martedì 5 febbraio 2013

Suppa Gadduresa

... "Chi sà, magari lu nanu Fumiddu ha sfruttatu li cuccarummeddi di la cunca soia chi, cun li vapori fiacosi, lu fàci muì lestru ill'ària comu unu hoovercraft. Figuremoci … Di seguru è chi si li fiàchi sò li mattessi di li chi pienàni la tana di lu nanu, podemu immagghjnà cali siani l'effetti…Magari ha rasgioni li chi cunta chi, candu appare unu cuccarummeddu bulèndi, tutti cuminciàni a ridì a scaccaddati o a sunnià cosi strani: li scoiàttuli cascani ridèndi da l'alburi e abbracciani alligramenti li mazzoni, divintati stranamenti masedi, li fòlmiculi sunniani d'èsse cilagri e li cilagri di paltizipà a X-factor….Chi sà si è veru…" (1)

- Fine della favola!... Ma che fai, Leppagorre, stai piangendo?
- Io? Uh... Macché!... Come ti salta in mente? Adesso uno di 622 anni si commuove così, per niente?
- Mi pareva... Hai tutto il pelo bagnato.
- Sarà la rugiada...
- Ma se siamo chiusi in casa da ieri!... Vabbè, va, lasciamo stare. Insomma, t'è piaciuta?
- Bella!... Dài, di nuovo! Raccontamela ancora!
- Leppagò, e che diamine!  Non possiamo mica stare tutta la notte a raccontare favole! E in gallurese, per giunta. Manco a dire che, una volta sentita una storia t'addormenti, come fanno i bambini da che mondo e mondo.
- E su! Dài!... Un'altra volta soltanto!
- Poi però la smetti di ammorbarmi l'anima e mi lasci cucinare, vero?
- Promesso!
- Eh, hai capito! L'ho messo in banca! (2)
- Che c'è, non ti fidi più di me?
- Perché, è già successo che mi sia fidato di te? Sono stato davvero così babbeo?
- Non raccolgo la provocazione, anzi, per dimostrarti quanto sono gentile e disponibile, dopo il racconto ti aiuterò anche a cucinare, va bene?
- E allora siamo a posto!
- Su, su, che il tempo vola!
- Però stai zitto, eh? Niente cori o versi di animali. La conosco già bene, questa storia. Quindi muto o smetto di leggere, intesi?
Allora... "Lu contu di lu pulcravu ruiu e di lu nanu chena aricchj. V'era una volta, umbè d'anni fa, illa luntana isula di Muflonia, e anzi ancora v'è, una cumunitai di animali manni chi vagàani sarvàtici pa' li buschi magnendi bachi, frutti, irradìci e tuttu cantu riiscini a agattà illi tarreni grazie a li zampi e a li sanni affilati."...

E dopo la terza volta che il cinghiale rosso si perdeva nella caverna e lo gnomo Fumino perdeva le orecchie, Leppagorre, a dispetto della sua veneranda età, prende e si addormenta.
Shhh! Per favore, non facciamo rumore, altrimenti si sveglia e rischio davvero di ritrovarmelo in cucina che tenta, a suo dire, di aiutarmi!
Come ronfa...
Chissà se anche Filemone russava, mentre Jung gli raccontava le sue filippiche sugli archetipi.
Approfittiamo di questo raro momento di pace e diamo un senso, se non alla giornata, almeno a quel pezzo di pane raffermo che grida vendetta al cielo.
Prepariamoci, visto che siamo in tema, una bella Suppa Gadduresa (4).
E passa la paura!


Occorrono, per due persone:
300 g       pane raffermo
100 g ca  formaggio vaccino fresco tipo caciocavallo
100 g ca  pecorino sardo grattugiato
brodo di carne qb.
Questo è davvero un piatto per tutti, poveri e ricchi. I primi trovavano il modo di utilizzare fino all'ultimo il pane rimasto, gli altri l'arricchivano usando per il brodo le carni più costose e saporite.
In ogni caso è il primo piatto tipico della Gallura e una volta, quando i ristoranti erano un lusso per pochi e i banchetti di matrimonio si celebravano in casa, questa era considerata la prima portata del pranzo nuziale.

