mercoledì 27 marzo 2013

Pizza di pasqua al formaggio

In genere amo molto ripetermi e cercare in me delle conferme, ma anche sperimentare e provare cose nuove e strade sconosciute.
Mi piace il conforto dei gesti ripetuti dove le mani vanno in automatico, ma anche quel sottile brivido che si ha nel tenersi in equilibrio su una corda diversa dal solito.
È questa tensione che mi fa tenere i piedi per terra e la testa fra le nuvole.
Ma, soprattutto, fa lievitare il giro vita, che già è quello che è...
L'anno scorso ho preparato una Pizza pasquale dolce e quest'anno, per allungare il curriculum, provo quella salata, al formaggio.
È un lievitato diffuso in tutto il Centro Italia, dove ogni borgo ne rivendica pervicacemente la paternità, sia per bieco campanilismo che per utopici calcoli turistici.
Il fatto è che questo amato e martoriato Paese è un mosaico, e non può essere altrimenti.
Un crogiolo di lingue più o meno ufficiali e consapevoli, di usi e costumi frutto di interazioni millenarie col resto del mondo allora conosciuto.
Ed è questa la nostra ricchezza.
Con quanta stupita tenerezza vedo il diversificarsi nell'arco di pochi chilometri di una lingua, tanto da arrivare quasi all'inintelligibilità; e come ci si sforzi di cambiare, anche di poco, anche solo di una virgola, una ricetta pur di avere quella "nostra", la sola "vera" e "inimitabile"...
Certe cose però restano più o meno costanti, e tra queste la Pizza pasquale al formaggio.
Possono cambiare magari le proporzioni tra i formaggi (pecorino e parmigiano) ma, alla fine, è sostanzialmente la stessa ovunque.
Tra le tante ricette in Rete ho scelto quella di Paola Lazzari, riportata a sua volta da Paoletta nel suo blog.
La cosa che più mi ha incuriosito è stata la nota iniziale della ricetta che, come dice Paola, "ha più di un secolo ma viene sempre bene (è della bisnonna di Perugia)".
Per me che non ho conosiuto neppure i miei nonni (e se per questo neppure i genitori biologici, ma questa è un'altra storia...) la cosa ha assunto un sapore irresistibile.
Ansia di radici? Di certezze sedimentate?
Ma no, volevo solanto una ricetta iper-collaudata e sicura che mi potesse soddisfare ed essere ripetibile senza troppe ambasce.
Radici io? E che sò, 'n arbero?...
La riporto pari pari da come l'ha scritta Paola:

"Pizza di Pasqua al Formaggio

Ingredienti:
5 uova
300 g di farina 0
200 g di manitoba
100ml di acqua
25-30 g di lievito di birra (io ne metto 20 gr. e faccio lievitare circa 10' in più)
1 cucchiaino di zucchero
1 cucchiaino di sale (assaggiare)
1 cucchiaino di pepe
5 cucchiai di olio evo (umbro)
50 g di strutto (No sostituti)
250 g di formaggio grattugiato misto (SOLAMENTE Parmigiano Reggiano e Pecorino Romano in proporzione variabile secondo i propri gusti. Metà e metà forse è il giusto mezzo. Se piace più saporita aumentare la quantità di pecorino. Per questo il sale va dosato in base al tipo di formaggi)

Preparazione:
Sciogliere il lievito con lo zucchero nell'acqua tiepida e lasciare fermentare nel bicchiere, meglio se di plastica, per 5-6 min.
Mettere la farina in una ciotola capiente e fare un buco, un pozzetto.
Colare dentro il pozzetto il lievito fermentato del bicchiere e con un cucchiaino prendere un pochino di farina e amalgamare per ottenere una pasta molliccia (tipo ciambellone).
Coprire con altra farina senza impastare, in modo da isolare dall'aria il panetto, e lasciare fermentare 40-50 min. (io ho messo meno lievito e fatto fermentare poco più di un'ora).
Nel frattempo sbattere le uova, unire il sale, il pepe, i formaggi grattugiati ed infine l'olio: lasciar amalgamare i sapori...
Quando il pastello sarà tutto screpolato unire mano a mano l'impasto di uova e formaggio ed impastare con la farina...
Impastare bene e alla fine unire lo strutto morbido. Impastare bene e a lungo. L'impasto è morbido non superare i 600g di farina.
Lasciar riposare l'impasto a temperatura ambiente per 45 min. coperto, (io impasto nella mdp e lo lascio lievitare un'ora) quindi mettelo nella teglia alta, stretta e svasata, ben unta, e far lievitare in luogo caldo fino al bordo della teglia.
Cuocere a 200°C con vapore nei primi 20 min. Introdurre la teglia nel forno appena acceso in questo modo la torta non fa subito la crosta e sviluppa di più. Cottura un'ora circa.
Dopo 45 min. controllare con lo stecco. Deve essere comunque ben asciutta."


Una nota sullo stampo.
Qualsiasi teglia tronco-conica può andar bene, anche se Paola consiglia l'uso di quelle che qui chiamiamo comunemente caldaine o caldaiette.
Questa, per intenderci:
Le dimensioni devono essere: 12 cm in altezza, 16 cm il diametro della base e 21 cm il diametro superiore.
Io ne avevo una più piccola e ho ripartito l'impasto tra questa e uno da budino, facendo così contenta anche la mia cara cavia Elio.
Aggiunge Paola, alla fine:
"Va mangiata dopo 3 o 4 giorni dalla cottura altrimenti non acquista il suo sapore. In pratica fra domani o dopodomani devi farla, se la vuoi gustare la mattina di Pasqua nel pieno del suo sapore. Sono quasi trenta anni che la preparo e ti garantisco che è facile e buonissima. Falla perchè ti darà molta soddisfazione ed è MOLTO più buona di quelle in commercio o dei vari forni."
Come non crederle sulla parola?

Detto umbro del giorno
 La femmena de regazza c'ha 'na léngua e sette vraccia, quann'ha pijatu maritu c'ha sette léngue e'mmracciu sulu
Una ragazza da marito fa bella mostra dei suoi pregi ma una volta sposata appariranno tutti i suoi difetti. (E questo vale altrettanto per i mariti, eh?)


Oggi ascoltiamo
Marco Guazzone & STAG - Guasto

http://www.youtube.com/watch?v=yDiQYyhBmdA

martedì 26 marzo 2013

Torta Binocchia

- Hai finito? Dài, Leppagorre, che devo controllare la posta elettronica!
- Ah ah ah... No, guarda questo! Ah ah ah... Appena il padrone fa con la mano il gesto di sparargli il cane, pòffete, piomba a terra! Ah ah ah... Guarda! Anche un gatto! Ah ah ah... E guarda qui! Pure un criceto! Nooo! Finge di cadere morto con la boccuccia aperta... Ah ah ah.
- Uffa, ma la smetti? Sono due ore che stai appeso ad internet a vedere video di animali che fanno cose strane. Ancora non sei sazio?
- No. Ah ah ah... guarda qui: un micio si infila in una di quelle palline di plastica dove si mette il detersivo per la lavatrice. Ah ah ah... Ti prego, guardalo! È tenerissimo. Ero così una volta, sai?
- Così stupido?
- Ma no, così tenero!
- Ah, ecco. E quando, seicentosessanta anni fa?
- Seisentosessantuno, sette mesi e un giorno, per l'esattezza.
- Appunto. E quante ore?
- Ventuno... No, aspetta... ventidue. Ah ah ah... Ma le lontre che nuotano a dorso zampa nella zampa? Le hai viste?
- Sì. Da un bel po'. (Con gli occhi al cielo).
- Ah ah ah... Sono troppo carine!...
- E dài, che devo controllare la posta!
- Stai calmo, non ti ha scritto nessuno, già lo so. E poi ieri sei stato tutto il pomeriggio a spulciarti  quei blog e a leggere le opinioni altrui. E mentre leggi la vita degli altri la tua passa via. A scrivere versi orribili che nessuno leggerà o a inventare ricette che non interessano a nessuno.
Occhi verdi glaciali, quali non ho visto mai, mi bruciano la retina e fondono la corda di sale che teneva appesa una delle mie zavorre.
- Ma... che ti succede adesso? No, dài, vieni qui!... Che fai?
- Niente, che devo fare? Niente...
- Ma dài, non mi fare così...
- ...
- Volevo solo farti reagire, dicendoti quelle cose.
- ...
- Non puoi chiuderti nel tuo mondo mentre la vita scorre. Questo solo volevo dirti. Certe volte mi sembri fuori dalla realtà.
E detto da lui mi frigge dentro come olio bollente.
- Guardati: non va bene, così. Ultimamente piangi anche troppo spesso. Credi che non ti veda?
- ...

