sabato 3 agosto 2013

Casu marzu, casgiu fracicu... sì, insomma: il pecorino coi vermi

Succede, piano piano, senza preavviso, e basta un nonnulla.
La moschedda arriva, guidata dall'odore forte e invitante, scava lesta lesta con le zampine la scorza ancora molle del formaggio, riesce ad aprire una crepa, un varco, depone le uova e da lì il gioco è fatto: la forma di pecorino diventa l'ospite di una miriade di larve.
Succede anche a noi, del resto, quando si hanno le difese troppo basse e la scorza ancora troppo tenera, deliziosa ma pericolosamente inerme: la moschedda sale dal buio profondo e torbido di noi stessi e scavando scavando con silenziosa alacrità trova pian piano un terreno fertile per riprodursi.
Si rischia così di essere invasi da qualcosa di simile a un parassita, da pensieri morbosi e malevoli.
Colin Wilson ne scrisse anche un romanzo, agganciandosi alla vertiginosa mitologia di H.P. Lovecraft: i suoi Parassiti della mente erano però sfuggenti entità aliene che da millenni vivevano ancorate al cervello umano, impedendo lo sviluppo di tutte le sue più recondite possibilità.
Alla faccia dell'Es e dei suoi antri oscuri e pieni di minacce...

La moschedda (la Piophila casei) è piccola e sfuggente, e non ama solo il pecorino, la ghiottona, ma ogni cosa che sia fonte di proteine per la sua nidiata di pupe. Come darle torto: tiene famiglia anche lei, no?
Ecco che allora le forme di cacio ma anche le carni messe a stagionare e persino il latte, diventano per lei un paese di Bengodi. 
Spesso il pastore, che qui è anche casaro, se ne accorge in tempo, e allora "lava" la ferita della scorza tamponandola poi con carta bagnata, prima che il formaggio vada a male.
Ma altre volte è proprio quello che segretamente si spera che accada, una silenziosa, impercettibile, e solo all'apparenza rovinosa, invasione.
Qualche volta di fronte alla staticità di una situazione giunta allo stremo anche l'arrivo dei barbari è un cambiamento, un epilogo qualunque, la nascita di una nuova era, come anche scrisse Constantinos Kavafis.(1)

Il coltello taglia la calotta della forma che da fuori, ad occhi inesperti, sembra asciutta, compatta e la stessa di tutte le altre e che invece, oltre la parete dell'apparenza, nasconde una sorpresa.
Come se entrando in un'enorme sala nascosta da una tenda si scopra un'animatissima festa o un baccanale: una coltura florida, un brulichio di bianchi esserini frenetici mostrano tutta la loro vitalità saltellando come molle in ogni dove. 
Bisogna capirli, sono giovani, irrequieti e pieni d'energia; ma fuori da quel pastone nutriente non avrebbero scampo: la massa molle è nido e nutrimento e oltre il saporito perimetro della scorza non vi sarebbe salvezza.(2)

(3)

Intendiamoci, questi non sono i lombrichi della terra, grassi e qui da noi graditi solo da chi abbia un minimo di penne, né i repellenti e coriacei bigattini che nascono da altre colture...
No, sono piccoli, innocenti e candide larvette che si nutrono della polpa ancora molle del formaggio, digerendola e trasformandola in qualcosa di... sublime.
Se si amano i sapori forti, le venature azzurre e profumate del gorgonzola, la scorza polverosa dei formaggi stagionati dal gusto piccante allora questa non sarà una sorpresa, ma la scoperta di un tassello che mancava alle papille.
La polpa del pecorino, diventata molle e cremosa grazie ai minuscoli e irrequieti ospiti, si spalma sul pane carasau o sulla morbida spianata sarda: un morso, seguito da un sorso di vino rosso fanno ritrovare l'armonia col Cosmo, pacificano le parti in lizza nell'arena del cervello e allontanano, per un po', i Parassiti della mente...
E mentre con gli occhi lucidi di commozione (e anche perché lu casgiu fracicu - come si dice in Gallura - è bello piccante) ringraziamo chi ci ha fatto conoscere questa delizia proibita (4) ripensiamo a questi versi di Lussorio Cambigianu dedicati, manco a dirlo, proprio a Lui:

Casu marzu

It’ est chi ti  dat a tie sabore?
Su  tempus ,chi forzis  t’ at frommadu
O puru ca ti s’ at ilmentigadu
Chena giradu  deris su salidore?
Sa musca in su coro t’ est ‘intradu
Cambiendedi  su tastu  e su colore
Comente unu  ‘ etzu  licore
Ses tue  in totue disizadu

Fatu ti ses:  marzu.. cas’ elveghinu
Pessende  chi fis  de  pagu contu
Imbeze  tantu ses  pretziadu

Dae cando su  bobboi ti ses pasadu.

