venerdì 22 novembre 2013

Focaccia faticosa

La vita, si sa, non è sempre mica una passeggiata.
Spesso, anzi, la strada è un pendio ripido, e a tratti anche pericoloso.
Ci sono insidie ad ogni passo, e molti punti su cui facevamo affidamento per poggiare il peso e avanzare, si rivelano in realtà inconsistenti e franosi.
Figuriamoci se poi si voglia affrontare un percorso inusuale e prendere il sentiero meno battuto.
Come disse Robert Frost:

The road not taken

Two roads diverged in a yellow wood,
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;

Then took the other, as just as fair
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear;
Though as for that the passing there
Had worn them really about the same,

And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black.
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.

I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I —
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.
La strada non presa

Due strade divergevano in un bosco,
mi spiacque non poterle fare entrambe
restando uno, e sono stato a lungo
scrutando quella persa nella selva,
nascosta tra gli arbusti, tra le svolte.

Poi invece presi l’altra, che sembrava
aver tra le due forse miglior vanto,
perché nell’erba nascondeva i segni
dei passi della gente nonostante
fossero entrambe state ben percorse.

Nessuna quel mattino mi mostrava
l’ombra d’un passo nero sulle foglie.
E tenni l’altra per un altro giorno!
Sapendo ben che strada porta a strada,
io dubitavo di poter tornare.

Per questo mi dirò con un sospiro
da qualche parte e molto oltre nel tempo:
due strade divergevano in un bosco
e presi tra le due la non battuta,
e questo fece poi la differenza.
 Traduzione mia

Tutto questo per dire che molte cose della vita hanno già di loro una certa gravità che potremmo e dovremmo cercare di evitare, altre invece rivelano la bellezza di esserci proprio attraverso la fatica, la necessaria sofferenza e un lavoro indefesso e costante.
Anche l'amore è così, mica è un mora di rovo che cresce così, da sola, sui rami esposti al sole.
Macché. È fatica, anche gioiosa e impegnativa, una fatica, fatta di cure continue, di piccole preziose attenzioni e gesti microscopici ma vitali, e senza scivolare mai nell'abitudine, che è la diossina dell'amore.
Sì, è come prendersi cura di un bonsai, ma almeno l'amore è più spontaneo.

Ma torniamo agli impasti, che tanta energia richiedono per loro stessa natura.
Certo, potendo usare una macchina, come fanno ormai tutti i panifici, anche impastare diventa una facile routine, visto che poi gli impasti beneficiano del trattamento costante di un ausilio meccanico.
Incordare la pasta per le brioches, per esempio, è una fatica improba, che ogni macchina fa senza troppe ambasce.
Ma riuscire a farlo con le proprie mani, almeno una volta, fa capire l'entità del lavoro che sottostà a quell'operazione all'apparenza così semplice e ripetitiva, nonché faticosa.
Impastare è un lavoro che le macchine fanno bene, e a volte meglio di noi, ma ogni buon panettiere dirà sempre che a un certo punto la massa va comunque maneggiata, deve sentire la mano di chi la forma, e questo contatto tra un essere umano e una cosa viva (perché un impasto con dei lieviti è un qualcosa di vivo) è un elemento decisivo per la buona riuscita di ciò che si sta producendo.
E la soddisfazione di averlo fatto, anche in parte, con le proprie mani è qualcosa di intimo e profondo, legato a doppio filo con la nostra natura umana.
E oserei dire anche non umana, vista la soddisfazione che sembrano avere gli animali quando riescono a fare qualcosa di nuovo e di utile per la loro sopravvivenza. Lo scimpanzè che mangia le dolci termiti catturate con uno stecco di legno infilato nella tana ha sul muso un'espressione di soddisfazione come quando noi riusciamo a fare da soli i nostri croissant.

Insomma, impastare è fatica, ma una fatica che rende più d'una qualsiasi ginnastica, è un esercizio in cui non solo ci si trova con se stessi ma ci si rispecchia nella catena secolare, millenaria dei gesti e nell'archetipo del Demiurgo.
Che non sia però "funesto" come quello descritto da Emil Cioran, spero.

Un esempio di impasto "faticoso" è quello lavorato in ciotola.
Na bella palla, direbbe qualcuno delle mie parti, ma che dà un'enorme soddisfazione.
In ciotola si lavorano solitamente quegli impasti contenenti molta acqua rispetto alla farina, che sono cioè ad alta idratazione.
Un esempio potrebbe essere questo:
400 g  farina
300 ml acqua
10 g     lievito di birra
un cucchiaio d'olio, due prese di sale, una punta di zucchero.


In una ciotola si mette la farina e al centro gli altri ingredienti secchi, compreso l'olio, tranne il sale.
Si scioglie quindi il lievito sbriciolato, aggiungendo a mano a mano l'acqua.
Quando il composto diventa omogeneo si unisce il sale, sciolto in poca acqua, e si comincia a lavorare, con la mano a cucchiaio, o a paletta che dir si voglia.
E tricchete e tracchete, ciuffete e ciaffete, impastare fino a ottenere una massa omogenea, morbida ma non più appiccicosa.
Niente deve mai essere troppo appiccicoso, vero?
Lo sappiamo bene...


Questo video, artigianalissimo e senza pretese, cerca di mostrarlo:


Si lascia quindi lievitare al riparo e in santa tranquillità (inteso senza correnti d'aria fredda) fino al raddoppio, quindi dalle due alle quattro ore, a seconda della temperatura ambiente.
Si stende quindi sui una teglia allargandolo con le mani un poco infarinate, picchiettando con le dita e stirandolo verso i bordi..
Si spolvera poi con del sale grosso, un filo d'olio evo e, se si vuole, con aghi di rosmarino.
Cuocere in forno caldo per una ventina di minuti, mezz'ora.
La focaccia che si ottiene è croccantina all'esterno e mollicosa all'interno.
Una delizia.

Da condire in tutte le maniere, per esempio con cipolle a fettine sottili, pomodorini a metà e salsiccia a pezzetti...

O zucchine alla julienne, mozzarella, alici e tanto, tanto pepe.
Ecco, tutto questo per dire che la fatica e il lavoro, anche duro, danno sempre buoni frutti.
Se si sa come e dove mettere le mani.
La bocca poi, si sa, sa sempre dove andare.

Aforisma del giorno
Nessuna fatica è inutile se lo scopo è importante

Margherita Hack


Oggi ascoltiamo
The Bee Gees- To Love Somebody

http://www.youtube.com/watch?v=ykU8iSKkJR0

4 commenti:

  1. e siccome uno ha fatto "fatica" poi si sente libero pure di fare il bis e perché no il ter :)

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  2. Be', mi sembra il minimo sindacale, no?... E poi se uno raddoppia, si sa, non c'è due senza tre, e così a fine scorte. ;.)

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  3. quante teglie, figliolo? Quante? E sei pentito? Nooooo?! E allora pentiti subito e passa la focaccia. Qui, subito, adesso. Uffa.

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  4. Mi pento e mi dolgo con tutto il cuore, sorella...
    Anzi mi dolgo con tutta la coratella.
    Dopo una teglia cipolle e salsicce (sì, vabbè, c'erano anche i pomodorini, poverelli...) a dire il vero mi doleva, letteralmente, anche la panza.
    Pensa che una volta la versione simplex riuscii anche a rifilarla a una comitiva di cavie inconsapevoli, tanto per avere un parere spassionato e il più possibile obiettivo. Be', io sono "quello della pizza". Non è una bella soddisfazione?
    Sì, certo, sono anche quello delle torte, delle crostate, dei bigné, delle brioche, dei maritozzi...

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