- Vivete così poco voi umani e, allo stesso tempo, siete convinti d'essere eterni. E rimandate sempre a domani quello che poi non farete mai...
Non volevo ferirti, ma solo farti capire di non sprecare la tua vita. È l'unica che hai, ed è meravigliosa. Anche se fai spesso finta del contrario.
E guardami, su.
Mai come adesso avrei voglia che quel pelo folto e rossiccio fosse vero per affondare in un abbraccio e sentirmi completamente avvolto in una coperta di caldo, morbido affetto; che quelle zampe pesanti e lievi allo stesso tempo si posassero sulla mia schiena, e che quelle vibrisse  mi solleticassero le guance, facendomi ridere ancora.

Perché quando hai più bisogno di qualcuno che ti stringa sei sempre solo in casa tua o sotto la metropolitana, tra centinaia di facce sconosciute e indifferenti?
- Vieni qui, su.
- ...
Odora di vento e di rugiaga, d'armadio pieno di vecchie e care cose.
Odora d'incipiente primavera, timida e violenta, e d'assolato autunno di foglie rosse scricchiolanti.
Odora di mare al pomeriggio, languido e accecante di sole, e di calda pioggia estiva che bagna persino l'anima.
Ci sono cose che non si possono dire, neppure a un gattodemone immaginario.
Cose che credevamo d'aver perso e invece erano solo perse di vista.
Perché tutto scorre, è vero.
Ma tutto resta.
- Facciamo pace, va bene? Anzi, facciamoci qualcosa di buono, che dici?
- ...
- Dài, che a me i tuoi versi piacciono. Com'era quello? "Sento tutte le ore che ho perduto"...
- Non è mio, è di Pasolini.
- Ah, vabbè. E quello: "Ricordami... come non sprecare il tempo che mi rimane..."
- Quello è Battiato. Non ne azzecchi una, eh?
- Lo sai che non ci capisco nulla, no?
- Quando ti pare. E mi sa che solo di una cosa t'intedi veramente, tu...
- Eh sì, vediamo se indovini quale!

Facciamo un dolce semplice, ma non troppo tirato via.
E neppure troppo grande: magari bastano anche 15 cm di diametro.
Facciamo... la Binocchia.

Un po' Pinocchia e un po' Bi-Nocciola, come che sia.
La torta delle occasioni da prendere al volo, delle bugie bianche dette e perdonate, degli eccessi da monello e del giocoso incontrarsi tra amici, d'inverno…

Per la base:
Torta alle nocciole
60 g    farina
60 g    zucchero
60 g    nocciole tritate
40 g    burro
1    uovo
½ bustina di lievito
Lavorare a crema il burro morbido con lo zucchero, unire l'uovo e amalgamare bene all'impasto.
Aggiungere i secchi, cioè la farina, le nocciole e il lievito (1).
Mescolare bene e via, nello stampo e in bocca al forno, a 180° per la classica mezz'ora trattabile.

Per la farcia (e direi che due strati bastano e avanzano):
250 g  mascarpone
250 g  panna montata
80 g    crema al latte, come da ricetta.
50 g    arancia candita
50 g    cioccolatini o praline alla nocciola spezzettati
2 cucchiai di zucchero a velo
Mescolare con cura tutti gli ingredienti e, alla fine, la panna montata, nel solito modo: con delicatezza e dal basso verso l'alto, per non farla smontare.

Glassa
È opzionale: si potrebbe usare anche solo della panna montata o della farcia in più.
Ma quando il diavolo ci mette la coda...:
150g    cioccolato bianco
100g    panna
3 fogli di colla di pesce
Far bollire la panna, aggiungere il cioccolato e la colla di pesce (uffa, si: sempre ammollata in acqua fredda e poi strizzata…)
Fra freddare e versare sul dolce, e far raffreddare in frigo un'oretta almeno.
Ai bordi distribuire della granella di nocciole o delle codette di cioccolato.
Ah, e se proprio vi avanza una pralina...

Aforisma del giorno
La realtà è ciò che non scompare quando smetti di crederci.

Philip Kindred Dick (2)

Oggi ascoltiamo
Domenico Modugno - Cosa sono le nuvole
(3)
http://www.youtube.com/watch?v=CKbZlthDld4

NOTE
1) L'avete riconosciuta, vero? È una Quattro quarti modificata in Cinque quinti, avendo aggiunto la nocciola. Stesse proporzioni (sì, un po' meno burro: ma con le nocciole...) e stessa modalità di lavorazione.
2) Il più grande scrittore americano di fantascienza (anzi: di narrativa fantastica ed esistenziale) moderno.
Se non vi è bastato Blade Runner (titolo originale: Ma gli androidi sognano pecore elettriche? Ovvero: Il cacciatore d'androidi) leggere, subito: La svastica sul sole e tutti (e dico tutti) i racconti.
3) Con parole (ispirate dall'Otello scespiriano) di Pier Paolo Pasolini, l'ultimo vero intellettuale italiano dell'era moderna. Ad avercene, oggi...

venerdì 22 marzo 2013

Quattro quarti? Uno. Di tutto...

È il dolce più semplice del mondo, quello che fa dire: uno di tutto ed ecco fatto! Che ce vò?
In Inghilterra è il Pound Cake (cause it's made with a pound of each of four ingredients: flour, butter, eggs, and sugar, my dear), in Francia è  le quatre-quarts, e da noi semplicemente Quattro quarti, oppure Tanto-quanto.
In un ricettario di qualche anno fa, scritto da un cuoco salernitano, era riportato pure come Dolce sciué sciué.
Tanto per dire.
Le proporzioni sono le seguenti: ad ogni uovo vanno aggiunti 60 g di zucchero, 60 g  di farina e 60 g di burro.
E basta.
Ah, se ci fate caso, un uovo medio col guscio pesa, all'incirca proprio 60 g, e quindi i conti tornano: uno di tutto.
Ma chi sarà stato mai 'sto genio che l'ha inventato?
Fin dal tempo delle bisavole, infatti, il peso degli altri ingredienti si ricava semplicemente pesando le uova occorrenti, con tutto il guscio.

Quando prima ho detto "e basta" era proprio per ribadire un punto fermo: come per il Pandispagna, infatti, anche qui non è richiesto il lievito.
Eminenti scuole di pensiero (sì, esistono anche i puristi del 4/4…) dicono che no, no, assolutamente il lievito non va, pena la scomunica!.
Ma questo semplicemente perché non serve, e se qualcuno lo mette è solo per una sorta di insicurezza, o per un inutile scrupolo che tiene a posto una traballante coscienza culinaria.
Ci pensano le uova, infatti, a farlo crescere come si deve.
Be', se poi vi sentite proprio "eretici" una mezza bustina aggiungetela: male non fa e aiuta un po' anche quella.
D'altronde, a ogni cake il suo viagra, no?
E poi io non ho visto niente, eh?...
Ma già che ci siamo mettiamoci almeno il solito pizzico di sale, della vaniglina e un po' di scorza di limone grattugiata.
Questi sì.

Il procedimento è quello della cosiddetta "pasta morbida": si lavora il burro ammorbidito (er pomata: deve essere pastoso ma non fuso) con lo zucchero; si aggiungono poi le uova (magari sbattute), amalgamandole bene una ad una al composto prima di unire la successiva; quindi si unisce la farina, e gli altri ingredienti, se presenti.
La versione ipersoffice prevede la divisione dei tuorli dagli albumi, che verranno montati a neve ferma ed uniti infine al composto con la consueta opportuna cautela: movimenti dal basso verso l'alto con un cucchiaio di legno (e mai con la frusta, che smonta l'impalcatura proteica delle albumine).
Cuocere a 180° per almeno 40 minuti.
Come sempre, fa fede la prova stecchino (o spaghetto, come si preferisce).


Il segreto di questo dolce all'apparenza così semplice sta in tre fattori:
* Gli ingredienti devono essere tutti alla stessa temperatura, quella ambiente. Tirare quindi fuori dal frigo le uova e il burro almeno un'ora prima.
* Lavorare bene il composto: il burro a crema dev'essere spumoso, e gli eventuali albumi a neve devono apportare un ulteriore quantità d'aria che renderà il tutto ancora più soffice.
* Come per ogni impasto montato non attendere molto per infornare: appena versato nella teglia via in forno, pena il lento e ineviabile collasso.

Dosi per una torta da 20 cm di diametro:
3    uova
180g    farina
180g    zucchero
180g    burro
Altre dosi:
 24 cm        4 uova (e 250g di farina, burro, zucchero)
 15 cm        2 uova (e 120g di farina, burro, zucchero)

Ora, lo si capisce da sé: anche qui c'è il Quinto Elemento, ed è la Fantasia.
Lo si vuole al cacao? Aggiungere un cucchiaio di cacao, un cucchiaio di latte e togliere un cucchiaio di farina dalle dosi.
Siamo indecisi? Dividiamo l'impasto in due e lo varieghiamo metà e metà, per non far torto a nessuno.
Per una versione invernale? Aggiungere dell'uvetta e/o frutta candita e/o frutta secca sbriciolata (150 g + 100 g + 70 g, per la dose da 4 uova).
E per la versione torta de mamma? Aggiungere delle mele a pezzetti, nell'impasto. E anche un po' di cannella e scorza di limone (e dello zenzero, se piace).
Insomma, come per la pizza, qui conta la base e la fantasia ma, come per la pizza, evitare gli ingredienti troppo acquosi.