Zeltu no ses manigu pro  tontu
Chi  no  at connotu de sa vida  abbinu.


Cos'è che ti dona sapore?
Il tempo,  chi t'ha formato, forse
oppure t'ha dimenticato
senza girarti ieri il salatore?
La mosca t'è entrata nel cuore
cambiandoti di gusto e di colore
e come un vecchio liquore
ovunque sei desiderato

sei diventato marcio, pecorino
pensando che valevi così poco
e invece sei così tanto apprezzato

da quando il leccornia ti sei mutato

Certo non sei cibo per il gonzo
che della vita poco ha conosciuto

(mi(ser)a traduzione in italiano)


NOTE
1) Per esempio in Aspettando i Barbari, in È la fine, e un po' in tutti i suoi versi, a dire il vero.
2) Tanto che se i vermetti non hanno la loro tipica vitalità è segno che il casgiu fracicu è andato a male, definitivamente.
3) Non ho voluto fotografare la forma di pecorino vivo che ho assaggiato: ero a casa di persone alle quali portare rispetto vuol dire (tra le altre cose) apprezzare con un solo sorriso gioioso quello che ti si offre senza correre a prendere la macchina fotografica.
Strano però che il 90% delle foto del Casu marzu presenti in Rete sia questa qui: come le Dive anche Su casu ha le sue foto ufficiali?...
4) vedi wiki, per un excursus veloce sul Casu marzu, ma anche qui per il testo della Legge 283/1962 che ne impedisce la commercializzazione.
Quanto alla presunta pericolosità del cibarsi del pecorino infestato dalle larve della Piophila casei, non mi dilungo certo nell'argomentare che un esserino simile non può in alcun modo sopravvivere all'acidità dello stomaco umano, ma riporto pari pari la frase del mio gentilissimo ospite: "Mangio casgiu fracicu da quando avevo sei anni e oggi ne ho settanta. L'unico problema di salute m'è venuto invece dai miasmi delle industrie di Porto Torres."
Parole sante.

5 commenti:

  1. io dovrei chiudere gli occhi e forse così potrei assaggiare ma, tuttavia è più forte di me, non so se ce la farei

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    1. Ma se chiudi gli occhi i vermetti ti sfuggono dal boccone! L'ideale è mangiarlo con il pane casareccio, secondo me: a colpi di mollica cattureresti anche i più retrivi... mhhh!
      A parte gli scherzi (ma io ho fatto proprio così...) ce n'è una versione lavorata, "senza" vermi, ma perssonalmente non l'ho assaggiata.
      È comunque da provare, se ti piacciono i sapori decisi.
      Per me è stata una sorta di iniziazione. Mi sono sentito come Andrew Zimmern, il cicciochef che gira per il mondo per assaggiare i cibi più "insoliti". Le puntate di "Orrori da gustare" sulla Sicilia e la Sardegna sono irresistibili!

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  2. mmmmmmmmmmmmmmmmm, Riccà, io lo provo. I gesyi antichi e la sapinzamisurata che lo creano sono da rispettare e potendo, sperimentare.Un po' di caciu sulla spianata, un bicchiere di rosso e dopo una buona razza di Kopi Luwak.. Per il mutuo come facciamo, la fai tu o lo faccio io?...noooooooooootte lau

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    1. Laulau, un caffè digerito da un "cuccumiau" sarebbe una bella sardata, ma il kopi luwak non ti sembra un tantino esagerato? Se proprio mi devo prostituire lo faccio per una bella aragosta all'algherese... Vabbè, facciamoci una tisana fresca fresca ai frutti di bosco. Ciò un'arsura!!!

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  3. beh, Riccà, non fare tanto il difficile? Dopo il " pecorino coi vermi", il caffè defecato mi sembrava così vaffinato. Vai con la tisana freddddddddddisssssssssima, io porto la menta fresca che qui cresce incontenibile e che secondo me ci sta "un amore" cito l'autore! ciao lau Per l'aragosta ...parliamone!

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