Ovvero: Adesso chiamatele Panadas
Si sa, spesso i pregiudizi e le idiosincrasie nascono da un'esperienza più o meno traumatica dell'infanzia.
C'è chi ha paura dei cani, per esempio, perché da piccolo è stato spaventato da un cane, magari un dolcissimo e innocuo cagnone ma un po' troppo esuberante ai suoi occhi di bambino, e da lì si fissa, spesso per sempre, l'idea che cane equivalga a pericolo.
Non parlo di paure motivate o di veri e propri traumi, parlo di quello piccole cose che però, quando la situazione cambia, ci lasciano stupiti di come possiamo aver protratto così a lungo quell'ingiustificato atteggiamento di difesa e diffidenza.
Confesso di aver nutrito un'ingiustificata (alla luce della consapevolezza odierna) diffidenza verso lo strutto.
Colpa della mia ipersensibilità verso gli odori e della dirimpettaia di un tempo, che lo usava al posto del burro per comporre crostate e dolci in generale.
Ecco, non so se la sugna che usasse la cara signora fosse un po' irrancidita (è difficile conservare lo strutto se non in frigo) o quale altro ingrediente segreto aggiungesse ai suoi impasti.
Fatto sta che da allora ho sempre sotto il naso, associato alla parola strutto un odore mefitico, fastidioso, insopportabile.
È stata dura superare la mia idiosincrasia, e solo l'amore (per la cucina, nel mio caso) opera miracoli di tal fatta.
Ecco, un tempo feci le Panadas, consapevole del fatto che, per arrivare a un risultato che fosse un minimo decente, si dovesse usare lo strutto.
Provai col burro ma, si sa, anche se il sapore alla fine era comunque accettabile, mancava comunque qualcosa.
E lo credo...
Il segreto sta nella pasta violada, ovvero la pasta "violata" (che il nome indichi il fatto che va lavorata a lungo e con veemenza?...), una ricetta millenaria, semplice ma, come tutte le cose semplici, esigente in fatto di ingredienti e lavorazione.
Non pensiamo di farla usando con il burro.
Sarebbe un'altra cosa, e ci si rende conto di questo solo quando si prova lo strutto.
Vinta quindi la diffidenza, nascoste le analisi in un cassetto (lo strutto è veleno per il colesterolo ma, mi sono detto, mica lo devo mangiare a cucchiaiate...) ho tratto un sospirone e giù, dal trampolino...
Adesso capisco...
La pasta violata ha una malleabilità unica e una resistenza notevole; può essere stesa sottilissima senza rompersi e può essere lavorata come e meglio di una pasta di zucchero.
Insomma, una vera e propria manna.
Come ho fatto a rinunciarvi fino ad ora, come?
Se mi guardo in giro (in Rete, intendo) c'è anche chi consiglia di usare pari pari il burro al posto dello strutto, non considerando che il primo è composto al 20% da acqua mentre il secondo è grasso al 100%; quindi per la conversione si dovrebbe usare lo stesso criterio che si ha con l'olio: aggiungere quel 20% in più di grasso per equiparare la percentuale di grassi...
Ma, comunque, con buona pace di chi ama gli animali, ciò che si otterrebbe sarebbe solo un surrogato.
Pasta Violada
Occorre una parte di semola rimacinata e una quantità di strutto che va da 1/5 a 1/4 della quantità di semola.
E, ovviamente, acqua tiepida q.b. e un pizzico di sale.
A occhio 400 g di impasto basta e avanza per una decina di panadas (grandi quanto un muffin, per capirci), o per duas panadas mesànas (da 14 cm di diametro) o per sa panada manna (da 24 cm di diametro, una vera e propria torta salata...)
Quindi:
250 g semola rimacinata
50 g strutto
Acqua tiepida q.b. Sale, un pizzico.
Si pone in una ciotola la farina, vi si aggiunge un po' d'acqua, il sale e si comincia a mescolare.
Aggiungere lo strutto e, se serve, altra acqua.
Lavorare bene e a lungo, ameno almeno un quarto d'ora.
C'è chi dice anche quaranta minuti e, secondo me ha ragione.
La semola è un po' come i sardi: all'inizio granulosa, diffidente e poco cedevole.
Lì per lì è quasi sconfortante e sembra che non se ne possa ottenere un risultato decente (in termini di impasto e di rapporto umano, intendo...)
Poi, insistendo, con la pazienza e la veemenza che richiede l'amore (per la cucina, eh?) la si vede diventare elastica, cedere, e dare il meglio di sé, sempre.
Perché, si sa: un sardo è come un diamante: è per sempre.
Lasciare riposare la pasta almeno mezz'ora, ben riparata.
C'è sempre chi consiglia di farla la sera prima e lasciarla quieta quieta tutta la notte.
Non stento a crederlo: dopo essere stata violata in quel modo...