La 4/4 è la Lucy delle torte, la granma-cake di tutta una serie di dolci che chiamiamo in un altro modo ma che, a ben vedere, si riconducono tutti a lei: il Plumcake e i Cupcakes sono la forma diversa di una stessa sostanza, i suoi figli diretti.
Poi viene la Sacher, la Torta alle nocciole (o alle noci), che a rigore andrebbero chiamati Cinque quinti... e così via, in un'infinità di combinazioni.
Tutte bbone, ovviamente.

Aforisma del giorno
La fantasia non fa castelli in aria, ma trasforma le baracche in castelli in aria.

Karl Kraus, Pro domo et mundo, 1912


Oggi ascoltiamo
Evgenia Laguna - Il dolce suono & Diva song (da "Il Quinto Elemento")
http://www.youtube.com/watch?v=-dwdiq8xBro 

Nel film Diva Plavalaguna, l'aliena azzurra e capocciona, unisce l'aria della Lucia di Lammermoor di Donizzetti con un brano trance.
È impressionante invece sentirlo eseguito dal vivo, nell'esecuzione di una stufefacente cantante russa che, guarda caso, si chiama Evgenia Laguna...
Ah, 'ste russe!...
Qui il brano originale del film.

martedì 19 marzo 2013

Minestra di riso flavonata

- Sì, col cavolo!
- Ma insomma, Leppagorre, che ti piglia? Hai di nuovo perso a tresette con Behemot?
- No, dico: la minestra... è quella col cavolo rosso, no?
- Ah sì, certo, quel bel cavolo rosso che abbiamo preso, tagliato a listarelle e lessato in acqua salata.
- Quello che aveva quell'acqua di cottura blu-violacea così buona?
- S-sì. No, non dirmelo! Non dirmi che te la sei bevuta!
- No, no! Solo un po'! Per sentire com'era... E non fare quella faccia!
- Un po'?... E l'altro po' dov'è andato a finire? Oh, ma che domande faccio? Tu non muovi una paglia e non puoi mangiare nulla se non c'è nessuno che agisca per te. Sei solo il solito bugiardo, come tutti i demoni. Che puoi averci fatto mai? Che c'è?
- Prometti di non chiudermi nello  sgabuzzino?
- Non prometto nulla, soprattutto a uno buciardo come te! Insomma?
- Posso donarti un fiore per fare pace?
- Guarda che non attacca con me. E non ci provare a battermi i pezzi, che non mi fidanzo con un demone felino!
- Tieni...

- Ci hai colorato i garofani! Però! Che bravo...
- Pace fatta?
- Mica tanto. Adesso mi serve altra acqua blu-viola.
- E quindi?
- Quindi, io scendo dal fruttivendolo. E tu entri nello sgabuzzino. Fila!


Per una minestra di riso e cavolo ci serve (lo so, sembra una trautologia) un cavolo rosso lessato in abbondante acqua poco salata.
Poi riso: 80 g a persona, più o meno.
- C..nto! H... fa...e!
- Zitto, che già hai fatto danno, per oggi.
Soffriggere mezza cipolla media in un paio di cucchiai di olio evo.A fuoco bassissimo, sennó....
- È a..ara!
- Vabbene, su, esci fuori.
Quindi unire il riso, farlo insaporire per pochissimo nell'olio cipollato e aggiungere l'acqua di cottura del cavolo, circa una tazza, tanto per cominciare.
Controllare sempre il tempo di cottura consigliato sulla confezione del riso.
- Perché, scuoce?
- Più che altro perché a metà cottura bisogna aggiungere il cavolo rosso e farlo andare d'amore e d'accordo col riso. Ed è anche il momento di aggiustare di sale.
A cottura ultimata un filo d'olio evo e via, senza tante storie.


Stornelli romani del giorno
Fiore de viola
nun famme l'occhi dorci, nun attacca
So già che de sicuro c'è la sòla (1)
fiore de viola

Fior de giacinto
te credi che de 'n fiore m'accontento
Lo vedi pure da te che è 'n fiore finto
fior de giacinto

Fior de giardino
nun fa l'occhioni, che nun me te compri
e rientra dentro quello sgabbuzzino
fior de giardino

Oggi ascoltiamo
Prince - Purple Rain

http://www.youtube.com/watch?v=aYOLEF-N3oQ

NOTE
1) Sòla, ovvero fregatura, imbroglio, inganno, oppure oggetto difettoso o inadeguato: dare, fare una sola a uno; prendere una sola; questo vestito è una sola.

lunedì 18 marzo 2013

Mirtaccio mio!

Ovvero:  Su licòre de murta

Poteva mancare? Certo che no!
Dico io: uno ama una terra, i suoi colori, i suoi profumi, i sapori, la gente e poi, che fa, non prova a fare il liquore di mirto in casa?
Be' devo dire che è stata una gestazione lunga, ma alla fine ha dato un buon risultato.
In realtà l'artefice di tanto splendore non sono io, che mi ritengo solo l'umile esecutore materiale in quanto essere semovente, ma lui:


Mirtuccio, il sacro arbusto (1), che è entrato in casa e s'è intallato sul balcone a novembre.
Aveva una miriade di bacche ancora verdi, troppo acerbe per qualsiasi cosa, e allora l'ho lasciato adattare, riposare, e prendere confidenza con l'aria della periferia romana.
Quasi a fine anno le bacche erano già tutte nere, ed è iniziato il raccolto: 600 g per una pianta sola non sono male, no?

Fare il mirto in casa non è poi così difficile.
Si mettono le bacche in un recipiente a chiusura ermetica che sia grande abbastanza da contenere sia le bacche che l'alcool.
Si coprono le bacche con l'alcool e si lascia riposare al buio e al fresco per almeno 40 giorni, agitando di tanto in tanto (almeno ogni due giorni) il recipiente.
Trascorso questo tempo si filtra l'alcool dalle bacche di mirto, strizzandole con delicatezza attraverso  un telo di cotone per ricavarne le essenze che avranno assorbito.
Si prepara quindi uno sciroppo facendo bollire acqua e zucchero, miscelandolo all'essenza una volta che sia ben freddato.
Si filtra di nuovo, si imbottiglia e lasciar riposare il liquore ottenuto per un paio di mesi almeno, in un luogo fresco e buio.
Volendo si può procedere ad una seconda filtrazione, per eliminare eventuali sedimenti o residui, ma spesso non è necessario.

Certo, in Rete le ricette di liquore al mirto abbondano, e spesso sono contrastanti per quanto riguarda le dosi dello sciroppo da aggiungere all'essenza.
Di sicuro, ad occhio, c'è che quando si ottiene un dato volume d'essenza e si aggiunge un pari volume di sciroppo d'acqua e zucchero, la gradazione alcolica originaria si dimezza, e così via.
Me se uno volesse fare le cose meno pecione-broccione-alla carlona del solito?
Ho cercato, studiato e provato e ho capito che c'è del metodo anche in questo campo, come in tutte le cose.
Le domande erano riconducibili a una sola: avendo messo a macerare delle bacche (o delle scorze, delle foglie o delle spezie) in alcool a X° quanto sciroppo di acqua e zucchero aggiungere, e in quali proporzioni, per ottenere un liquore a Y°?
Più zucchero? Meno zucchero? E quanta acqua?... Ohibó!
Poi qualche nota illuminante m'ha fatto capire che esiste una proporzione tra il grado alcolico di partenza e quello finale, e tra la quantità di zucchero e il tipo di liquore che si vuole ottenere.

