venerdì 30 maggio 2014

Minestra di farricello

Leggere le parole di Aldo Fabrizi dà quasi lo stesso piacere d'ascoltarle.
Pare di sentirlo, con la sua bella voce profonda e impastata e con il respiro affannato da eterno indolente, a strologare su qualche ricetta e sull'inferno delle diete.
Ed è un piacere che mi coglie a diversi livelli.
Un po' è come ascoltare la voce dei miei, che erano del '20 del secolo passato, e quindi con la sua stessa forma mentis (1)
Ogni volta che appariva in tv er sor Aldo mi raccontavano quando l'avevano visto recitare al teatro Ambra Jovinelli, vicino alla stazione Termini - quello che come la fenice è rinato dopo decenni di incuria e di degrado - e che assieme a lui c'erano altri "mostri sacri del Cinema italiano" (come si abusa dire): Totò, Anna Magnani, Renato Rascel, Alberto Sordi...
Ahó, mica cotiche, eh?
Un po' è sentire l'anima di quella "romanità" che come tutte le identità collettive ci siamo dati e al contempo c'è stata data, ma alla quale siamo ormai affezionati quasi fosse davvero una parte di noi.
In una sala d'attesa d'uno studio medico, di fronte a una visita esageratamente lunga il milanese direbbe: "Uè, ma quanto ci mètte 'sto qui?", mentre il romano dice: "Ahó, ma che invece de na visita je sta a fà l'autopisìa?"
Ecco, quella continua ironia caustica di fronte a ogni evento, banale o importante che sia, della vita.
Un po' è come vedere un vecchio documentario, di quelli dell'era pre-techicolor, dove le persone si muovono con una pudicizia quasi contadina e con lo stesso colore dello sfondo anche se vestite in jeans e magliette a fiori, e che a Pasolini non sarebbero già più andati a genio.
Oppure è come osservare un acquerello di Roesler Franz, il pittore della "Roma sparita".
Muri sbrecciati, dove l'antico colore pastello dei palazzi storici (2) è una tinta terrosa uniforme e cancerosa; selciati - quando ci sono - possibilmente più avvallati dei nostri tempi moderni, e colmi d'acqua piovana stagnante; persone indaffarate a capo chino nelle loro faticose attività, sia che fossero sor Ermanni o sore Jole, tutti indistintamente abbrutiti da una pesante, ingrata, quotidianità.
Eppure, in mezzo a quei ritratti di degradazione e di atavica stanchezza, si scorgono anche rari segni di vita: un gesto gentile, un sorriso, un cesto di frutta colorata e appetitosa, un capannello d'animati perdigiorno a cui manca solo la parola.
Forse Franz amava così tanto il soggetto che ritrasse nei suoi dipinti che cercò di dargli quella vita che stentava, e che nonostante tutto si ripeteva uguale a se stessa da secoli.
Una vita che avrebbe descritto, a modo suo, anche Aldo Fabrizi.
Ecco via dei Cappellari, dove nacque:


Un budello di strada che parte dallo sguardo di Giordano Bruno - morto abbruciato a Campo de' Fiori nel 1600 - e si perde fino a Corso Vittorio, lo stradone caotico che porta a Castel Sant'Angelo.
Sembra un basso napoletano di un secolo fa quello di Roesler Franz, con le comari che sindacano e spettegolano in mezzo alla strada, con la classica fila di panni stesi ad asciugare in una via che di sole ne vede comunque poco.
Oggi invece vediamo gli stessi muri, magari riportati al colore originario, un selciato di sampietrini che stenta a mantenersi piatto, l'aria pacifica e sorniona del centro città, e vediamo che qualcosa manca, qualcosa che non c'è più.
Non c'è più la gente d'allora, quella che viveva qui due, trecentro anni prima, coeva di Fabrizi ma anche dei miei.
Le comari e gli artigiani, l'erbettare e le fruttarole di Campo de' Fiori (diventato un'innaturale e quasi oscena vetrina per turisti), i fattorini e i negozianti, i vecchi che conoscevano tutti del rione e guai a fare i furbi: si perdeva onore e reputazione con molto poco.
È questa la vera "Roma sparita", altro ché.

Il farricello non è altro che il farro spezzato, un cereale col quale da sempre, in Italia, si sono fatti pane, minestre, polenta e dolci. Prima ancora del riso, che è arrivato dall'oriente grazie agli Arabi, attraverso la Sicilia; prima della pasta, che si diffonde solo nel Medioevo, e che fino all'Ottocento era cibo per signori; prima del mais, ovviamente, che però i nativi americani mangiavano in mille altre maniere diverse.

