domenica 16 marzo 2014

Ravioli pere e gorgonzola... e tre personaggi a pranzo.

- Mi scusi signore se ho l’ardire di importunarla mentre pare così perso nella malinconia di quel suo scrittojo, e altresì affaccendato nelle sue incombenze quotidiane.
- Io... si figuri. Ma lei, anzi voi, chi siete? Non v’ho sentito entrare. Siete amici di Leppagorre, forse?
- Noi, signore, siamo solo qui di passaggio, ma non vorremmo disturbarla...
- La prego, non stia costì all’impiedi, si segga. Ecco, una seggiola.
- La ringrazio... Ahhh! Mi sembra d’aver camminato mille e mille anni. Se avessi delle ossa mi dolerebbero!
- Ah, ne è sprovvisto? Prego, signora, anche lei, s’accomodi. E la ragazza, anche...
- No, grazie. Preferisco star qui, presso la finestra. A guardare fuori. - Guarda ostentatamente fuori come se ci fosse qualcosa che l’attragga. - Ci sono le luci delle case, c’è la vita, là fuori. Ma sono così lontane...
- Come preferisce. E ditemi, signori, a cosa devo l’onore?
- Oh, guardi, fossi per me non saremmo mai venuti nel suo quartierino a darle noia ma è che...
- Per favore, su. Lascia dire a me, come d’accordo!
- Ma una volta che parlo io, dico. Una, eh? Ma su, su, parla, ora che siamo qui. Cos’altro vuoi attendere?
- Ecco, signore, noi s’è venuti da lei per una questione delicata e della massima importanza.
- Vi prego, ditemi.
- Noi, ecco, ci siamo persi. No, anzi, non ci siamo mai trovati. Ché per perdersi bisognerebbe primariamente trovarsi, non crede? Ecco, noi… Cos’è, la sto confondendo?
- Oh, ma non lo vedi? Non capisce, non capisce! E dovremo tornarcene nel limbo, in quello straziante bugigattolo dove veniamo riposti quando non serviamo più? Questo siamo, attrezzi o scope, ecco. Sì, scope, con cui ramazzar la stanza, e nient’altro. Ma se potessimo andarcene... Se solo potessimo!...
- Zitta, sta’ zitta! Adesso siamo arrivati e già vuoi farti riconoscere?
- Ah, ma lo vedrà ben presto cosa siamo. Su, non farlo restare in codesto orgasmo e diglielo, digli di noi!
- La scusi, signore, come vede mia figlia...
- Non sono tua figlia!
- Tina, dicevo... stavo soltanto cercando di fargli capire che... Oh, ma perché è così difficile, perché? - Si tiene la testa tra le mani e rimane in silenzio.
- Non si strugga, ho capito. Capisco benissimo...
- Ah, lo vede, signore? Si dissuga, si dissuga tutto! Come s’avesse compiuto chissà quale impresa! - Torcendosi nervosamente le mani e distogliendo lo sguardo - Ma in che mani siamo, dico...
- Lo vedo, lo vedo che si... “dissuga”, dice?
- Sì, sì, lo vede? Lui sa già come andrà questo nostro colloquio, sa già tutto lui, e quel suo prevedere lo consuma, lo...
- ... lo dissuga. Capisco.
- Ecco, sì, lei di certo capisce il perché della nostra presenza qui...
- Veramente non ho ancora ben capito cosa posso...
- Ma guarda, guarda là, non è un caso. Su quella cartella cilestrina c’è scritto “Personaggi”, e sull’altra, codesta che le sta vicino, c’è scritto, mi pare, “Ricette di Cucina”.
- Sì, certo, ma non so come la cosa...
- Vedi? - Fa all’uomo - Lo vedi? Non capisce, non capisce!
- Fatemi capire, allora. Voialtri siete...
- Personaggi, signore, personaggi. Questa è Etta, mia moglie.
- Lietissimo.
- Il piacere è mio, signore. E tu avresti dovuto dire: “La mia serva”, forse. Sarebbe stato più onesto. Con me almeno.
- Oh non ti ci mettere anche tu, che già con lei, lei, ho il mio bel daffare!
- Certo, il grande ristoratore, lui! L’uomo dai mille impegni e dai mille pensieri! Ah, ah, ah, ma lo guardi. Lo guardi. È un solo un miserevole parvenu che...
- Basta, Tina! Ma come osi tu, che...