Mettiamo di aver messo il nostro ingrediente a macerare nell'alcool: si otterrà un'essenza con volume Ve e dalla gradazione alcoolica Ge.
Se si vuole ottenere un liquore dalla gradazione Gliq, quanto sciroppo Vs dovrò aggiungere all'essenza?
La formula è la stessa della riduzione del grado dei liquori, ossia:

Vs=(Ge-Gliq)* Ve / Gliq

cioé: V (sciroppo da aggiugere) = (G essenza - % finale)* V (essenza) / G finale.
Nel mio caso avevo: 600 g bacche + 1500 ml alcool puro al 95°
Dopo la macerazione ho ottenuto 1400 ml di essenza
Volendo ottenere un liquore di gradazione pari a 42° (proprio quello del famoso Zedda&Piras...) occorrono:

Vs = (95 - 42) * 1400 / 42 = 1770 ml di sciroppo (da aggiungere all'essenza)

Se volessi uno liquore mediamente dolce dovrei seguire i consigli che vedo scritti ovunque: metà acqua e metà zucchero...
Ma io vorrei un liquore non troppo dolce, quindi scelgo di fare così: 75% acqua + 25% zucchero
Nel mio caso quindi 1325 ml acqua (75% di 1770 ml)
Ne segue che occorrono 1770 - 1325= 445 ml di zucchero

Ma attenzione! Anche lo zucchero ha un volume, e ogni kg di zucchero apporta in una soluzione (o sciroppo che sia) i suoi 625 ml di volume.
Questo perché il Peso specifico dello zucchero è 1,6 kg/l (e infatti 1000 g diviso 625 ml dà appunto 1,6)
Quindi: Peso Zucchero = Volume Zucchero x 1,6
Se siamo ancora svegli applichiamolo al mio caso: 445 ml di zucchero equivalgono perciò a 445 x 1,6 = 712 g zucchero

Dopo aver consumato i tasti dalla calcolatrice si otterranno quindi:
Volume del liquido totale = (Volume dell'essenza + Volume Sciroppo), ovvero:  1400+1770=3170 ml.
Ovvero tre litri e passa di buon mirto casalinguo.

Avoja (2) a beve!
Se poi volessi fare le cose ancora più scicche, cercherei delle bottiglie cosiddette liriche (quelle da 50 cl belle dritte e strette) in cui travasare il mirtaccio da regalare.
E a questo punto sarebbe bello avere anche delle etichette personalizzate da attacccare con cura alle nostre bottiglie.
Ho gia due idee: una con il cuccumiao allucinato...

L'altra con la marmotta...

Ora dico: ma che c'entra la marmotta, montana e alpina, con un arbusto del piano mediterraneo?
Niente, certo.
Ma provate a farvi un bel bicchierozzo di buon mirto e il legame tra le due cose diverrà subito chiaro, solido e tangibile...

Detto sardo del giorno
Faeddos de cara non perdent amistade.

Parole leali non fanno perdere l'amicizia.

Oggi ascoltiamo
Roger Hodgson (Supertramp) - Lord is it Mine

http://www.youtube.com/watch?v=zPsMHLQLMVg

NOTE
1) I greci, che la sapevano lunga e vivevano immersi nella poesia delle cose l'hanno battezzato semplicemente myron, ovvero profumo. Così, puro e semplice. L'alloro, il ginepro e la menta stanno ancora rosicando da allora...
Si chiama anche mortella, ma dubito che qualcuno conosca ancora questa parola, che sa molto di polveroso Ottocento, di monumenti bronzo/marmorei (orribili) alle Glorie Patrie e di quella stantia e naftalinica ipocrisia chiamata decoro borghese.
È originario dell'Africa (come tutti noi, del resto) e per gli antichi era consacrato a Venere, e quindi simbolo dell’amore e della poesia amorosa, cosicché si usava cingere di corone di mirto il capo dei partecipanti ai conviti e dei poeti, soprattutto amorosi.
Nel linguaggio poetico è rimasto simbolo della gloria poetica e della poesia: Tanto fu dolce mio vocale spirto, Che, tolosano, a sé mi trasse Roma, Dove mertai le tempie ornar di mirto (Dante); talora anche dell’amore: Desiosa di lauro e non di mirto (V. Monti), di gloria guerriera e non d’amore; secco è il mirto (Foscolo), il sentimento d’amore, o l’ispirazione amorosa della poesia; Il titano giacea senza ghirlande, Senza lauri né mirti, Sol coronato del suo crin selvaggio (D’Annunzio, «Per la morte di G. Verdi»).
fonte: Enciclopedia Treccani.

2) In italiano "hai voglia", locuzione molto usata a Roma e in Toscana per indicare:
- l’inutilità di insistere in un tentativo:
    Hai voglia a chiamarlo, non può sentirti!,
    Avete voglia di ripeterlo, non vuole capire!
- l'accezione negativa di "enorme lacuna di tempo o di spazio"
    -Si, hai voglia ad aspettare! (ossia: puoi aspettare quanto vuoi, ma non succederà, o ci vorrà molto tempo)
    - Hai voglia a cercare le chiavi, non ci sono proprio! ( puoi cercare le chiavi quanto vuoi che comunque non le troverai mai, visto che non ci sono.)
- l'accezione positiva di forte desiderio, significando "moltissimo"
    - Ti andrebbe? Hai voglia!
    - Ti sei divertito? Hai voglia!
- l'accezione positiva per dire "è vero, chiaro"  "eccome, certamente, altroché"
    - Non trovi che sarebbe stato molto meglio andare in taxi invece di prendere l'autobus? Hai voglia!
    - Certo che quel tipo è proprio uno sbruffone! Hai voglia!

venerdì 15 marzo 2013

Fave e sivoni fanno i figli buoni

Fa sempre piacere riassaporare cose che s'erano perse nel dimenticatoio dell'esistenza: la maddalenina di Proust, in fondo, è solo un simbolo del tesoro ritrovato in un labirinto in cui sembravano persi i particolari più remoti della nostra vita.
Ma fa ancora più piacere conoscere sapori nuovi e farsi sorprendere da quello che sembra assimilarsi a ciò che conosciamo e che poi, con il candore dell'ovvietà, ci spiazza e ci fa restare in quel delizioso bilico in cui non sappiamo dire né sì né no.
E non importa cosa diremo o penseremo dopo: in realtà, quel che conta è quell'istante di curiosità, il lampo di straniamento nel nostro comune sentire che ci dà l'illusione di vivere altrove e ci fa credere di appartenere a un mondo ancora più vasto, senza steccati o pregiudizi.
Cibo per la gola, per il cuore e per la mente, quindi.
Sono così anche i posti e la gente nuova: con le sue abitudini, più o meno distanti da noi, le sue lingue che si aggrovigliano alle nostre orecchie curiose, i suoi pregi e i difetti che sono poi quelli dell'Altro, sia esso il rassicurante vicino oppure lo sconosciuto abitante agli antipodi del mondo.
Questo per dire che il dono di un cibo che non si conosce è sempre una benedizione, perché spinge a capire come va preparato, come va consumato, e con cosa s'accompagna.


Non conoscevo nemmeno l'esistenza del sivone (Sonchus oleraceus), una cicoria selvatica dal sapore dolce e leggermente agrumato simile a quello dell'ortica.


E non sapevo neppure che è una di quelle erbe spontanee, come la cicoria comune, che fanno parte della cultura alimentare di vaste zone del nostro bel Sud.
È detto infatti u s'vaun o u s’ von, nei vari dialetti che vanno dalla Basilicata alle Puglie.
Cercando in Rete ho anche scoperto che è ricco di omega3, ossia gli acidi grassi essenziali che tanto vengono decantati per la nostra salute. Una ragione in più per provarli.
Il pacco dono conteneva anche, tra le altre cose, una busta di fave secche... è troppo!
La tentazione di provare fave e sivoni è stata irrefrenabile.

Fave e sivoni
250 g    fave secche
250 g    sivone (cicoria selvatica) mondata e lavata
1/2    cipolla rossa
olio evo e sale q.b
Se non si ha  LEI...

... mettete le fave a bagno in acqua tiepida per una notte, poi scolarle e cuocere in acqua fino a che tenderanno a disfarsi (basterà un'oretta circa).
Con la pentola a pressione, invece, è un attimo: si risciacquano le fave e si mettono con tre bicchieri d'acqua a cuocere per 20 minuti dopo il fischio.
A parte lessare in acqua salata i sivoni mondati e tagliati a pezzi, quindi scolarli tenendo da parte l'acqua di cottura.
Con un cucchiaio di legno (e sì: anche col frullatore a immersione, perché no?) lavorare le fave a crema, allungando, se occorre con l'acqua di cottura della cicoria, quindi unire un filo d'olio pugliese, forte e piccante, per amalgamare.
Far appassire la cipolla a fuoco dolcissimo, quindi unire la crema di fave, far insaporire qualche minuto e aggiungere la cicoria.
Cuocere per pochi minuti, il tempo di amalgamare bene tutti i sapori.
C'è chi cuoce fino a che si crei una crema omogenea favo-sivonica, ma ognuno ha le sue preferenze, e in cucina è bene non avere dogmi (tranne quello di NON unire MAI cozze e marmellata; ma lì si va sul penale: ATTI SCEMI IN LUOGO PUBBLICO).

Il pane abbrustolito o raffermo è ovviamente il letto ideale su cui far riposare la crema favo-sivonica.
Qui ho voluto invece comporre una sorta di zuppa-panosa ai flavonoidi.


Suppa cuata ai flavonoidi
Occorre, in primis, l'acqua di cottura del un cavolo rosso, che tanto ha dato e dà all'umanità...
Ne basta uno, che utilizzeremo poi... a piacere.
In uno stampo da plum-cake, oliato sul fondo, si dispongono delle fette di pane, si irrora con l'acqua violacea, si aggiungono delle sottili fette di cacio fresco, si inneva di parmigiano grattugiato, e si ripete l'operazione per tre strati.
Il pane dev'essere ben imbevuto, come per la suppa cuata classica, quindi si passa in forno per una mezz'oretta, si fa raffreddare leggermente e quindi si serve.
Assieme alla crema favo-sivonica, ovvio.

