mercoledì 25 marzo 2015

Pastiera di Partenope

La Pastiera fa parte di quelle ricette di cui esistono tante varianti quante le persone che la preparano.
Ognuno ha la “sua” Pastiera, quella di mamma, della nonna o della zia.
E, ovviamente, ognuno è gelosissimo del proprio sapere: non è per cattiveria o inveterato egoismo, spesso è solo la solita dabbenaggine degli incompetenti.
Solo chi è insicuro di sé teme di perdere il proprio “potere” diffondendo ciò che sa. E questo vale tutti i campi, eh?
Solo chi vive la propria passione e il proprio lavoro serenamente non si sente messo in pericolo dalla diffusione del sapere, anche di quello minimo e spicciolo come quello culinario.
È con gioia che riporto la ricetta della sora Ersilia, che la figlia mi ha consegnato in uno splendido foglio scritto a mano, come si faceva una volta quando non esistevano le email o i social network.
Questa è la cucina che mi piace, perché la cucina, cari miei, è la cosa più open source del mondo, anzi la prima cosa davvero open source dell’umanità.

- Che ci metti nello stufato di bisonte, Yrghywill?
- Mah, delle bacche e dei rametti che trovo in pianura, Wunnyllygh. Questi, guarda. Grunuruf li chiama “ginepro”, ma sai come sono questi pitecantropi: devono sempre dare un nome a tutte le cose!
- Uh, dillo a me! Quella, per esempio, sì quella che hai in mano, il mio Tydukyll la chiama “rosmarino”... Ma si può essere più definitivamente cretini?
- Scimmie, sono!
- Uh, quant’è vero, signora mia! Ma fammi andare, va, che ho lasciato il bisonte sul fuoco e non vorrei che mi si bruci. Quella scansafatiche di Vyghuwitz pensa solo a lisciarsi il pelo e non mi aiuta per niente. La possino acciaccà i megadonti!
- Ma figurati, è l’età! Le mie stanno sempre lì a cincischiare. E la caverna è un vero schifo! Mah, ci vediamo presto, sora Yrghywill.
- A domani, sora Wunnyllygh.

Le ricette della Pastiera non riportano, tranne pochissime eccezioni l’origine di questa preparazione.
E ci credo, essendo una ricetta di dominio pubblico s’è talmente diffusa in modo capillare da aver perso l’origine. Sa dove va ma non da dove viene.
Qualcuno, sì, nomina la sirena Partenope come creatrice mitica della ricetta, ma col tono smielatamente agiografico rivolto alle bellezze del Golfo, con tutto un tripudio di: “E che bello ‘o mare, e che bello ‘o sole, e che bello 'o pino, e che bona ‘a frutta. E che bellill’ tutto!”
Insomma, le solite favolette da pro-loco molto molto italiana.
Diciamo che ci sono andati vicino, ma hanno perso il fulcro della storia.
La Pastiera, infatti non è nata (solo) per onorare i prodotti della Campania Felix, ma per...