- Vuoi picchiarmi? Dài, fallo. Non sarebbe la prima volta. Ah , ma io non sono mica come lei, eh? Non sto punto ferma a subire le tue angherie e i tuoi attacchi da megalomane! Che c’è, hai cangiato idea?
- Vai! Vai, allora, su, vattene! Se non volevi venire già dapprima! Va’!
- No, no! Senza lei no! Senza di lei nemmeno noi potremmo... Perché vede, noi stiamo insieme, signore. Siamo... nati insieme, e lui dice cose di cui non si rende ben conto.
- Lo sa, invece, lo sa benissimo. E tu che stai lì sempre a giustificarlo e dargli infine ragione. Oh, ma che schifo, che schifo tutto questo! Star qui e non poter andare. Star qui a guardare le luci nelle case degli altri come farfalle prigioniere d’un vetro senza poter dire o fare altro. Siamo degli uccelli prigionieri in gabbia, signore, costretti a ripetere in eterno i nostri versi. Ah... - Si siede con una smorfia di tormento sul viso.
- Vi prego, però così mi disorientate. Siate chiari: cosa cercate da me?
- Vita! Cerchiamo vita. E lei, solo lei, può darcela, quella vita che c’è stata negata ogni volta e per la quale siamo stati creati.
- Ma come... di quale vita state...
- Lo vedi? L’hai confuso. Ma di quale vita, quale, potremmo mai godere, se restassimo prigionieri della sua mente? Quand’egli morirà si porterà dietro tutti noi, tutti interi nel buio. Il buio...
- Smettila!
- Tina... vero? Ecco, fai parlare tuo padre.
- Non è mio padre! Insomma! Anche in questo devon’esserci fraintendimenti? Lui, signore, lui, è suo marito, sì, ma non è mio padre!
- E va bene, ma...
- E lo sa qual è il mio nome per intiero? Galantina! Ma si può, dico io? Si può? Con quale fantasia perversa?
- Quindi Etta non sta per Elisabetta, immagino.
- Macché, macché! Sa come ci chiamó quel folle scatenato? Lei Cianfotta... E lui, lui... Turnedó! Ma si può, dico io?
- Su, Tina, i nomi sono solo etichette, non stia ad angustiarsi, Quel che mi sfugge è cosa posso fare io per voi.
- Farci vivere! Per questo siamo nati, per vivere!
- Ma come posso farvi vivere, io, scusi!
- Sì, e vivere cosa, poi? Quel meccanismo che è parvenza e maschera della vita vera? La vita dietro quello schermo? È vita quella, o non piuttosto la stessa giostra sempre, sempre?
- Tina, per favore. Per favore. Il signore qui non manterrà vivo il suo interesse, e la sua pazienza, se gli si confonderanno così le idee.
- In effetti...
- Vedi? Non si faccia meraviglia di noi, signore. Noi siamo vivi, nati dalla fantasia d’un autore che ci ha poi lasciati in disparte negandoci la vita. Mi dica se questi personaggi lasciati così, vivi e senza vita, non abbiano ragione di mettersi a fare quel che stiamo facendo noi, ora, qua davanti a lei, dopo averlo fatto a lungo, a lungo creda, davanti ad altri per persuaderli, per spingerli, comparendogli innanzi.
- Ma… Mi scusi un istante solo, eh?... Leppagorre! Sono tuoi amici questi?
- Amici, poi... conoscenti, semmai. Pensavo ti potesse far piacere conoscere qualche persona nuova...
- Persona? Quale persona? Io qui vedo soltanto dei personaggi, e invero assai inquietanti. Guardali: stanno qui, vestiti della loro presenza timida e di un'insistenza caparbia, solo per cercare la vita. E qui, poi. Dunque voialtri volete vivere?
- Più d’ogni altra cosa, signore.
- Per questo siamo qui, che crede?
- Confidiamo nel suo interessamento.
- Sì ma qui non v’è alcuna opera di fantasia, non v’è teatro, ma solo ricette. Ricette di cucina.
- Mi scusi, sa, ma come fa a dire che qui non c’è vita? Guardi, si guardi attorno, nei suoi libri c’è vita eccome, e più d’una!