Ah, qui c'è anche un accenno di un'altra scoperta della gastronomia pugliese: la ricotta forte.
Eh, ma mica si può dire tutto assieme, no?...

Detto pugliese del giorno
Meggh'j no dè a lanter'n 'men 'o c'chet.
Meglio non dare la lanterna in mano al guercio.

Oggi ascoltiamo
Negramaro - Estate

http://www.youtube.com/watch?v=LU5ceDPWL1w

Ah, scrivere su Giuliano Sangiorgi è vietato: proprio non si può...

mercoledì 13 marzo 2013

Involtini casuali di verdure

Veloci veloci, buoni buoni, da contorno o anche da secondo, specialmente se preceduti da un  buon piatto di pasta.
Sì, certe volte quasi mi vergogno a scrivere post come questo, ma tant'è: anche le cose semplici a volte sono quelle che danno più soddisfazione e sono poi suscettibili di molteplici variazioni.
Si usano zucchine o melanzane di media grandezza, che vanno tagliate a fettine per la lunghezza e fatte grigliare in forno caldo per circa cinque minuti, anche meno.
Non devono cuocere completamente o rischiano di ammorbidirsi troppo; l'importante è che si riesca ad arrotolarle per avvolgere il ripieno.
Quale ripieno?
   Leggero: prosciutto cotto e mozzarella;
   Medio: pancetta arrotolata e scamorza (anche affumicata, perché no);
   Maiale: speck (o coppa emiliana; la lonza, per noi romani) e caciotta stagionata ben piccante.
Ho solo gettato l'amo in un mare di ricche possibilità...
   Marino: gamberetti (o una coda di mazzancolla) saltati nell'aglio e formaggio fresco;
   Porcino: funghi porcini stufati e grattatina di grana e/o pecorino (e pizzichino di prezzemolo tritato);
   Teutonico: wurstel, senape e primosale;
Insomma, qui davvero si può giocare con il cilindro delle frasi casuali, non so se c'è ancora chi se lo ricorda.
Si parla di oggetti dell'epoca pre-pc, quindi l'età della pietra, praticamente.
Era composto da un cilindro su cui erano avvolti diversi anelli di cartoncino su cui erano scritte parole o brevi frasi; allineando a piacere, in modo casuale, il primo anello coi successivi si otteneva, sempre e comunque, una frase di senso compiuto.
Ecco, facciamocelo in casa, per gioco: sul primo anello scriviamo vari tipi di insaccato o di carne (o anche pesce, molluschi e crostacei), sul secondo anello i diversi tipi di formaggio (dal dolce al piccante), sul terzo le spezie e gli aromi.
E poi facciamolo andare a caso...

Una volta avvolta la fettina di verdura sul tipo di ripieno prescelto la si fissa con degli stuzzicadenti e si ripassa in forno caldo per una decina di minuti, il tempo di completare la cottura della verdura e far fondere il formaggio all'interno.
Semplice e appetitoso.


Aforisma del giorno
La semplicità è la forma della vera grandezza.

Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, 1870/71

Oggi ascoltiamo 
Queen - Don't try so hard
http://www.youtube.com/watch?v=Z6PoCdrdtOM
Triste ogni volta vedere i filmati di Freddie nell'ultimo periodo: così fragile, troppo magro per i suoi abiti, talmente truccato da sembrare l'ombra di ciò che era stato...

lunedì 11 marzo 2013

Cioccolino amoroso, e dudù dadadà...

Ti chiama al telefono l'UPA (Unione Parenti e Affini) per il consueto pranzo e/o cena in occasione di qualche festività, che all'inizio ti sembra la solita riunione stucchevole e nella quale invece scopri, alla fine, quanto piacere ci sia nel riabbracciare le persone che ami.
Ti chiama il GAS (Gruppo Amici Stretti) per la classica seratina tra persone che si conoscono ormai da anni e che, stranamente, hanno ancora tante e tante cose da dirsi, a differenza di parecchi rapporti di coppia decennali che vedi aleggiare intorno inconsistenti, stantìi e avvolti dalla muffa .
Ti chiama l'APA (Associazione Pinguini Abbandonati) per organizzare la solita cena con annessa raccolta fondi per sostenere una nobile causa che dopo anni riesce ancora a far leva sui tuoi sensi di colpa più biechi e viscerali e, in aggiunta, ti alleggerisce anche di un sostanzioso spicchio di risorse monetarie.
Insomma, in qualunque situazione e in qualsiasi ambiente ti possa venire a trovare, e a dispetto anche delle etichette marmoree a cui siamo (o non siamo) avvezzi, si può sempre ricorrere a un dono d'effetto che sia meno effimero di un dolce che, pur se ben fatto, ha spesso la stessa valenza di una piroetta di Nurejev in un momento di grazia.
Un liquore, soprattutto se fatto in casa, fa sempre effetto.
Specialmente se poi se ne beve più di mezzo litro a testa...
Insomma, se si vuole creare una magica atmosfera, se occorre un carezzevole sollievo, se stasera si riunisce la CCC (Congrega Cuori Calpestati), allora non servono altre parole: prendete i bicchierini (magari anche quelli di cioccolato, perché no...), guardate negli occhi gli amici, i parenti, i conviventi o conniventi, ma anche i semplici commensali e versate un dito di liquore.
Un dito soltanto, che porterà, già si sa, a un inevitabile braccio al completo.
Questa dose è per circa due litri di nettare, quindi regolarsi di conseguenza in caso di avvisaglie di carenze di serotonina.


Occorrono:
160 g     cacao
700 g     zucchero
1 l          latte
300 ml    alcool
Si può rendere più ricca la cremosità del liquore sostituendo il litro di latte con 500 ml di latte e 500 ml di panna liquida.
Se si vuole invece un liquore meno cremoso e più "leggero" sostituire il latte con pari quantità d'acqua, ma il sapore e la consistenza risulteranno, per forza di cose, assai diversi.
Unire tra loro gli elementi secchi e stemperare pian piano con i liquidi intiepiditi.
Mescolare bene, magari anche con un frustino, per evitare possibili grumi.
Continuare a mescolare sul fuoco per mezz'ora circa, cercando di non far raggiungere il bollore.
Una volta che si sia leggermente addensato far raffreddare e quindi unire l'alcol, mescolando bene per rendere la crema omogenea.
Imbottigliare e conservare in frigo.
Se possibile, e so che è difficile, quasi impossibile, lasciar riposare per un paio di settimane almeno prima di consumare.
Al momento di servirlo va sbattuto bene poiché la parte alcolica tende a separarsi dalla parte cremosa.

Versi del giorno
To fill a Gap
Insert the Thing that caused it -
Block it up
With Other - and 'twill yawn the more -
You cannot solder an Abyss
With Air.
Per chiudere una falla


Per chiudere una falla
devi inserirvi ciò che la produsse -
Se con qualcosa d'altro vuoi richiuderla
ti si spalancherà sempre più grande -
Non puoi colmare un abisso
con l'aria.


Emily Dickinson 1830 - 1886

Oggi ascoltiamo
Giuni Russo - Amore intenso
http://www.youtube.com/watch?v=70CZW0KT5IE

C'è trippa pe gatti (finalmente!)

- Ecco, sei contento? Così per almeno una settimana, spero, non starai lì a tampinarmi come un picchio sulla coccia! Anche se ho i miei dubbi, conoscendoti.
- Era ora! Non lo so, io: uno chiama questa specie di blog "Nun c'è trippa pe gatti" e poi non solo mi ci mette in mezzo, senza che gliel'abbia chiesto ma, cosa più grave, aspetta un anno per pubblicare la "trippa al sugo alla romana". Boh...
- Senti, Leppagorre, ora sai che faccio? Ti passo sul fornello come il pollo spiumato e poi ti ripasso nel sugo della trippa, va bene? Così facciamo "trippa coi gatti"!
- Uh, quanto sei suscettibile di questi tempi! Si vede che invecchi come una zitella della provincia più profonda. Mh, mi sa che dovrò guardarmi in giro per una panza meno vetusta della tua, che tra un po' mi lascerà orfano...
- Tiè! E sai che nova c'è? Ti chiudo nello sgabuzzino!
- No, lo sgabuzzino, no! Non c'è neppure uno specchio lì dentro! Ti prego, scusascusascusascusa! Non mi lamenterò più!
- Pussa via, in castigo! Fila!
- ... C...tt..vo!...
- Me la magno tutta iooo! Pappappero!
- ... Z...t..lla ac..da!...

