domenica 2 settembre 2012

Pabassinas

Certe ricette, si sa, fanno parte della cultura di intere popolazioni.
E come gli usi e la lingua anche il cibo contribuisce a costruire quell'immagine di sé che ogni gruppo si ritrova ad avere, sia per gli accadimenti avvenuti nella sua storia (ah, il cus-cus trapanese...) sia che, nel corso del tempo, vengano scelti certi elementi, e non altri, per differenziarsi dagli amati-odiati vicini.
Basti pensare, che so io, al pesto, ed ecco che tutti i Liguri si sentiranno messi in causa; se penso poi alla granita di mandorle verrà subito in mente la Sicilia tutta, generosa e calda come la sua gente.
Il campanilismo, poi ,mica è roba da ex-Jugoslavia, e noi italiani lo sappiamo bene: basti pensare ai  tortellini di cui Bologna e Modena si contendono da sempre la paternità, tanto da volerli rendere a tutti i costi un filo "diversi", pur di non "scannarsi" tra di loro.
Se poi dico pabassinas eccola... la mia amata Sardegna; l'isola del vento, dei silenzi della natura e degli sguardi profondi della sua gente, isola dai mille profumi e dalle mille voci...


Ah...  no b'at duda: eo so sardu in su sambene...

Insomma, questa delle pabassinas è una ricetta che unisce tutta l’isola.
Si può dire che ogni famiglia abbia la “sua” ricetta, diversa magari solo per l’aggiunta di certi aromi e non di altri, o per la lavorazione.
È comunque cosa certa: nessuno, e dico nessuno, vi darà mai la “sua” ricetta di famiglia; e non sperate di venirne a capo: nemmeno sotto stretta tortura vi verrebbe rivelata.
Tornando al discorso iniziale: "E se poi commare Gonaria le facesse meglio delle mie?..."

Principalmente sulle pabassinas vi sono due grosse scuole di pensiero: la prima prevede la lavorazione degli ingredienti come per qualsiasi altro tipo di biscotto, l’altra invece, parte dalla lavorazione di una frolla, quindi burro e farina e poi, di corsa, tutti gli altri ingredienti.
Ma quello che non può mancare mai è, ovviamente, la pabassa, ossia l’uva passa.

Pabassinas
300 g    farina
150 g    mandorle tritate
150 g     noci tritate
150 g    uvetta
150 g    zucchero
150 g    burro
3    uova
1 bustina di lievito, un pizzico di sale.

Per la glassa:
1       albume
300 g    zucchero a velo
50 ml    acqua

Fate rinvenire l’uvetta in acqua tiepida.
Pelate le noci e le mandorle, togliendo loro la pellicina (sapete come, no? No?… allora: tuffatele in acqua bollente per un minuto e poi sfregatele per togliere la pellicina. Uff…ve devo dì tutto io…).
Tritarne una parte e il resto sminuzzatelo grossolanamente.
Lavorare a crema le uova e lo zucchero, unire la frutta secca, il burro sciolto a bm o al microonde (bastano 2’ a temperatura di scongelamento), la farina, il sale e il lievito.
Impastare bene, poi stendere la pasta , all’incirca 0.755 cm, mi raccomando eh?
Ah, ah… oddio, fermi! lasciate pure da parte il righello!
Il C.R.P.T.V.P.S. d.o.c.p.g (Commissione Regionale per la Protezione, la Tutela e Valorizzazione delle Pabassinas Sarde docp e g...) non sarà poi così severo con noi se le vorremo un pochino più paccutelle...
Ricavarne quindi le forme, solitamente romboidali, ma anche a striscette, o magari rotonde; insomma come più v'aggrada: la Commissione consente infatti anche altre possibilità…
Qui le ho fatte tondeggianti:


Cuocere a 180° per 11’ ca.
Le potete tenere così, nude, o vestirle di una candida glassa sulla quale cospargere, quando questa è ancora morbida, quei minuscoli confettini colorati che vengono detti traggera.


