non sono un esperto. Di che si tratta?"
"Mi hanno dato del pesce di paranza, fresco fresco! Tiè, preparaci qualcosa, un sugo che so. Non una zuppa, però! Fa troppo caldo! Ciao!" E io lì con il sacchetto odoroso di mare a chiedermi cosa fare e come farlo...

La prima cosa è pulire il pesce...
Squamarlo, sventrarlo, deliscarlo o sfilettarlo.
Mentre mi accingevo in questa triste operazione mi veniva in mente la chiesa dei santi Nereo e Achilleo, qui a Roma...
Una chiesa del IV secolo lungo la via delle Terme di Caracalla, vicino al Circo Massimo, una basilica molto graziosa che viene spesso messa a disposizione (dietro lauto compenso, ovviamente) per la celebrazione di matrimoni religiosi.


A Roma di chiese sfarzose, ridondanti, piene di affreschi, dipinti e arazzi ve ne sono a bizzeffe, e di ogni periodo artistico possibile.
Praticamente abbiamo opere che vanno dalla preistoria ai giorni nostri, e a fatica stiamo cercando di compensare la scarsità d'Arte Moderna, anche se con la Galleria di Valle Giulia e l'apertura del MAXXI si stanno facendo passi positivi in tal senso.
E pensavo, mentre capavo il pesce, ai paesi protestanti, dove si nota invece un vero e proprio vuoto iconografico nei luoghi di culto, ma solo per una ragione sociologica: in quei paesi gli analfabeti erano di meno che nei paesi cattolici e i fedeli potevano leggere da sé le storie e gli insegnamenti riportati nei libri sacri. Da noi, invece, c'è sempre stata la mediazione del clero, in tutte le faccende della vita.
Come diceva anche Belli nel sonetto 259, Er mercato de Piazza Navona:

               Che ppredicava a la Missione er prete?
               "Li libbri nun zò robba da cristiano:
               Fijji, pe carità, nun li leggete". 

Durante questi venti secoli venne quindi commissionato ai migliori (e qualche volta anche ai mediocri) artisti un profluvio d'opere d'arte che sono divenute l'orgoglio del nostro tanto vituperato Paese.
Le scene dovevano ricordare le gesta dei personaggi della storia della cristianità ma, soprattutto, essere edificanti per i fedeli, mostrando esempi di vite pie, dedite alla ricerca della via spirituale.
Nella chiesa in questione vi sono, lungo tutte le pareti, degli affreschi della seconda metà del Cinquecento, attribuiti a Niccolò Circignani detto il Pomarancio, che ancor oggi vengono descritti, nei siti anche meno apologetici, opere a disposizione dell'ammirazione dei fedeli...
Certo, guardi una basilica dall'atmosfera così raccolta e, quasi per istinto, vi trovi un'immagine di calma e di sollievo; ti siedi e, anche se non credi, trovi in quelle luci soffuse e in quel seilenzio un'oasi di raccoglimento spirituale. D'altronde anni e anni di condizionamento cattolico non si cancellano mica in un soffio.
Poi fai vagare lo sguardo oltre il colonnato, lungo le pareti, guardi bene e resti a bocca aperta.


Ma come... Tutta la navata centrale è dedicata alla vita e al martirio dei santi titolari, le pareti ospitano un ampio ciclo che raffigura scene tratte dal Martirologio Romano con vivida enfasi (non lo dico io ma Wiki, sempre obiettiva e imparziale quanto eufemistica).
Si vedono quindi persone bastonate, squartate, segate in due, decapitate, bollite o arrostite, crocifisse e mutilate.


Grazie alla maestria di Pomarance tutto è sotto i nostri occhi stupiti.
E mi dico: meno male che non ci ho portato mio nipote!..
Non è certo una novità, mica voglio fare lo zotico che scende dal villaggio montano.
So bene che il cattolicesimo gloria la sofferenza più della letizia, che è una delle religioni più sadomaso della storia umana, dove il dolore ha più valore ascetico del piacere ed è visto positivamente proprio perché avvicina a quella del martire per eccellenza, il cristo.

E mentre pulivo il pesce pensavo, squamandolo, a San Bartolomeo, morto spellato; mentre infilavo la forbice nell'ano e aprivo il ventre in due ricordavo Sant' Isaia, segato in due; nel togliere le interiora mi veniva in mente S. Erasmo sventrato e (come diciamo qui) sgricilato, e mentre i poveri pescetti sbollentavano un minuto in acqua, mi sembravano gli emuli dei santi Crispino e Crispiniano, bolliti.
Mancava solo San Lorenzo, arrostito in graticola, quello che diceva ai carnefici, quasi a mo' di beffa: "A neno, ariggireme, che sò ccotto!", ma dovendo preparare un ragù la questione non si poneva...

Il problema di pesci così piccoli sta solo nelle lische: diventa un tormento star lì a piluccare e  togliersele dalla bocca ad ogni boccone, e quando il mangiare diventa martirio non vale nemmeno più la pena di star lì a cincischiare, prepari un'ajo e ojo e tanti saluti.
Se si deve preparare una zuppa, o un sugo, con dei pesci che abbiamo miriadi di piccole lische rompicojoni, l'unica modo è... deliscarli, appunto!
Quindi, una volta svicerato i pescetti (c'erano scorfanetti, merluzzetti, cefaletti e altri di cui nemmeno conosco il nome) li ho sbollentati per un paio di minuti, per permettere alla carne di rassodarsi e per poterla staccare agevolmente dalla lisca.
E delisca e delisca, uno ad uno tutti i poveretti, si prepara una bella ciotola di polpa di pesci misti, che si lascia da parte.
Le lische, la pelle e le teste si fanno invece bollire per una decina di minuti nella stessa acqua, che poi viene filtrata con un panno di cotone e anch'essa tenuta là, da parte, pronta all'uso.
Se vi sono anche dei crostacei come scampi o pannocchie li si lava soltanto e si mettono così come sono nel sugo: almeno lo sforzo per sgusciarli lo vogliamo fare?
Vabbè no al martirio, però... 

In una pentola capace si fanno rosolare in olio evo due spicchi d'aglio tritati.
Quando l'aglio imbiondisce s'aggiunge la polpa di pesce e si fa insaporire, quindi si aggiunge un po' di vino bianco e si fa sfumare.
Quando l'alcool è evaporato si può aggiungere il pomodoro passato, oppure metà conserva e metà pomodorini freschi, come ho fatto io, e si allunga con mezzo bicchiere d'acqua di bollitura del pesce, che darà ancora più sapore.
Si sala, si aggiunge una punta di peperoncino e si fa bollire per almeno venti minuti, mezz'ora, fino ad ottenere un bel sugo denso.
A circa dieci minuti da quella che presumiamo sia il nostro fine cottura si uniscono gli eventuali crostacei, che è meglio non far cuocere troppo per non renderli stoppacciosi.


Quando poi l'acqua bolle si mette il ragù in una padellona in attesa della compagnia della pasta, che troverà assai gradito l'ambiente marino che avremo ricereato, e vi ringrazierà donandovi tutto il suo sapore.
Non ho foto dei piatti, però... Non ho fatto in tempo.


La morte sua è pasta lunga e stretta, le linguine o anche le fettuccine, che già che c'ero ho preparato da me.
Ma non siamo mica dogmatici, qui, se uno preferisce ci può condire anche i rigatoni o altra pasta corta a piacere.
D'altra parte è un ragù, e non siamo ai tempi dei primi martiri o dell'Inquisizione.
Per fortuna.

Detto romano del giorno
Chi sta tra irre e orre non sa pparlà' e nun sa discore.
Chi sta tra ire (andare) e orare (parlare) tituba, non va avanti

Oggi ascoltiamo
Röyksopp - The Alcoholic

http://www.youtube.com/watch?v=LjZWlffF-d0

sabato 13 luglio 2013

La dieta


La dieta

Doppo che ho rinnegato Pasta e pane,
so' dieci giorni che nun calo, eppure
resisto, soffro e seguito le cure...
me pare un anno e so' du' settimane.

Nemmanco dormo più, le notti sane,
pe' damme er conciabbocca a le torture,
le passo a immaginà le svojature
co' la lingua de fòra come un cane.

Ma vale poi la pena de soffrì
lontano da 'na tavola e 'na sedia
pensanno che se deve da morì?

Nun è pe' fà er fanatico romano;
però de fronte a 'sto campà d'inedia,
mejo morì co' la forchetta in mano!

