lunedì 11 marzo 2013

C'è trippa pe gatti (finalmente!)

- Ecco, sei contento? Così per almeno una settimana, spero, non starai lì a tampinarmi come un picchio sulla coccia! Anche se ho i miei dubbi, conoscendoti.
- Era ora! Non lo so, io: uno chiama questa specie di blog "Nun c'è trippa pe gatti" e poi non solo mi ci mette in mezzo, senza che gliel'abbia chiesto ma, cosa più grave, aspetta un anno per pubblicare la "trippa al sugo alla romana". Boh...
- Senti, Leppagorre, ora sai che faccio? Ti passo sul fornello come il pollo spiumato e poi ti ripasso nel sugo della trippa, va bene? Così facciamo "trippa coi gatti"!
- Uh, quanto sei suscettibile di questi tempi! Si vede che invecchi come una zitella della provincia più profonda. Mh, mi sa che dovrò guardarmi in giro per una panza meno vetusta della tua, che tra un po' mi lascerà orfano...
- Tiè! E sai che nova c'è? Ti chiudo nello sgabuzzino!
- No, lo sgabuzzino, no! Non c'è neppure uno specchio lì dentro! Ti prego, scusascusascusascusa! Non mi lamenterò più!
- Pussa via, in castigo! Fila!
- ... C...tt..vo!...
- Me la magno tutta iooo! Pappappero!
- ... Z...t..lla ac..da!...

Eh, quando ci vuole ci vuole, sennó questi demoni prendono il sopravvento e alla fine divento come la povera Linda Blair nell'Esorcista, con la testa che frulla come quella d'un cuccumiau e la bocca bavosa che urla frasi sconnesse.
Quasi come adesso, a pensarci bene...
Ma torniamo alla trippa, che è meglio.
Se il cioccolato è per eccellenza theobroma, ossia cibo degli dei, la trippa sta al suo diretto opposto.
È, come dire, demobroma, ovvero cibo del popolino.
Per secoli, mentre i ricchi romani si facevano preparare pranzi luculliani coi tagli di carne più pregiati, la sora Jole di turno prendeva dal venditore ambulante ciò che era a portata delle sue tasche, il cosiddetto quinto quarto.
E nemmeno tutti i giorni, visto che la carne era il cibo delle grandi occasioni o delle feste comandate, visto il costo proibitivo.
Che strano però, eh? quando si dice cucina romana non si intende quella sfarzosa e ostentata delle famiglie patrizie, non il coscio d'agnello tartufato o il filetto di bue ma, giustamente, la trippa, la coda alla vaccinara e la pajata che, oltre a essere appetitose, richiamano alla mente l'ingegno nel ricavare qualcosa di buono, anzi d'eccellente, da quelli che erano ritenuti gli scarti della macellazione.
La trippa la coda, la coratella e la pajata sono i veri monumenti culinari a quelle donne sconosciute che vivevano nelle casette piccole e ammassate dei quartieri secolari della vecchia Roma, le Ines(e), le Nine e le Marie che hanno perpetuato la capacità più difficile d'una "donna di famiglia": far vivere i propri cari con poco e niente, ma con gusto.

Come ben riporta Jajo nel suo blog di cucina, romanità e quant'altro:
"Nelle trattorie romane, e più generalmente laziali, il giorno deputato al consumo della trippa era istituzionalmente il sabato. Anzi, tradizione vuole che, eccetto in periodo di Quaresima, il menu della settimana romana fosse così "stabilito":
lunedì brodo e bollito;
martedì polpette alla romana (che un tempo si facevano utilizzando la carne del bollito);
mercoledì frattaglie e coda (in quanto il mercoledì, con il sabato, era il giorno del macello dei bovini);
giovedì gnocchi (generalmente di semolino, in previsione del venerdì di magro);
venerdì (giorno dedicato alla penitenza, anche in cucina) baccalà (spesso con i ceci, tanto che ancora oggi le salsamenterie ed i banchi dei mercati sono soliti, il venerdì, esporre un cartello con su scritto "oggi baccalà e ceci ammollati") oppure, in inverno, minestra di arzilla (un tipo di razza) con broccoli;
sabato trippa (le carni di maggior pregio, macellate il sabato, erano destinate alle famiglie nobili e benestanti; quindi il popolo si accontentava degli scarti, il cosidetto "quinto-quarto": animelle, rognoni, pajata, trippa, coda, corate... alla fine dei conti praticamente il meglio...);
Mentre la domenica ci si poteva concedere un po' di carne o della pasta."

