sabato 2 novembre 2013

Maritozzi

A memoria mia - e si parla di un lasso di tempo che va dal Pleistocene superiore ad oggi - non c'è mai stato, almeno in questo emisfero e a queste latitudini, un due di novembre di sole.
Magari poi, col trascorrere della giornata, arriva anche quel solicello timido timido e poi man mano sfrontato, quello un po' traditore da ottobrata romana con annessa manica corta e successiva tosse da sbruffone imprevidente.
Ma il risveglio è incupito dal grigiore d'un giorno di suo già malinconico.
Non che ci sia bisogno di una ricorrenza e di una data specifica per ricordarsi delle persone che ci mancano e che amiamo, ma tutto sembra partecipare a quel senso di vago smarrimento, reso dolciastro solo da una pacata nostalgia, che è solo la scorza con cui impariamo a sopravvivere all'angoscia delle perdite della nostra vita.
È solo una scorza, infatti, e lo sentiamo dall'intensità dei sogni, dai brani di ricordi che ci tornano prepotenti alla mente come lampi e ci riportano nelle occasioni più disparate le parti di noi che sono perse per sempre.
Sotto quella scorza brucia ancora la ferita della mancanza, il peso delle parole interrotte e di quelle non dette, e anche solo il palpabile desiderio, doloroso perché irrealizzabile, di un altro abbraccio.

E poi ci sono le persone che non abbiamo potuto conoscere e delle quali abbiamo imparato dopo, magari dopo anni, la loro mancanza, e che comunque ci appartengono e fanno parte di noi.
Quel due novembre del '75 avevo dieci anni e il mio orizzonte letterario si fermava a Collodi, London e Salgari.
Quando il telegiornale annunciò che era stato ucciso Pasolini io non sapevo neppure chi fosse, ma capivo che doveva essere stata una persona notevole non tanto dalla freddezza ipocrita del cronista d'allora ma dallo sbigottimento dei miei, persone che avevano fatto solo le scuole elementari e che con l'intuizione della loro umiltà popolare capivano comunque che quella, anche se chiacchierata, era una persona davvero importante.
Non potente, ma importante.
Di quel giorno ricordo solo che a seguire quella notizia era stato trasmesso un filmato con un via vai notturno di macchine, un sovrapporsi confuso e sfuocato di fari sullo schermo, e dentro di me pensavo all'atrocità d'essere massacrato di botte e poi investito da un'auto...

Pochi come Pasolini hanno descritto l'Italia del suo tempo e quella che sarebbe venuta, col mutamento antropologico del consumismo ormai compiuto e dato per assodato, con la progressiva scomparsa dell'innocenza un po' turpe di quei romoletti riccioluti dagli occhi ridarelli trasfigurati in maschere sempre più feroci e indifferenti.
L'Italia delle trame oscure fra il Potere e l'eversione nera, con l'incrocio viscido tra interessi di stato e di equilibri internazionali che ha giustificato le peggiori nefandezze della storia di questo disgraziato paese.
Il mio quartiere è noto soprattutto per come l'ha descritto Pasolini, col tram della via Casilina che s'avventurava verso le borgate lontane, con via della Marranella e il Pigneto dove i suoi personaggi vagabondavano di notte per racimolare qualcosa o anche solo per scherzare tra loro, tra ragazzi.
C'è davvero tutta Roma in Pasolini, nella sua vita e nelle sue opere.
C'è la Roma dove abitò con la madre, Ponte Mammolo e Monteverde, dove - a via Fonteiana - si trasferì successivamente; c'è Torpignattara e la Maranella, con le baracche addossate all'acquedotto romano, fino a pochissimi anni fa; e anche Cinecittà, con la chiesa di Don Bosco e la sua cupola che scimmiotta quella di San Pietro e il colonnato marmoreo che pare una scultura di De Chirico.
Poi c'è il Pigneto, così ibrido e sospeso tra il centro decaduto e una desolata periferia.
Qui c'è il bar Necci, quello conosciuto proprio come er bar de Pasolini, e dove venne fatto il casting per Accattone, che come una fenice è rinato più bello di prima dalle ceneri di un incendio doloso di qualche anno fa.
Dove, guarda caso, andò distrutto tutto tranne un quadro con il ritratto del Pasola.
Quadro che ancora oggi accoglie chi entra nel locale.
Simbolo di speranza e di memoria.


