mercoledì 13 agosto 2014

Panna cotta alla curcuma di Simone Rugiati

Ogni epoca ha i suoi misteri, e ogni mistero nasconde, alla fine fine, solo una misera e banale verità.
Gli esseri poco inclini al misticismo non si lasciano facilmente arretire dalle apparenze che, come si sa, spesso nascondono ben poca sostanza, come anche insegna il racconto "La sfinge senza segreti" di Oscar Wilde, che prende in giro l'ottimista deduzionismo alla Sherlock Holmes.
A noi uomini della strada non peripatetici la scrittura cretese nota come lineare-A ci affascina perché è rimasta indecifrata, ma diverso sarebbe il nostro atteggiamento se si rivelasse, invece di chissà quale calendario lunare, soltanto una tavola del Gioco dell'Oca dell'era pre micenea.

Disco di Festo

La nostra epoca, invece, è così sovraccarica di informazioni che lascerà a una futura civiltà, semmai verrà, ben pochi margini di immaginazione.
Due saranno principalmente i misteri impenetrabili:
1) Il tipo di linguaggio usato dai venditori ambulanti di generi ortofrutticoli.
C'è chi azzarda l'ipotesi che siano Campani, ma Eduardo si rigirerebbe nella tomba aggrottando i ciglioni a sentirli parlare.
Nel loro gorgoglio gutturale che ricorda le litanie con cui i malevoli fedeli salutavano il Grande Chtulhu - Ph'nglui mglw'nafh Cthulhu R'lyeh wgah'nagl fhtagn (1) - emergono con difficoltà alcuni lemmi di lingua italica: aranc', limon', pommodòòr, euri.
Il resto è lasciato alla gestualità e all'immaginazione.
Eminenti scienziati si sono riuniti a Osaka per  sviscerare il mistero di questa lingua che, a tutt'oggi, rimane incomprensibile e inviolata a ogni tentativo di cifratura.
Questo perché se per i Selkupi gli Nganasiani e gli Evenki le autorità sovietiche riuscirono a ottenere una definitiva forma scritta - e fu una delle poche cose buone che fecero - per i fruttaroli nomadi non esiste alcun riferimento culturale.
Vengono di sicuro da qualche parte che non è però né Campania né Calabria e né Basilicata - della cui esistenza tra l'altro, come tutti sanno, si hanno ormai forti dubbi.
Magari sono emersi da un varco della Quinta Dimensione apertosi nel nostro Spazio-tempo come uno strappo su un telone.
Ma il mistero resta.

2) Il mistero degli chef televisivi.
I luminari dell'epoca futura s'accapiglieranno nel tentativo di capire il ruolo di certi personaggi pubblici della nostra epoca.
A ben vedere sembrerebbero dei cuochi, anche se si ostinano a volersi far chiamare rigorosamente chef.
Si supporrà che sia esistita una qualche forma di religiosità legata all'assunzione del cibo della quale costoro fossero i sacerdoti o gli appartenenti ad una casta superiore di intoccabili iniziati.
Dubito che queste righe arriveranno a un futuro, finanche prossimo, quindi poco confido nel fatto di poter tranquillizzare gli scienziati del futuro dicendo che, nella Società dell'Immagine, qual è la nostra, non solo i menestrelli sono diventati figure filosofiche di riferimento - basta pensare ai Vitalisti Ermetici seguaci di Vasco Rossi  o ai Sufi Cibernetici che misticizzano Franco Battiato - ma che in un'epoca dove ognuno ha come imperativo interiore quello d'essere, o almeno sentirsi, "protagonista", pena la non-esistenza in un limbo di banale sussistenza, anche le figure dei cuochi non sono sfuggite a questa legge sì ferrea e crudele.
Una legge che impone visibilità ben oltre il proprio ramo di competenze, come avviene ormai diffusamente da anni nei salotti televisivi, dove ognuno dice la sua su tutto pur non capendone assolutamente un bel niente.
Quindi anche loro, i cuochi, - sì, coloro che per mestiere fanno in primis i ristoratori poi, forse, "i creativi del gusto" - appariranno agli occhi dello studioso del futuro, come una casta di iniziati a chissà quali inviolabili segreti.
Checché ne dica il poro Brillat-Savarin, la scoperta d'un nuovo piatto non è per niente paragonabile alla scoperta d'una nuova stella. Senonché l'astro lontano è spesso invisibile a occhio nudo, mentre la minestra di fagioli e cozze te la puoi ritrovare serenamente nella scodella, stagionalità permettendo.
Ai fini della conoscenza sono però entrabi riconducibili a un grado zero, come direbbe Tommaso Labranca.
La smania di protagonismo che ha colpito anche i nostri cuochi - pardon moi, les chef - è solo uno di una tendenza all'iperbole tipica della nostra epoca di così poco sobria costumanza.
È chiaro, si conosce il nome di quell'americano pasticcione - ché pasticcere non è - che compone come i lego i dolci delle feste o di chi, ben inquadrato dalla telecamera, scodella un'omelette o un'entrecôte col cipiglio di chi stia eseguendo un'operazione a cuore (o a cielo, che dir si voglia) aperto, mentre pochi si ricordano di Sabin, che col suo vaccino ha reso la poliomelite una delle malattie del passato.
Suvvia, signori, state cucinando un raviolo, mica state guarendo il popolino dalla scrofola per imposizione delle mani, come i sovrani medievali...

