Eteree, fugaci, sfuggenti.
Vive nell’immaginazione di ogni popolo, e strettamente
legate agli elementi della natura.
Nessuno le ha mai viste davvero, le fate; molti ne parlano,
o almeno ne parlavano in passato, e ben pochi sanno come siano fatte.
In s'isula mea amada le fate sono dette janas e ancor oggi
le loro dimore, grotte ipogee che furono sepolture preistoriche, vengono
chiamate appunto domus de janas.
Il loro nome somiglia alla parola janna, ovvero porta.
Cosa sono infatti le fate se non delle porte che dal nostro
mondo si aprono in una dimensione ultraterrena?
Minute e bellissime, vestite di rosso e col capo coperto da
un fazzoletto ricamato d’oro e d’argento.
Il corpo evanescente e la pelle talmente delicata che anche
il più pallido sole potrebbe rovinarla.
Ecco perché escono solo di notte, e se non c’è la luna sanno
diventare luminose come lucciole, per evitare le spine dei rovi lungo i
sentieri di campagna.
Passano le notti a sbrigare le loro faccende, soprattutto a
tessere senza posa su piccoli telai un ordito di filo d'oro splendente alla
luce della luna, cantando bellissime melodie che nelle notti silenziose davano
conforto ai viandanti solitari.
Quando di notte è luna piena, stendono i panni sui prati ad
asciugare.
Alcuni dicono che tramite i veli stesi alla luce della luna,
incantassero di meraviglia il viandante che veniva quindi rapito da nani
crudeli.
Si dice anche che chi di notte sentisse chiamare tre volte
il proprio nome avrebbe potuto mettere le mani su un cospicuo tesoro, ma solo
qualora si fosse data prova d’onestà.
La cupidigia avrebbe infatti trasformato l’oro in cenere e
carbone.
Altri sarebbero stati accolti nel loro mondo fatato e se
avessero poi avuto voglia di tornare nel loro mondo abituale, magari dopo
qualche giorno, avrebbero scoperto che invece di giorni erano passati anni,
secoli, e che il dono della ricchezza era stato accompagnato da quello della
solitudine.
Ma solitamente sono gentili ed affabili, anche se riservate
e timide, e dato che non si sposano in alcune zone sono anche dette birghines
(o virghines).
La notte entrano nelle case degli uomini, si accostano alle
culle e, cambiando l'intensita della loro luce, decidono il destino del
bambino, se fortunato o meno.
Ancora oggi quando si incontra una persona fortunata si dice
che è bene fadada, mentre di quella sfortunata si mormora invece che è di certo
mala fadada.
In altre regioni sono malevole e sgradevoli come orchesse, e
come loro alquanto permalose, tanto che se disturbate da qualche incauto
cercatore di tesori, possono vendicarsi in modo esemplare.
Altrove sono delle gigantesse dal seno emorme che vivono nei
nuraghi.
Altre ancora ricordano la figura della temuta Surbile, la
donna-vampiro che di notte succhia il sangue dei neonati.
Insomma, molteplici aspetti per uno stesso essere.
Pochi però conoscono l'esistenza di altri tipi di janas,
tanto che queste non hanno neppure un nome che le designi.
Noi umani, che tanto amiamo catalogare esseri e cose, le
potremmo chiamare janas caciarone.
Sono uno strano incrocio tra le fate e i fabbri.
In
apparenza leggiadre e delicate come fatine ma, nella sostanza, sguaiate e rozze
come maniscalchi d’altri tempi.
Le janas caciarone, così rudi e toste, non sono infatti come
quelle fatine dalle ali traslucide che passano gran parte del tempo a cucirsi
abitini di foglie e a fare smancerie agli insetti.
Vivono infatti in un’altra dimensione, dove passano il tempo
a bere come alcolizzate una mistura di sidro a 90 gradi insaporito da polline
di passiflora, ballando e cantando a squarciagola canzonacce da osteria e
facendo gare di rutti e di versi improvvisati.
Su quali temi lo si lascia immaginare…
Di notte possono essere viste cavalcare le loro velocissime
cavallette mentre si spostano per la campagna per radunarsi nei loro
rumorosissimi rave-party.
A loro Easy rider gli fa un baffo!