Ecco, in giornate come queste, dedicate al ricordo, bisognerebbe celebrare le persone che abbiamo amato e che ci mancano con qualcosa di buono, qualcosa che loro avrebbero senz'altro gradito.
A Pasolini sarebbe piaciuto un bel maritozzo alla romana? Sicuro.
Col fisico asciutto che aveva se ne sarebbe potuti permettere anche un paio; tanto poi con un'accanita partitella di pallone li avrebbe certamente smaltiti per bene.


Maritozzi
A Roma si trova ancora qualche bar che li presenta sul bancone, ben aperti in due per la lunghezza e riempiti di panna montata.
Poi, si sa, la smania pseudosalutista delle diete li ha un po' emarginati, poveri maritozzi miei.
Riabilitiamoli un po'.
D'altra parte non è che siano così dolci ed eccessivamente grassi, anzi.
Il vero maritozzo nasce dalla semplice pasta del pane, arricchita di zucchero - e anticamente col miele - e uva passa.
Nasce come dolce di quaresima, dolce penitenziale, povero d'ingredienti e quindi di peccaminosi zuccheri.
E c'è da dire che lo è davvero, rispetto a una qualsiasi brioche (e francese, poi, non ne parliamo...)
In seguito è stato accolto anche dai banconi delle pasticcerie, ma totalmente trasformato, come un ricco parvenu, arricchito di uova e farcito di panna.
A proposito: a Roma, tradizionalmente, non si zucchera MAI la panna, né per i gelati né per i maritozzi; quelle che si vedono in giro sono, purtroppo leziose e stucchevoli storpiature.
Il dolce qui non è un sapore aggiunto - e infatti Roma non ha un'importante tradizione dolciaria come quella, per dire, siciliana - ma va cercato tra le pieghe degli ingredienti, ed è una concessione davvero eccezionale.

Ingredienti
per 6, dico "sei" maritozzi.
400 g  farina
25 g    lievito di birra
40 g    olio (delicato, per carità, o meglio sarebbe lo strutto)
100 g  zucchero
1 pizzico di sale
poco latte e acqua q.b. (circa 200 ml, ma regolarsi strada facendo, cioè... impastando)
Senza uvette e canditi, ma ovviamente con la panna: ne bastano 250 ml, da montare ben fredda (anzi, mettere in frigo per qualche ora anche al ciotola di metallo e le fruste).
Segue la stessa giaculatoria dei lievitati, una sorta di rosario laico, una via crucis col dulcis in fundo che ha le sue stazioni e le sue tappe fisse.

Fase 1: Lievitino
Sciogliere in un paio di cucchiai d'acqua tiepida il lievito, unire farina q.b. e un cucchiaino di zucchero.
Formare un panettino e lasciarlo lievitare al caldo fino al raddoppio.
Di solito faccio bollire una cuccuma con l'acqua, poi spengo e vi poggio sopra la tazza con il panetto, coperta da un canovaccio pulito. Basta una ventina di minuti, mezz'ora, se fa caldo. Un'ora in pieno inverno.

Fase 2: Impasto
Unire alla farina tutti gli altri ingredienti e, a mano a mano, aggiungere tanta acqua quanta ne richiede l'impasto. È sempre buona norma agire per aggiunte successive, per non dover poi aumentare la quantità di farina sbilanciando la ricetta.
Lasciar lievitare in una ciotola al coperto e in luogo riparato.
E chiudete quella finestra, per favore, anche se impastando vi sono venuti i calori!
Bastano un'ora e mezza o due ore, in ambiente temperato.