Per il ripieno: SBIZZARRITEVI!
Ultima prova fatta:
300 g carne di manzo
300 g patate (2 medie)
150 g cipolla (1 bella grossotta)
1/2 cucchiaino di zenzero fresco grattugiato
1 punta di cumino e 1 di coriandolo, in polvere (e te pareva!...)
Tagliare a pezzettini la carne (non tritarla! La rovinereste. Usare invece un coltello ben affilato) e cuocerla appena in poco olio o burro, unendo le spezie.
Lessare "al dente" le patate (la forchetta deve fare un po' di fatica a raggiungere il centro); pelarle, tagliarle a fette e quindi a dadini
Stufare la cipolla tagliata a pezzettini in poco burro.
Solito metodo: padellina, fuoco MOLTO dolce e coperto, e girare spesso.
Alternativa: raccontate alla cipolla di tutte le volte che il vostro ex vi ha dato buca, vi ha cornificato a ripetizione, vi ha raccontato balle grandi come edifici di venti piani, e così via... la cipolla si stuferà all'istante.
Mescolate in una terrina la carne, le patate e la cipolla.
Stendere due terzi della pasta violata, foderarne due stampi da 14 cm, o il formato che più preferite.
Versare il ripieno e pressarlo un po' con un cucchiaio per compattarlo,
Stendere la pasta rimanente e ricavarne il coperchio per il/i nostro/i tortino/i.
Se vi avanza della pasta fate delle decorazioni a piacere da fissare con una pennellatina d'albume, se ne avete, o anche con poca acqua.
Vi sorprenderà come sia malleabile questa pasta..
Alla prova d'assaggio Sabri, la cugina-amica-cavia, ha esclamato: "Sembra il Cornish pasty che mangiavo in Inghilterra!"
Uhm... Cornish pasty?...
Sono andato a vedere di cosa si trattasse e ho scoperto, come se ce ne fosse bisogno, che ogni popolo, più o meno lontano ha i suoi Pasticci. Eh, già...
Dalla Rete questa poetica descrizione:
Dopo essere stata consumata dalla nobiltà, nel corso del XVII° e XVIII° secolo i pasties divennero popolari tra i lavoratori della Cornovaglia, dove i minatori li hanno adottati come cibo quotidiano, essendo un pasto completo, semplice e consumabile senza posate. In una miniera le pasties potevano stare al caldo per diverse ore, o potevano facilmente essere riscaldato sulla pala posta sopra una candela.
Che dire: se la Cornovaglia ha i suoi Cornish pasty, anche Muflonia ha i suoi... Mouflonian pasty!
Variazioni sul tema
Facciamo un piccolo gioco: compiliamo una lista di verdure (e se è in base alla stagionalità tanto meglio), vicino aggiungiamo una lista (opzionale, se preferite una ricetta solo vegetariana) di tipi di carne (manzo, pollo, maiale, coniglio, e così via) e una (sempre opzionale) di formaggi (ricotta, emmenthal, fontina, e così via).
Imprescindibile la lista degli odori e delle spezie (alla mia non mancherà mai la curcuma, il cumino, il coriandolo, lo zenzero e altre trecento spezie...).
Se siete audaci (quanto ce piace l'audacia, in cucina...) anche una lista di frutta (sempre in base alla stagionalità), ma anche frutta secca (prugne, albicocche e così via).
Adesso prendete una matita (e che, lo volete fare al pc? macché!...) e tracciate ad occhi chiusi delle linee, così, a caso...
Scherzo: fatevi invece prendere dalla fantasia e sedurre dal ricordo dei profumi, dalle consistenze, dai sapori e retrogusti dei cibi che avete elencato davanti.
Capite a cosa si può arrivare?
A una ragnatela sconfinata, un grafo immenso, una mega lista pantagruelica degna di Borges.
Avete ancora dei dubbi? Visitate questo sito.
Smonterete la sicumera di molti cuochi che fingono di aver "inventato" una "nuova" combinazione di sapori e vi si apriranno nuovi mondi.
Perché la cucina, come tutto ciò che è fantastico, vive nella Quinta Dimensione...
Piccoli suggerimenti
- cipolle e funghi
- cipolle e patate
- asparagi ed emmenthal
- radicchio e ricotta di pecora
- spinaci e gorgonzola
- agnello e patate
- agnello e albicocche
- maiale e prugne
- pollo e peperoni
- cavolo romano (quello verde) e alici
...
Detto sardo del giorno
Ad s'istranzu non l'abbaides sa bertula.
All'ospite non guardare la bisaccia
Oggi ascoltiamo
Janas - Biskisende
http://www.youtube.com/watch?v=9filiiQmvsE
Proite b'est semper unu sardu chi nos furat su coro...
Ma sono meravigliose! Sei diventato bravissimo! Che zona della Sardegna frequenti? Dal dialetto che utilizzi direi l'interno, tipo provincia di Nuoro.
