sabato 28 settembre 2013

Beetcake - Torta di Rape rosse (e cioccolato)

Lo so, quando vado in fissa per qualcosa non mi fermo e la devo sviscerare fino all'ultimo.
Conosco un musicista che m'interessa? Ascolto tutta la discografia.
Un autore che m'intriga? Devo leggere tutto, assolutamente.
È curiosità ansio-depressiva? È bulimia? Ansia di possedere il mondo?
Non lo so, ma se non lo facessi è come se mi restasse un ossicino in gola, di quelli che non vanno né su né giù.
Magari invece sarà, più semplicemente,  il rodimento dell'inespresso, che cerco di evitare il più possibile. Almeno in cucina...
Quindi le rape rosse, che avevo usato anche qui, ma in versione zuppesca.
L'idea è quella di utilizzarle in un dolce, e devo dire che il risultato non è per niente deludente.
Non è che sia molto sorpreso da questo tipo di accostamenti, d'altronde mi sono azzardato a provare anche delle torte alle zucchine, quindi la porta è ormai aperta da tempo.
La ricetta l'ha riportata Sabrine , a sua volta presa da un'idea di Nigel Slater.
Un cake (che una volta chiamavamo semplicemente ciambelloni, anche quando non avevano il buco centrale) è fondamentalmente figlio di una 4/4, la Quattro quarti, nota da secoli come la torta più semplice del mondo: pesi le uova e fai altrettanto peso di burro, zucchero e farina.
Con qualche accorgimento, visto che, come sappiamo, quando si vogliono unire degli elementi acquosi, come frutta od ortaggi, il rischio è che si ottenga un pastone troppo compatto per via dell'umidità che le verdure rilasciano durante la cottura.

- Si sa, le poverine sudano, e non c'è nessuno che le asciughi, tesore della casa...
- Mi pareva strano che ancora non ci avessi messo bocca tu, mostro peloso.
- Mi chiamo Leppagorre, io!
- Lo so come ti chiami, ci mancherebbe! Che fai là impalato? Dài, che è tardi.
- Ma se non hai nulla da fare!
- Appunto! Mai come da quando non lavoro mi manca sempre il tempo per far tutto. Mi ritrovo a annà sempre pe uno, come si dice.
- Dal gergo della tombola?
- Sì, quello. E mica mi ciondolo, eh? Faccio mille cose!
- ...
- Non guardarmi così, mostro Aniba.
- Va be', dicevamo?...

Dicevamo che quando si aggiunge un elemento passibile di rilasciare umidità si deve, per riequilibrare, aggiungere qualcosa che l'assorba.
Ecco che vengono così impiegati biscotti secchi sbriciolati (per esempio, spesso degli amaretti) in dolci dove compaiono frutti o vegetali in generale.
Ma quello che spesso si usa è la farina di mandorle.
Se ci si fa caso, in tutte le ricette di torta di carote che si possono incontrare sul Web almeno i 99% usano, assieme alle carote, un uguale quantitativo di mandorle tritate.
Si può usare anche la farina di cocco, se il sapore degli altri ingredienti lo permette, come ho fatto qui.
Insomma, si prende una 4/4 e ne se ne fa una 5/5...

Torta di Rape rosse (e cioccolato)
Per due cake medi, uno al cioccolato e l'altro simplex
200 g    farina
200 g    burro (o anche 150 g olio di semi)
200 g    zucchero
3           uova
150 g    barbabietole rosse
100 g     mandorle pelate o farina di mandorle
50 g    cioccolato fondente (o gocce di cioccolato)
1/2 bustina di lievito
Non ho voluto esagerare in quanto a rape, poiché quando si va alla cieca si deve, in primis, tastare il terreno.
Poi casomai, volendo, si potranno aumentare le dosi.


Stessa lavorazione del plum-cake: si lavora il burro ammorbidito a temperatura ambiente con lo zucchero, si aggiungono le uova, una ad una, amalgamandole per bene all'impasto e quindi gli elementi secchi (farina, lievito, eventuale cacao).
Nel nostro caso dopo aver aggiunto le uova si uniscono le rape garttugiate grossolanamente, si mescola delicatamente e si unisce al composto la farina di mandorle, e infine la farina col lievito.
Se qualcuno fosse intollerante alla frutta secca può sostituirla con la farina di cocco, che darà però al dolce un sapore meno neutro. Ma a mali estremi...
Visto che questa dose è bastante per due stampi da plum-cake, se ne può lasciare una metà semplice e aggiungere all'altra mezz'etto di cioccolato fondente spezzettato.
Due piccioni con una rapa, come si dice.


Qui un'altra versione, tra le tante, della ricetta, ma raccontata senz'altro meglio, con la musica giusta e le immagini ben curate.

Detto romano del giorno
Amore pe' le scale è ccome er brodo senza sale.


Oggi ascoltiamo
Röyksopp - What Else Is There?

http://www.youtube.com/watch?v=KLpkXtM-VI8

Orecchiette al pesto d'ortica

Eccola qui, la piccina.

Tenera e scontrosa, umile e orgogliosa, caparbia e, come tutte le piante,  paziente.
Cresce spontanea, e non so se l'abbia portata il vento oppure se dormiva nella terra che portai a casa anni fa.
Lei c'è, e rimane là, fedele al suo vaso, come Hachiko al suo padrone.
E se ogni volta la estirpo e me ne cibo, ogni volta lei rispunta, menneno fosse la coda d'una lucertola sotterranea che al taglio si riforma, precisa e pervicace.
Stavolta ne farò del pesto, che fa sempre bene e contiene quella sostanza a cui sono poco avvezzo, come si chiama? ah, sì, clorofilla...
La tratto con i guanti, la piccola, e non per una qualche forma di riguardo ma proprio perché essendo così bisbetica non si lascia avvicinare con facilità, o meglio sì, non può farne a meno, ma segnala sempre e chiaramente il suo disappunto.
Una volta immersa in acqua si calma. Che avesse bisogno solo di questo? mi chiedo.
La lavo con cura, le tolgo le foglie e le metto nel tritatutto, sapendo di sbagliare perché così trancio la delicata struttura, che andrebbe invece - appunto - pestata.
Ma tant'è, fino a che non mi doterò di un bel mortaio di marmo in puro stile Baba Jaga o Coniglio Lunare dovrò accontentarmi di questa pallida imitazione di pesto.
L'ombra della luce.
Alle foglie - d'una pianta di media grandezza, alta più di due spanne - aggiungo uno spicchio d'aglio, due cucchiai di pinoli tostati, un pizzico di sale e un nocione di parmigiano.
E olio (che sia ovviamente evo, Extra Vergine d'Oliva, è il minimo sindacale), quanto basta per rendere il composto cremoso e non troppo pastoso.
Ne frattempo le orecchiette cuociono allegre e saltellanti nell'acqua bollente, sembrano bambinetti nell'ora di ricreazione, e credono - sono così ingenue... - di trovare là fuori la compagnia delle solite cime di rape o d'un bel sugo di carne, e invece...
Lì per lì paiono un po' sconcertate ma poi, quando l'ortica fa sentire il suo aroma fresco ed erbaceo si rilassano e si lasciano avvolgere e cullare da quell'onda inattesa e piacevole di sapori.
Il connubio è perfetto, e sembrano essere state così da sempre, da quando venne fuori la prima foglia d'ortica o venne formato il primo parmigiano o incavata la prima orecchietta.


E, parafrasando il Poeta, peccato che, come tutte le più belle cose vissero neppure un giorno, come le rose.

Aforisma del giorno
La vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione è fugace, l'esperienza è fallace, il giudizio è difficile.

Ippocrate di Cos, Aforismi, V-IV sec. a.C.

Oggi ascoltiamo 
Fabrizio De André - La canzone di Marinella (live)
http://www.youtube.com/watch?v=wBecFeMzaPA

martedì 24 settembre 2013

Ciambelline al vino

Personaggi
Riccardo Muccardo
Leppagorre, il suo amico immaginario

A Roma. Oggi.
Atto primo. 

Scena prima. 

La scena rappresenta la cucina di una casa romana. 
È mattina e il sole filtra dalle tendine, riflette sugli oggetti di metallo, pentole e attrezzi, imbionda gli oggetti appoggiati sul tavolo. Muccardo si agita avanti e dietro torcendosi le mani come in preda a chissà quali foschi pensieri. 
Sul tavolo è posato il suo ricettario, un quaderno ad anelli tutto consunto, con le pagine scritte e riscritte a più riprese.
Prende in mano una ricetta, la studia un attimo, fa un gesto di leggero diniego con la testa, torce un po' gli angoli della bocca e rimette a posto il foglio. Fa così per altre due, tre volte.