Fase 3: Lavorazione
Formazione dei maritozzi: da un salame di pasta ricavare tanti pezzi uguali, appiattire e arrotolarne ognuno, poi serrare l'impasto portando i bordi del panetto verso il centro. Sono le famose "pieghe di tipo 2", ovvero gli Incontri Ravvicinati del Secondo Tipo con quella cosa aliena e meravigliosa che è il Glutine...
Modellare ogni panetto in forma ovale, disporli ben distanziati sulla teglia e lasciarli lievitare fino al raddoppio.
Anche qui un'ora e mezza o due.

Fase 4: Cottura
C'è poco da dire: pennelare i panetti con il latte, che grazie alla cottura degli zuccheri e delle proteine , come insegnò Monsieur Maillard, coloriranno per bene i maritozzi - e infornare a 180°.
Cuocere per venti minuti circa.


Se li si vuole lucidi (con la "c" spirante, alla romana, mi raccomando) andrebbero spennellati, qualche minuto prima di farli uscire dal forno sciroppo d'acqua e zucchero, magari aromatizzato all'arancia.
Bastano due cucchiai di zucchero e tre d'acqua e far bollire un paio di minuti.
Se si è dotati... di densimetro - che maliziosità in giro, signora mia... - si deve ottenere uno sciroppo a 30° Bé (ovvero Baumé, tiè) (1)


Far raffreddare su una gratella, quindi tagliarli (un bel taglio profondo, sì, ma senza spaccarli in due...)
e farcirli con la panna montata. Ne bastano un paio di cucchiai (dei miei, sì...), quindi robina dietetica al massimo.
Livellare la panna con una lama e...


... come diceva M.elle le gladiateur: "Al mio tre scatenate l'inferno, pazze!"

Detto romano del giorno
Legna de fascio, presto m'accenno e presto te lascio.

O, anche:
Er gallo de la sora Checca una ne pianta e n'antra ne becca.
Quanto so' volubbili st'omini, signora mia...

Oggi ascoltiamo
Fabrizio De Andrè - Una storia sbagliata
http://www.youtube.com/watch?v=_5Z8E9LzHto


NOTE
1) Tabella orientativa delle quantità d'acqua e zucchero e relativa densità in gradi Baumé

GRADI BAUMÉ              DENSITA'          ACQUA  (l)         ZUCCHERO (g)

      30                                  1262                        1                              1350

      25                                  1209                        1                              1000

      23                                  1189                        1                                900

      22                                  1179                        1                                800

      17                                  1133                        1                                700

      16                                  1124                        1                                600

5 commenti:

  1. Che tenerezza questi maritozzi che a ben guardare sembrano tanti sorrisi, Ric, tutti quelli di chi vorremmo ancora con noi. Ovviamente non li ho mai assaggiati. Ovviamente, i tuoi li assaporerei proprio volentieri. (Presto, nella lista!).Ricambio con zuppa di ceci con puntine o spuntature. Una delle rare ricette lombarde con i ceci preposta a questa giornata così densa di malinconia e di dolcezze...indotte! ciao

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  2. ecco ho deciso questo è l dolce che preparerai per il primo tea in compagnia sono commuoventi
    e grazie per il ricordo di PPP

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  3. Ragazze, questi l'ho fatti sì pensando a chi non c'è ma, soprattutto a chi potrebbe esserci...
    Nella lista subito, e senza indugio. Ah, Lau, chiama Bru che aumento la dose.
    Amà, qui PPP era di casa, anche se l'ho capito davvero solo una volta cresciuto.
    È stato l'ultimo intellettuale nel vero senso del termine che abbiamo avuto. E ce l'hanno tolto, i maledetti.
    Zuppa di ceci, Lau? Mi prendi per la gola, o mia signora...
    Oggi ho anche provato il pane di farina di ceci, ma devo perfezionarlo, non m'ha troppo soddisfatto.
    Starà bene con la zuppa?... Mhhh..

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  4. " il pane di farina di ceci,..Starà bene con la zuppa?" Ma tu l'hai impastato con amore, Ric??????? Sì!!!! Allora ci sta benone!

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  5. Con amore, con amore, e anche tanto olio di gomito ;-)

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