RispondiEliminaGrazie di avermi inserito sulla tua blog roll, farò altrettanto, sono contenta di aver conosciuto un food blogger maschietto, non se ne può più dei blog tutti rosa con pizzi e confetti ;)
A nos bidere!
P.S. visto che hai scoperto lo strutto http://ipranzidelsabato.blogspot.it/2013/11/cocche-di-maiale.html
Ma cara cara Marialusa, lo sai che anche io non sopporto affatto i "pizzi e confetti" di certi blog?
RispondiEliminaPare di stare in un quaderno di una bambina delle elementari, con tanto di gattini, fatine e stelline... E che palle!
Le mie fatine sono "janas caciarone" che bevono come finlandesi e ballano tutta la notte alla luce della luna.
Ho frequentato da innamorato Sassari, che spero però di poter rifrequentare presto anche a titolo d'amico, ma amo la Sardegna da anni e anni.
Amo la Sardegna dei paesini, quella dell'interno dove ancora ti guardano un po' storto, e amo quella del mare (che non sia quella sventrata dal turismo di massa), amo la sua cucina, la musica, la gente schietta e parca di gesti e di parole (anche se basta andare a una qualsiasi festa di paese per ricredersi..)
Spero poi di imparare un giorno o l'altro anche la vostra bella lingua, da cui è nato tutto l'amore per questa terra.
Credo di essere l'unico romano ad avere in casa un ricco assortimento di grammatiche di limba sarda delle quali non sono ancora venito a capo. Non sono ancora in grado di distinguere bene le diverse parlate dell'isola (sì, le trecento e passa lingue che un giorno, spero presto, ne avranno una ufficiale, LSC o no) ma mi onora essere preso per un sardo nuorese.
Su coro meu si fachet prus mannu...
Tu sei di Sassari, vedo da Google+. Città o dintorni?
Le cocche di maiale... mhhh!!!
La sai una cosa? Ho scoperto sì lo strutto ma anche i trigliceridi, quindi questa, come tante altre cose buone me le devo fare di nascosto. Da chi? Come da chi, ma da me stesso, no?
A nos bidere!
Eu soggu thatharesa, ma no in ciabi! Si definiscono sassaresi "in ciabi" ovvero "con le chiavi" quelli nati entro le mura e con antenati sassaresi, sempre nati entro le mura, da un be' di generazioni. No per piacere la lingua comune NO! È una mostruosità inventata, basata sul barbaricino, con infilzati a forza termini degli altri dialetti e parole italiane con l'articolo in sardo tipo su televisore, su computer, su telefonu, che orrore! Io poi, che cromosomicamente sono 50% gallurese e 50% planargina, ma sono nata e cresciuta a Thathari Manna sarei una minoranza linguistica.
RispondiEliminaA bidezzi compà
E io che mando tutto a zampe all'aria proprio adesso "chi socu imparendi unu pocu de gaddurese"! Ma si può?
RispondiEliminaIl sassarese comunque mi risulta più ostico del sardo stretto, e faccio fatica a capire tutti i filmati degli "Aspirina"
(Che mito quel "Io sono una barabattulaaa!", scendendo dallo scalone come Rossella O'Hara..)
Guarda, io sono un estimatore e sostenitore della lingua comune, perché credo che se si vogliono determinati obiettivi questa resti una condizione sine qua non.
Non si può pretendere di essere indipendenti scrivendo in italiano...
Poi ognuno lo parli come vuole ma il sardo "è uno", come hanno dimostrato fior di linguisti.
Credo poi che ogni lingua veicolare e ufficiale sia "una mostruosità".
Lo è lo sloveno, lo è il catalano, lo è il basco (dove ci sono anche minoranze inintelligibili).
E anche l'italiano lo è: infatti non è più da tempo il dialetto toscano delle origini; e l'italiano ognuno lo parla un po' come può e vuole, ma almeno "si scrive così".
Una norma ci vuole.
Non temere d'essere minoranza linguistica.
Lo siamo un po' tutti, in Europa, così ricca di idiomi.
E spesso alle lingue alloglotte spettano più diritti delle lingue minoritarie.
L'importante, credo, è essere padroni in casa propria, "in ciabi" o no.
Scusa il tono tra la filippica e la maestrina dalla penna rossa, ma seguo la questione limba da un bè d'anni, e spero sempre che se ne venga a capo.
Perché la lingua è alla base dell'identità, e non si può reclamare diritto di essere un popolo senza un'identità.
A noi romani il dialetto è stato diluito nell'italiano, e sembra non importarcene.
Che darei per essere madrelingua sardo, o sassarese, o gallurese.
O tutti gli idiomi che amo.
Come si dice: "Ischire limbàgios est sabidoria"...
Baci a ciocchi