- Migliaia e migliaia di vite diverse, sì! Ah, ah, ah, le sente? Quello è Raskolnikov che se vaga per San Pietroburgo. Ha appena ammazzato la vecchia e odiosa usuraia e pensa ancora di poter cambiare il mondo!
- Guardi, guardi... Qui c’è Sheherazade alla presa con l’ennesima novella che le darà un’altra notte di vita!
- E qui, qui, guardi... Vitangelo Moscarda scopre di non essere come s'era sempre creduto finora, uno, ma d'essere invece mille, anzi centomila e, in definitiva, nessuno!
- Ma io non sto scrivendo romanzi, e non m’occorrono di questi personaggi.
- Lo vedi? Te lo dicevo! Tu no, tu insistevi col dargli retta, a questo omuncolo con le manie di grandezza!
- Tina, ti prego, non accanirti così con...
- Si, mi chiamo Turnedó. Sembra una beffa ma è così. Lei, ma già la conosce, è la mia moglie, Etta.
-  Piacere, piacere ma, vi ripeto, forse Leppagorre vi ha messo in capo strane ubbie con questa storia dei “Personaggi”. Io, vedete non sto scrivendo alcun romanzo e...
- Ma la prego ci tenga con lei, anche solo il tempo di una ricetta di cucina, signore! Vaghiamo da così tanto tempo....
- Sì, bravo, stai anche a prostrarti e pregare! Ah, ah, ah, ma cosa ce ne verrà dall’essere qui, senz’arte e né parte, prigionieri di noi stessi! Ah, s’io potessi fuggirmene via, lontano. Me ne andrei, se potessi!
- Non agitarti Tina, e smettila di spiegazzare la tenda del signore, che già vedo abbastanza alterato di per sé senza che dobbiamo aggiungervi ulteriori perturbative di sorta.
- Mi scusi, sa, ma questa storia della vita e non vita... Sono decenni che vaghiamo come ombre, senza venirne a capo. Siamo stanchi, tanto stanchi - Si siede sul divano coprendosi il viso con le mani, respirando forte. - Se lei sapesse, se solo immaginasse che cosa vuol dire essere persi, senza un posto in cui potersi sentir vivi, mai a casa propria. Lei è una persona, e queste cose non le può nemmeno immaginare.
- Invece lo so, Tina, lo so benissimo come ci si sente fuori dal mondo. So bene cosa vuol dire avere solo l’apparenza del vivere, recitarne gli strati più superficiali, e so bene il tormento del non sentirsi mai a proprio posto. Così, io... be’, se volete...
- Possiamo restare con lei?
- Falli restare, su, che ti costa.
- Leppagorre, ti nebulizzo l’anice se aggiungi solo un’altra singola sillaba. Taci, almeno per un minuto, se ne sei capace. Ecco, il fatto è che non so cosa farvi fare. Qui si parla di cucina, di dolci, di pane, di cose che poco hanno a che vedere col vostro mondo.
- Ma io sono stato un ristoratore!
- Eccolo, di nuovo! Il grand'uomo!
- Tina!
- Un ristoratore? Davvero? E dove, se posso?
- Oh, be’... nella fantasia del nostro creatore. Vede, io sarei dovuto essere un ristoratore, la mia signora la mia cuoca...
- E la tua schiava, sì, dillo!
- Tina! Non l’ascolti, la prego, lei è così, nasce da ribelle, sempre controcorrente, sempre di traverso. Vero? È sua cura il servizio ai tavoli, ma come può immaginare non ne è di molto soddisfatta.
- E lo credo! Finire anch’io a far la serva di questo... questo... Oh, meglio tacere!
- Vi prego, signori, calma! E tu, Tina, di che ti preoccupi? Qui non ci sono tavoli. A malapena ho una scrivania dove leggo, scrivo, studio e mangio. Altro non c’è con cui farti sentire schiava di chissà cosa e di chissà chi.
- Lei è molto gentile, e non so se mai potremmo esserle utili, in qualche modo, anche solo per sdebitarci della sua squisita gentilezza.
- Sì, e della sua pazienza, anche.
- Per favore, abbiamo già detto troppo, secondo me. Volete accompagnarmi in una ricetta? Una qualsiasi va bene o avete delle preferenze?
- "Cappone arrosto", magari. Non le viene in mente, guardandolo? Ah, ah, ah!
- Tina, basta!