A tempo perso amano forgiare i metalli, ricavandone fini
monili, catene e altri oggetti, soprattutto
capanacci, che nelle notti di plenilunio lasciano appesi alla porta
delle case o al collo del bestiame, spaventando ogni volta i destinatari di
simili doni.
I poveri pastori, infatti, mai si sognerebbero di staccare
quegli oggetti fatati dal collo dei loro animali, dato che quei campanacci hanno poteri sconosciuti, ed
ognuno legato alla persona o all’animale a cui sono stati donati.
Sono, senza alcun dubbio, le migliori fabbre dell’universo…
Si dice anche che solo col dolore acuto e il bacio di una
lacrima le si può richiamare nel nostro mondo.
Ma chi di noi vorrebbe aver a
che fare con la loro tracotante vitalità?
In onore di questi esseri fatati prepariamo dei dolcetti
delicati e forti, dal sapore avvolgente ma delicato.
Come solo sanno essere i baci delle janas.
Per il Pandispagna alle mandorle occorrono:
3 uova
180 g zucchero
150 g mandorle
non pelate
30 g farina.
Sembra il Pandispagna di Torreblanca, ma lui mette solo
mandorle e poi usa quelle pelate ridotte in farina.
Credo che invece le mandorle non pelate, tritate quindi con la buccia, abbiano tutt'altro sapore.
Montare a nastro le uova con lo zucchero.
Ricordo che la
frusta, sollevata sull’impasto, deve “scrivere”.
Aggiungere le mandorle tritate assieme alla farina (così si
evita la fuoriuscita d’olio dalla frutta
secca).
Versare il composto in una sac à poche con bocchetta media
(da 10, per capirci) e formare sulla placca coperta da carta forno dei
mucchietti ben distanziati.
Cuocere una ventina di minuti, a doratura.
Farli raffreddare prima di toglierli dalla placca: sono
delicatissimi e si sbriciolerebbero se ancora caldi.
Per la ganache al cioccolato fondente:
50 ml panna
50 g cioccolato
fondente
Per la ganache al cioccolato bianco:
70 ml panna
150 g cioccolato
bianco
In entrambe: 2-3 cucchiai di mirto…
Dividere i cioccolati a pezzetti in due ciotoline, quindi
portare a bollore la panna totale col mirto.
Quando sta per bollire suddividerla nelle due ciotole e
mescolare bene con i cioccolati per farli sciogliere perfettamente.
Una volta freddata far riposare in frigo per almeno
un’ora, quindi armarsi di frusta e picchiare il vostro fedigrafo compagno!
No, fermi tutti!
Montare le ganache…
Basteranno davvero pochissimi minuti (a differenza che col
compagno fedigrafo…)
Con una sac à poche o una siringa da pasticceria formare un
cuore di ganache fondente su metà dei biscotti, mentre con la ganache bianca
formare un anello di crema che lo circondi.
La dolcezza che protegge la forza, proprio come le nostre
janas.
Coprire con l’altra metà dei biscotti e… assaggiare.
Ne escono comunque una ventina, quindi si può fare, senza
eccedere.
Fermatevi prima di averli finiti tutti e tenere in frigo i
superstiti.
Prima di servirli lasciarli a temperatura ambiente per una
decina di minuti, per far riammorbidire le ganache.
Detto sardo del giorno
Sa fortuna andat cum sa cura
Alla fortuna bisogna aggiungere diligenza e lavoro.
Alla fortuna bisogna aggiungere diligenza e lavoro.
(Mica bastano le janas...)
Oggi ascoltiamo
Ilaria Porceddu - In Equilibrio
http://www.youtube.com/watch?v=ZJsmT0UH4Hk
Oggi ascoltiamo
Ilaria Porceddu - In Equilibrio
http://www.youtube.com/watch?v=ZJsmT0UH4Hk
Non si sentiva cantare in limba a Sanremo dal '92, coi Pitzinnos in sa gherra.
Che sia un nuovo inizio.
ciao!
RispondiEliminaun sincero apprezzamento al tuo blog molto carino e davvero interessante, che ho già inserito tra i preferiti! da buona sarda, amante de Roma romani e romanità, nonché appassionata di cucina seria, che te lo dic'a fare! una domanda personale, donde la tua simpatia per la Sardegna?
un saluto cordiale
mari