Comunque, uno dei personaggi "visuali" più simpatici dell'Era degli Chef è di sicuro Simone Rugiati, quello che, secondo me, riesce ad essere accattivante senza gigioneggiare e serio e competente, quando serve, senz'alcuna supponenza.
È l'unico a spiegare "perché" succede una certa cosa e non un'altra quando si utilizza un ingrediente, rivelando preziosi segreti dei quali noi poveri mortali ci metteremmo anni per venirne a capo.
E lui lo fa con la semplicità del ragazzotto eternamente giovane, un fiammeggiante (2) Peter Pan della Cucina che è capace anche di intrattenere in modo semplice e simpatico i propri interlocutori e il pubblico che lo segue.
Questa è una ricetta che ha suggerito nella sua trasmissione "Cuochi e fiamme" - della quale già il nome mi manda in sollucchero - in uno dei suoi veloci siparietti "seri" in cui suggerisce un accostamento, una tecnica o un segreto del mestiere, oppure una ricetta veloce.


Panna cotta alla curcuma di Simone Rugiati.
Per 4 stampini monoporzione da 150 ml
500 ml    panna
100 ml     latte*
80 g     zucchero
8 g     colla di pesce, 4 fogli ca.
1 cucchiaio di curcuma
vaniglina
* o 250 ml panna e 250 ml di latte, come suggerisce lo stesso Rugiati
Per la guarnizione
50 g    cioccolato fondente
10 g    burro
scorza di 1/2 arancia grattugiata.
Mettere a bagno i fogli di colla di pesce in acqua fredda per ammorbidirli.
Versate la panna , lo zucchero e, mescolando per sciogliere lo zucchero, portate quasi a l’ebollizione.
Ritirate dal fuoco e immergetevi i fogli di colla di pesce sgocciolati e strizzati.
Mescolare bene per far sciogliere la gelatina.
Bagnate con acqua fredda gli stampini o uno stampo a cassetta, sgocciolare e riempire con il composto.
Tenete per almeno 4 ore in frigorifero per far rassodare.

Per sformare la panna cotta immergere lo stampino in acqua bollente fino a un paio di cm dal bordo, tenedolo per quanche secondo. Poi, passare la punta di un coltellino a lama liscia lungo il perimetro del dolce e capovolgete lo stampino al centro del piatto da portata, dando qualche piccolo colpetto per fare uscire la panna cotta.
Per la guarnizione basta sciogliere il cioccolato a bagnomaria, aggiungere la scorza d'arancia grattugiata, mescolando per farle sprigionare l'aroma.
Se non è stagione si può usare anche l'aroma sintetico in fialette.
Non saranno due gocce a farci venire chissà che terribile malanno.
Se si preferisce si possono usare un paio di bacche di cardamomo, da cui estrarre i semini che macineremo finemente e uniremo al cioccolato fuso.
Unire il burro e mescolare bene. Renderà la glassa morbida e lucida.


Ma quanto sarebbe triste un ipotetico futuro senza panne cotte, o un mondo parallelo dove non siano ancora state inventate?
Una crudele ucronia cui non resisterebbe neppure Philip Kindred Dick, altroché...

Detto romano del giorno
Er pane de casa stufa.


Oggi ascoltiamo
Angelo Branduardi e Pietra Montecorvino - Tango

https://www.youtube.com/watch?v=2W8VLRK15s0 
È una frase bellissima da poter dire a chi si ama, questa: "Come arance rosse assaporo i giorni ora che ho incontrato te. Dolce e profumata ora è la mia vita, e di questo grazie a te".
No, prima che me lo si chieda, io sono come Lady Orlando: "Zitella! Sola"


NOTE
1) Ovvero: "Nella sua casa di R'lyeh, il morto Cthulhu aspetta sognando".
E se il sonno della ragione genera mostri di cosa sarà mai capace il risveglio dei mostri?
2) Non di certo flamboyant, nel senso che dava alla parola Quentin Crisp...

4 commenti:

  1. dio benedica Rugiati ed il suo ambasciatore

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  2. Nun ce se crede, Ric, nun ce se crede! Proprio stasera Simone Rugiati a " Cuochi e fiamme" delle 20 e 30, ha proposto la sua "panna cotta alla curcuma" che è uguale alla tua, ma senza il peplo avvolgente di cioccolato fondente. Il vero tocco da chef. Ma la tua "vaniglina" dove è finita? La detesto. Una delle poche cose che preparo è l'estratto di vaniglia, da baccelli del Madagascar raccolti in equilibrio su una gamba sola e con la mano sinistra, durante il plenil . Vabbè la smetto. Però è ottima, te ne manderò una bottiglia, va! Basta puntini? Vai con le virgolette! Crinolina o zimarra?

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    1. Mi sa che è una replica laulau... La ricetta l'avevo sentita mesi fa, pensa te.
      La vaniglina non ci va, secondo me, ma nemmeno la vaniglia.
      Sai che il chimico sorMeringa-Bressanini citava lo studio in cui eminenti cheffi (o ceffi? boh...) non sapevano riconoscere l'aroma sintetico da quello "naturale". Mah...
      Comunque del tuo gusto mi fido, so che riconoscerebbe anche il baccello della costa occidentale da quello della costa orientale... Il peplo di cioccolato ce sta?... 'n'amoooore! Brava!
      E senza crinolina né zimarra, please. Fa caldo!

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