Allora, è domenica, e anche se non ci sono ospiti ci sono tre persone, anzi tre personaggi che, sì, si sono autoinvitati.
Potevo forse mandarle via? E come si cacciano i personaggi?
Basta fare come si fa con le persone, non credendo più in loro e non curandosene?
Non ne sono certo, e poi non ho cuore.
Qui ci vuole qualcosa di diverso per tenerli occupati.
Vediamo…

Ravioli pere e gorgonzola
(per 25-30 ravioli ca.)
300 g   pasta fresca, quindi:
           200 g   semola di grano duro
           100 g   acqua ca.
           Un cucchiaino d'olio, un pizzico di sale.
Impastare tutti gli ingredienti e lavorare fino ad ottenere un impasto liscio e omogeneo.
- Brava signora Etta, ha una mano da professionista!
- Oh... non mi faccia arrossire! Impasto da che avevo otto anni, si figuri!
- Sapessi io impastare come fa lei, altroché!
- Troppo... buono... ma, uff... che fatica!
- Dia a me, l'aiuto un po' io... Ecco qua, sembra che possa andare.
Facciamo riposare la pasta almeno mezz'ora, coperta da un piatto o avvolta in pellicola per alimenti.
- La pellicola?...
- Ehm, un canovaccio inumidito, sora Etta. Mi sono sbagliato...

Per il condimento:
3         pere piccole (300 g ca)
150 g   gorgonzola piccante
30 g     noci
sale, pepe, coriandolo in polvere (facoltativo) q.b.
Sbucciare le pere e tagliarle a dadini.
- Io, io, faccio io!
- Tina, che c'è, sembravi così polemica e ora...
- O mi faccia muover le mani, che mi divago un poco anch'io. Fosse per lui dovrei star lì col sorriso stampato sul viso a far "buongiorno!", "buonasera!" vestita poi come una povera pazza!
- Dài, è un lavoro dignitoso comunque, no?
- L'attrice. Lei, voleva fare l'attrice! Ah, ah, ah!
- Faccio a dadini anche te, se continui a provocarmi!
- La prego, Turnedó, non ci metta anche del suo... Bene, adesso che le hai tagliate come si deve le faremo cuocere in un tegame con mezzo bicchiere d'acqua, una grattatina di pepe e, se lo si gradisce, un pizzico di coriandolo in polvere. Il suo profumo agrumato secondo me sta molto bene con la pera.
- Non so cosa sia codesto... "coriandolo"!
- Lo immaginavo... Allora proviamolo, magari vi piace. 
Quando la pera sarà di consistenza cedevole, ma senza arrivare a spapparsi, aggiungere 130 g di gorgonzola tagliato a pezzetti e farlo sciogliere a calore basso.
- Ho intanto tritato le noci, vanno bene così?
- Ottimo. Aggiungiamone metà nel condimento. Se occorre salare, ma col gorgonzola bisogna andarci cauti, molto cauti.
- È traditore, anche lui?
- Tina, per favore, che già è difficile combattere con se stessi, se ci si mettono pure tre personaggi bizzosi qui non ne usciamo vivi. E visto che vivere è quel che c'interessa...
- Sto zitta e muta, basta! 
Facciamo freddare la farcia e intanto stenderiamo la pasta.
- Avete un matterello, qui?
- Sì, Etta, ma facciamo così: usiamo la nostra fida Imperia.
- È sicuro? Non è che mi fidi molto di questi attrezzi, io!
- Le faccio vedere, venga. Fissiamo il morsetto al tavolo... mettiamo la manovella nella feritoia... Ecco, ora stendiamo la pasta. Non troppo sottile. La mia esperiemnza dice che lo spessore 4 va bene, oltre rischierebbe di rompersi.
- Malfidato, io gliela farei così sottile e forte come un telo di lino!
- Non lo dubito ma sa, non vorrei abusare.
- E adesso?
Con un coppapasta, o un bicchiere ne ricaviamo dei cerchi del diametro di circa 7 cm.
Versiamo un cucchiaino scarso di ripieno su un disco, copriamo con un altro disco e premiamo intorno all'impasto in modo da far uscire l'aria. Quindi schiacciamo bene i bordi per sigillare, premendo sul bordo con i rebbi d'una forchetta.
- E di questo intingolo delizioso che ne facciamo?
- Teniamolo da parte. È troppo liquido per farne della farcia: la useremo per la salsa di condimento.
- Mhhh... che buona!
- Tina, sarai anche un personaggio, ma assaggi tutto, eh?
- Il nostro scrittore mi fece ghiotta, sa.