MUCCARDO. Ma come devo fare, come?

Sospira, come tormentato.

Non posso presentarmi così, come faccio sempre, a mani vuote. No, no, non sta bene... Proprio no.
Ma d'altronde non so mai cosa portare... Torte con creme, glasse e panne no, troppo impegnative.
Quelle troppo asciutte... Boh... La solita crostata? No, no, non va.
E poi so già che pur di cambiare mi invento qualche accostamento strano e li vedo inorridire... No, no, qui ci vorrebbe un millefoglie, ma la pasta sfoglia... no, mi rifiuto. È più forte di me! Non voglio imparare a farla... magari sì, lo farò se sarò proprio obbligato ma adesso no, ci mancherebbe altro, ho già così tanti pensieri... Ah...

E sospira, sedendosi sconsolato su una sedia.

Scena seconda. 

Muccardo cammina avanti e indietro per la cucina con un foglio in mano scritto a matita, quasi illeggibile.  
Sembra dubbioso ma anche incuriosito.

MUCCARDO. Mah... Boh... Certo, non l'ho mai provata, questa qui. Poi magari faccio anche la figura dello scienziato pazzo che usa i suoi parenti come cavie... ci manca solo questa. Però sarebbe l'ideale, è così poco impegnativa e poi una teglia sola, via... sì, dài, che ci vuole? Su! Lo zucchero, dov'è lo zucchero? E la farina? Ah, eccola, stava già sul tavolo.
Allora, fammi vedere se ciò tutto... sono tre cose ma sai, quando uno sta fuori come una tegola è facile che... si perda qualcosa all'ultimo minuto. Come quando volevo fare il ciambellone coi canditi e avevo tutti gli ingredienti tranne la farina. Ma si può? Poi dicono che... altro che endorfine! Qui ci vuole...

E svelto come un lampo si mette in bocca un quadruccio di cioccolato.

Vede nessuno? No? Bene! Non c'è più! Finito! Ahhh, quanno ce vò ce vò!
Allora, vediamo un po' questa ricetta... A me pare una... poi quando le dosi sono scritte a 'sta maniera vado proprio fuori di me! Solo gli americani hanno la mania delle misure in volume invece che in grammi. Come se un litro di latte non pesasse un chilo comunque. E con le nostre bilance, poi... Vediamo:

Allontana un po' il foglio per via della presbiobia incipiente, poi lo riavvicina perché è scritto a matita e non si legge nulla. 
Poi, come declamando:

"Un bicchiere di vino rosso"... Certo, rosso, e come sennó? Anche se ho visto usare anche il bianco e non vorrei... Oh, va bene così, non posso mica impazzire, no? Annamo avanti...
"Un bicchiere d'olio"... Quindi o di semi o di mais. Anche se io ricordo che qualcuno usa quello d'oliva, ma magari quello che ha scritto questa ricetta lo trovava troppo forte e corposo e allora ha usato quello di semi. Vabbè, seguiamo queste quattro righe. Quattro, sono. Vogliamo cambiare anche queste? Suvvia...
"Un bicchiere di zucchero"... Oddio, sembra un po' troppo a vederlo così, tutto assieme, eh? Che poi pesato fa... un paio d'etti nemmeno. Va be', va: accordato.
"Farina quanto basta". Ma si può, dico io? Date almeno un'indicazione e questo povero cristo almeno s'approvvigiona come deve, no? Mica siamo nel Mulino Bianco, con i sacchi di farina pronti a partire, qui. Ed essendoci già cascato una volta...

Entra Leppagorre.

Dev'essere un uomo robusto di corporatura, se possibile anche pingue, con indosso un costume da gatto fulvo, un grembiule a quadretti tipo tovaglia tirolese macchiato in più punti. 
Dalla tasca a sinistra escono una forchetta e un cucchiaio di legno, più un paio di bacchettine. Trascina pigro una lunga coda.
Pare incuriosito ma anche un po' indispettito, come ci ha visto iniziare qualcosa senza essere stato prima avvisato.

LEPPAGORRE. Ah, eccoti qui, mi pareva. Qui si iniziano le danze e io non c'ero. Non basta che devo curare le pubbric relescio...
MUCCARDO. Public relation, si dice, cafone. E poi non sto facendoti nulla alle spalle, demoniaccio che non sei altro. Se la smettessi di giocare d'azzardo la mattina t'alzeresti ad orari più umani. Ma certo, tu sei tutto fuorché umano...
LEPPAGORRE. Va be', va be'... E cos'è che fai? Un'altra crostata banane e cioccolato? Ah, ah, ah.
MUCCARDO. Smettila, non sei divertente. Quando le cose vanno così così ti defili, eh? Quando invece qualcosa centra il bersaglio subito là a prendere l'applauso! Sei proprio una primadonna.
LEPPAGORRE. Questione di stile, caro... burp

Lancia un sonoro rurro, cercando di coprire il muso con la mano.

MUCCARDO (con una smorfia) Ecco, appunto...
LEPPAGORRE. Eh, quanto sei... Insomma, fammi vedere cos'è che porti? Non mascarponi, vero?
MUCCARDO. No, no, quelle cose solo per le feste comandate o i compleanni, ma per un pranzo informale ci voleva qualcosa di meno impegnativo.
LEPPAGORRE. Ecco, bravo. E quindi stai preparando...
MUCCARDO. (un po' timoroso, guardando altrove) Ciambelle, anzi ciambellette... al vino.
LEPPAGORRE. Ahhh! Ma tu vuoi mandarmi a ramengo per i gironi infernali, vero? Vuoi farmi prendere per i fondelli da Magaglione e Farfagnello, vero? Vuoi farmi diventare lo zimbello di tutta la quinta dimensione, maledetto! Giorni, mesi, anni spesi a mettere assieme gli scampi con l'arancia, la prugna col pecorino, i mari coi monti, e tu che fai? Tutto alle ortiche, tutto, tutto!

E con un gesto enfatico, il dorso dellla mano sugli occhi chiusi, si aggrappa alla tendina bianca della porta finestra.

MUCCARDO. Smettila, ti prego. Ci vedono dal palazzo di fronte...
LEPPAGORRE. Dillo che vuoi rovinarmi, dillo, dillo! Nemmeno Behemot vorrà giocare a carte con me! Mi tratteranno tutti come un appestato, un parìa...
MUCCARDO. Pària...
LEPPAGORRE. Eh?...
MUCCARDO. Pària... si dice pària.
LEPPAGORRE. Oh, sì, tanto è lo stesso! Farò sempre una brutta fine! E per colpa tua, solo tua!

E punta il dito grassoccio verso Muccardo. Gli occhi verdi devono illuminarsi come per magia.

LEPPAGORRE. Dimmi solo che non hai usato l'anice. Dimmelo, o mi butto nella cappa e mi faccio portar via dal vento!
MUCCARDO. (Con gli occhi al cielo) No, tranquillo, niente anice. Sai che non piace neppure a me, no?
LEPPAGORRE. Sai che l'insofferenza verso l'anice era considerata segno del demonio?
MUCCARDO. Sì, come anche i nei nascosti tra i capelli e il pelo rosso, quindi figurati...
LEPPAGORRE. Oh, certo, tu sei fortunato a vivere in questo tempo in cui si può parlare di uno scatto di nervi senza mettere in ballo ogni volta il diavolo.
MUCCARDO. (Che nel frattempo sta pesando i pochi ingredienti che gli occorrono sulla bilancia da cucina). Ma non dirmi che tu, proprio tu, credi nel diavolo. Sarebbe la fine.
LEPPAGORRE. Ma no, che ti pensi? Al diavolo in sé no, ma alla diavoleria degli umani ci credo, eccome!
MUCCARDO. Vogliamo finire, che è già tardi? Per favore, Leppa bello, ti fai piccino e ti metti sulla scansia in alto?
LEPPAGORRE. Ah, no. Casomai mi siedo sulla sedia e controllo tutto. Voglio proprio vedere quale prodezza sei in grado di combinare! Tse!
Scena terza.

Muccardo sta spiegando a Leppagorre la ricetta, col tono accondiscendente che si usa con un bambino o una persona molto anziana.