Ecco perché ancora si dice: giovedì gnocchi e sabato trippa, anche se il banco della macelleria la propone tutti i (santi) giorni e nulla ci vieta, come molti fanno, di preparare un bel piattone di gnocchi la domenica.
Credo che oggi solo alcune mense aziendali rispettino l'ombra di quell'antico calendario, col pesce il venerdì e gli gnocchi di giovedì.

Insomma, per preparare la trippa, che è un misto di diversi stomaci del bovino, occorre dapprima lessare quella che sarebbe altrimenti una cotica immangiabile.
Si prepara una bella pentola d'acqua bollente con foglie d'alloro, due o tre chiodi di garofano, sedano, cipolla e  carota e... tanta pazienza. Almeno dalle tre alle cinque ore, schiumando ogni tanto.
Oggi, prodigio della tecnica (e del consumismo), la trippa si trova già precotta e confezionata in vaschettine pronte all'uso da circa 700 g, sufficienti per 4 persone.
Perché dovremmo rifiutare le comodità dei tempi moderni? Mica siamo ancora ai tempi di Giuseppe Gioacchino Belli, pace all'anima sua.
La nostra bella trippa, lessata o prelessata che sia, va quindi tagliata a striscioline larghe un dito.
Si prepara intanto un trito (er battuto) di carota, sedano, grasso di prosciutto, peperoncino.
Io ho usato un cucchiaio di strutto, che va bene lo stesso.
Si rosola il tutto per cinque minuti, si aggiunge la trippa e si lascia insaporire.
Si versa quindi un bicchiere di vino con tre foglie di lauro.
Una volta che il vino è evaporato si aggiunge il passato di pomodoro e si lascia cuocere il tutto per un'altra mezz'ora.
Qui le dosi sono alquanto soggettive. C'è chi la preferisce poco sugosa e chi ama l'intingolo.
Per vocazione faccio parte della seconda categoria, e quindi:
700 g   trippa
1 l        passata di pomodoro
A fuoco spento si aggiunge un trito di menta romana (la mentuccia) e un'abbondante manciata di pecorino, o anche un misto di parmigiano e pecorino.
Si fa riposare un paio di minuti al coperto e poi... a tavola, con un'altra nevicata di pecorino.


Bona de giorno, bona de sera...


... e pure er giorno appresso, cor sugo dentro a 'n ber piatto de pasta...


- Su, che è pronto. Esci fuori da lì.
- Proprio adesso... che mi stavo divertendo!
- Ma come divertendo...
- Che buono quello lì... quello... vedi? Anzi, quelli... ma perché non smettono di dondolare?... Ma quanti sono?...
- Leppagorre! Ti sei bevuto le bottiglie di mirto che avevo messo a riposare sul ripiano in alto!
- Ah... ecco... erano più di una... ecco perché mi gira tutto... tutto.... tutto....
- Maledetto, poi facciamo i conti! Intanto la trippa, a costo di scoppiare me la mangio da solo. E con un chilo di pane da scarpetta!
- Cenerentolaaa... è tardi... è mezzanotte... la scarpettaaa!...

Detto romano del giorno
'Ndove nun c'è er guadambio, la remissione è ccerta.

Dove non c'è guadagno la perdita è certa.


Oggi ascoltiamo
Piero Ciampi - Il vino

http://www.youtube.com/watch?v=9XT-YGZC6vw

E, perché no, anche la Sora Lella che prepara la trippa
http://www.youtube.com/watch?v=lvGPYwAT1Q0

Nessun commento:

Posta un commento