Aldo Fabrizi

Nodos de amore - Nodi d'amore

- Pronto? Sì? Ah, ciao, come va?... Bene. Senti, volevo chiederti se oggi avevi da fare... Ah, hai la palestra? Bene... cioè... va bene, su, e cosa fai 'sto fine settimana?... Ah, andate là tutti e due? Grande!... mi fa piacere... No, io niente, dove vuoi che vada... Eh, sì, no lavoro no sghei no party... Ah ah ah. Sì, bene, ci sentiamo, allora, alla prossima, eh? Stammi bene. Sì, e tu salutami er Sor Panfurio... Ah, ah, ah... Sì, sì, tranquillo... Ciao ciao.
E uno.
- A brutto!... Eh sì sò proprio bello, io, con 'sta panza che fa provincia! Ah, ah, ah... Ma senti un po', che fai oggi?... No, no, niente di che, avevo voglia di fare la pasta fatta in casa e mi avrebbe fatto piacere un po' di compagnia... Ah, sei a dieta? No, non sono una zoc..la tentatrice invidiosa della tua linea da modella! Ah, ah, ah... E dài, smettila!... Sì, a parte gli scherzi... Ah, no, va bene...io... sì, non c'è mica problema, lo sai. Sì, come no, magari all'aperto, se danno qualche bel film a Piazza Vittorio.. Sì, dài, magari. Si, certo, con 'sto caldo giusto la sera... eh sì, eh... Vabbè... Allora dài, ci si sente... Sì, sarai servito... ricambia con Lo Sciagurato. Sì, si, tranquillo... A presto, su... Ciao, ciao.
E due.
E non è che abbia tutti questi amici, eh? Almeno qui a Roma.
Posso far venire qui quelli di Frittole per una pasta fatta in casa? E dài.
E da Terni? Sì, è più vicino, ma mi ci voleva qualcuno qui, almeno oggi...

Una volta la sora Jole sbucciava i piselli assieme alla sua amica e vicina, e quello era anche un modo per divagarsi e spettegolare un po', se non per avere l'occasione di lamentarsi velatamente o scopertamente dei propri intoppi coniugali.
Oggi Katia (con la K, mi raccomando), la figlia, i piselli se li compra già pronti e scafati, surgelati o in scatola, se proprio vuole, e non sta lì a ciacolare tutto il pomeriggio con le sue amiche davanti a una cesta di ortaggi da pulire.
Invece io lo farei, eccome, alla faccia della velocità che tutto si porta via, anche le piccole, stupide cose di ogni giorno.
E mica per una presa di posizione nostalgica alla slow-food, per capirsi: io amo il progresso, la scienza e soprattutto la tecnologia, quando non ci cattura l'anima.  Non ho alcuna nostalgia per i mulini bianchi, pieni di germi e zozzeria, né di com'era strutturata la società nei bei tempi andati.
Ci mancherebbe!...
È solo che i rapporti umani andrebbero recuperati, alla faccia di tutto il tempo che sprechiamo in altre cose, e questo sarebbe un regalo da fare a se stessi, almeno ogni tanto.
"Eh, dici bene te, che ancora non hai un lavoro che ti tiene fuori dieci ore al giorno..". Mi pare di sentirle, le obiezioni.
Eppure, anche nell'ultimo lavoro che ho fatto, il barista, facevo dei turni ben elastici, e avevo il tempo anche di leggere, di scrivere e vedermi con chi mi pareva.
Si tratta di priorità, e non d'altro.
Insomma, a me la voglia di fare la pasta fatta in casa stava qui sul gozzo, e non volevo rinunciare.
D'altra parte, se non c'è nessuno che possa fermarsi un attimo ci si può anche fermare da soli, mettere su un po' di musica a casaccio dalla cartella "Juke-box" e impastare sculettando come Aretha Franklin in "Think!"


Tanto non c'è nessuno che ci veda...

Volevo una pasta diversa, magari mai mangiata prima, e dopo le acrobazie d'arte sarda per la pasta fatta in casa volevo qualcosa di meno impegnativo, di lungo a farsi ma senza bestemmioni acclusi per via delle dita che, come avrebbe detto Tomas Milian, "so così grosse che ce poi solo riempì i cocommeri!"...
Allora proviamo, magari poi si reimpasta tutto e si passa alla fida Imperia che ne tirerà fuori delle tagliatelle, sempre bone, comunque.

Dose per due
200 g    farina di semola
100 g    acqua tiepida
un pizzico di sale, e...
E qui già prendo due strade: in una lascio tutto così com'è, nell'altra aggiungo una punta di curcuma, mezzo cucchiaino da tè.
E impasto, impasto, impasto...
 ...
You better think (think)
Think about what you're tryin' to do to me
Yeah think (think - think)
Let your mind go let yourself be free

Oh freedom (freedom)
Let's have some freedom (freedom)
Oh freedom
Yeah freedom (yeah) 

Yeahhhhhh, con la farina che snuvolazza per tutta la cucina, e io che muovo la panza come una corista gospel, senza rispetto per alcuna decenza, umana o trascendente che sia...
 ...
ain't no psychiatrist
I ain't no doctor with degrees
But it don't take too much I.Q.
To see what you're doin' to me

Yeah yeah yeah! 
 
E poi la pasta riposa la sua mezz'ora di rito al coperto di un panno, e mi riposo un po'. E mó che faccio? - Penso, prendendo in mano i malloppetti cicciosi di pasta che mi guardano intimoriti senza sapere che fine faranno.Inizio a stendere, a formare un salamino, una cordicella, un filo sottile due-tre millimetri, poi lo tengo tra le dita infarinate e... sgnàcchete! Lo annodo come una cordicetta di canapa, lo taglio e via, avanti un altro!  

Rimetto su "Think!" e vado avanti, ce ne sarà di tempo per finire tutto l'impasto, sia quello bianco che quello giallo di curcuma
...
People walkin' around everyday
Playin' games and takin' scores
Tryin' to make other people lose their minds
Well be careful you don't lose yours 

Ci mancherebbe, tesora mia bella! Non voglio impazzire più per nessuno, mai più! Yeahhhh!
Solo vivere, semmai, se posso... Yeahhhh!

E mentre i nodini riposano spolverati di farina sulla spianatoia preparo i condimenti.
Sì, perché qui ce ne vogliono due, mica uno. La vita è troppo breve per provare una cosa alla volta...
Magari poi ne mangerò una parte oggi e l'altra domani.
Sì, dico sempre così, sempre...

Condimento in bianco:
Taglio una melanzana a dadini piccoli piccoli e la faccio cuocere in padella con poco olio di semi e girando spesso. Cuocio col coperchio e a metà cottura aggiungo il sale.
A parte, in un padellino, metto mezz'etto di prosciutto cotto tagliato a striscioline, lo faccio rosolare senza aggiungere grassi, quindi lo metto da parte.
Nello stesso padellino metto uno spicchio d'aglio tritato e lo faccio imbiondire in un paio di cucchiai d'olio.Poi aggiungo le melanzane stufate, e faccio insaporire a fuoco basso.
Se avessi della maggiorana la metterei, ma ho solo (solo?...) dell'origano siculo profumatissimo.
Ne metto un pizzico, tato per gradire, quindi con un cucchiaio di legno schiaccio i dadini morbidi di melanzana per rendere il tutto una pappetta cremosa e - правильно - gustosa.


Condimento al pomodoro: In un'altra pentola faccio rosolare della pacetta a dadini in poco olio e in uno spicchio d'aglio tritato (anche qui, sì!); quindi, semplicemente, aggiungo una scatola di polpa di pomodoro, sale e peperoncino e faccio cuocere un quarto d'ora.

 ...  
You need me (need me)
And I need you (don't cha know)
Without each other
There ain't nothin' we two can do

S'è capito che l'ho messa in loop?...Certo, e non stanca mai! Yeahhhh! Yeahhhh! Yeahhhh!
Metto su l'acqua e quando bolle vi tuffo i nodini d'amore, in due cotture distinte.
Lascio cuocere un paio di minuti da quando vengono a galla, quindi assaggio... Yeahhhh!
Scolo e tuffo nella crema di melanzane quelli alla curcuma, poi nel sugo pancettato quelli bianchi, a cui aggiungo due cucchiai di pecorino per farli mantecare.

E qui ci vorrebbero due bocche per baciare questi due tesori, due cuori per amarli per bene, in modo adeguato, due corpi per ballare due musiche diverse la gioia d'averli qui, sul tavolo, fumanti e profumati.
Ma il cuore, come la panza, mi dico: è tanto grande da contenerli entrambi!
Rimetto Aretha e mi siedo con le lacrime agli occhi.
Di gioia.  