La sirena Partenope era disperata. Troppe, troppe voci sul suo conto, sui suoi comportamenti troppo disinvolti con i tritoni e – non sia mai! – con gli umani.
Avevano iniziato le altre a dipingerla come un po’ sbarazzina, una che mette la coda dappertutto...
- ‘Na zoccola, insomma!
- Leppagorre, ma come parli? E pure con la cadenza napoletana?
- E vabbuó! Me diverto, e come si dice: “Dove c’è sfizio nun c’è perdenza!”
- Si ma vedi di misurare il linguaggio, per favore. Dunque...
Non erano le voci che s’erano diffuse su di lei, a preoccuparla. “Ognuno, sotto e sopra il mare fa tutto ciò che vuole” recitava un adagio degli abissi.
Quello che più la preoccupava era che le voci s’erano pian piano incancrenite in accuse: quelle che erano solo supposizioni sussurrate tra i coralli adesso sembravano aver assunto la solidità degli scogli. Era dato per scontato che lei fosse...
- ‘Na zoccola, appunto!
- Leppagorre, ancora? Se continui ti faccio una doccia d’anice che te la ricordi finché campi! Nun ‘o tieni scuorno?
- Ue, don Muccà! E nun vi pigliate collera!
- Mo ti piglio a selciate, altro che! Fammi continuare. Insomma...
La povera sirena non sapeva come fare, soprattutto perché rischiava brutto. Vadano gli amorazzi coi tritoni. Quelli, si sa, vivono in acqua ma sono focosi. Ma con gli umani! È proibito. Nessun essere acquatico deve avere alcun tipo di rapporto con loro. Quel tipo di rapporti, poi...
Insomma, a quel punto Partenope rischiava grosso, non tanto per offesa alla morale – che, si sa, sotto il mare è molto fluida – quanto per la trasgressione della Prima Legge degli Esseri Anfibi: “Mai aver commercio con gli Esseri Terrestri”.
Le pene erano molto severe, e il Consiglio poco incline a farsi scappare l’opportunità di mantenere l’ordine, anche a scapito di un’innocente accusata ingiustamente.
Le sirene, come dice ogni mito, non hanno un’anima, e la loro morte è consunsione in spuma senza alcuna redenzione.
Non poteva finire così, ma se fosse tornata nelle Grotte l’avrebbero catturata senza darle modo di difendersi. Come poteva dimostrare di non essere...
- ‘Na zoccola? Eh, chist’ è nu ‘uaio!
- Leppagorre, smettila! Ti chiudo in una lampada e ti spedisco laggiù, tra i Due Fiumi, a portare un po’ di scompiglio tra quei buzzurri. Almeno avresti un’utilità sociale.
- Ma allà la tengono ‘a porchett’?
- Ne dubito fortemente, sai.
- Allora me sto cà, cittu cittu...
- Era ora. Dunque...
... la povera sirena calunniata non sapeva come dimostrare di essere ancora degna di far parte della sua comunità. Forse se avesse potuto dimostrare che non era vero che s’intratteneva con gli umani...
Ma lei stessa non poteva fingere che si divertiva a seguire di notte le lampare e cantare canzoni d’amore ai marinai, che spalancavano le bocche per la sorpresa facendo cadere in acqua le cicche. Lei rideva di gusto, li salutava e tornava nel fondo mostrando la sua bella coda d’argento.
Forse poteva dimostrare in qualche modo che non faceva niente di male. E ne era sinceramente convinta. Ma per dimostrarlo al Consiglio avrebbe dovuto provare che quei contatti non erano deleteri, che dagli incontri con gli umani poteva anche nascere qualcosa di buono, qualcosa che gli esseri dell’acqua avrebbero potuto apprezzare.
Si trascinò fino a riva e, seduta sullo scoglio, con la luna che le faceva luccicare i capelli, si mise a singhiozzare. Era disperata. Nessuno poteva aiutarla, nessuno...
Quando Nunzia intravide nel buio la sagoma quasi trasalì. Si muoveva furtiva perché s’era allontanata da casa per incontrare il suo amato Salvatore, solo per qualche minuto, e non voleva che sua madre se ne accorgesse.
Ma il pianto di quell’essere le strinse così forte il cuore che non poté non avvicinarsi e chiederle cosa fosse accaduto. Appena vide che quella non era una ragazza come lei ma qualcosa di alieno dagli esseri umani, rimase impietrita. Partenope non s’era neppure accorta della sua presenza, e si sfogava piangendo forte, sicura che nessuno là sotto o qui fuori potesse sentirla.
La mano di Nunzia le toccò una spalla e le poche parole che la ragazza riuscì a dire furono una carezza che la sirena non aveva potuto avere da tanto, tanto tempo. Gli umani, così effimeri, così superficiali, così vulnerabili... così unici...
Le due si guardarono. Una muta comprensione passò da occhi pieni di lacrime a quelli neri neri, e una corrente di empatia calda e rassicurante le accarezzò nel cuore. La sirena raccontò a Nunzia le sue ambasce, le spiegò che doveva trovare un modo per convincere gli esseri dell’acqua che gli umani non erano un pericolo, o peggio ancora tempo perso.