L'acqua salata nel frattempo starà bollendo.
Cuociamo i ravioli il tempo di vederli risalire dal fondo in cui erano piombati, poverini.
- Bisogna toccare il fondo per poi risalire, no?
- Eccolo, è arrivato il sapientone!
- Tina, senti a mammà, vai a mettere una tovaglia su quella specie di tavolo che sta di là. Oh, mi scusi!... Ma sa, è la forza dell'abitudine...
- E di che, signora Etta? È proprio così. E comunque sì, signor Turnedó, proprio così: vale per i ravioli e per gli esseri umani. Ma, mi chiedo: e per i personaggi?
- No, noi siamo già scritti e incisi nel piombo. Non ci si può cambiare.
- Lei dice?...
Accogliamo al varco i ravioli scolandoli con attenzione, e disponiamoli su un piatto dove daremo loro il conforto di un intingolo di pere e formaggio al quale aggiungeremo il gorgonzola restante fatto fondere a fiamma bassa.
Cospargiamo i ravioli con il condimento, spolveriamo con poco pepe e il resto delle noci tritate.


- Posso aprire del vino? Lo gradite?
- A suo piacimento, guardi. Noi non beviamo, di solito, ma oggi faremo un'eccezione.
- Bene. Venga qui, sora Etta, accanto a me. Lei qui, e tu Tina qui.
- Ce l'ho sempre di fronte, questo ceffo?
- Dài, non pensarci. E mangiamo, che si freddano. Anzi, si dissugano! (1)
- Una tavola dove si ride è una benedizione, non crede?
- Altroché sora Etta! Venga qui prenda del vino.
- Sai, Tina? Mi dispiace... Non vorrei trattarti come una ragazzina. So bene che sei una donna, ormai, ma è come se non me ne fossi abituato ancora.
- Sono io che faccio la stizzosa, Turnedó, e m'accorgo che lo faccio per partito preso.... Capisco che vuoi solo il meglio per tutti noi. Anche se sei un cialtrone... Ah, ah, ah!
- Ma guarda 'sta lingua di vipera! Eh, eh... chi mai t'ha insegnato quest'insolenza?
- Dillo a quello scrittore fedifrago!
- Mannaggia a lui! Hai già finito, tu?
- Ancora del vino?
E se alla fine, anche i personaggi fossero come noialtre persone?
E se bastasse un po' di tempo, di disponibilità e d'accoglienza per farli uscire da quel binario nero d'inchiostro in cui sembrano esser stati prigionieri finora?
Una cosa sola è certa: il vino aiuta.
Eccome.

Aforisma pirandelliano del giorno
È molto più facile essere un eroe che un galantuomo.
Eroi si può essere ogni tanto, galantuomini sempre.

Oggi ascoltiamo
Ennio Morricone - Solitudine

http://www.youtube.com/watch?v=NQ3xO7GvflA

NOTE
1)  Dal "Dizionario della Lingua Italiana" di Niccolò Tommaseo:

3 commenti:

  1. CLAP CLAP CLAP BRAVI CLAP CLAP CLAP

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  2. - Grazie, grazie! Be'? Che fai così, fermo come un baccala? Ringrazia, no?
    - Ma io non sono un attore.... E poi mi si vede la panza! Voi siete tutti vestiti e io invece...
    - Zitto e ringrazia, non fare il solito cafone di sempre!
    - Ci tirassero almeno i pomodori, ce li faremmo ripieni di riso e con tante patate intorno...
    - Dopo una bella doccia di Ouzò non te la leva nessuno.
    - Cos'è un nuovo bagnoschiuma?
    - Vedrai, vedrai...

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