Detto romano del giorno
Mejo sta' in un bucio alegri che in un palazzo indove se piagne. 
Meglio stare in un buco (di casa) in allegria che in un palazzo dove si piange.
 
Oggi ascoltiamo, ovviamente
Aretha Franklin - Think (Freedom)
http://www.youtube.com/watch?v=6mSn4-szhus

"Frittata" di patate alla romana

Certi piatti sono proprio i piatti della memoria, quelli che ci fanno sentire a casa, di cui conosciamo le infinite sfumature o, al contrario l'esatto ripetersi d'una consuetudine che a loro davano le nostre madri.
Sono piatti che fanno parte del nostro lessico familiare da sempre e solo quando ci confrontiamo con qualcuno ci rendiamo conto di quanto fosse così ristretto, settoriale e intimo quel termine, quel nome.
Per me "sugo finto" era, ed è, il sugo semplice di pomodoro senza carne dentro, mentre solo quello con lo spezzatino che vi bolliva per ore e ore, solo quello, era degno d'essere chiamato "sugo" tout court.
E frittata per me non era quella di uova, che a casa mia non erano mai troppo presenti (si sa, una volta si pensava che tante, troppe uova, fossero un veleno per il fegato...)
Per me "frittata" era associato a "patate".
"Ho lessato due patate, ci faccio una frittata per stasera" diceva mia madre.
E già sapevo che di uova non ne avrei vista manco l'ombra.
Ma in quelle semplici patate lessate c'era tutto un ventaglio di variazioni in cui l'incapacità culinaria di mia madre trovava libero sfogo.
Lì sì che faceva vedere quante cose sapesse fare, povera stella mia.
Quante cose si possono associare alle patate lesse?
Di tutto e di più.

Questa la ricetta base:
Lessare delle patate, calcolate circa 300 g a testa, se siete magnoni come me, sennó va bene un 200 g  per omo.
Pelarle e schiacciarle in una terrina (oppure schiacciarle con l'apposito attrezzo direttamente con la coccia, così da non scottarsi le dita) e salarle.
In una padella fate scaldare a fouco vivo due cucchiai d'olio e versare in modo omogeneo le patate, schiacciandole con la forchetta.

Far rosolare bene la base della frittata, agitando spesso la padella perché non si attacchi troppo al fondo.
Dopo cinque-dieci minuti girarla, come si fa con una frittata sui generis e farla rosolare dall'altra parte.
Non serve troppo tempo, visto che le patate sono già cotte. L'importante è che si formi una crosticina croccante e saporita.


Ora la fantasia galoppa perché alle patate appena schiacciate si può aggiungere davvero di tutto:
Vegetali
Rosmarino tritato, un po' di pomodoro (in polpa, concentrato o secco sminuzzato), spinaci (o bieta) lessati e tritati, cipolle stufate a parte, due spicchi d'aglio tritati, carote (anche due a testa, lessate con le patate e schiacciate in ensemble. O anche aggiunte a pezzetti, a macchia di leopardo, che male fa..), dei semi di cumino pestati (o in polvere), e...
Carni e pesci
Lesso avanzato che rischia il collasso, o anche carne in scatola sbriciolata (sì, proprio quella...); pollo arrosto, magari quello di ieri (che rischia di farsi stoppa) sfibrato (poverino...) e spezzettato; pancetta (o prosciutto) cotto a dadini, tonno in scatola (oppure dello sgombro in filetti) scolato e sbriciolato, e...
Formaggi
Mozzarella o formaggi più o meno morbidi d'ogni genere: scamorza, provola simplex e/o affumicata, provolone dolce, gorgonzola (dolce o piccante), o anche solo due cucchiai di parmigiano e/o pecorino, e...

Insomma, qualsiasi cosa sia commestibile e a disposizione delle tasche o della triste e solitaria credenza.
Ah, c'è da dire che la "fritatta" (come diceva una proto-velina anni '80 che non riusciva proprio a pronunciare la parola...)  è bona calda, tiepida e anche fredda.
Io, che sono anormale per costituzione e convinzione, la amo anche appena tolta dal frigo, bella freddina, specie con 'sti caldi asfittici di luglio.

Detto romano del giorno
L'ucello se conosce dar canto e l'omo dar pianto.

L'uccello si riconosce dal canto e l'uomo dal pianto.


Oggi ascoltiamo
Röyksopp - Coming Home

http://www.youtube.com/watch?v=p7AU_ZX0iaU

venerdì 12 luglio 2013

Tortiglioni alla Buggerona

Strana cosa, convivere con un demone, per di più felino, e avere la costante impressione d'essere ingannati, fregati e buggerati (1).
Ma si sa, il demone è tentatore, è la parte di noi che osa dove noi ci fermiamo, quella che col ditino dà la spinta quando indugiamo sul trampolino, che insomma spinge al movimento (uno qualsiasi) contro l'atonia dei nostri giorni, spesso imbalsamati da troppi timori.
Certo, qualche volta è un movimento inconsulto, uno scatto, quasi una botta da matto che fa spendere una cifra spropositata per qualcosa senza alcuna ragione reale, concreta, ma solo perché in quel momento il desiderio, quello del possesso, era irrefrenabile,  una spinta coattiva, una convulsione dell'animo.
Ma qui si parla di cibo, principalmente, e allora a cosa si applica tutto ciò?...
- La Bottarga! Guarda! La Bottarga!
- Ma dove?
- Là, là, il secondo scaffale in alto.
- Non l'avevo vista, ma come fai, se non sai leggere a...
- Ma so riconoscere il cibo anche messo in un sacco nero, io!
- Eh già, lo so bene. E cosa ci dovrei fare con questa cosa qui?
- Come, cosa ci dovrei fare con questa cosa qui? Ma ti sei bevuto il cervello? Dico, allora non capisci  nemmeno l'ABC, le basi del piacere del vivere?
- Ah, solo per piacere, quindi?
- Certo, che altro? A cosa serve vivere, sennó?
- Mah, avrei una visione leggermente discordante dalla tua, sai...
- Oh, insomma, ci vuoi far contenti? Prendila e poi vedi che gioia darà ad ogni pranzetto che..
- Ma dài, è cara, anche se comprata qui... Non dovrei...
- Pensa, avresti una sorta di polverina magica, bell'e pronta pronta volta nel suo barattolino che, aperto, ti riporterebbe ogni volta, immediatamente, alla tua amata Sardegna...
- La prendo!
Tanto lo sapevo già dall'inizio, e sapevo anche che tutto il resto sarebbe stata solo l'ennesima pantomima... 

Tortiglioni alla Buggerona
Dosi per una persona... una, ho detto.
100 g  pasta corta (tortiglioni, rigatoni, pipe, ruote, penne: quella che si preferisce)
1          zucchina media
2          spicchioni d'aglio
2 cucchiaini di bottarga di muggine grattugiata
olio evo, sale e pepe q.b.
In una padella far imbiondire l'aglio tritato... Fermo lì!
- Ma allora non ti serve l'H2O2?
- Inga! Rimetti... a pósto... la poccetina, ja!
- Kattifo!

Tritare la zucchina e aggiungerla all'aglio e farla cuocere per un quarto d'ora, bagnando con poca acqua se dovesse asciugarsi troppo.
Quando la pasta è cotta scolarla e farla mantecare in padella con il condimento di zucchina, aggiungere la bottarga e, se si preferisce, una bella spolverata di pepe (o peperoncino in polvere, ma poco).
Chi lo desidera può spolverare anche con del pecorino (sardo, lo devo precisare ancora?)


Semplice e disarmante, ma efficace.