Così lo descrive er sor Fabbrizi:

Faricello
Si nun l'avete mai assaggiato, calcolate un etto e mezzo a testa. io e mi moje de solito se ne famo un par d'etti: lei lo capa come er riso e poi lo lava nell'acqua fresca due vorte, pe levacce bene quarche pelletta che viè a galla.
Er soffritto se fà come ar solito: battuto de grasso de preciutto, l'immancabile peperoncino, una cipolletta, e 'no spiccio d'ajo da 'ndorasse in un po' d'ojo serio (...)
Appena è d'oro ce verso un dito de vino bianco secco e doppo svaporatoun po' de pelati e 'no schizzetto de concentrato de conserva, due tre foje de basilico tritato e si ve ce piace na presa de maggiorana o d'origano, che è la stessa cosa.
Quanno er sughetto s'è ritirato ce metto 'na puntina de sale, un pezzetto de dado e allungo co 'n po' d'acqua che bisogna tené sempre in callo sur fornello piccolo.
Quanno ribbolle butto giù er faricello a poco a poco senza interompe er bollore che dev'esse moderato.
Appena se comincia a infittì lo mucino co la cucchiara de legno pe nun fallo attaccà.
Er tigame o la pila è mejo che sia de coccio. Pe la cottura ce vò na mezz'oretta e se leva dar foco quanno è fittarello.
Si se sente poco peperoncino ce se macina un tantino de pepe (io ce lo pacino puro si pizzica).
Se conclude co' 'na bella sbruffata de pecorino, naturalmente romano, e se mischia bene perché nun s'ammalloppi.
Poi, versato nelle scudelle, dateje un'antra incipriata de pecorino e si lo preferite de parmigiano: coprite e dopo un quarticello dateje addosso.



Non c'è bisogno di alcuna traduzione credo, solo d'una stupita, rapita ammirazione...

P.S. 
Vabbè che sono ormai solo l'astuccio d'un gattodemone e che quando faccio la spesa conto almeno tre bocche.
Vabbè che con l'età invece di diminuire l'appetito m'è aumentato, e dire che è da un pezzo che ho finito l'ultimo sviluppo (verticale, almeno; oramai mi concentro in quelli in orizzontale...).
Vabbè che quando qualcosa è buono un bis glielo si concede sempre ben volentieri.
Ma tre (3) piatti! Basta, lo so già da me... e non aggiungo altro!

Detto romano del giorno
Er gobbo vede 'gni sempre la gobba de l'antri gobbi, ma nun ariesce mai a ritrovasse la sua.

La solita storia della trave e la pagliuzza...

Oggi ascoltiamo
Renato Zero - Magari

https://www.youtube.com/watch?v=2IgfRHhhv8A&feature=youtu.be

NOTE
1) Le persone nate prima degli anni Quaranta condividono coi loro antenati lo stesso tipo d'educazione e lo stesso sfondo culturale (vogliamo dire background? Vabbè, diciamolo pure), tanto che un ventenne del 1900 era molto simile a un suo coevo di vent'anni dopo. Li accumunava la stessa cultura, popolare e piccolo piccolo borghese, oppure contadina.
Vent'anni dopo, quei ventenni che avrebbero vissuto il boom ecomico, le gite con la lambretta, le prime feste in riva al mare, avrebbero condiviso un altro modo di vivere e di consumare, diverso dai loro padri.
Vent'anni dopo i ninetti di Pasolini sarebbero spariti per sempre.
2) Ah quei terra di Siena bruciati, quel latte e menta, quell'ocra in tutte le sue gradazioni possibili, e quel celestino da cielo bizzoso... Solo da pochi anni si cerca di recuperare il colore del centro storico.
E per fortuna, dico io.

6 commenti:

  1. Ormai lo so. Il piatto con i girasoli " buffet e controbuffet" con la tovaglia, indicano sempre un'eccellenza. E qui tra Fabbbbbrizzzzi e Ric c'è il risultato di un'alleanza preziosa. Ho sempre voluto " n' incipriata de pecorino". Come diciamo a mi, "mo ce provo", ciao

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  2. Cara Lau, sei troppo gentile: er sor Fabbrizzi nun se bbatte!
    Sono già soddisfatto se riesco a riportare qui qualcosa di tutto ciò che ci ha trasmesso.
    E comunque, sai, me ne son magnati davvero TRE piatti, m...cci mia!
    Sò propio no sprocedato!...
    Basciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii

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  3. Adoro il farro, ma ancora di più adoro leggere le ricette di Aldo Fabrizi! Certi termini sono qualcosa di fantastico!

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  4. Vero! Tu pensa che certe espressioni a Roma non si usano più, perché sanno d'antiquato. E invece hanno un'immediatezza che non viene recepita. "Fà tera pe li ceci" ossia "morire" è una tra le tante...
    Meno male che qualcosa ancora resiste!

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