So già che sono passibile di rampogne d'ogni tipo, visto che questa ricetta, come qualunque altra della cucina italiana, è dialettizzata e quindi, dalla versione "ufficiale" a quella d'ogni singolo paese, fino ad arrivare al lessico familiare del quaderno di casa, le versioni che possiamo trovare (o estorcere di persona con fatica immane) sono un'infinità.
Iniziamo dal pane.
C'è chi usa solo la spianata sarda, chi il coccoi, chi il carasau, chi i panini raffermi.
I tempiesi usano, a loro dire, la corona (corona di tricu ruiu), un pane caratteristico di semola di garno duro, ma non so quanti siano in grado di distinguerla da pani simili sul banco del panettiere.
Io ho usato il mio pane fatto in casa che era invecchiato un po' troppo, dato che qui nun se butta mai gnente...
Il brodo, poi.
La versione più verace della ricetta prevede brodo di capretto o, almeno, di pecora.
Poi c'è chi utilizza, quando non è periodo di carne ovina, un misto di manzo, maiale e gallina.
Io, chiedo venia, avevo del brodo di manzo fatto il giono prima con tanto amore, e mi sono accontentato così.
L'importante è che sia un brodo vero, con tutti gli odori del caso: sedano, carota, cipolla, del pomodoro (secco o concentrato), prezzemolo e alloro.
E il formaggio?
Se ne usano due tipi: uno fresco, tagliato a fette sottili, e uno stagionato da grattugiare (indovinate quale? Bravi, del buon pecorino di Saldigna).
Non credo proprio che qui manchi la scelta, che ve lo dico a fà?
Per quello fresco si consiglia lu casizolu, detto anche casgiu spiattatu o peretta (bona quella di Perfugas...), un formaggio vaccino simile al provolone dolce o al caciocavallo.
Ma, in mancanza d'altro, qualsiasi caciocavallo continentale può timidamente sopperire alla bisogna.
Alcuni usano anche la pischedda, un formaggio vaccino fresco non salato, lasciato inacidire a temperatura ambiente protetto da un panno umido per impedire la formazione della crosta o posto a fermentare nel suo stesso siero. Questo, a contatto con il calore, si scioglie in crema, dando al piatto un sapore ineguagliabile.
Devo dire che ho sgarrato assai in questo passaggio perché ho utilizzato del buon pecorino fresco che sentiva tanto la mancanza del mio pane...
Che devo fare, a me piacciono i sapori forti...
Siccome poi mi piaceva avere una suppa bella alta, ho utilizzato uno stampo da plum cake, perfetto per la dose prevista.
Ho passato un velo di strutto sul fondo e vi ho adagiato le prime fette di pane, tagliato dello spessore di un centimetro, quindi il formaggio fresco e una spolverata di quello grattugiato.
Ho ripetuto l'operazione e sono passato a versare, pian piano, un mestolo alla volta, il brodo necessario ad imbibire completamente i due strati di pane.
In superficie ho spolverato un velo di pecorino grattugiato, e via, in forno caldo per almeno 40 minuti.
O, almeno, a doratura della superficie.



Ecco, devo dire che non è venuta né troppo asciutta né troppo brodosa.
Una giusta via di mezzo, morbida e saporita.


Tanto che...
Eccolo, con lo stampo vuoto nella zampa e la faccia da assassino...
- Ma come, te la sei sbafata tutta tu, da solo?
- Eh, caro mio, tu dormivi...
- La prossima volta non mi freghi con i tuoi cinghiali rossi, gli gnomi senza orecchie e quelli barabattuli (5). La prossima volta sai che faccio? Mi prendo un bricco di caffè! Ingordo che non sei altro!
- Io, ingordo? Ma da che pulpito la predica... Mh, senti un po', ti andrebbe di sentire un'altra storia?
- Basta! Sono stanco di gnomi e di malefizi!
- Be', peccato... Ne avevo una con personaggi nuovi. Conosci mica le jane-caciarone? (6)
- No! Chi sono?
- Eh, ma sei così stanco di queste storie che non so se ti andrà di ascoltare anche la loro.
- Eccomi qua, su! Inizia, che sono curioso più di un gatto!
- Appunto. Allora... C'era una volta...

Detto gallurese del giorno
Vali più unu fendi che centu cumandendi.

Vale più uno che fa che cento che comandano.

Oggi ascoltiamo
Cordas et Cannas - També

http://www.youtube.com/watch?v=qphgD6QjzJ8

NOTE
1) "Chissà, magari lo gnomo Fumino ha sfruttato i funghi della sua caverna che, con i loro vapori puzzolenti, la fanno muovere veloce nell'aria come un hoovercraft. Chissà… Certo è che se i miasmi sono gli stessi che avvolgono l'antro dello gnomo, possiamo allora immaginarne gli effetti… Magari ha ragione dunque chi racconta che, all'apparire di un fungo volante, tutti iniziano a ridere o a sognare cose strane: gli scoiattoli cadono ridendo dagli alberi e abbracciano allegramente le volpi, divenute stranamente mansuete, le formiche sognano d'essere cicale e le cicale di partecipare a X-factor….   Chissà se è vero…"
Da "La storia del cinghiale rosso e dello gnomo senza orecchie". Versione in lingua gallurese.
2) Nel senso: Di questa cosa ne siamo sicuri.
3) "La storia del cinghiale rosso e dello gnomo senza orecchie. C'era una volta, nella lontana isola di Muflonia, e anzi c'è tutt'ora, una colonia di grossi animali che vagano selvatici per i boschi cibandosi di bacche, frutti, radici e tutto quanto riescono a scovare nel terreno grazie alle loro zampe e alle zanne accuminate." (Op. cit.)
4) Non metto volutamente la lettera h dopo la doppia d, visto che in gallurese, come anche in calabrese e in siciliano, questo digramma indica sempre il suono della d cacuminale. Quello delle parole bedda e luddo, in siciliano.
5) La barabattula è, in uno dei tanti dialetti dell'isola, la farfalla. Cosa mai potrà essere uno gnomo barabattulo?...
6) Le janas sono le fate della mitologia sarda. Esseri spesso benevoli ma, a volte, anche dispettosi o pericolosi. Si dice che chi sentisse il loro richiamo in una notte di luna fosse destinato a trovare un immenso tesoro. Ma cosa mai potevano essere le janas-caciarone?...

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