- Ma... hai messo le zampe sul mio pc!
- Io? E quando mai?
- Ma se vedo dei peli rossi ovunque! I miei, purtroppo sono sale e pepe...
- E peperoncino! Ma che ti salta in mente? Secondo me ciài le pigne!
- Ah, sì? Adesso vediamo... E questo cos'è? Hai usato il sintetizzatore vocale per leggere qualcosa! E qui? Cos'è 'sta bozza? Adesso hai imparato anche a scrivere? Geniale, il mostriciattolo!...
- Guarda che quella non è roba per me. Sai bene che non ci capisco nulla.
- Capirai, a forza di guardarmi avrai rubato con gli occhi. Sei proprio l'incrocio tra un nerd e un analfabeta, te lo dico io!
- Nerd lo dici a tua sorella, capito? Sono un tipo pulito, io! Sto tutto il giorno a lisciarmi il pelo!...
- Ma sta zitto, buggerone! (2)

Aforisma del giorno
Potete ingannare tutti per qualche tempo, o alcuni per tutto il tempo, ma non potete prendere per i fondelli tutti per tutto il tempo.
Abraham Lincoln, Discorso a Clinton, 1858


Oggi ascoltiamo
Lenny Kravitz - Believe in me
http://www.youtube.com/watch?v=ol6-W-_ixnU

NOTE
1) Buggerare, ossia ingannare o, meglio, "fregare", proprio nel senso letterare (poi diventato metaforico) della parola.
Deriva da “bu(l)garo”, che in inglese ha dato “bugger” e in francese “boulgre”, o “bougre”, ossia sodomita. 
Colui quindi che predilige i rapporti anali, con chi non importa, visto che in passato la dicotomia non era tra maschile e femminile, quanto tra attivo e passivo.
E che c'entrano i bulgari?
All'epoca, si parla del medioevo, si pensava che i Catari fossero originari di quelle zone, come i Bogomili, e tale esotismo giustificava la stranezza delle loro credenze, che separavano nettamente la parte spirituale da quella materiale dell'essere umano.
I Catari, o albigesi, mortificavano la carne in ogni manifestazione materiale, corporea, della vita umana, ritenendole indegne: una visone che venne giudicata eretica dalla Chiesa e che servì a fomentare la feroce repressione che scatenò verso di loro.
Come si possono discreditare degli avversari per farli apparire riprorevoli e giustificare così il loro annientamento, e finanche il loro sterminio?
Ma ovvio, accusarli di essere dediti alle pratiche di Sodoma, e di cercare ad ogni costo di avere rapporti "contro natura" con chiunque, facendo leva sull'atavico timore maschile della violazione del proprio corpo (come spiega bene Stefano Beretta in questo articolo).
Chi cercava di "fregare" doveva farlo mascherando l'abominio con l'inganno, e da allora fregare qualcuno (come anche il termine più volgare inc..are) è stato associato al raggiro, alla frode, alla malafede.
I bulgari, quindi, erano delle persone ripugnanti, da cui tenersi alla larga e anzi, da eliminare dal consesso della vita civile, cosa che la Chiesa fece senza indugio.
Le terre di lingua occitana (Linguadoca e Provenza) furono quelle che videro in opera il maggior numero di massacri da parte dell'inquisizione cattolica: solo a  Béziers, dicono le fonti cattoliche, vennero uccise 20.000 persone (anche se secondo i militi crociati i morti arrirano ad oltre un milione...)
Racconta il cronista cistercense Cesario di Heisterbach che durante il massaco di Béziers dei Catari trovarono rifugio con dei Cattolici in una chiesa. Il legato pontificio Arnaud Amaury, non potendo distinguere gli eretici ma risoluto a non porre fine al massacro, ordinò quindi, con soave ferocia: « Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius » (Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi).
Quando si dice carità cristiana...
2) C.s. Colui che buggera: un falso, ingannatore, truffaldino. Un demone, insomma.

giovedì 11 luglio 2013

Spaghetti alla Buciardona

Fosse per lui dovrei passare la maggior parte del tempo in cucina.
Non ha mica capito che non siamo tutti come lui, che abbiamo i nostri impegni, la nostra vita fuori (della dispensa) e le persone vere con cui confrontarsi.
No, per Leppagorre sembra che tutto giri in funzione della sua soddisfazione, dell'appagamento della sua curiosità.
Come tutti i gatti e come tutti i demoni è un egoista.
La sera, poi, quando mi rilasso un attimo, parte alla carica, ogni volta.
- Che faccio?
- Leggi un libro.
- Ma se non so leggere! Te lo devo ripetere ogni volta?
- Allora prendi una rivista e guarda le figure, che ti devo dire?
- Uffa! Che noia! Che barba!
Ogni volta così.
Se non temessi di essere preso per uno squilibrato mi vedrei così:


D'accordo, alla fine l'ho fatto. Scusate la litote, signore e signori.
Tante scuse. Di nuovo tante scuse...
Ma almeno a pranzo è semplice, uno qualcosa se lo deve pure preparare, fosse anche un piatto di spaghetti ajo e ojo.

- Ma quant'ajo ciài messo?
- Poco, una spicchietto piccolo piccolo.
- Sicuro?
- Eee!
- Me sa me sa che me stai a dì na bucìa...
- Io? non oserei mai!
Invece lo fa, ogni volta.
C'è da dire che piacendomi i sapori forti alla fine ci azzecca quasi sempre. Quasi.

Spaghetti alla Buciardona
Dosi a persona
100 g   spaghetti (per meno mangio i cereali soffiati!...)
Un mazzetto di salvia fresca
una manciata di funghi secchi
2 spicchioni di aglio
vino bianco, pecorino sardo, olio evo, sale e pepe q.b.
Mettere i funghi secchi ad ammollare in una tazza d'acqua tiepida.
In poco olio (un paio di cucchiai a persona) far imbiondire l'aglio...
- Che fai con quella bottiglietta in mano? Cos'è?
- H2O2
- Acqua ossigenata? E per far che?... Oh, ma vai, vai, che mi fai perder tempo!
- Cattivo...
Quindi: imbiondire l'aglio tritato assieme alla salvia sminuzzata, aggiungere i funghi secchi anch'essi sminuzzati, far rosolare un paio di minuti e aggiungere del vino.
Far sfumare e, se occorre, aggiungere poca acqua dei funghi, facendo attenzione a non pescare dal fondo granellini e sedimenti.
Scolare gli spaghetti e condirli con il soffrittino, e se dovesse risultare un po' troppo asciutta aggiungere un paio di cucchiai di acqua di cottura.
Se si vuole si può spolverare con del pecorino (sardo, che è meno piccante del romano).


- E per cena?
- Come "per cena", se stiamo pranzando! Già pensi alla cena?
- E che aspetti? Il meteorite?
- Ah, ecco, giusto. Be', per cena, direi...

Aforisma del giorno
L'egoismo è il più grande di tutti gli adulatori.
François de La Rochefoucauld, Massime, 1678

Oggi ascoltiamo
Sam Cooke - Bring It On Home to Me

http://www.youtube.com/watch?v=gZB4jcPmFGo
Da cantare a squarciagola mentre imbiodisce l'agio, con le mani alzate come ad afferrare il destino, il peggiore di tutti i demoni.

martedì 9 luglio 2013

Torta scacchiera per un bi-compleanno

I compleanni dovrebbero essere un'occasione di gaudio, di comunanza e di simpatico ritrovarsi tra amici e/o parenti, ma qualche volta diventano anche un'ansia, e non certo per colpa dei festeggiati, ovviamente.
Quando ti dicono: "Allora alla torta ci pensi tu?" ti senti investito di un compito quasi sacrale, visto che la torta diventa il fulcro della festa, il momento clou dove si brinda e si augurano allo sciagurato di turno tanti e tanti anni a seguire come quelli appena passati.
E spesso non vediamo nemmeno (o facciamo finta di ignorare) i segni di scongiuro che questi fa di nascosto con un sorriso finto quanto quello del Signor B. stampato sulle labbra...
Chi prepara una torta non dovrebbe essere mai banale, né ripetitivo, altrimenti è come scrivere gli auguri su un biglietto già disegnato che aspetta solo la nostra firma.
Bisogna metterci qualcosa di sé.
Qualche volta, anzi spesso, ho disegnato i biglietti d'auguri per i compleanni e le ricorrenze importanti, e in ognuno c'era il festeggiato caricaturato, preso in qualche scenetta umoristica da fumetto, con riferimenti puntuali alle cose successe nell'ultimo periodo.
È stato divertente, anche perché questo si accompagnava a una torta fatta in casa, del tipo preferito da chi avrebbe poi spento le candeline.
Poi ho unito il biglietto personalizzato alla torta, e allora ho provato a fare delle decorazioni che ricordassero particolari o preferenze dei festeggiati.
Il clou è stato la torta degli spasimanti, credo...
Questa qui, invece, è diventata un problema non tanto progetturale ma logistico, e di mobilità...
Doveva viaggiare per 90 chilometri, subire scossoni e, non plus ultra, non patire il caldo dell'estate.