Qualcosa che li facesse ricredere, che seminasse in loro la fiducia e desse loro modo di aprirsi e di comprendere che gli anche umani avevano qualcosa di buono da dare.
Nunzia restò un attimo pensierosa. Cosa poteva fare lei? Cosa sapeva fare?
Cucinava benissimo, questo sì, e aiutava il fratello in pasticceria. Dopo l’incidente del padre era lui che aveva preso in mano l’attività di famiglia, e lei faceva come poteva la sua parte.
E se avessero potuto offrire agli esseri del profondo qualcosa di buono, qualcosa che avrebbe fatto nascere sulle loro labbra un sorriso di soddisfazione?
Cosa c’è di meglio in questi casi se non di un buon dolce?
Ci voleva qualcosa di speciale, di nuovo e nato per quell’occasione così particolare, che ricordasse agli esseri dell’acqua le cose buone della Terra: il grano e lo zucchero dalle piante, il burro e le uova dagli animali, tutte quelle cose che “su”, da lei, erano usuali ma che in quel mondo non erano conosciute e apprezzate.
Ci voleva un dolce nuovo, ma cosa?
Disse alla sirena di stare tranquilla e che l’avrebbe aiutata lei, doveva solo consigliarsi con un paio d’amiche fidate per capire cosa fare e, soprattutto, come farlo.
Non erano gente ricca, i suoi, e tantomeno le sue amiche: ci si arrangiava come si poteva, con le cose che si avevano a disposizione in quel momento eppure, magicamente, alla fine veniva sempre fuori qualcosa di buono.
Anna ed Ersilia furono contente di poterle dare una mano, e giurarono di mantenere il segreto con tutti. Era una faccenda tra donne, e così seria che nessuno avrebbe dovuto sospettare nulla.
Anna preparò una pasta frolla, e siccome non aveva lo strutto usò il burro, e anche poco, rispetto a come andava fatto.
“E vabbuò, vorrà dire che sarà una frolla povariella!” – Disse tra sé e sé.
Ersilia si industriò a preparare il ripieno: aveva della ricotta ma non era molta. S’era dovuta limitare, o i suoi si sarebbero accorti che l’aveva sottratta senza dire nulla, e per fare cosa, poi?...
Cosa ci mettiamo, cosa ci mettiamo? Si chiesero in coro le tre ragazze.,
Qualcosa che rappresentasse la Terra, e cosa più del grano poteva fare al caso loro?
Misero a cuocere dei chicchi di grano per renderli morbidi, li unirono alla ricotta, alle uova e allo zucchero, ed Ersilia ebbe l’idea di mettere anche l’aroma dei fiori d’arancio.
“I fiori, ecco cos’altro non hanno sotto l’acqua!” – Disse ridendo.
E con questo pastone riempirono i gusci di pasta frolla “povariella”.
Nunzia portò i dolci in pasticceria, quando i forni stavano ancora raffreddandosi, e fece cuocere le torte al calore dolce del fuoco che s’andava spegnendo.
Dopo un’ora circa erano tutte a bocca aperta per lo stupore: un profumo dolce e invitante stava riempiendo l’aria. Se non si fossero sbrigate qualcuno se ne sarebbe accorto amndando all'aria il loro piano.
Partenope, dal canto suo, aveva radunato i tre membri più anziani del Consiglio e li aveva convinti ad emergere sullo scoglio Secco per vedere coi loro occhi cosa la sirena aveva accennato in modo così circoscritto e misterioso.
Quando emersero dall’acqua sentirono nell’aria un profumo incredibilmente dolce e carezzevole.
Uno di loro sorrise sotto i baffi.
Le tre ragazze s’erano avvicinate alla riva e avevano portato le tre torte su dei bei vassoi lucidi, che la luna faceva splendere, e li porsero alla sirena.
Partenope prese le torte e accennando un sorriso le diede ai tre esseri dell’acqua, ancora sorpresi di vedere delle cose così insolite e così invitanti: “Ecco cosa sanno fare gli umani. Ecco cosa hanno fatto per voi”.
Il secondo vecchio sorrise mentre una fetta di torta gli riempiva le narici dei profumi della Terra.
“Sono esseri imperfetti, deboli, incostanti. Però sanno fare anche queste cose” – Disse la sirena, suadente come non mai, con gli occhi splendenti di luna.
Il terzo vecchio sorrise apertamente dopo il primo morso.
Ma non era detto, magari la stavano tenendo sulle corde come un accordo d’arpa.
Magari non avrebbero capito, non l’avrebbero perdonata e l’avrebbero punita severamente.
I tre finirono in pochi minuti le Pastiere, e rimasero senza saper pronunciare parola a guardare la sirena, che tremava un po’ all’idea del suo destino.
Poi le sorrisero. Avevano capito! Avevano perdonato!
Guardarono le tre ragazze, che avevano seguito la scena impietrite e sorrisero anche a loro.
Poi, voltando le spalle, come era loro abitudine, e si rituffarono in mare.
Era fatta.
Era salva!
Le ragazze e la sirena rimasero a guardarsi negli occhi. Le parole non servivano.
Quello era un addio o un arrivederci? Avrebbero rincontrato la bella Partenope?
Quando questa alzò una mano per salutarle e poi si voltò per tornare al suo mondo sentirono, tutte e tre, una stretta al cuore.
I loro occhi luccicavano sotto la luna.