MUCCARDO. Questa è una ricetta diffusa in tutta Italia, caro Leppa, che ti credi? E poi lo sai, no? Le cose più buone sono proprio quelle fatte con pochi, semplici ingredienti. Vedrai, ti piaceranno.
LEPPAGORRE. Voglio proprio vedere, mh! Uno mica si incarna in una panza qualsiasi per essere preso e gettato via come un cencio, mio caro! Ma sì, vediamole le tue... ciambelline, vero?
MUCCARDO. Sì, ma anche ciambellette, a seconda. Dunque, pesando il tutto ci vuole, tradotto in termini più... scientifici:

250 ml  vino rosso
150 g    olio di semi (o di mais)
200 g    zucchero
500 g    farina ca.
Allora, mi tieni un po' la confezione? Ecco, ci siamo... basta, basta, che altrimenti poi bisogna aumentare la farina a dismisura.
Mescoliamo il vino con l'olio e lo zucchero... così. Poi ci versiamo la farina... aspetta, non tutta! Sempre meglio versarne poco a poco e vedere quanta ne richiede l'impasto.
LEPPAGORRE. Allora "quanto basta" è proprio la dose giusta.
MUCCARDO. Sembra proprio di sì... Ecco, ora si lavora bene...

Impasta con decisione e sembra aver dimenticato la tensione di prima.

Senti che profumo di vino... Ti ubriaca solo ad annusarlo!
Bene, ora che l'impasto è bello "sodo e omogeneo" lo appallottoliamo e lo facciamo riposare in frigo per una mezz'oretta. Che dici, ci facciamo un caffè?
LEPPAGORRE. Col miele, però.
MUCCARDO. Manco morto!
Scena quarta.

Muccardo sta reimpastando velocemente sul tavolo.Leppagorre lo guarda un po' ironico ma anche incuriosito.
 
LEPPAGORRE. E adesso?
MUCCARDO. Adesso formiamo tanti serpentelli di pasta, li chiudiamo a cerchio, li poggiamo così, sullo zucchero semolato e poi li disponiamo sulla teglia coperta da carta forno.
LEPPAGORRE. Zuccherati pure sotto?
MUCCARDO. No, solo la parte superiore, perché?
LEPPAGORRE. Allora questo me lo magno io...
MUCCARDO. E te pareva!
LEPPAGORRE.(masticando con gusto, mugolando) E poi?
MUCCARDO. Poi si cuociono per un quarto d'ora, venti minuti, fino a quando iniziano a colorirsi.
LEPPAGORRE. Tanto possiamo aprire il forno quanto vogliamo, no?
MUCCARDO. Be' non c'è niente che lievita, ma la bolletta poi la pago io!
LEPPAGORRE. Eh, che sarà mai...


Atto secondo. 

Scena prima. 

Leppagorre seduto sul divano del soggiorno, quasi sdraiato, con una gamba a terra e l'altra su un bracciolo. Legge, o meglio fa finta di leggere un libro di cucina. Guarda le figure e le sottolinea con vari mugolii d'apprezzamento e di piacere immaginato. 
Entra Muccardo, lo guarda, poi posa la borsa sulla poltrona e si piazza davanti a lui, con un sorrisetto leggero sulle labbra.

LEPPAGORRE. Eccoti qui, va. Allora, com'è andato il pranzo?
MUCCARDO. Bene, come sempre. Lo zio è il mago dei primi piatti, lo sai, no?
LEPPAGORRE. E poi?
MUCCARDO. Poi... i pupi crescono così in fretta.. Ogni volta sembrano diversi, fanno e dicono cose nuove...
LEPPAGORRE. (Inizia a spazientirsi) E poi?
MUCCARDO. Oh, poi Babà m'ha dato il tormento, ma in senso buono, eh? Non la finiva di saltarmi addosso! È anche riuscito a leccarmi la testa, e non so come abbia fatto...
LEPPAGORRE. (Sempre più spazientito) E poi?
MUCCARDO. Mah, le solite cose... Abbiamo un po' progettato, rievocato e spettegolato, come si fa in famiglia...
LEPPAGORRE. (Sbottando) Ma insomma: queste ciambelline al vino come sono andate?
MUCCARDO. (Facendo il vago) Mah, cosa vuoi che ti dica...

Fa un giro su se stesso e con un sorrisetto trionfante.

Bene, Leppa. Anzi, benissimo. Sai come si dice, no? Tra un pò me se magnavano pure a me! 
LEPPAGORRE. (Quasi incredulo ma contento) Ma allora...
MUCCARDO. Allora, caro mio, le povere ciambelline, meschinelle e miserelle, sono piaciute a tutti e hanno fatto numerosi bagnetti nel vino! Alla facciazza tua!

Sipario.

Detto romano del giorno
A la prima osteria nun cercà er vino bono.

Non accontentarsi subito, della prima cosa che capita.

Oggi ascoltiamo
Egberto Gismonti - Agua e Vinho

http://www.youtube.com/watch?v=Mb3WqEhFwOE
Perché il Brasile non è solo Samba e Bossa nova.

giovedì 19 settembre 2013

Conosco già le tappe del cammino




Conosco già le tappe del cammino
che, strano a dirsi, resta sempre uguale;
la luce sfolgorante da vetrina
in cui esponiamo a bella posta merci
le più preziose ed esclusive, nostre.
E il farsi, una parola dopo l’altra
come un mosaico di tessere minute,
ricordi, sogni, amori, sensazioni,
timori, insofferenze, fissazioni,
d’un noi che non esiste ma già c’è.
So tutto, so già tutto, e quindi temo
l’inciampo inevitabile, la storta
che dolorosa mi farà fermare,
il mulinello che trascina via
quel che appariva solido e reale.



Oggi ascoltiamo
Chavela Vargas- Somos

http://www.youtube.com/watch?v=MQO_0CSnY7U




Somos un sueño imposible
Que busca la noche
Para olvidarse en sus sombras
Del mundo y de todo
Somos en nuestra quimera
Doliente y querida
Dos hojas que el viento
Juntó en el otoño
Somos dos seres en uno
Que amándose mueren
Para guardar en secreto
Lo mucho que quieren
Peró qué importa la vida
Con esta separación (2x)
Somos dos gotas de llanto
En una canción

Nada más
Eso somos
Nada más

martedì 17 settembre 2013

Yuèbĭng, i tortini lunari

Con Leppagorre farsi venire delle idee è pericoloso.
Quello che è un rivolo, un accenno, una crepa diventa una fiumana, un'apoteosi e una voragine.
Eccede in tutto, stravolge ogni cosa, prende e dà in una maniera tale che è difficile stargli dietro.
Tutto è nato dall'idea di far qualcosa per la Festa di Mezz'autunno, ossia la Festa della Luna del calendario cinese, che quest'anno capita il 19 settembre (di regola infatti cade il quindicesimo giorno dell'ottavo mese del calendario lunare).
In Cina questa è una delle feste più importanti, assieme al Capodanno (detto anche Festa di Primavera), la Festa delle Barche Drago e la quella di Qingming (ossia la Festa della Pura Luminosità, o Giorno degli Antenati, che è il loro giorno dei defunti).
È una festa nata come celebrazione della fine del raccolto autunnale e strettamente legata al culto lunare, ma è anche la festa della famiglia, del riunirsi tutti assieme, come si fa da noi a Natale, o in America con la Festa del Ringraziamento.
Un proverbio cinese dice infatti che 月圆,人圆 (yuè yuán, rén yuán) : “quando la luna è piena la famiglia si riunisce”.


Magari sotto lo spettacolo del plenilunio, con una grigliata o altri cibi da consumare all'aperto, mentre nel cielo vengono fatte volare mille lanterne che rischiarano la notte.


Ed è in questa festa che si consuma questo tipico dolcetto ripieno, detto appunto 月饼 (yuèbĭng), “torta della luna”:

Sono dolcetti da tè costituiti da una scorza di pasta che racchiude un ripieno dolce e a volte anche uno o due tuorli d'uovo salati interi al centro, a simboleggiare appunto la luna piena
Sono così popolari che la Festa di Mezz'autunno è detta anche Festa delle Torte lunari, ed è uso regalarle agli amici o ai propri colleghi di lavoro, un po' come facciamo noi col panettone.
Durante la Festa della... ma... come ti sei conciato?