Eh, quando ci vuole ci vuole, sennó questi demoni prendono il sopravvento e alla fine divento come la povera Linda Blair nell'Esorcista, con la testa che frulla come quella d'un cuccumiau e la bocca bavosa che urla frasi sconnesse.
Quasi come adesso, a pensarci bene...
Ma torniamo alla trippa, che è meglio.
Se il cioccolato è per eccellenza theobroma, ossia cibo degli dei, la trippa sta al suo diretto opposto.
È, come dire, demobroma, ovvero cibo del popolino.
Per secoli, mentre i ricchi romani si facevano preparare pranzi luculliani coi tagli di carne più pregiati, la sora Jole di turno prendeva dal venditore ambulante ciò che era a portata delle sue tasche, il cosiddetto quinto quarto.
E nemmeno tutti i giorni, visto che la carne era il cibo delle grandi occasioni o delle feste comandate, visto il costo proibitivo.
Che strano però, eh? quando si dice cucina romana non si intende quella sfarzosa e ostentata delle famiglie patrizie, non il coscio d'agnello tartufato o il filetto di bue ma, giustamente, la trippa, la coda alla vaccinara e la pajata che, oltre a essere appetitose, richiamano alla mente l'ingegno nel ricavare qualcosa di buono, anzi d'eccellente, da quelli che erano ritenuti gli scarti della macellazione.
La trippa la coda, la coratella e la pajata sono i veri monumenti culinari a quelle donne sconosciute che vivevano nelle casette piccole e ammassate dei quartieri secolari della vecchia Roma, le Ines(e), le Nine e le Marie che hanno perpetuato la capacità più difficile d'una "donna di famiglia": far vivere i propri cari con poco e niente, ma con gusto.

Come ben riporta Jajo nel suo blog di cucina, romanità e quant'altro:
"Nelle trattorie romane, e più generalmente laziali, il giorno deputato al consumo della trippa era istituzionalmente il sabato. Anzi, tradizione vuole che, eccetto in periodo di Quaresima, il menu della settimana romana fosse così "stabilito":
lunedì brodo e bollito;
martedì polpette alla romana (che un tempo si facevano utilizzando la carne del bollito);
mercoledì frattaglie e coda (in quanto il mercoledì, con il sabato, era il giorno del macello dei bovini);
giovedì gnocchi (generalmente di semolino, in previsione del venerdì di magro);
venerdì (giorno dedicato alla penitenza, anche in cucina) baccalà (spesso con i ceci, tanto che ancora oggi le salsamenterie ed i banchi dei mercati sono soliti, il venerdì, esporre un cartello con su scritto "oggi baccalà e ceci ammollati") oppure, in inverno, minestra di arzilla (un tipo di razza) con broccoli;
sabato trippa (le carni di maggior pregio, macellate il sabato, erano destinate alle famiglie nobili e benestanti; quindi il popolo si accontentava degli scarti, il cosidetto "quinto-quarto": animelle, rognoni, pajata, trippa, coda, corate... alla fine dei conti praticamente il meglio...);
Mentre la domenica ci si poteva concedere un po' di carne o della pasta."

Ecco perché ancora si dice: giovedì gnocchi e sabato trippa, anche se il banco della macelleria la propone tutti i (santi) giorni e nulla ci vieta, come molti fanno, di preparare un bel piattone di gnocchi la domenica.
Credo che oggi solo alcune mense aziendali rispettino l'ombra di quell'antico calendario, col pesce il venerdì e gli gnocchi di giovedì.

Insomma, per preparare la trippa, che è un misto di diversi stomaci del bovino, occorre dapprima lessare quella che sarebbe altrimenti una cotica immangiabile.
Si prepara una bella pentola d'acqua bollente con foglie d'alloro, due o tre chiodi di garofano, sedano, cipolla e  carota e... tanta pazienza. Almeno dalle tre alle cinque ore, schiumando ogni tanto.
Oggi, prodigio della tecnica (e del consumismo), la trippa si trova già precotta e confezionata in vaschettine pronte all'uso da circa 700 g, sufficienti per 4 persone.
Perché dovremmo rifiutare le comodità dei tempi moderni? Mica siamo ancora ai tempi di Giuseppe Gioacchino Belli, pace all'anima sua.
La nostra bella trippa, lessata o prelessata che sia, va quindi tagliata a striscioline larghe un dito.
Si prepara intanto un trito (er battuto) di carota, sedano, grasso di prosciutto, peperoncino.
Io ho usato un cucchiaio di strutto, che va bene lo stesso.
Si rosola il tutto per cinque minuti, si aggiunge la trippa e si lascia insaporire.
Si versa quindi un bicchiere di vino con tre foglie di lauro.
Una volta che il vino è evaporato si aggiunge il passato di pomodoro e si lascia cuocere il tutto per un'altra mezz'ora.
Qui le dosi sono alquanto soggettive. C'è chi la preferisce poco sugosa e chi ama l'intingolo.
Per vocazione faccio parte della seconda categoria, e quindi:
700 g   trippa
1 l        passata di pomodoro
A fuoco spento si aggiunge un trito di menta romana (la mentuccia) e un'abbondante manciata di pecorino, o anche un misto di parmigiano e pecorino.
Si fa riposare un paio di minuti al coperto e poi... a tavola, con un'altra nevicata di pecorino.


Bona de giorno, bona de sera...


... e pure er giorno appresso, cor sugo dentro a 'n ber piatto de pasta...


- Su, che è pronto. Esci fuori da lì.
- Proprio adesso... che mi stavo divertendo!
- Ma come divertendo...
- Che buono quello lì... quello... vedi? Anzi, quelli... ma perché non smettono di dondolare?... Ma quanti sono?...
- Leppagorre! Ti sei bevuto le bottiglie di mirto che avevo messo a riposare sul ripiano in alto!
- Ah... ecco... erano più di una... ecco perché mi gira tutto... tutto.... tutto....
- Maledetto, poi facciamo i conti! Intanto la trippa, a costo di scoppiare me la mangio da solo. E con un chilo di pane da scarpetta!
- Cenerentolaaa... è tardi... è mezzanotte... la scarpettaaa!...

Detto romano del giorno
'Ndove nun c'è er guadambio, la remissione è ccerta.

Dove non c'è guadagno la perdita è certa.


Oggi ascoltiamo
Piero Ciampi - Il vino

http://www.youtube.com/watch?v=9XT-YGZC6vw

E, perché no, anche la Sora Lella che prepara la trippa
http://www.youtube.com/watch?v=lvGPYwAT1Q0

domenica 10 marzo 2013

Cocorònis de turta. Ovvero: Cake-pops sardi sardi

Niente: quando mi fisso su qualcosa non c'è cristochettenga; prima o poi ci devo provare.
Parlo della cucina, ovvio, che per il resto sono alquanto inamovibile.
Ora, non è che stia parlando di chissà che cosa, eh?
In questo blog, come in altri della stessa risma, non si fanno mica operazioni a cuore aperto: spesso ci si diverte dando, nel migliore dei casi, qualcosa di buono (in tutti i sensi) all'umanità.
O alle proprie cavie...
Le grandi idee poi nascono così: per interpolazioni, ibridazioni e incroci che nemmeno il genetista più folle saprebbe escogitare.
Si sa: le cose migliori, come i popoli, le persone, le lingue, le ricette, nascono dall'incrocio di aspetti differenti di una stessa cosa. La bellezza dei brasiliani, per esempio (ma anche di noi italiani, a dire il vero), è dovuta proprio alla mistura genetica che ha tessuto, dal bianco al nero, un'arcobaleno di meravigliose sfumature.
Quando Angie Dudley, in arte Bakerella, s'è inventata un modo geniale per riciclare i pandispagna in surplus, ha solo fatto quello che ogni nonna faceva in casa con la carne avanzata: delle polpettine.
L'idea della polpetta unita al dolce è un colpo di genio, bisogna ammetterlo, e dà risultati divertenti, oltre che gustosi.
Quello che volevo fare, da qualche tempo, erano i Cocorònis (1) de turta:


