A Roma vive dal II secolo la comunità ebraica più antica d'Occidente, quella che nonostante tutte le vessazioni secolari e
le persecuzioni dei tempi recenti ha saputo mantenere vive la sua cultura e le sue usanze.
Fu papa Paolo IV, con la bolla Cum nimis absurdum, a ordinare che venisse istituito anche a Roma, dopo quello di Venezia, un "ghetto", che lo stesso papa d'allora chiamò "il serraglio degli ebrei".
Era il 12 luglio del 1555 e da quel giorno vennero revocati tutti i diritti concessi agli ebrei romani, ai quali fu anche imposto come simbolo di riconoscimento un indumento celeste (1): un cappello per gli uomini e un velo, o qualcosa di simile, per le donne.
Ricorda qualcos'altro accaduto di più recente, vero?
Eppure Roma, quale centro del mondo antico, ha da sempre abituato i suoi figli a vedere
gente d'ogni origine arrivare, acclimatarsi all'aria paciosa della città e farsi
romani, anche se da nemmeno una generazione.
E gli ebrei a Roma divennero romani a tutti gli effetti, nonostante i pregiudizi e le persecuzioni di quello che il rabbino Toaff chiamò "antisemitismo di Stato e non di popolo", riferendosi alle leggi razziali del 1938 volute da Mussolini e firmate da "re Pippetto" (2).
Ed è proprio qui
al ghetto che il dialetto romanesco ha conservato, grazie alla parlata degli ebrei romani, le sue forme più arcaiche, e anzi s'è arricchito dei termini tipici della cultura ebraica.
Hamos Guetta ha riportato in diversi filmati vari esempi di giudaico-romanesco, oltre a molte altre preziose testimonianze.
Eppure, la comunità ebraica ha da secoli fatto parte di quei capri espiatori con cui le società d'ogni tempo hanno sfogato le loro pulsioni più oscure, la paura e la diffidenza verso l'Altro e l'odio per ogni diversità dalla "norma".
La più drammatica persecuzione degli ultimi decenni è senza dubbio la deportazione del 16 ottobre del 1943.
Prima dell'alba, alle cinque del mattino, la Gestapo irruppe nel quartiere ebraico rastrellando casa per casa e portando via, verso i campi di sterminio, 1024 persone.
Le famiglie più abbienti erano già state segnalate da un'efficiente rete di delazioni, e tutti i loro beni vennero sequestrati.
Un sito documenta in modo esauriente quello che accadde quella notte, tra la connivenza dei fascisti e il silenzio di Pio XII.
Solo 16 persone riuscirono a tornare indietro.
Tra loro una sola donna, Settimia Spizzichino.
Il quartiere Ghetto ha conservato tutt'oggi la sua particolarità, anche se non è più la zona dei soli romani di cultura ebraica.
Per tutta via del Portico d’Ottavia, fino al vecchio mercato del pesce, alle spalle del Teatro Marcello (che fece da modello per il Colosseo, essendo di ottant'anni e passa più vecchio) e tra i vicoli che s'aggrovigliano sui sampietrini si sente battere un cuore nel cuore.
Turisti con e senza papalina osservano a bocca aperta i palazzi medievali dove sono incastonati architravi, archi e sculture di marmo di epoca classica. Luoghi come questi (come anche la Crypta Balbi, che però è al riparo d'una struttura chiusa) testimoniano l'unicità di questa città, dove reperti preromani si fondono e si stratificano con quelli di ogni altra epoca successiva.
E proprio qui, all'inizio di via del Portico d’Ottavia, c'è una vera istituzione romana, il forno Boccioni.
Un forno dall'aspetto molto spartano, dove è possibile acquistare, varie specialità della pasticceria ebraica: i ginetti, biscottoni da inzuppare nel latte, o i tozzetti alla cannella e le nocciole, oppure la pizza di beridde, con canditi e frutta secca, dall'elevatissimo peso specifico e altrettanto contenuto calorico.
E se si capita al momento giusto anche un bel cartoccio di mandorle salate tostate al momento, calde calde.
Ma, soprattutto, quella che è ritenuta la miglior torta di ricotta e visciole di tutta Roma (4).