- Come, "conciato"! È un miǎn fú originale della dinastia Han. Ti piace? Sembro o no un Figlio del Cielo?
- Non posso dirti di quale figlio sia più appropriata la tua immagine, ma spero che tu te lo immagini... Dove hai tirato fuori quest'abito?
- Bello, vero? Tutta seta fine, caro. Qui, vedi qui?, ci sono dei ricami in filo d'oro.
- Non ti sapevo così civettuolo, però secondo me qualcuno sta ancora piangendo lacrime amare.
- No, no, casomai dorme... Hai visto che belle unghie lunghe?
- Come no: mi pari quella babbiona di Cíxǐ, "l'imperatrice vedova". Immagino che fatica fosse anche solo grattarsi il naso...
- Aveva delle ancelle che lo facevano per lei, cosa credi.
- Ah, già, che imperatrice sarebbe stata, sennó? A guardarti bene, però assomigli più ad Anna Varney Cantodea.

- Adorabile creatura. Triste, dolorosa e lacrimosa. Ma geniale.
- Sì, vabbè... Il fatto che tu ti sia abbigliato in tal modo vuol forse dire che non mi darai una mano nemmeno a morire?
- Ma certo che sì! Starò qui con te e allieterò il tuo tempo con dei poemi dell'epoca Tang e brani dell'opera tradizionale pechinese. Peccato però che con queste unghie mi rimanga difficile suonare l'erhu...
- Me ne farò una ragione, anzi se vorrai farti anche meno ingombrante te ne sarei grato, figlio del sole. La Festa della Signora della luna è vicina, e devo anche sbrigarmi.
- Ma chi Cháng'è? Guarda che non era una mica una dea, sai. Proprio per niente.
- Ah, sì? E cos'era, allora? Vediamo un po', saputello che non sei altro.
- In primo luogo era un'impicciona...
- Lei, eh?...
- Ma sì, una tipa bella ma svagata, un po' come Eva, Pandora...
- Dài, tanto muori dalla voglia di raccontarmela. Basta che la smetti di roteare quelle unghie o mi affetterai il naso.
- E che sarà mai, ce n'è d'avanzo... Allora...

C'era una volta un abilissimo arciere, di nome Hòu Yì (后羿), che era famoso in tutto il Regno  per le sue notevoli capacità. 
Non v'era preda che potesse sfuggirgli e con le sue frecce era in grado di uccidere le belve più feroci che potessero minacciare il genere umano.  


Yì era sposato con Cháng'è (嫦娥) una bellissima donna che prima del matrimonio era stata ancella della regina madre dell'ovest.
Devi sapere che a quel tempo vi erano dieci soli che giravano attorno alla terra: avevano la forma di uccelli a tre gambe e vivevano su un albero di gelso nel mare orientale. Ogni giorno uno degli uccelli viaggiava intorno al mondo su carro condotto da Xīhé (羲和) , la regina dell'ovest, la "madre" dei dieci soli.
Ma un giorno questi decisero di uscire tutti e dieci assieme, e come puoi immaginare l'aria si fece rovente e il calore sulla terra insopportabile e minaccioso per la vita.
Il saggio imperatore Yao comandò allora a Yì di usare le sue abilità nel tiro con l'arco per uccidere tutti i soli tranne uno. 

Compiuta che ebbe la sua missione, Yì  venne ricompensato dall'imperatore con una pillola che garantiva l'immortalità, ma l'imperatore avvisò Yì di non consumare subito la pillola ma di preparare il suo spirito pregando e digiunando per un anno. 
Yì riportò quindi la pillola a casa e la nascose sotto un'asse di legno, finché un giorno non fu nuovamente chiamato al cospetto dell'imperatore Yao. In assenza del marito, Cháng'è notò una strana luce bianca filtrare da sotto uno degli assi di legno, e scoprì la pillola, da cui che promanava un profumo irresistibile di dolci e di pane fresco.  
Era così buono quel profumo che, cosa pensi che fece la cretina? L’inghiottì...
Subito si sentì leggera, talmente leggera da poter volare.


Quando Yì tornò a casa e capì cos'aveva fatto Cháng'e s'arrabbiò, e di brutto anche.
Iniziò a sgridarla, al che lei si spaventò e cercando di scappare uscì dalla finestra ma, leggera com'era, se ne volò via, in cielo.
Il marito cercò di seguirla ma fu costretto a tornare indietro a causa del vento troppo forte.
Cháng'è invece continuò a fluttuare nel cielo sempre più leggera, e raggiunse infine la luna.
Tale fu la sua sorpresa che le venne un colpo di tosse da farle sputar via una parte della pillola, lasciandola così sulla luna senza che riuscisse più a volare.
Chiese allora al coniglio bianco che viveva lassù, e che preparava le erbe medicinali per gli dèi, di farle un'altra pillola per poter tornare da suo marito sulla terra. 
La leggenda narra che, ai giorni nostri, il coniglio stia ancora pestando le erbe nel tentativo di preparare un'altra pillola. 
Chissà, magari s'è scordato la ricetta...


Si dice anche che una volta l'anno, proprio durante la Festa di Metà Autunno, Yì sia in grado di visitare sua moglie sulla luna, ed è per questa ragione che in quella particolare notte la luna piena è più bella e luminosa del solito. (1)


- Ah…
- Cosa sospiri? Su, su, l'hai detto tu che siamo in ritardo, no? Sbrigati, allora.
- Sei peggio, molto peggio della babbiona Cíxǐ, credimi.

Per la cino-frolla
300 g    farina 00
200 g    miele leggero (2)
75 g    olio di semi o di mais
In una ciotola mescolare il miele all'olio e al bicarbonato, aggiungere gradatamente la farina e, con una spatola lavorare fino a ottenere un composto omogeneo.
Passarlo sulla spianatoia e lavorarlo ancora un poco, quindi riporlo in un sacchetto per alimenti e lasciarlo riposare in frigo per almeno almeno 40 minuti. Ma anche tutta la notte non guasta.
Se si vuole una pasta un po' più friabile si può aggiungere un cucchiaino scarso di bicarbonato di sodio.


- Nel frattempo che la pasta riposa allora ti racconto la leggenda del Coniglio Lunare. (3)
- Se proprio devi…

Dice la leggenda che tre vecchi maghi sapienti si trasformarono in pietosi mendicanti e chiesero da mangiare a una volpe, una scimmia e un coniglio. 
La volpe e la scimmia avevano entrambi del cibo da dare ai vecchi, ma il coniglio era a mani vuote poiché aveva mangiato soltanto erba, ma era talmente impietosito dalle condizioni dei mendicanti che si sentì in dovere di sacrificare se stesso. 
Offrì quindi loro la propria carne, saltando in un fuoco ardente. 
I tre saggi furono così toccati dal sacrificio del coniglio che lo lasciarono vivere nel Palazzo della Luna dove divenne il "Coniglio di Giada".
Ancora oggi, quando c’è plenilunio la figura del coniglio di Giada appare tra le ombre scure della luna, e quindi mangiare “torte di luna” è anche un modo per ricordare il Coniglio Lunare.

- Povero coniglietto, e dici che sta ancora lassu?
- Certo, se ne hanno prove inconfutabili...


Per il ripieno
Qui c'è l'imbarazzo della scelta.
Solitamente le tortine sono riempite con pasta di semi di loto, ma anche con pasta di azuki, ovvero di fagioli rossi.
Ne basta una confezione da 420 g.
La marca che si trova da noi solitamente è questa, e non è per niente male.


Sembra una marmellata farinosa e consistente, e non troppo dolce, dal sapore delicato e unico.
Volendo ci si può anche accingere a prepararsela in casa, le ricette non mancano...
Se ne ricavano con un cucchiaio tante porzioni che si appallottolano con l'aiuto di un po' di farina.

Altrimenti si può anche utilizzate la
Crema pasticcera al vapore
20 g      farina
40 g      fecola
150 ml  latte
75 g      zucchero
30 g      olio di semi o di mais
2           uova
Mescolare gli elementi liquidi - olio, uova e latte - quindi aggiungervi i secchi - zucchero, farina e fecola.
Amalgamare con una frusta e preparare l'ambaradam: in una padella poggiare una griglia di rialzo - del tipo di quelle da microonde, ma con le gambe più basse - oppure una griglia per la cottura a vapore.
Ricopire d'acqua e poggiare il piatto in cui andrà versato il composto.