Un bel vassoio di dolcetti ispirati ai personaggi salienti dell'Isola del vento, la mia Sardigna amada...
Certo, per farlo ho dovuto fare altre prove culinarie per accumulare il materiale di lavorazione: pandispagna, cake o ciambelloni d'ogni sorta. E quella è solo la base.
Per circa 400-500 g di cake (che può essere il pandispagna reduce dal livellamento d'una torta di compleanno o un cake d'avanzo alle mandorle o al cioccolato o allo yogurt o...) occorre del "collante" (l'analogo delle uova per le nostre amate polpettine di carne), che può essere:
- crema al burro;
- confettura del gusto preferito (dal sapore non troppo marcato sarebbe meglio: albicocche o prugne, per esempio);
- crema spalmabile alla nocciola (Lei, o la tarocca, fa lo stesso; io ho usato la bicolore, per non scurire troppo l'impasto);
- mascarpone o formaggio spalmabile;
- crema ganache al gusto preferito.
Insomma, la libertà di scelta è l'unico dolce obbligo di questa ricetta.
Si sbriciola la torta in una ciotola, si unisce un cucchiaio alla volta la crema-legante, si amalgama bene con le mani fino a formare un composto omogeneo che possa essere lavorabile con le mani.
Le dosi del legante sono molto indicative, visto che dipendono molto dall'umidità e dalla consistenza della torta di base.
Si formano delle palline, proprio come se si facessero delle polpettine, e si dispongono su un vassoio ricoperto di carta forno, quindi si lasciano riposare almeno un paio d'ore in frigo (o un quarto d'ora nel congelatore), il tempo necessario per farle rassodare.
Poi.... Scatenate l'inferno! 
Preparate delle ciotoline di cioccolato fuso (fondente, al latte, bianco), delle codette di cioccolato, della nocciola (o mandorla) tritata, della granella di zucchero, zuccherini colorati e un chilo, un chilo e mezzo di fantasia (dovrebbe bastare...)
Le palline, ben sode di frigo, si immergono nel cioccolato e quindi si decorano a piacere.
Se sono piccine si possono infilzare con dei bastoncini da lecca-lecca, o anche con degli spiedini, e messe ad asciugare su un sostegno di polistirolo.
Se invece le preferite paccutelle, usate dei pirottini.
Credo di non aver dimenticato niente. Ci sono, infatti:

I Nuragheddos, cioè i nuraghetti:


Con pandispagna al cioccolato e marmellata di prugne, avvolti nella nocciola tritata e con della pasta di zucchero verde grattugiata 'n coppa per simulare l'erbetta...


Le Berbèghes (2) ovvero le immancabili pecore:


Di ciambellone e pseudonutella, con faccetta di cioccolato plastico al latte e granella di zucchero per la lana...


I Sirvoneddos (3) ossia i cinghialetti, altra specie tipica:


Con pandispagna al cacao con fintonutella, pelo di granella di cioccolato e cioccolato plastico per i grugni...


Le Bisèras (4) ovvero le maschere del carrasecare sardu, unico al mondo.
Abbiamo quindi gli immancabili Mamutones:



Pandispagna e quasinutella, cioccolato plastico per la maschera e MMF per il fazzolettone.
Ah, anche le codette di cioccolato per il vello che portano sulle spalle e MMF giallo per i campanacci...


Tra le tante maschere sarde, m'affascinano le forme stilizzate e modernissime dei Boes (i buoi) di Ottana:


Solito cake e sintonutella, con granella di nocciole per il vello di pecora e cioccolato plastico per le maschere...


Ci sono pure loro, i Mufroneddos (5), i mufloni sardi, dritti dritti da... Muflonia:


Non troppo precisi, purtroppo, ma nelle intenzioni il pelo sarebbe dovuto essere di codette di cioccolato. Il resto cioccolato plastico al latte e MMF bianco per le corna...


Poi il vero simbolo della Sardegna, una sorta di colomba della pace dell'isola, la Pibiaghena (7) ovvero la pavoncella, vero topos della decorazione nelle ceramiche sarde:


Pandispagna e sintonutella, cioccolato plastico bianco per la copertura, la testina e le ali, MMF arancio per il becco e le penne vezzose...


E, dulcis in fundo, poteva mancare lui, il vero portafortuna dell'isola? Su Cucumiao (6):


Di cake al cioccolato e falsonutella, cioccolato plastico fondente per la ricopertura e MMF giallo e arancio per i particolari...

Insomma, un'allegra compagnia, non c'è che dire:


Ecco, in realtà c'erano anche le Janas, le fatine sarde, ma destino ha voluto che finissero i loro brevi giorni nella mia panza prima d'essere immortalate qui, assieme agli altri.
Erano troppo invitanti e non ho resistito.
E loro, da brave fate, si sono sacrificate di buon grado..

Detto sardo del giorno
Sa consientia est qu'et i su cori-cori, quie lu timet et quie non. 

La coscienza è come il solletico, vi è chi lo teme e chi no.

Oggi ascoltiamo
Cecilia Concas - Amore

http://www.youtube.com/watch?v=C8Bt-BwylHU
Bella, brava e promettente.
Con la voce di Gianni Denanni e la fisarmonica di Fabio Manconi.

NOTE  
(riporto le diverse grafie dialettali dei termini, secondo il dizionario sardo on-line di Mario Puddu)
1) cocoròni = cosa a còcoro, cosa tundha, ammurutulada (corpo rotondo, palla, globo).
2) barbèghe, barbèi, barveghe, berbeche, berbeghe, berveche, berveghe, beveghe, brabei, brebè, brebei, brobei, ebrei, verveche.
3) pocràbu, polcabru, polcavru, polciavru, polcrabu, porcalvu, porcapru, porcavru, porcrabu, porcrapu, procalvu, purcavru porcu de silba, areste o àvrinu, sibròne, sibròni, silvone, siprone, sirbone, sirboni, sirvone porcu de sirba, areste o àvrinu.
4) bisèra = visera zenia de caratza ’e linna chi si ponen sos mamutones a carrasegare (visiera di legno che si pongono i mamutones nel carnevale).
5) mufròne, mufròni, murvone, murvoni, muvlone, muvrone, muvroni.
6) pibiaghèna, pipiaghena, pipingena  gavigaví, pediàina, piulaghe, pizaena.
7) cucumèa, cucumeu, cucumiài, cucumiàu, cucummiau.

giovedì 7 marzo 2013

Smurfominestra di Flavonoidi del cavolo e Quenelle di zucca in viola

Ovvero: Viaggio nel meraviglioso mondo dei flavonoidi.

- Sono arrivati! Sono arrivati!
- Chi, Leppagorre?
- I Flavonoidi!
- Chi sono, un gruppo punk superstite degli anni '80? Qualcosa del tipo:

SOLO PER QUESTA SERA

AL BATTELLO UBRIACO

I FLAVONOIDI

H 22.00 
Ingresso a sottoscrizione

- No, no. Meglio, molto meglio!
Questa volta non posso dirgli nulla.
Sono stato io, è tutta colpa mia: l'ho visto sul banco del fruttivendolo e non ho resistito.
Non l'avevo mai mangiato, e tantomeno mai cucinato, ma chi ama pentole e fuochi prima o poi ci casca:  la curiosità fa sì prima o poi si compri quell'oggetto sconosciuto ma tanto affascinante che non si sa neppure come mondare e cucinare.
E prima che quel demoniaccio felino intervenisse ho allungato la mano e l’ho arraffato.
Che l'abbia talmente assimilato da comportarmi come lui, se non peggio? Spero di no...
Eccolo: sembra una verza, e lo è; lo lavo, lo taglio e lo butto in acqua bollente con poco sale.

Dopo nemmeno cinque minuti l'acqua diventa blu, un blu scuro, misterioso, affascinante, mai visto in un cibo se non con l'ausilio dei coloranti più o meno artificiali.

Guardo le foglie di cavolo, quasi cotte, e vedo che sono anch'esse d'un colore tra il violaceo e il blu notte.
Meraviglioso...
È da un bel po' che non getto più via l'acqua delle verdure lessate, ma la conservo in un'apposita bottiglia in attesa di cucinarci una minestra di riso oppure una zuppa.
Mia madre invece mi raccontava che ai suoi tempi le vecchie comari una volta lessata la cicoria colta nei campi ne bevevano acqua perché, dicevano, "fa bene". Hai capito le bisavole? già sapevano quello che a noi deve dire la scienza o, nel peggiore dei casi, la televisione.
Certe volte invece è strano come si sia poco permeabili alle informazioni in cui si è immersi.
Si capisce: siamo bombardati da notizie e dati più o meno importanti ed il nostro cervello
per non andare in over-load si mette in protezione.
I nostri nonni sapevano solo una frazione minima di quello che oggi sa una persona di media cultura e oggi c'è la Rete, che da bacheca mondiale è diventata una miniera inesauribile d'informazione.
Sapendola discernere, ovvio.
Questo per dire che chissà quante altre volte, anche nelle rubriche più o meno salutistiche, m'è sicuramente capitato di leggere dei flavonoidi, quella schiera di portentose molecole che spesso mandiamo giù senza nemmeno rendercene conto.
E che riservano delle ottime sorprese...
Ne ha descritto ottimamente la natura Dario Bressanini, il Chimico, in questo post.