Come fare?In primis, niente creme e niente panne.
Il botulino lasciamolo pure nei labionatanti delle vippese attempate (e non solo, ahiloro...)
Come farcitura quindi è bastata una buona marmellata chiara (albicocche o arance).
La torta è stata poi composta in loco, aggiungendo tutti gli oggettini una volta che non avesse rischiato più altri terremoti.
Il problema del cake-design (come lo si chiama oggi) non sta nel progetto e nella realizzazione di quei capolavori che vediamo in Rete e che ci chiediamo ogi volta: "Ma come c...o fanno?..."
Non sta nella manualità o nella realizzazione di creme e basi che non siano di polistirolo come quelle usate dagli anglosassoni.
No, il problema vero sta nel trasporto! Quando componi un ambaradam del genere la prima cosa che ti chiedi non è :"Piacerà al festeggiato?" ma: "Arriverà sana e salva a destinazione?"
E non bastano tutti gli scongiuri e i gesti scaramantici a evitare un rovinoso crollo o lo scioglimento delle coperture per effetto del sole. Un'ansia, insomma...
Ma con molta calma, pazienza e l'aiuto di qualcuno che ci tenga la porta ce la possiamo anche fare!


Si capisce che uno dei festeggiati è un farmacista?
Pillole, termometro e caduceo del Sor Ermete che s'è scomposto e i due serpenti ne approfittano per pomiciare...
Ed è palese che l'altro festeggiato, per le sue osservazioni cinico-pessimistiche veniva spesso accostato alla figura di un gufo?
A torto, eh? Per il gufo, ovviamente.

Le torte a due o più piani sono sempre una scommessa, visto che amo usare tipi di base in sé non troppo corpose. 
La spugnosità del Pandispagna dà al dolce una gradevolezza che le torte americane non hanno ma, di contro, essendo più cedevole, non lo si può bagnare farcire troppo pena il crollo di tutto il sacro ciborio.


Be', fare una torre di torte sembra un'impresa, ma ce la si può fare.
In primo luogo sulla torta di base vanno messi, come per una palafitta, delle cannucce, quelle da bibita, tagliate a livello della superficie. Questi sostegni permettono al peso della torta superiore di distribuirsi.
Questa, poggiata su un dischetto di cartoncino distribuirà il peso sulle cannucce senza affondare.
È lo stesso principio degli sci: con gli stivali affondi nella neve fino al collo mentre su un supporto ampio si riesce a rimanere a galla e anche a scivolare. Eccome!
Che genialata, eh?

Qui si vede il Pandispagna a scacchiera, che ho scelto proprio perché, dovendo evitate farciture deteriorabili, volevo dare qualcosa in più di un semplice Pandispagna.È un'opera un pochino laboriosa, se fatta a mano, ma è fattibile e di sicuro effetto.


Si preparano due Pandispagna, uno bianco e uno al cacao; quindi, aiutandosi con delle sagome di cartone, si ritagliano con un coltellino a seghetto le sezioni ad anello.
Piano, senza sbriciolare il tutto.
Per ogni Pandispagna di diametro medio (i 24-26 cm degli stampi abituali) si possono avere tre anelli: centro, medio ed esterno.
Quindi si ricompongono i due Pandispagna scambiandone le sezioni.
Si prendono quindi gli anelli di quello bianco e si scambiano con quelli del Pandispagna al cacao.
Così:


Il secondo strato vedrà il disco esterno di colore inverso a quello inferiore e, impilandoli, si creerà un gradevole effetto a scacchiera.


Tra i due strati di Pds, per aiutarli a tenersi insieme, è meglio una marmellata chiara, così come la bagna, così da non alterare troppo i colori delle torte.

 
Questa è, invece, in assoluto la mia prima torta decorata:


A posteriori non la farcirei con nutella e mascarpone, e mica per  ragioni dietetiche, macché.
Il fatto è che le farciture classiche, per questo tipo di torta proprio non vanno bene.
Si vedono troppo e rovinano il risultato estetico.
Di fronte al quale, lo so già, si potrebbe obbiettare con un: "E sti cavoli?", ma per un compleanno è meglio optare per un'altra soluzione.

Detto romano del giorno
Anche le mejo bravure der coco finischeno in quer loco.

Anche i migliori manicaretti del cuoco finiscono
poi in quel posto…
Oggi ascoltiamo
Patty Smith - Because the night

http://www.youtube.com/watch?v=M2PzvX2Ipvg

domenica 7 luglio 2013

Una treccia che più russa non si può...

Nessuno sa perché questa splendida, deliziosa treccia brioche sia chiamata treccia russa.
L'origine del nome, come per moltissime altre ricette, è sconosciuta, e sulla questione sono nate le più fantasiose congetture, tutte rivelatesi false, ovviamente.
Nessuno sa che questo dolce nasce da una storia d'amore, avvenuta chissà quanti secoli fa, in quella che oggi chiamiamo Russia...