Far cuocere a fuoco sostenuto fin quando il lago di crema sarà solidificato anche al centro.
Ci vorrà una ventina di minuti. Verificare sempre con uno stecchino l'avvenuta cottura.
Lasciar freddare la crema, quindi con una spatola toglierla dal piatto e metterla in un sacchetto di plastica per alimenti e lavorarla con le mani per renderla omogenea.


Con questa bella pasticcera soda preparare tante porzioncine grandi quanto un'albicocca che costituiranno il ripieno delle tortine.

Formatura dei tortini lunari
Lavorare la cino-frolla in un serpentone e dividerlo in tante porzioni uguali.
Dalle dosi riportate se ne possono ricavare una decina, ma il numero dipende della grandezza che si sceglie per i tortini.
Stendere ogni pezzo di pasta tra due fogli di carta forno, quindi porre in ogni disco una pallina di ripieno...


... e avvolgerla con la pasta, chiudendo pian piano i lembi.
Quindi, lavorando con delicatezza tra le palme delle mani, formare delle palline, infarinarle leggermente e disporle nello stampino prescelto.


Magari avere uno dei bellissimi stampi di legno tradizionali, con le decorazioni floreali e le scritte di buon augurio in cinese!
O anche uno dei moderni stampini ad espulsione in plastica con le superfici decorate intercambiabili, perché no.


Alle brutte, si possono utilizzare stampini di qualsiasi forma e dimensione: un coppapasta, uno stampo per biscotti, o anche uno stampino da crème caramel.
Premere leggermente la pallina ripiena e farle assumere la forma voluta, quindi separarla delicatamente dallo stampo, poggiandola su una teglia ricoperta di carta forno.
E così via, ad esaurimento ingredienti; e il mio, d'esaurimento, con questo demone malefico che m’intralcia.

- Anche l’incenso dovevi accendere, adesso? Lo sai che non lo sopporto!
- Ma è fior di loto colto sul far del tramonto ma non del tutto sera, una fragranza che si sposa benissimo con gli aromi di cucina, e che…
- Se non te ne vai di là ti spezzo un’unghia!
- Vado!…Cattivo...

Pennellare la superficie dei dolcetti con dell’uovo sbattuto; una prima pennellata, poi cinque minuti di riposo e poi una seconda passata. Devono uscire dal forno belli laccati e color caramello.


Cuocere in forno a 180° per venti minuti, o almeno fino a quando la pasta diventi ben  dorata.
Togliere dal forno e lasciare raffreddare su una gratella.
Conservare in un contenitore a tenuta d'aria.

 
La pasta diventerà morbida e lucente in un paio di giorni. È quello che in cinese si dice  回油 (Huí yóu) ovvero “ritorno dell'olio”, come se la pasta rilasciasse umidità del ripieno e si facesse più morbida.
Il problema è farceli arrivare, a questo stadio di maturazione...
Certo, avrei potuto scriverci sopra le solite frasi beneaugurali in caratteri cinesi, del tipo:  
   (shòu)  lunga vita, salute  
福   (fú)    fortuna  
  (xĭ)      gioia
Ma, come al solito mio, devo stravolgere e personalizzare, e poi l'idea della Signora della Luna, tanto bella quanto sprovveduta e tontolona m'ha fatto venire in mente altri più terreni personaggi.
Quindi cos'ho fatto: ho preparato della glassa reale e con un conetto di carta forno e la mano tremante, nemmeno fossi un ex-alcolizzato, ho provato a scrivere...

Wěn míng xīng
ovvero...  
Baci stellari (4)

Baci stellari e baci lunari...

- Ora ci vorrebbe proprio una pennichella, direi.
- Eh sì, dopo tutta la fatica che hai fatto...
- La conosci la classica poesia cinese sulla luna piena?
- E io che credevo d'essermela scampata... E poi, figurati, ce ne saranno a migliaia...
- Sì, ma senti questa qui. È di Li Qiao, un poeta della dinastia Tang.
- Acciderba, conosci anche poesie in cinese classico? È come se io sapessi Orazio a memoria.
- Macché, te la traduco, no? Sennó potrei anche gorgogliare qualsiasi cosa e tu la prenderesti per buona, ignorante come sei.
- Vai con la poèsia, allora, va...

Li Qiao

Sale nel cielo gelido d'autunno
rotonda e brillante,
quasi un'anima.
La stessa ovunque, dicono,
ma chi sa se oltre, a mille miglia,
la notte ha forse vento o pioggia?

(5)

- Mh, il classico tema della luna malinconica. Non hai niente di meno "formale"?
- Allora senti questa di Lǐ Qīngzhào.
- Ma non è lo stesso di prima?
- Macché, questa è una poetessa, una delle mie preferite. Intorno all'anno Mille della nostra era, durante la dinastia Song, dall'altra parte del mondo viveva una donna molto colta e istruita. E si sa, era figlia di funzionari.
Amava molto scrivere poesie ma, soprattutto, amava essere padrona di se stessa, libera di poter scegliere e di amare senza sentirsi giudicata dalla società che, a quei tempi, non era certo tenera con le donne.
- Un'eroina, insomma.
- Sì, per gli standard dell'epoca una vera e propria anticonformista. Col marito poi condivideva la passione per le lettere, e con lui scambiava spesso poesie d'amore. Anche questo, se vogliamo, è anticonformismo, no?
- E oggi è riconosciuta?
- Eccome se lo è. Il suo stile è detto wanyue, “delicata moderazione", e pensa che nella lingua cinese moderna sono entrate in uso molte delle sue forme per descrivere il dolore e la malinconia, la lontananza e la perdita del proprio affetto.
- E di lei che mi reciti?
- Uno dei suoi poemi più famosi: una luna piena, dolorosa e triste che s'affaccia sulla finestra di ponente...

Luna piena dalla finestra ad occidente.

Profumo di loto rosso che appassisce,
la stuoia verde giada sa d'autunno freddo,
Sciolgo la veste di seta e salgo in barca, sola.
Chi invia la sua preziosa lettera tra i nembi?
Tornano le oche, a schiera, e lui dov’è?
La luna piena riempie la camera a occidente.
Appassiscono i fiori, scorrono le acque,
Lo stesso amore e desiderio,
il lamentarsi di due cuori altrove.
Questo dolore non si placa mai,
Ora che pare alleggerirsi sulla fronte
eccolo pesare ancora sul mio cuore.

- Uh...uh... uh...
- Certo che se lo sapevo non te la recitavo... Su, mangia un dolcetto, dài.
- È perché lo vuoi tu, vero? Brutto infame.. A me mica ci pensi, vero? Uh... uh...
- Mangia, su. A proposito, la conosci la storia della manica tagliata?
- Un'altra storia?... E sarebbe?


Molti, molti secoli fa, ai tempi della dinastia Han, l'imperatore Ai aveva un concubino di nome Dǒng Xián, un ragazzo bellissimo e adorabile, che l'imperatore amava molto. 
Un giorno, dopo il riposino pomeridiano il re volle alzarsi dal letto ma s'accorse che Xián s'era addormentato sull'ampia manica della sua veste. Che fece, allora? Prese una spada e recise di netto la manica del suo vestito pur di alzarsi senza svegliare il suo amato. E da quel giorno ancora oggi in cinese quest'amore si chiama 断袖之癖  (Duànxiù zhī pì), ossia " la passione della manica tagliata". 

- Sempre poetica la lingua cinese... Ma come fai a conoscere tutte queste cose, tu? A quel tempo mica eri nato.
- Certo che no, a nemmeno settecento anni sono ancora un cucciodemone, lo sai. Diciamo che sono un tipo curioso, come tutti i gatti.
- Io propendo per il termine impiccione, altro che quella pora svagata di Cháng'e... E comunque ti prego, Leppa mio, se per caso mi dovessi addormentare sulla tua manica non tagliarla, per nessun motivo. Preferisco essere svegliato da te piuttosto che dalle guardie del museo dove l'hai sottratto.
 - Eh, ma che malfidato!…

Detto cinese del giorno
各 花 入各 眼
gè huā rù gè yǎn
La bellezza è negli occhi di chi guarda. 

Oggi ascoltiamo
古筝 - 月满西楼
Gǔ Zhēng - Luna piena dalla finestra ad occidente.
http://www.youtube.com/watch?v=AeKTVdNknF4
Sì, in Cina i cantanti pop musicano poemi di mille anni fa...