I flavonoidi sono quelle molecole responsabili della pigmentazione di frutta e verdura…
- Ah, allora niente punk?
- No, Leppagorre. Vai, accendi lo stereo e metti i Ramones, che è meglio.
- A tutto volume, vero?
- Eh sì, sennó che gusto c’è?
Allora…(se riesco a pensare, con i timpani bombardati dalla musica!): i composti fenolici, di cui
fanno parte i flavonoidi, sono una grande famiglia di molecole organiche presenti negli organismi viventi, e tra i flavonoidi si distinguono le antocianine...
- No non c'è, è uscita.
- Chi, Leppagorre?
- Nina. È uscita.
- E che c'entra Nina?
- Ma come, tu mi chiedi: "Antò, c'è Nina?" e io ti rispondo.
 - A parte che... oh, lascia perdere. Mi stai diventando sordo? I tuoi seicento e passa anni si stanno facendo sentire, eh?
- Sì, come questo pezzo dei Ramones.
- Già... Ma poi, scusa, tu mica ti chiami Antonio.
- Come no, è uno dei miei 222 nomi. Puoi chiamarmi Tony, se lo preferisci...
- Ma pussa via!
.. le antocianine, quindi, che già da quel –cian nella radice fanno pensare all'azzurro di molta frutta e verdura.
Queste sono infatti le molecole che tingono di blu i mirtilli, di viola l’uva nera, di rosso le ciliegie e le fragole e di rosso violaceo la cipolla e il cavolo rosso, appunto.
Sono anche utilizzate come colorante naturale, e vengono estratte dalla buccia dell’uva nera.
Ma quello che interessa non è tanto il fattore colore, anche se dà via a risultati interessanti, ma alle sue qualità per la salute.
Queste molecole infatti agiscono da potenti antiossidanti e negli ultimi anni vari studi hanno suggerito una relazione tra il contenuto di antocianine di frutta e verdura e gli effetti protettivi rispetto a molte malattie.
Che il mirtillo faccia bene alla vista,
favorendo anche l'adattamento all'oscurità, e migliori la sensibilità della retina, prevenendo le patologie degenerative è oramai cosa assodata.
- Eh, sì, visto come mi muovo bene al buio, io, grazie al mirtillo?
- No, tu ti muovi bene al buio solo grazie a quegli enormi occhi da gatto, altro che mirtilli!
- Non me ne passi una, eh?
- Taci!
Insomma, le antocianine
forniscono le vitamine A, B1, B2, C, PP e U; sono ricche di acido folico e sali minerali (fosforo, calcio, ferro, magnesio e zolfo);  aiutano a depurare l’organismo, abbassando il colesterolo cattivo; prevengono (non si sa ancora come) il diabete; aiutano a prevenire i danni delle pareti arteriose, e quindi a evitare le malattie cardiovascolari; aumentano le difese immunitarie e, dulcis in fundo, le 36 varietà di  antocianine contenute proprio nel cavolo rosso sembrano proteggere anche contro il rischio di tumori. (1)
Insomma, non è affatto vero che il cavolo non conti un cavolo!
Ah, e ci vogliamo dimenticare dei flavonoidi del cioccolato? Non sia mai!
Tanto maggiore è la percentuale di cacao nel cioccolato e tanto superiore è la presenza di flavonoidi, in media
50-60 mg per 100 grammi di fondente. Hai detto niente!  
Incuriosito da tutte queste proprietà ma digiuno…
- Tu, digiuno?…Ahahahhahah... Uahahahahah.... Ihihihihihihih....b
asta...Ahahahhahah... ti prego...non ce la faccio!...
- Mi fai finire? Uffa…
...di chimica (figuriamoci quella organica) e ancor più di medicina,  mi sono concentrato invece a fare esperimenti per capire la natura cromatica delle antocianine.
Queste, come ci insegna Bressanini, all’aumentare del pH cambiano colore passando dal rosso al blu.
Sono la norma gli esperimenti di chimica nei quali dal nostro bel vegetale rosso violaceo viene estratto l’indicatore naturale del pH.
La cartina da tornasole fatta in casa è infatti ricavata proprio dal cavolo rosso bollito.
Guarda, guarda…
In presenza di un elemento acido che diminuisca il pH (aceto o succo di limone) il sugo del cavolo (sembra una imprecazione, ma è detto con affetto) vira verso il rosso mentre se vi si scioglie un po’ di bicarbonato di sodio (che invece è molto alcalino) il pH sale e il viraggio tende al blu.
Questa cosa ha MOLTE implicazioni culinarie, che sono poi quelle che più mi interessano.
Prepariamoci quindi delle:

Quenelle di zucca in zuppa viola
600 g      polpa di zucca
150 g      farina
50 g        grana grattugiato
1              uovo
Mescolare ben bene fino ad ottenere un composto morbido e cedevole.
Se dovesse risultare troppo liquido aggiungere del grana, se troppo sostenuto un poco di latte.
Far bollire l'acqua del cavolo rosso, e tuffarvi l'impasto a mucchietti, aiutandosi con due cucchiaini bagnati, formando delle quenelle.
Cuoceranno quasi subito, appena si affacceranno a riprendere aria come le orche dell'artico spegnere e versare in una scodella o, meglio ancora, in una ciotola di vetro, per apprezzare il colore della zuppa.





Come si chiamavano i Puffi in lingua originale? Ah, sì:
Les Schtroumpfs (che suona davvero come un’offesa da lavare con pH 8).
In inglese invece, lingua più tesa all’alveolo-palatale, vengono detti The Smurfs.
Be’, allora facciamoci pure una Smurfominestra, no?
E pure ricca di flavonoidi, tiè.

Smurfominestra coi flavonoidi.
Esperimento cianotico, questo, e solo per giocare.
Ma intanto faccio ribollire il succo di cavolo rosso e aggiungo sale q.b.
Oh mon dieu! (si fa per dire…)
La temperatura, l’acqua, la pentola: qualcosa lo spinge inesorabile verso il viola.
Ohibó! Halloween è passato e il viola quest’anno non va più molto. Che faccio?
Prendo una punta, piiiccola, di bicarbonato e la tuffo nel sughino.
Sembro sempre di più Maga Magò, mentre apro barattolini e maneggio polveri d’ogni tipo e colore.
E mentre m'affannavo a capire come e cosa mettere in pentola lui, Ciccioblublu


se ne stava tranquillamente seduto ad aspettare, fiducioso che l'azzurro farebbe di certo tornato.
Chi meglio di lui per accompagnarmi negli esperimenti di Cucina in Blu?
Shhhhh… La reazione fa salire una schiuma verdastra e quindi abbasso il fuoco, mescolo bene bene e…
Torna l'azzurro!
Tuffo la pastina all'uovo, dei grattini, nella minestra e faccio cuocere i pochi minuti che servono.
Et voilà, la Smurfominestra è servita:




 
Nemmeno un’ajo e ojo saprebbe essere così semplice ma così bella. (2)
Senza dire che poi è anche ben saporita.
Di cavolo, ovviamente.

Aforisma del giorno
Non c'è blu senza il giallo e senza l'arancione
Van Gogh

Oggi ascoltiamo
Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu 

NOTE
1) Ricerca, presentata all’American Chemical Society da ricercatori dell'Ohio University.
Henry Scowcroft, del Cancer Research britannico, ha dichiarato: "Nonostante questo sia solo un piccolo passo in avanti, va sottolineato come questa analisi ci aiuti a comprendere esattamente come e quanto alcune sostanze contenute nella frutta e nella verdura abbiano proprietà anticancerogene". 
Il motivo per il quale le antocianine si sono dimostrate dei potenti preventivi del tumore ed in molti tumori abbiano azione addirittura terapeutica nel far regredire la massa tumorale resta sconosciuto.
Una delle ipotesi più accreditate è quella mitocondriale.
Si è visto che le antocianine attivano la catena mitocondriale dell’ossigeno promovendo maggiormente per la cellula un ossigenazione aerobica in contrasto di quello che fa il tumore che salta i mitocondri e si avvale di una glicolisi anaerobica.
In pratica le antocianine impedirebbero questo processo, causando di conseguenza una morte del tumore, o perlomeno lo bloccherebbero e ne impedirebbero la diffusione per via metastatica.
Un ulteriore studio di laboratorio condotto
dai ricercatori del servizio di ricerca agricola (Agricultural Research Service - ARS) del dipartimento americano dell'agricoltura ha portato in evidenza che alcune varietà di antocianina possiedono un effetto antiossidante doppio rispetto alla vitamina C.
Tale effetto, però, non è stato ancora testato sull'organismo umano.
L’ultimo in ordine di tempo si riferisce a un esperimento fatto sui topi in cui si è constatato che le antocianine, presenti nella maggior parte del cibo rosso-bluastro, possono inibire le cellule del cancro al colon. In particolare l’inibizione di queste cellule, con la somministrazione di alcuni alimenti, si è verificata in una percentuale che va dal 50 all’80 per cento dei casi e in generale il 20 per cento delle cellule malate sono state uccise dalle molecole in questione.
Inoltre, i ricercatori sono riusciti ad identificare 36 diverse varietà di pigmenti nella verdura in questione, otto in più di quanto precedentemente noto.

2) L'aggiunta di parmigiano grattugiato causa uno ulteriore slittamento del colore della minestra verso il viola, ma la pasta resta blu.