Una volta, in quel paese sconfinato v'erano miriadi di minuscoli villaggi, alcuni poco più che una decina di case, spesso al limitare di fitte e oscure foreste piene di esseri minacciosi.
In uno di questi villaggi viveva un tempo una giovane ragazza dall'aspetto leggiadro e dai modi gentili, di nome Vasilisa, che abitava in una piccola izbà proprio vicino a un bosco fitto fitto di alte betulle.
Sua madre era morta anni prima e il padre, che faceva il boscaiolo, dal dolore aveva cominciato a bere e passava la maggior parte del tempo ubriaco, imprecando verso la figlia, quando aveva la ventura d'essere sveglio.
La ragazza, che era un tipo mite, cercava allora di uscire di casa e, presa da mille foschi pensieri, si inoltrava nel bosco col suo cesto, che sperava di riempire di bacche e funghi da poter poi vendere in paese. Spesso cucinava anche qualche dolcetto con i pochi ingredienti che le donavano le persone del posto, e che poi amava regalare alle poche persone più povere di lei.
Una di quelle volte che il padre, oltre a essere ciucco rischiava di essere anche violento con la figlia, questa si allontanò nel bosco che conosceva bene fin da quand'era piccola, e che le donava sempre quel poco che permetteva loro di vivere. 
Era immersa nei suoi pensieri più tristi e scuri, quel giorno, e non si accorse di essere rimasta nel bosco fino a sera. Il sole stava per tramontare e già l'intrico di alberi altissimi era immerso nella luce grigia del crepuscolo.
All'improvviso  sentì dei versi strani, come se due animali stessero litigando.
- Scendi, tanto sei ferita Vieni giù e mi ti mangio. Non soffrirai, te lo prometto.
- Col cavolo! Ho preso solo una storta alla zampa, imbecille! Vai a rompere l'anima a qualcun altro!
Una civetta, irosa ma tremante di paura stava sul ramo basso di un albero e una volpe, con la schiuma alla bocca dalla fame, stava cercando di divorarsela.
Vasilisa conosceva molto bene gli animali della foresta ma questa era la prima volta che riusciva a capire il loro linguaggio. 
Non stette a pensarci molto e, preso un sasso da terra, lo lanciò verso la volpe affamata, che schizzò via imprecando verso "quell'umana cretina e impicciona".
Restò presso l'albero per assicurarsi che la volpe se ne fosse andata davvero e poi, rivolta alla civetta, le disse:" Stai bene?". Si sentiva un po' stupida a parlare con un volatile; cosa credeva che le rispondesse, quella?
Invece la civetta strizzò gli occhioni gialli, piegò la testa di lato e le rispose davvero: ""Insomma...  - Le fece. - Oggi non è proprio giornata. Prima i topi che con la luna piena mi vedono dall'alto, poi la zampa ferita e, infine, quella maledetta volpe! E meno male che sei arrivata tu, altrimenti mi avrebbe fatta a pezzi!"
"Hai fame? Vuoi un pezzetto di pane?..." Gli fece Vasilisa.
La civetta fece una smorfia di disgusto che durò un secondo. Non le piaceva per niente il pane, lei preferiva i piccoli topi che catturava al volo, ma non osava chiedere alla ragazza se nel paniere avesse anche un topo.
"La zampa guarirà presto, non sembra rotta. Vieni qui. - E detto questo prese delle foglie di un'erba che formava un cespuglio alto fitto ai piedi di un albero. - Questa dovrebbe andare bene."
E messe un paio di foglie in bocca le masticò facendone una poltiglia che spalmò sulla zampa della civetta, che ora sembrava anche schifata, ma non osava farsi uscire neppure un fiato.
"Oltre alla volpe anche la scema del villaggio, questa sera! - Pensò tra sé l'uccello, chiudendo gli occhi. - "L'avevo detto io che non era giornata..."
Ma mentre pensava questo sentì un calore benefico alla zampa, e con stupore si accorse che riusciva a muoverla come sempre. Era guarita all'istante!
Ma tu sei forse la figlia dela Baba-Yaga? No, perché mi ci manca solo questo, oggi. È da un mese che mi cerca, la stregaccia malefica. Mi vuole spennare!"
"E perché mai?" - Le chiese Vasilisa.
"Pare che le penne di una civetta nata il giorno dell'equinozio siano molto ricercate dalle vecchie streghe come quella! E indovina in che giorno sono nata? Ecco... Ma tu, piuttosto, cosa cerchi nel bosco?"
"Io... sono disperata, e non so come fare!.. - Vorrei andarmene da casa, sposarmi e andarmene via di qui!" - E iniziò a piangere sommessamente.
"Sei innamorata di qualcuno?" - Le chiese la civetta, così, tanto per parlare. Si sentiva sempre a disagio di fronte alle espressioni di dolore. Sarebbe volata via se non si sentisse in debito con la ragazza.
"Sì, ma Dimitri non mi guarda nemmeno..." E ricominciò a piangere, stavolta più forte.
"No, no, non piangere, su, su. C'è sempre una soluzione a tutto" - Ma non era poi così convinta.
"Dici davvero?.." Fece Vasilisa con gli occhi colmi di lacrime.
"Ma certo! Fammi pensare... Ma sì! Che cretina che sono! Lei, di certo, potrà aiutarti!"
"La Baba-Yaga dici?"
"Proprio lei! Senti, mi hai aiutato a scacciare la volpe e mi hai guarito la zampa. Ti devo un favore.." - E dicendo così, si strappò tre penne dal sedere, quelle lunghe e belle, e, con  gli occhioni che le lacrimavano dal dolore, le porse alla ragazza.
"Tieni, queste saranno un regalo gradito per la Baba-Yaga, vedrai. Non ho certo intenzione di farmi spennare da lei, ma almeno questo te lo devo. Dagliele e vedrai che troverà un modo dei suoi per cavarti d'impaccio. Dài, prendile, mica mordono!"
"Grazie, civetta, non so proprio come..." - Ma la civetta, che sopportava gli esseri umani meno delle volpi, era già volata via.
Vasilisa , con le tre penne nella mano, guardò in lontananza, e le parve di scorgere una lieve luminescenza lontana lontana.
"Devo andare adesso. - Si disse. - Non posso perder nemmeno un minuto!"
E si incamminò nel bosco in direzione di una casa che tutti, nel villaggio, cercavano accuratamente di evitare.
Dopo due ore di cammino vide che non s'era sbagliata: era davvero la capanna della Baba-Yaga, la strega del bosco. La casetta poggiava su tre zampe di gallina e si muoveva in continuazione su se stessa, segno che la stega era in casa e stava preparando uno dei suoi temibili malefici.
Col cuore in gola Vasilisa decise di affrontare le sue paure,e bussò alla porticina di legno.
"Chi è?" - Fece una voce orribile, gracchiante e sgraziata. Proprio la voce di una strega...
"Sono Vasilisa..." - E non fece in tempo a finire la frase che la porticina si aprì e un gatto, enorme, di pelo rosso, la invitò ad entrare.
"Su, vieni, che Lei ha le mani occupate e non ti può dar retta. Entra! Che c'è, non hai mai visto un gatto?"
"No, no... Buonasera..."
"A te, cara. Siediti pure... per terra. Non ho sedie, non ne ho mai usate. E siccome non viene mai nessuno a trovarmi non penso mai di tenerne almeno una per gli eventuali ospiti..."
"Signora, le si attacca la pozione... Faccia attenzione." - Esclamò il gattone rosso, con gli occhi al cielo.
""Cos'è che cerchi da me, tesoro bello? No, non compro mirtilli, e nemmeno funghi. Ah, ah... Ma se solo potessi avere quella civetta! Maledetta, non riesco a catturarla!. Neppure la volpe c'è riuscita!"
Vasilisa si guardò bene dal dirle che l'aveva scacciata a sassate. Non si sa mai...
"Signora.. Ho una cosa da chiederle..." E indugiando un po' all'inizio ma poi facendosi coraggio, disse alla strga qual'era il suo problema. Poi le porse le tre penne della civetta.
A quella vista gli occhi cisposi della vecchia si accesero come braci. Prese le tre penne, le accarezzò piano e poi, guardando la ragazza le chiese: "Ho bisogno dei tuoi capelli, Vasilisa."
"I... miei... capelli?..." La ragazza era esterrefatta. Aveva una lunga treccia bionda che tutte le ragazze le invidiavano, e forse anche Dimitri ne era affascinato, anche se non lo dava a vedere.
"Sì, la tua bella treccia... Ma non preoccuparti, non ti farò del male."
"Io... io... non so se..."
"Ma vuoi davvero il tuo bel Dimitri? Vuoi che ti ami e ti porti via? Allora devi darmi la tua treccia, cara. È indispensabile per la riuscita del sortilegio!"
Il gattone rosso, seduto accanto al caminetto faceva l'indifferente e si leccava la zampa. Ogni tanto la guardava di sottecchi, ma non diceva nulla.
"Va bene, se proprio devo..."
La vecchia non se lo fece dire due volte. Prese un enorme coltellaccio affilato e, afferrando la treccia di Vassillissa, la recise all'attaccatura della testa.
"Bene... Ora prendi questo e conservalo nella tasca sinistra per una settimana." - E le porse un disco di metallo con delle strane incisioni. - "Vedrai che otterrai tutto quello che vorrai, mia cara."
La strega pareva presa da una strana euforia.
Vasilisa la ringraziò e, in tutta fretta, uscì da quella capanna e corse via per il bosco, verso casa.
Quando arrivò a casa il padre non la sentì nemmeno rientrare, era troppo ubriaco. Si tolse la veste e si coricò, stremata per la giornata emozionante e, per la prima volta dopo tanti e tanti anni, s'addormentò con un sorriso di speranza.
Il giorno dopo cercò di star fuori casa tutto il giorno e chiese al fornaio se potesse farla lavorare da lui per qualche tempo, per guadagnare quel po' di denaro che serviva per mantenere se stessa e il padre.
Dopo una settimana era già brava a preparare il pane e il fornaio era davvero contento d'avere un'apprendista così brava. Le chiese anche di preparare qualche dolce da vendere in paese, visto che le riusciva tutto così bene. Sicuramente non l'avrebbe delusa.
Infatti ebbe ragione. I biscotti di Vasilisa erano i più fragranti di tutte le Russie, nessuno avrebbe creduto che a preparare quelle focaccette non era il vecchio fornaio ma proprio lei, Vasilisa la bella.
La settimana passò in un lampo e la giovane non sapeva da quale segnale si sarebbe accorta dell'efficacia del sortilegio. Dimitri l'avrebbe chiesta in sposa? L'avrebbe portata via, lontano, oltre i cento e cento boschi, magari in una di quelle città di cui lei aveva solo sentito parlare?
Quel giorno nel forno entrò Dimitri insieme a un suo amico e quando vide che dietro il banco c'era Vasilisa arrossì fino alle orecchie. Era così carino Dimitri, con quella pelle chiara chiara e gli occhi verdi...
Dall'emozione Vasilisa fece un movimento brusco e il fazzoletto che teneva in testa le cadde a terra.
Quando Dimitri vide che la bella Vasilisa non aveva più la sua lunga treccia bionda la sua espressione cambiò. Sembrò imbarazzato, farfugliò qualcosa di incomprensibile e uscì in fretta e in furia.
La ragazza restò impietrita e capì d'essere stata raggirata dalla vecchai strega.
Prese il talismano di metallo e lo scagliò con furia nel pozzo, piangendo di rabbia e maledicendo la stupidità di Dimitri ma, soprattutto, la sua dabbenaggine. 
Che stupida era stata a fidarsi di quella babbiona! Oh, che rabbia, che rabbia!
Si chiuse nel laboratorio e iniziò a impastare e impastare, e più impastava più la rabbia gli passava via dalle mani e dava energia all'impasto, che si faceva sempre più sodo ed elastico.
Alla fine si mise a ridere tra sé, alzò le spalle e, con un sospiro liberatorio, mise a lievitare quel che stava preparando.
Il vecchio fornaio, che aveva capito tutto, le si fece vicino, come il nonno che lei non aveva mai conosciuto e con un sorriso le chiese, piano, se volesse preparare un dolce particolare per il mattino dopo. 
Venivano altri fornai dai paesi vicini, a visitarlo, e voleva far bella figura offrendo loro qualcosa di nuovo e di gustoso. Vasilisa lo guardò negli occhi e gli disse che non l'avrebbe deluso.
Quella notte dormì in laboratorio per trarre ispirazione. Iniziò a ricordare tutti i dolci che aveva assaggaito in vita sua, quelli di cui aveva solo sentito parlare, e quelli che le venivano all'improvviso nella mente se pensava a qualcosa di buono, morbido e dolce.
Il mattino dopo stese la pasta, la cosparse di dolce crema e la avvolse su se stessa, quindi la taglio per la lunghezza e ne intrecciò i lembi ottenuti. Mise la treccia a lievitare ancora e quindi la mise a cuocere.
Tutto il paese si svegliò con l'odore celestiale di quel nuovo manicaretto.
Tutti si affacciavano nel laboratorio del fornaio per chieder cosa mai stesse cucinando Vasilisa di così buono ed invitante.
Il fornaio ridacchiando, disse a tutti che era una sorpresa e che presto, molto presto, lo avrebbero scoperto da soli. Sapeva che così avrebbe accresciuto la loro curiosità, e ne era compiaciuto.
In paese c'è così poco di cui occuparsi!...
Quando vennero gli alri fornai,il vecchio li invitò a sedere e offrì loro quello che aveva preparato con le sue mani.
Gli ospiti erano soddisfatti ma non sembravano sorpresi: erano le stesse focacce di sempre, con lo steso tipo di ripieno, gli stessi pani con il latte, le noci e le verdure di quella terra. Cose buone, sì, ma già viste.
Poi entro lei, Vasilisa, che per l'occasione aveva indossato il vestito più bello che avesse e il copricapo delle feste. 
Era luminosa come il sole di  primavera, bella come Živa, e recava tra le mani un vassoio carico di un dolce mai visto: un'enorme treccia di pane dolce, cosparsa di zucchero macinato fino fino e il profuno che si spandeva per l'aria faceva rimanere tutti a bocca aperta.
Il vecchio fornaio aveva il cuore gonfio d'orgoglio per quello che la sua pupilla era stata in grado di fare, e gli altri fornai erano troppo sorpresi e riuscivano solo a mormorare spezzoni di parole,
La bella Vasilisa tagliò delle fettine di dolce e un profumo più dolce del miele si sparse per l'aria come un'invisibile nube di piacere.
Quando offrì il suo dolce agli ospiti questi restarono sorpresi dalla morbidezza e dalla dolcezza di quel pane. Nessuno, mai prima d'allora, aveva mai assaggiato una cosa del genere.
Il più giovane dei fornai, il bell'Aleksej, era incantato dalla grazia di Vasilisa, e non riusciva a toglierle gli occhi di dosso.
La ragazza, allora, che non sopportava essere guardata in quel modo e poi delusa, com'era accaduto il giorno prima, posò sul tavolo il vassoio con il dolce e per salutare gli ospiti, si tolse il copricapo ricamato.
Pensava di ottenere la stessa reazione che aveva avuto Dimitri lo sciocco e rimase sopresa nel vedere che tutti erano invece contenti di aver conosciuto una donna così brava nell'Arte Bianca, una che potessero considerare loro pari, e che nessuno faceva caso alla lunga treccia bionda mancante.
Tutti erano stregati dai modi e dalla grazia di Vasilisa, e il giovane Aleksej ne era addirittura rapito. 
Il vecchio fornaio, allora, capì che la magia s'era realizzata davvero, ma non grazie al sortilegio della Baba-Yaga ma solo grazie alla grazia e alla maestria della bella Vasilisa.
E sapeva che tra tutti quei fornai, uno di loro sarebbe tornato presto, molto presto.