Per quanto riguarda la glassa si hanno due possibilità: in genere si usa una glassa reale, ossia una mistura di zucchero a velo e di albume crudo che va lavorata a freddo, oppure una semplice glassa a freddo con solo zucchero a velo e acqua q.b. per renderlo pastoso.
A me piace metterci una bella meringa italiana, che pastorizzando l'albume mi fa stare anche più tranquillo.
È un pochino più laboriosa ma dà grandi soddisfazioni.
300 g    zucchero a velo
1          albume
50 ml   acqua (circa...)
Unire lo zucchero a velo alla poca acqua e portarlo ad ebollizione, e cuocerlo fino a 120°, fino al punto cioè della “palla forte”.
E come faccio a saperlo, me tapino, me misero, me sventurato, se non ho con me un termometro per misurare i gradi di cottura dello zucchero?
Beh, dopo circa 7’ di bollitura prendete una goccia di sciroppo e versatela in poca acqua e tenetela tra le dita: se si forma una pallina gommosa ma resistente allora ci siamo.
Attenzione a seguire con attenzione questa fare per non far caramellare lo zucchero, il che comporterebbe la riuscita di tanti bei lecca-lecca ma la ripetizione del nostro lavoro…
Montare a neve ferma l’albume e quindi, sempre montando, versare a filo lo sciroppo bollente di zucchero. Vedrete formarsi una crema candida e dolcissima che sarà la nostra meringa all’italiana. Continuare a frustare il composto fino a raffreddamento dello stesso, ci vorranno circa 5’.
L’albume verrà pastorizzato dal calore dello sciroppo e quindi potremo usare anche a freddo come glassa di copertura, oppure farne dei bei mucchietti da far asciugare in forno a temperatura bassissima per qualche ora ed ottenere... sì, loro: le meringhe!
Bene, ora prendete con un cucchiaino la glassa e decorate le pabassine, spolverizzandole subito (la glassa asciuga in poco tempo), se preferite, con la traggera.
Dopo un paio d’ore la glassa si sarà solidificata per bene.
Ma il meglio di sé le pabassine lo danno il giorno dopo...


Detto sardo del giorno
De homine codditortu et de femmina basa mattoni, guardadinde.
che in romanesco suona come:
Da colli storti e da gnegnè, liberamus domine.
(Ah, i "colli storti" di chi non guarda mai dritto in viso...)

Oggi ascoltiamo
Duo Puggioni-Lettu e Linna 

http://www.youtube.com/watch?v=RalGh97MBCE

La voce forte e limpida Anna Maria Puggioni era troppo bella per durare...
Riascoltandola in qualche registrazione dei suoi tempi d'oro viene sempre la pelle d'oca per l'intensità e la compostezza dell'interpretazione.

2 commenti:

  1. ciao Riccardo, a rieccoti con un'altra specialità! bene e bravo! Forse sono ripetitiva ma adoro i detti specie quelli sardi. Questo non lo conoscevo e spero di averlo ben interpretato: Guardati dall'uomo col collo storto che non guarda dritto in faccia e da donna con lo sguardo basso fino a baciare il pavimento. Confermi?. Un caro saluto

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  2. Carissime fatine dalle mani d'oro, ben ritrovate!
    Grazie per il vostro commento al post. Siete sempre le benvenute, lo sapete, vero?
    Hai capito bene: i collistorti sono proprio quelli che non riescono a guardarti fisso negli occhi per più di dieci millisecondi, segno palese della loro falsità e malafese.
    La femmina basa mattoni (o anche la gnegnè, in romanesco) è la baciapile, quella che parla bene e, spesso, razzola male; l'ipocrita dai Buoni Principi che, però, si guarda bene dal seguire. La beghina tutta facciata e niente sostanza, per la quale è facile parlare in modo affettato e compito (gnegnè) di Bene, Carità, Fratellanza, Onestà per poi, alla prima occasione, "pugnalare" alle spalle la comare, magari anche solo parlandone male alle spalle.
    O, semplicemente, è quella che va spesso a pregare in chiesa (e che tutti la vedano!...) ma si dimentica di chi, appena fuori, è emarginato e vive di stenti.
    Alla faccia dei Sacrosanti Principi....
    È bello che le nostre lingue abbiano in comune molti proverbi e modi di dire; questo, per esempio, è presente come tanti altri nelle raccolte di detti popolari romanesca e sarda.
    Alla fine le nostre culture, la sarda e la lazale, hanno entrambi le stesse radici pastorali: gente schietta, pratica, concreta, dai modi spicci e magari anche bruschi (all'apparenza).
    Ma comunque scevri dal doppiogiochismo... dei collistorti e delle gnegnè.
    Ho una visione romantica e idilliaca della "schiettezza popolare"? Lo so bene; ne sono consapevole...
    Ah, mie care, ma lo sapete che so istudiande sa limba?
    Perché??? ... e perché no?.... Ah, ah...
    Bacioni e a presto.
    Riccardo Muccardo

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