E comunque, dopo tante cineserie, anche:
Caetano Veloso - Tonada de luna llena  
http://www.youtube.com/watch?v=nTcVubBLt9o

祝你们中秋快乐
Zhù nǐmen zhōngqiū kuàilè
Vi auguro una felice Festa di Metà Autunno

月圆花好
Yuè yuán huā hǎo
Buona Luna Piena!
 
Wěn míng xīng
Baci stellari!

NOTE
1) In Rete se ne trovano numerose versioni e la maggior parte delle traduzioni, come quella in Wiki, è dall'inglese. 
2) Le ricette in Rete riportano il Golden Syrup, una sorta di melassa che, come tutti i tipi di "sciroppo di zucchero invertito", dà ai prodotti da forno una morbidezza persistente. Se ne usa il tipo light, quello chiaro, visto che ne esiste anche un tipo più scuro, il black treackle, dal sapore più intenso, che è ottimo nei plumcake al ginger.
Credo sia inutile sbattersi per produrlo a casa propria o svenarsi per acquistare quello d'importazione: è oramai assodato che lo sciroppo di zucchero invertito può essere egregiamente sostituito dal miele, magari un millefiori o uno d'acacia, e comunque uno dal sapore delicato.
3) Quella del “coniglio lunare” è una figura ricorrente nelle mitologie di molti popoli asiatici, per influsso della cultura cinese.
4) Che sì, fa tanto Valeriona nazionale, l'irresistibile tontobambolona. Soprattutto quando è ritratta da Sabina Guzzanti, dove è evidente che nessuna parodia, anche se ben fatta, può riuscire ad eguagliare l'assurda realtà, quella nuda e cruda.
5) Anche qui le versioni sono molto discordati, visto che è arduo tradurre dei versi dal cinese classico ad una qualsiasi delle lingue occidentali. Una delle versioni stra-abusata, ab nauseam, sul Web è questa.

sabato 14 settembre 2013

Biscotti Pantanelli

Ci sono cose che nascono così, per caso, frutto di fortuite associazioni e casuali combinazioni.
Altre invece stanno lì, già bell'e pronte, perfette così come sono nella loro compiutezza circolare, come se finora fossero state nascoste nel Grande Armadio della Vita o Da Qualche Parte Nel Mondo in attesa dell'epifania,  quando con un silenzioso e semironico ta-daaa eccole uscir fuori e palesarsi, lasciandoci a bocca aperta, stupiti e ammirati.
Succede spesso in ogni settore della nostra vita, figuriamoci in cucina.
E allora ci diciamo con stupore, guardando una persona meravigliosa, una soluzione cercata a lungo inutilmente o una ricetta che ci si rivela in tutta la sua semplice bontà: "Ma do' cavolo stavi finora?..."
Ecco, a me 'sta cosa succede sempre, e non so se compiacermi del fatto che il destino mi voglia dare segni di accondiscendenza sparpagliando brandelli d'eternità in un sorriso tanto desiderato, un'idea fulminea ma restia o una ricetta cercata a lungo e mai trovata.
Invece mi sa tanto che questo destino è in realtà un vecchio signore un po' rimbambito - e si capisce, con tutti 'sti millenni che si ritrova alle spalle... -  che ha sempre sulla punta della lingua quello che noi cerchiamo spasmodicamente, che desideriamo con ardente intensità e che ci arrabbattiamo a comporre in misere soluzioni improvvisate.
Lui sa già tutto, perché in effetti sta già tutto li, sulla punta della sua lingua, sull'orlo d'un trampolino che ondeggia e ondeggia, senza tuffarsi mai.

Qualche anno ero solito passare le vacanze in Sicilia, per la precisione a San Vito lo Capo, vicino Trapani.

E non aggiungo altro...

Nelle vicinanze del paese c'è un Area Protetta chiamata Riserva naturale dello Zingaro dove sono contenute delle strutture museali che mostrano quali fossero le attrezzature, le costruzioni e i costumi dell'era contadina.
E, ospiti nella struttura, loro:


Gli asini panteschi, ovvero un'antica razza d'equini originaria di Pantelleria, che si cerca di difendere da un inesorabile e repentino decadimento.
È triste vedere che certe cose sopravvivono solo se protette per legge, e che pervicaci cercano di salvarsi dalla marea omologante che tutto cancella, lottando e annaspando per non essere sommerse.
Che ne è degli asini se è scomparsa la cultura che per millenni ne utilizzava il lavoro?
Cosa succede a una cultura quando una nuova, più moderna, le toglie il terreno sotto i piedi?
Pasolini ne scrisse pagine prima accorate, poi sempre più desolate, d'una disperatazione che non era  bieco passatismo conservatore a tutti i costi ma angoscia d'un uomo di cultura che vedeva sparire sotto i suoi occhi uno stile di vita che era durato dalla nascita della cultura umana.
L'arrivo dello sviluppo senza progresso per lui era vedere recise le proprie e le nostre - e qui è il caso di usare senza retorica un termine stra-abusato - radici, quelle dell'umanità nostra più vera.
È come non parlare più una lingua e relegarla nella fissità museale delle accademie (come è successo al gaelico irlandese, tra le tante); è non cucinare più un piatto che facevano le nostre bisnonne, o perdere una qualsiasi conoscenza artigiana, dimenticando così gesti che sono costati secoli per affinarsi, raggiungere un'economia efficace e dare il meglio di sé.

Non so abbiate avuto mai modo di accarezzare un asino.
Io sono uno che viene spesso preso in giro per la capacità d'essere avvicinato amichevolmente da ogni bestia, mansueta o selvatica che sia, tra i quali anche diversi cani da guardia e persino un vari rosso,


un lemure che, come diceva il cartello del bioparco, era piuttosto mordace, ma da come si faceva grattare la schiena non si sarebbe detto... 
Ecco, uno così poteva esimersi dall'accarezzarei i tre simpatici esemplari che s'erano avvicinati e si spintonavano per farsi toccare il muso e grattare la capoccia?
Sarebbe stato da cafoni rifiutare un contatto...


E se le loro orecchie sono proprio come me l'ero immaginate in anni e anni di Pinocchio, lunghe e setolose di pelo fitto e ispido, il muso ha una pelle d'una morbidezza tale che non ho sentito in nessun altro animale. Non a quattro zampe, intendo.
Be', nemmeno a farlo apposta, rientrato a casa vidi in tv un servizio che vantava le numerose proprietà del latte d'asina.
Non credo fosse una velata propaganda al "metodo Poppea", l'ideale a cui si rifanno tutti coloro che non hanno altro che spregiudicatezza e bella presenza, oltre che una smodata generosità di sé.
Delle proprie pudenda, intendo.
Insomma, tra le varie cose che venivano elencate a base di latte d'asina c'era anche la ricetta di un tipo di biscotti che m'hanno subito incuriosito.
Ora, che io abbia confidenza - e qualcuno dice anche più di una superficiale affinità -  con i miti e caparbi quadrupedi, non vuol mica dire che debba far mia ogni cosa che li riguardi, mi sembrerebbe eccessivo.
Più che la ricetta in sé m'interessava, come al solito mio, la proporzione degli ingredienti, da adattare  leggermente fino a ottenere i miei biscotti, quelli che cercavo da tempo e non trovavo in nessun modo, ma che sapevo celati da qualche parte.
Bastava solo aspettare fiducioso il loro tuffo dal trampolino.

Come non dedicarli allora all'asino di Pantelleria?
Chiamarli Pantanelli mi sembrava il minimo, tanto più che Pantanella era un'antico pastificio romano che per anni d'incuria e disfacimento era diventato un simbolo di degrado urbano.
Ma anche di speranza di rinascita. 

Pantanelli
1 kg     farina
400 g   zucchero
150 g   burro
50 ml   olio semi
200 ml latte (oppure: 150 g yogurt più 70 ml di latte)
3           uova
1 bustina di lievito
1/2 cucchiaino di cannella
1 pizzico di sale, vaniglina, e la scorza grattugiata di un limone.

Per l'impasto al cacao:
Aggiungere due cucchiai di cacao e togliere due cucchiai della dose di farina.
Ah, ed evitare la scorza di limone, va da sé.
Chi l'avrebbe detto, eh?...
 
In una ciotola capiente versare la farina e gli elementi secchi, unire poi le uova, e poi gli altri ingredienti liquidi.
Mescolare velocemente e formare un impasto che andrà fatto riposare per 20, 30 minuti.
Infarinare la spianatoia, stendere con il mattarello e ricavarne le forme che la fantasia può suggerire.
Si può anche dividere l'impasto in due, uno alla vaniglia e l'altro al cacao, per unirli a piacimento in faccine, trecce, pedine di reversi, e mille altre forme desiderate.