La capanna della Baba-Yaga non spaventa più gli uomini e gli esseri del bosco: è sparita e nessuno sa dove sia finita.
Voci di mercanti (e voi credete forse alle voci dei mercanti?) riportano di una strana donna, bellissima, con una lunga treccia bionda, che si aggira per le grandi città sottobraccio a un giovane un po' grassoccio di pelo rosso. 
Sembra ricchissima ma non è una nobile e non si sa da dove venga davvero.
Senza dubbio è una delle donne più affascinanti di tutte le Russie...

Treccia russa
Le dosi sono la metà di quelle di una Pasta brioche, che già conosciamo. Occorrono, quindi:
300-400g  farina
100ml        latte
12g             lievito di birra (mezzo cubetto)
50g             zucchero
50g             burro pomata
1                 uovo
1 pizzico di sale
Per la farcitura:
50g             zucchero
50g             burro pomata 

Come ogni pasta lievitata si segue il solito iter delle fasi di lavorazione e lievitazione:
Fase 1) - Lievitino
Si scioglie il lievito in poco latte e impasta velocemente con la farina necessaria per creare una pallina morbida.
S lascia lievitare al coperto per circa 30', o almeno fino al raddoppio.

Fase 2) - Impasto
In una ciotola si uniscono gli ingredienti al lievitino, lavorando con forza fin quando l'impasto si stacchi dalle pareti del recipiente.
Rovesciare quindi sulla spianatoia e lavorare bene, stirando e battendo, fino ad ottenere un impasto elastico ed omogeneo.
Mettere nella ciotola unta d'olio e lasciar lievitare, coperto e al riparo dalle correnti d'aria, per un almeno paio d'ore, ovvero fino al raddoppio del volume.

Fase 3) - Lavorazione
Formare un rettangolo di 30 cm per 50 cm.
Farcire con una crema composta da 50g burro e 50g di zucchero.

Arrotolare la pasta e tagliare un pezzo di circa 3cm, che terrete da parte. Tagliare ora il rotolo per la lunghezza, fermandosi a circa 2 cm dall'altra estremità.


Girare verso l'alto il pezzo finale ed intrecciare i due lembi torcendoli su se stessi.


Mettere la treccia nello stampo mettendo alla fine il rotolino tagliato in precedenza che formerà una rosa.
Si può anche fare a forma di ciambella: tagliare a metà il rotolo per la lunghezza ma non fino in fondo e metterlo a circolo nello stampo in modo da lasciare verso l'alto la parte tenuta unita dello strufolone, la nostra rosa.

Fase 4) - Cottura
Infornare in forno caldo (i classici 180°) per circa 20 minuti, dopo i quali decidere se proseguire almeno fino a ottenere una doratura completa.


Spolverare con dello zucchero a velo...


... e far fuori prima che arrivino gli altri fornai dai quattro angoli della Russia!


 
Detto russo del giorno 
За двумя зайцами погонишься, ни одного не поймаешь    
Se rincorri due conigli non ne acchiappi nessuno

Oggi ascoltiamo
Andrea Mingardi - Il volo di Volodja

http://www.youtube.com/watch?v=Uua17qxcNew
da un disco imperdibile pubblicato dal Club Tenco nel 1993 in occasione della consegna postuma del Premio Tenco al cantautore russo. Brani di Vysotsky cantati in italiano da Milva, Andrea Mingardi, Angelo Branduardi, Giorgio Conte, Cristiano De André, Eugenio Finardi, Roberto Vecchioni, Vinicio Capossela, Ligabue, Francesco Guccini, Paolo Rossi e Marina Vlady.

Un commento di Gaino Castaldo
(...) Stilisticamente Vysotsky è al centro della cultura russa. È stato forse il più grande poeta
popolare russo dell’era Brežneviana. E non è secondario che abbia usato proprio la canzone come forma privilegiata della sua espressione. Sappiamo bene come anche in occidente la musica popolare abbia riempito ed esaltato a suo modo lo spazio della poesia. Ma con delle ovvie differenze. A quello che spesso può risultare superficialmente come un impoverimento del linguaggio dei versi, fa riscontro la musica, che aggiunge significati e che crea una diversa unità linguistica. È il potere della canzone.
Grazie a questo Vysotsky ha potuto comporre versi a volte semplici ma carichi di fortissime suggestioni, ha potuto usare il linguaggio più quotidiano, più comprensibile alle masse, elevandolo a livello di poesia musicale. Ma rispetto al cantautore occidentale, Vysotsky ha assolto una funzione in più, che potremmo definire da menestrello, nel senso più antico enobile del termine. In un paese così vivo, così ricco di sentimenti e slanci culturali, ma così assurdamente imbrigliato dal potere, Vysotsky ha svolto una funzione di raccordo, di racconto, di voce popolare, dando corpo e sostanza al sentimento collettivo, e
permettendo che questo sentimento circolasse liberamente nella popolazione attraverso le sue canzoni che diventavano immediatamente patrimonio di tutti. Al linguaggio burocraticamente popolare del
regime opponeva l’infinita ricchezza del popolare autentico.
leggi tutto qui

sabato 6 luglio 2013

Con 'sto caldo che ci vuole?... Ma una zuppa! Anzi, una Zwibelbrennsuppe!