Pastiera di Partenope, della sora Ersilia.
La ricetta è, come tutte, per due dosi. Le Pastiere, infatti, a differenza delle rose vanno sempre pari...

Frolla "povariella"
600 g    farina
150 g    burro
300 g    zucchero
3           uova
la buccia grattugiata di un limone
1/2 bustina di lievito chimico
Preparare la frolla nel solito modo, sabbiando farina e burro, aggiungendo lo zucchero e le uova e amalgamando senza lavorare troppo.
Sarebbe meglio usare prima due uova intere e un tuorlo e poi, qualora l'impasto risultasse troppo secco, aggiungere il rimanente albume.
Far riposare in frigo per almeno mezz'ora.

Per il composto di grano
600 g    grano precotto
300 ml    latte
30 g    burro
la buccia grattugiata di mezzo limone e di mezza arancia
Portare all'ebollizione a fuoco dolce il composto, sempre mescolando per far assorbire bene al grano il latte. Cuocere una decina di minuti e quindi lasciar raffreddare completamente.

Per il composto di ricotta.
700 g    ricotta
600 g    zucchero
7          uova
1 bustina di vaniglina
Tre, quattro cucchiai di aroma di fior d'arancio.
Lavorare a crema la ricotta con lo zucchero, unire le uova e gli aromi quindi mescolare bene con una frusta.
Unire al composto di ricotta il grano ormai freddo e amalgamare con la frusta.
Qui c'è chi preferisce frullare il tutto per son sentire sotto i denti la consistenza dei chicchi di grano cotto.
Secondo me il grano deve sentirsi, o il senso della Pastiera va perduto...

Stendere 2/3 dell'impasto e ricavare due sfoglie con cui foderare il fondo e le pareti degli stampi.
Bucherellare il fondo della frolla e versare il ripieno fino all'orlo.
Con la pasta rimanente ricavare delle strisce con cui decorare a losanghe la superficie delle Pastiere.
Forno a 160° per almeno almeno un'ora.
Per effetto delle uova il ripieno si gonfia a dismisura ma poi, raffreddandosi riprenderà dimensioni umane - O sireniche, a scelta.


Ora capisco perché si raccomanda l'uso di uno stampo rigido.
Sono troppo innamorato dei miei fidi stampi al silicone da dimenticare che qui si rischia lo sfralloppamento, come anche per la Torta della Nonna (a seguire...)
Quindi, stampi rigidi, a cerniera, magari, e via.

E se - E sottolineo se - dovessero avanzare degli ingredienti - Del tipo usare tutti i 720 g del barattolo di grano, per esempio... - allora con poca frolla rimasta si possono comporre dei tortini, dei Pastierini: un disco di frolla sul fondo e il composto per due, tre cm. Stampini da muffin in silicone o carta (supportati sempre da base metallica, visto il ripieno liquido) e cuocere 45 minuti almeno a 160°.


E quelli in cima? Sembrano quasi... sì, sì, sono proprio codine di sirene.

- Insomma, questi sono dolci di Pasqua.
- Eh, sì. Sai, il grano che è fertilità, le uova che sono nascita, e tutto porta alla primavera, allo sbocciare della vita, allo spuntare di nuovi germogli...
- Anche io mi sento tutto nuovo e rinnovato:


- Pussa via, gattaccio malefico!

Detto napoletano del giorno
L'ammore fa passà 'o tiempo e 'o tiempo fa passà l'ammore.


Oggi ascoltiamo
Almamegretta - Sanacore
https://www.youtube.com/watch?v=3dNRByKH-_o

3 commenti:

  1. la pastiera che straordinaria invenzione

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    1. sublime nevvero? ma anche una bella torta allo yogurt mica male, eh?..

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    2. Ma che fine hai fatto? Perché non sforni piu? Ti sei messo a dieta e addio manicaretti,? Beh, in questo caso potresti sempre inventarti dei piatti light... Dai, muoviti, posta qualcosa!!!

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