Se si vogliono formare delle spirali occorre stendete separatamente due pezzi di pasta, una bianca e l'altra nera, poi pennellate la superficie di una con dell'albume, sovrapponendovi l'altra.
L'escamotage dell'albume permette infatti di unire tra loro in cottura elementi diversi in un solo biscotto. 
Arrotolare e tagliare a misura.


Cuocere a 180° per 15, 17 minuti, e comunque a doratura.
Far raffreddare completamente su una gratella (io uso un cestello piatto di vimini, ma io sono strano, si sa).
Si conservano per giorni e giorni, ma quanti di preciso non saprei dire, visto che sono finiti sempre senza lasciarmi il tempo di verificarlo.
Se infatti il simpatico equino rischia l'estinzione, per questi semplici biscotti da inzuppo l'estinzione è cosa certa.

Detto romano del giorno
Non c'è megghiu sarsa di la fami
Non c'è migliore salsa della fame


Oggi ascoltiamo
Franco Battiato - Un'altra vita

http://www.youtube.com/watch?v=DwAqCgFcx-E

giovedì 12 settembre 2013

Mineshtrina de riso pe Babà

- A zì!
- Eh...
- Ciò fame!
- Ma Babà caro, hai mangiato un'ora fa e già hai fame?
- Mh... Umf... Aaaoooh... - e sbadiglia come un caimano - Che c'è lassopra, zi?
- Roba che non puoi mangiare, roba piccante e salata. Figuriamoci...
- Mh... Dall'odore pare robba bbona... A zì...  Zì... Oh, zì! Me ne dài 'mbezzetto?
- Fila via, su, e scendi a quattro zampe, che sembri ammaestrato per il circo.
- Mango 'mbezzetto piccolo piccolo me nne dài? All'anima che cattivo, che si!
...
- Eh, quand'è brutto esso! E che d'è?
- Fregatene, su, e vieni via, che non è neppure legato!
- Mó cce penzo io! Ahó che vvoi? Vavvia,va, che si brutto come lo demonio!
- Babà! E dai, mica puoi attaccar briga con tutti i cani maschi del quartiere, no? E buono!
- Ma llo vedi? M'ha guardato male, e de siguro me ze magna tutti li groccandini! 'sto bbrutto 'n gu...
- Babà!
...
- Lascia, lascia a me!
- Ma sì scema? 'sta rigulizzia è mia e me la magno io! Lascia te!
- Burino che non sei altro, è una radice di malva... E me la mangio io!


- Babà! La smetti di litigare con Vaniglia?
- Ma essa m'ha detto che sò bburino!...

Ora, so bene che il mondo ha altre priorità,  di sicuro più urgenti delle mie spicciole ambasce quotidiane ma spesso mi chiedo se la questione sia tra l'avere un corso di dizione per cani burini o uno psichiatra migliore per me...
Magari entrambe le cose, chissà.
La cosa che comunque mi lascia sempre basito è l'incapacità della scrittura a rendere pienamente quelli che sono chiamati "elementi extra-testuali", cioè il tono della voce, la prosodia della frase e sì, anche la cadenza dialettale.
Come rendere pienamente per iscritto il parlato di quest'esserino demoniaco che mi scodinzola attorno in perenne ricerca di cibo?
L'unica è ricorrere alla similitudine, e per farlo devo scomodare un nostro grande attore, Nino Manfredi, che era un ciociaro doc.

Era nato infatti a Castro dei Volsci, in provincia di Frosinone, e proprio sull'immagine del burino formò la sua notorietà televisiva: il primo personaggio che lo rese celebre fu appunto "il barista di Ceccano" che col suo accento diffuse il famoso tormentone "Fusse che fusse la vorta bbona!"
Ma altro che barista di Ceccano: Manfredi è stato uno dei pochi attori della sua generazione ad aver studiato all'Accademia e che s'era fatto le ossa non solo nell'avanspettacolo e nella commedia leggera ma anche in drammi teatrali di spessore tutt'altro che burino.
Noi l'abbiamo nel cuore per i personaggi della commedia all'italiana ai quali seppe dare oltre all'intensità del suo volto anche l'umanità e la sobria tenerezza sobria che gli erano propri.
Le sue doti recitative erano davvero notevoli, e una per tutte valga l'episodio L'avventura di un soldato nel film  L'amore difficile del 1962, dove un soldato e una giovane e bella vedova si conoscono nello scompartimento di un treno e il sentimento che nasce tra loro è reso unicamente dalla mimica che li spinge l'uno verso l'altro e dal non-detto che li frena e li allontana.

Loy, Comencini, Zampa, Risi, Magni, Scola, ed egli stesso regista (oltre all'episodio citato sopra c'è un indimenticabile Per grazia ricevuta): dove c'è il grande cinema italiano lì c'è anche Manfredi.
Uno dei suoi film più amati è quello di Dino Risi, Straziami ma di baci saziami, del 1968, che recitò assieme a un portentoso Ugo Tognazzi. Lì il personaggio del burino Marino è in tutto il suo meglio: c'è l'ingenuità e il disincanto, la tenerezza e la passione, la slealtà vissuta in modo conflittuale e il senso dell'amicizia.
Indimenticabili alcune scene, a cui rimando per un veloce excursus:


E micidiali le scene con Scortichini Guido, il presunto amante della sua bella Marisa...


... e l'episodio della trattoria, a cui non so resistere mai:


Ecco, in finale, dovessi dare una voce al berciare del mio amico che scodinzola, annusa tutto e mangerebbe il mondo intero se potesse, userei proprio quella di Manfredi in "Straziami..."
Non credo che Nino s'offenderebbe, anzi, se lo conoscesse gli darebbe una carezza sulla testolina e gli direbbe: "A Babbà, certo che sei proprio bburino!..."

Nella lista "Babà istruzioni per l'uso" stavolta tra i suggerimenti di Sabrina c'era anche quello di perparargli una minestra di riso di cui il principino sembra essere molto ghiotto.
Riporto, per fedeltà di cronaca: "... con zucchine e carote a pezzetti, riso cotto il doppio che x noi e un po' di pezzetti di pollo, macinato o filetti di pesce. Poco olio, no sale. La lasci un po' brodosa e lo fai felice!"

Quindi:
Una zucchina e una carota medie (300 g ca.)
150 g  macinato (o anche petto di pollo a pezzetti, o filetti di pesce)
150 g  riso
un cucchiaio d'olio
Seguo pedissequo le istruzioni, come il mio solito, e metto sul fuoco un bel litro d'acqua, aggiungo le verdure a dadini, al bollore il riso e delle palline di carne macinata...
Dopo venti minuti di cottura il riso è una pappa per noi un bel troppo avanti, ma per lui, evidentemente, non è affatto così...


- Mh... Mh... Mh... A zì, bbona! A zì, arta pappa, eddài! Bbona, bbona, bbona!...
Premetto che questo solo era un a parte dalle porzioni di crocchette che costituiscono i suoi pasti.
Un po' come l'angolino di formaggio, il pezzetto di frutta, il brandello di pane che mi estorce con lo sguardo afflitto e disperato di chi pare non abbia mai mangiato in vita sua.
Il fatto è che non solo gli piace, ma rischio che me se magna pure a me!

Detto dei Castelli del giorno
Si nun si bono lo vino nun viè bè

(Anche se abbiamo due vigne uguali)

Oggi ascoltiamo
Milva - Creola

http://www.youtube.com/watch?v=4ST0rpU9bgs


martedì 10 settembre 2013

Guanciotte, pseudo-pite inaspettate

Delle volte basta davvero poco: una minima variazione, più o meno intenzionale - o magari anche una semplice disattenzione - ed ecco che si crea un sensibile cambiamento nella procedura di lavorazione e, infine, un risultato del tutto diverso.
Spesso anche molto diverso.
In fondo si parte da poche cose, e sempre quelle: farina, lievito e acqua.
Tre cose soltanto, eppure... quanti tipi di pane esistono al mondo?
Ora, non voglio certo spacciare un errore di procedura come una nuova, illuminante scoperta, ci mancherebbe.
Solo dire che ho capito dove sono uscito dal seminato e dove il mio pane è diventato qualcos'altro da quello che avevo in mente.
Magari lo si potesse capire sempre, e per cose ben più importanti di una sfornata di pane.
Se potessimo capire in tempo che proseguendo per una certa strada otterremo altro da quello che ci siamo prefissati, be', quanti problemi, dolori e delusioni riusciremmo a risparmiarci?
In cucina, e specialmente col pane, è tutto più semplice, si sa: se capisci cosa stai facendo bene, altrimenti ciccia.
A meno di essere un erede di Lucrezia Borgia si è sempre indulgenti verso i propri errori, e spesso da questi si riesce anche ad imparare.
Potessimo dire lo stesso della nostra vita...