Me lo diceva sempre,  la pora mamma: "Sei come tu padre, te: vai sempre 'n culo alla stagione!"
Non che fosse certo dedita al turpiloquio, anzi: certe parole le ho conosciute anche molto tardi rispetto agli altri ragazzini, anche se sono cresciuto in un tipico quartiere pasoliniano...
Ma  andare in culo alla stagione vuol dire proprio fare le cose al contrario di come si fanno solitamente.
Che so: vestirsi leggeri anche se fuori l'aria frizza, mettersi gli scarponi pesanti col sole torrido (a posteriori non so se indosserei ancora gli anfibi d'estate. Anche no...) e, appunto, mangiare cose invernali col caldo estivo o gelide con la bora che soffia.
E mica per partito preso, per spirito di contraddizione o in preda a chissà quale ansia di rivolta bohémien, o anche perché ci si senta punk inside. Insomma, fighi e ribelli.
No. Certe cose si fanno proprio perché ci piace farle così, e quando ci va di farle.
Lapalissiano? Ma no...
Non è mica il conformismo ottuso che fa vestire pesante nonostante il clima solo perché è novembre; un po' come quei ridicoli coloni britannici settecenteschi che indossavano il pelliccione all'altro capo del globo solo perché, si sa, d'inverno ci si deve vestire così...
Ecco, è invece una sorta di festosa anarchia verso certe regole che sono soltanto consuetudine, e non fa mai male lasciare da parte certe regole, almeno qualche volta.
Adesso leccare un cono gelato a gennaio è la normalità, ma quando lo facevo io da ragazzo (girando anche come un disperato in cerca di gelaterie che fossero disposte ad assecondare la mia "follia") la gente per strada mi guardava un po' stranita.
I miei non erano degli anticonformisti figli dei fiori ma una coppia di borghesi piccoli-piccoli, per i quali l'ansia della possibile giustizia sociale non si sposava col culto di una personalità carismatica (non per niente avevano vissuto in pieno il disgraziato ventennio di dittatura fascita), e dove la religiosità spontanea e istintiva non s'accompagnava mai a un miope e bigotto clericalismo.
Insomma, non avevo certo i genitori di Camila Rasnovich (1) ma nemmeno una coppia di codini asserviti ai Grandi Dogmi, sia quelli intrisi di certezza sul trascendente sia quelli (anch'essi messianici) proiettati verso un avveniristico futuro migliore...
D'altra parte ce ne voleva per sorbire un bel brodo (magari di gallina) a metà luglio...
Per il mio Dandoletto era più che normale farsi allegre cucchiaiate di stracciatella e sudore anche nelle giornate più torride.
E io sarei forse da meno? Ci mancherebbe.
Forse è così anche perché odio il clima estivo con tutto me stesso, e magari la mia parte biologica sarmatica fa capolino ogni tanto e, assieme a quella di Muflonia, reclama un po' di spazio espressivo.
Ai geni, si sa, non si comanda. Non ancora, almeno.

Insomma, tutto nasce dalla curiosità di provare un po' di ricette con l'utilizzo della farina tostata, o torrefatta, che dir si voglia.
Si tratta di riscaldare un prodotto, la farina nel caso nostro ma il discorso vale anche nel caso del riso in un risotto, in un forno, in padella o nella salamandra.
Che, ovviamente non è questa:
 Come piacerebbe al caro Leppagorre, ma piuttosto questa:

In questo modo la struttura di alcuni amidi si modifica e avviene la cosiddetta destrinizzazione, cioè la riduzione di grosse molecole dell'amido in altre più piccole (le "destrine", appunto) che sono per questo più attaccabili dagli enzimi digestivi, e quindi più digeribili.
Ecco perché per i bimbi si usa cucinare la farinata, ossia una pappa di farina tostata con brodo e verdura o frutta, adatta ai giovani stomacini che ancora non sono pronti all'assalto di cozze al gratin e canapé con Lardo di Colonnata.
Durante la tostatura avviene anche un altro fenomeno importante, anzi fondamentale per il sapore del cibo: la carammelizzazione, ossia la famigerata reazione di Maillard), la trasformazione strutturale di alcuni zuccheri e proteine che rende più appetibili i cibi (e quindi ci fa sbavare quando sentiamo della carne che sfrigola sulla brace) e rende la crosta del pane croccate e saporita.
È insomma un esaltazione del sapore dei cibi.
Proviamo ad assaggiare le nocciole au naturel, solo sgusciate, e quindi quelle tostate.
Una lampadina da 1000 lumen apparirà per incanto sulle nostre povere capocce dalla coccia marmorea.
"Ecco perché..." - Mormoreremo con un felice sorriso da beoti stampato sul viso.
D'altronde anche il caffè e il cacao hanno bisogno della tostatura, sia per la conservazione (visto che riscaldati a secco i semi perdono parte dell'umidità, e quindi la possibilità di ammuffirsi o irrancidirsi) che per esaltare tutto il loro caratteristico aroma.

Allora mi sono detto: "Ma perché aspettare i primi freddi per assaggiare questa zuppa?"
Già, perché?
Ecco quindi, a sfregio di ogni avversa condizione climatica, la

Zwibelbrennsuppe  (Zuppa di cipolle e farina tostata)
Occorrono:
100 g      farina;
300 g      cipolle (bionde, bianche o rosse)
50 g        burro;
1 litro di acqua, ca.
sale e pepe q.b.
Si taglia a fettine sottili la cipolla e la si fa appassire in un tegame col burro... a fuoco?... Bassissimissimo!... Bravi!
Quindi si può procedere in due modi:
*) Metodo roux: si fa sciogliere dell'altro burro in un tegame, si aggiunge la farina e la si fa cuocere fino a imbiondirla. È il procedimento base di ogni besciamella classica ed è l'unico modo di preparare una salsa che grazie alla  destrinizzazione non resti sullo stomaco, come abbiamo visto.
*) Metodo altoatesino-sudtirolese: in una padella si fa tostare a fuoco medio la farina, girandola spesso per non farla bruciare, fin tanto che diventi di un bel colore beige e la cucina si riempia di un delizioso profumo di cereali seccati dal sole rovente...
Ho proceduto nel secondo metodo, visto che volevo vedere in azione proprio la tostatura della farina.
Quando la cipolla e la farina saranno pronte unire gli ingredienti in un tegame e stemperare la farina con del brodo (o anche con dell'acqua calda (2) a cui verrà unito del dado granulare, o anche solo del sale) fino ad ottenere una crema, che verrà fatta cuocere per una decina di minuti circa.
Se occorre si potrà aggiungere dell'altro brodo per regolare la zuppa della densità preferita.
Salare e pepare a piacimento.


Si può unire alla ricetta anche della pancetta affumicata, che verrà fatta cuocere assieme alle cipolle, o anche delle patate lessate e tagliate a dadini, e dei dadini di pane tostato, e...

Ah, ovviamente si possono eliminare le cipolle e ottenere una semplice Brennsuppe.
E anche qui, via con le patate lessate, col pane a dadini (o grattugiato, il Grammelbrot), dell'alloro, la pancetta e... e co l'accidente che te spacca, diremmo qui...

Dedico questo piatto a una persona scomparsa troppo presto: Alexander Langer, il viaggiatore leggero che si definiva "altoatesino-sudtirolese" proprio per ribadire la molteplicità della sua (e delle nostre) identità, specifica, speciale ma meticcia.
Identità aperte e
Una persona che ha cercato di far capire il valore della diversità etnica, dell'identità aperta, del dialogo e della coesione umana nel momento più brutto della nostra storia di Europei.
E che non ce l'ha fatta.

Detto altoatesino-sudtirolese del giorno 
Jeder weiß am besten wo ihn der Schuh drückt
Ognuno sa dove stringe la propria scarpa


Oggi ascoltiamo
Youssur N'dour e Neneh Cherry - 7 seconds

http://www.youtube.com/watch?v=wqCpjFMvz-k 

NOTE

1) Leggete la sua meravigliosa storia familiare nell'autobiografia :"Lo rifarei", Baldini Castoldi.
2) In un composto si fanno i grumi per via della differenza di temperatura: farina fredda e latte caldo, nel più classico dei casi. Qui la farina è ancora bella rovente e accetta il brodo caldo -tiepido senza fare una piega, anzi un grumo.