Insomma, l'intenzione era di fare un pane arabo, una pita, e invece...
Vabbè, faccio prima a spiegare la procedura, va:

Guanciotte (pseudopite)
1 kg        farina 00
500 ml   acqua ca.
25 g        lievito di birra
due pizzichi di sale
due cucchiai d'olio evo.
E qui si ripete la solita procedura tri (o tetra) partita dei lievitati.

Fase del lievitino
Si attiva il lievito sciogliendolo in una ciotola con un bicchiere d'acqua tiepida.
Quando avrà raddoppiato di volume sarà pronto per la fase successiva.

Fase del primo impasto
Nella ciotola si uniscono al lievitino gli altri ingredienti, prima la farina e a mano a mano l'acqua e l'olio.
Il sale si unisce a metà dell'opera, così da non rischiare di bloccare il lievito entrandone subito a contatto.
Si lavora fin quando l'impasto si stacca dalle pareti del recipiente, quindi si rovescia sulla spianatoia e si lavora con forza per una decina di minuti almeno, stirando e battendo, "fino ad ottenere un impasto elastico ed omogeneo" - la solita tarantella, insomma...
E qui il mio "errore fatale": invece di formare subito il pane l'ho fatto lievitare una volta, come faccio di solito col mio pane.
Non mi sono ricordato che il pane arabo va formato subito dopo l'impasto, suddividendolo in tante palline che, leggermente appiattite, dovranno essere lasciate lievitare.
Invece io che ho fatto, locco locco?
Ho fatto raddoppiare l'impasto, poi ho formato le palline, con la piega serrata da bigné - quella che dai lati porta la pasta verso il centro formando una "molla glutinica" - e quindi, sereno e beato, ho fatto rilievitare ancora le palline, che ormai erano diventate dei tarocchi mostruosi.
Qualcuna già iniziava ad acquisire autocoscienza, altre cercavano di fuggire dalla spianatoia rotolando verso il balcone e la libertà, altre ancora urlavano con un sibilo sottile e impercettibile, un grido di cocente, selvaggia, disperazione.




Fase della lavorazione
Che nel caso del pane arabo, come abbiamo visto, segue immediatamente la fase dell'impasto, al quale va poi lasciato il tempo di lievitare - e nemmeno troppo - in sereni, piatti, medaglioni di pane. Arabo, appunto.
Nel mio caso, invece, è stato un compressio vulgaris, un semplice appiattimento delle Godzilla-palle in delle pseudo-pite, delle quali cominciavo ad avere un vago sentore di stravolgimento semantico.


Fase della cottura
Infornare in forno caldo (i classici 180°) per circa 15, 20 minuti, dopo di che si decide se proseguire ancora.
Comunque fino a doratura completa.


Le soavi guanciotte aspiranti
l'aria rovente del forno
inorgoglite di sé alzavan le vesti...

A fine cottura, per non farle asciugar troppo, le ho lasciate raffreddare sotto un panno pulito sul quale avevo vaporizzato aqua simplex.
Lo so, lo so bene, so tutto: non è pane arabo - come potrebbe? - ma qualcosa d'altro: delle saccoccelle vaporose, dalla mollica morbida e avida di sughi, intingoli e ragù.
Alla "Prova della Scarpetta" è ormai appurato:

   Guanciotte: 1        Pane arabo: 0 

Teniamocele così, che a farci l'arabo c'è sempre tempo...

Detto arabo del giorno
يد وحدها ما بتصفق

Ead waHdha maa betSaffeq

Una sola mano non puo' applaudire

Oggi ascoltiamo
كاظم الساهر - بعد الحب
Kadim Al Sahir - Ba'ad Al Hob  

http://www.youtube.com/watch?v=bSoABnoBqaw

domenica 8 settembre 2013

Coccucuzza, una torta vendicatrice

Ovvero: La vendetta di Cassandra.

Mentre la signorina Carlo, lo spassoso personaggio di Anna Marchesini, ama asserire col suo tenero candore "che siccome che sono cecata",
 
io potrei parafrasarne il tono e, con una finta cofana in testa (magari usando il colbacco di pelo renna comprato improvvidamente durante il viaggio di nozze) esclamare: "che siccome che sò n'impiccione..."
Sì, anche se a Roma si dice, con la nostra consueta finesse, "un impicciaca**i", tanto per dire.
Ecco, la curiosità non mi manca, e per fortuna, visto che questa è spesso l'unico criterio per stabilire se in qualcuno vi sia ancora, o meno, una qualche forma di vitalità.
Ma tante volte la curiosità, unita alla sprovvedutezza, o dabbenaggine, o coglioneria che dir si voglia, fa fare cose di cui ci si può, non dico pentire - che tanto son fatte e via - ma che sembrano state utili solo per rimpinguare il curriclum degli errori.
Che poi sì, anche quello serve...
Insomma, tempo fa sfogliando un librone col titolo enigmatico "Enciclopedia dei dolci :Torte" mi convinsi, vista l'autorevolezza della casa editrice, a fidarmi d'una ricetta nella quale, a dire il vero nessuno avrebbe mai creduto.
Nemmeno io ci credevo molto, a dire il vero, e per questo la battezzai Cassandra, la torta alla quale nessuno credeva.
Figuriamoci: zucchine lesse e cacao, tra gli ingredienti... Dove vogliamo andare?
Ma non era malaccio, anzi era, come si dice... "simpatica", come dicono gli uomini di qualcuna non propriamente avvenente.
Qualcosa non mi convinceva ma io, che di primo acchito mi fido sempre di tutti, ho seguito pedissequamente la ricetta senza star lì a pensare se fosse plausibile o meno.
Il problema di quando si fa una torta con delle verdure è che l'acqua da queste contenuta dev'essere "arginata" da un elemento secco.
Nelle torte di carota o di zucca ci sono sempre, solitamente, le mandorle tritate.
Ma si sa, spesso non sono tollerate, per usare un eufemismo...
Nel caso di Cassandra la ricetta prevedeva l'utilizzo di biscotti tritati, novellini e amaretti, quasi a mo' di pangrattato. Ma la cosa non funziona troppo bene, devo dire.
E usare del pangrattato?... Mh, la consistenza non mi convince.
È da un po' che m'è venuta la curiosità di utilizzare la farina di cocco invece delle mandorle tritate, sempre che il sapore sia in accordo col resto degli ingredienti.
E allora, dopo carote e zucche, eccomi a riprovarci con le zucchine, anche dette cocozze o cucuzze.
Quindi che c'è di meglio di una bella torta Coccuzza?

Ingredienti
3        zucchine medie (300 g circa)
200 g farina
150 g farina di cocco
150 g zucchero
3        uova
2 cucchiai di cacao amaro
Una bustina di lievito.
Stravolgimento della ricetta originale: non lessare le carote, che assorbirebbero ulteriore acqua che poi, signora mia, ci vuole la segatura per assorbirla.
La ricetta dell'ottima torta di zucca prevedeva di grattugiare la verdura cruda, e in pezzi nemmeno troppo fini, che altrimenti avrebbero rilasciato acqua. Con le zucchine si può fare lo stesso, e la consistenza dell'ortaggio richiama alla mente lo stesso tipo di lavorazione.
Quindi: in una ciotola grattugiare le zucchine, unirvi le uova e lo zucchero.
Mescolare bene e aggiungere e la farina di cocco e gli altri elementi secchi: la farina e il cacao.
Ultimo venne il lievito.
Versare il composto in una teglia da 24 cm e cuocere a 180° per?... trenta minuti, bravi.


Passibile di variazioni e migliorie, perché no, ma buona.
A questa torta qui posso credere.

Aforisma del giorno
Fiducia è una parola di cui ci si deve fidare troppo.

Adam Phlllips


Oggi ascoltiamo
Michel Petrucciani - Estate

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=seZRVOCUO7U