Un guscio di pasta frolla che racchiude uno strato di marmellata di visciole e uno di ricotta.
In una sola parola: sublime.
La ricetta è segreta e nessuna dalle signore che vi lavorano la rivelerebbe per niente al mondo, e fa piacere che anche qui, come tra le pietre là fuori, vi sia qualcosa di unico e irripetibile.
Questa la mia rivisitazione, in onore degli ebrei romani e di tutti quelli che sono stati oppressi nei secoli solo perché colpevoli di
essere quello che sono.
Spizzichina - crostata ricotte e visciole ebraico-romanesca
Pasta frolla
Quella che già conosciamo:
300 g farina
100 g zucchero
150 g burro
2 tuorli
Scorza di limone grattugiata e un pizzico di sale.
Lavorare il burro freddo a tocchetti con la farina, amalgamare con i tuorli e lo zucchero e far riposare l'impasto in frigo per mezz'ora, avvolto in pellicola per alimenti, o in un contenitore coperto.
Ripieno
400 g ricotta romana di pecora
350 g confettura di visciole (5)
140 g zucchero
2 uova
2 cucchiai di rhum, poca cannella
Lavorare la ricotta con lo zucchero, aggiungere il liquore, la cannella e le uova.
Rivestire il fondo e i bordi d'una teglia da 24 cm con due terzi della pasta frolla, distribuirvi la confettura, e quindi il composto di ricotta. La confettura isola la frolla dall'umidità della ricotta e impedisce che in cottura questa si ammolli troppo.
Oltre a darle, nemmeno a dirlo, un sapore delizioso.
Con resto della pasta frolla formare un disco che andrà a chiudere il ripieno di ricotta e visciole.
Volendo lo si può spennellare con tuorlo d'uovo o anche solo con del latte, per farlo colorire in cottura.
Cuocere a 180° per mezz'ora, quaranta minuti e far raffreddare bene prima di sformare.
Detti ebraico-romaneschi del giorno
Tra zonòd e mezonòd se ne vanno li mangòd.
Tra prostitute e cibo se ne vanno i soldi.
oppure
Fiji, chamhn (6) e jenneri vanno presi come vengheno.
Esempio di tre cose che vanno prese come vengono: figli, chamhn e generi.
Oggi ascoltiamo
Lou Reed - Walk on the Wild Side
http://www.youtube.com/watch?v=0KaWSOlASWc
NOTE
1) Glauco, come si diceva una volta, un colore né verde e né celeste, né
carne e né pesce, come dovevano esser considerasti allora e per molto
tempo dopo gli ebrei: simili a "noi" ma altro da "noi".
2) Come veniva chiamato qui Vittorio Emanuele III di Savoia, per via della statura non
certo da corazziere. D'altronde a quel tempo si usava anche dire "altezza è mezza
bellezza"...
3) Sopravvissuta al lager di Bergen-Belsen e morta nel 2000, a cui Roma ha dedicato alla memoria il nuovo ponte Ostiense.
4) Ve n'è anche una versione al cioccolato e ricotta, altrettanto golosa.
5) Il ciliegio è di due specie diverse: quello a frutto dolce e quello a frutto acido. Quest'ultimo si divide in tre varietà: amarene, visciole e marasche. Le amarene hanno rami pendenti, foglie piccole e frutti di color rosso intenso, con polpa e succo di colore chiaro, usati per succhi e sciroppi. Le visciole hanno invece rami dritti a foglie grandi e i frutti rosso brillante, come pure la polpa e il succo, ideali per le marmellate. Le marasche, infine, sono piante di taglia piccola, come anche le foglie e i frutti, usati soprattutto per la produzione di liquori.
A Roma si usa(va) conservare le visciole in un barattolo, ben ricoperte di zucchero, alla luce del sole. Man mano che si maceravano lo zucchero ne tirava fuori il succo, che il calore del sole trasformava in sciroppo. Quando il liquido formato le ricopriva erano pronte da gustare nei dolci o sul gelato. Duravano per mesi, diventando quasi alcoliche per via della fermentazione. Una delizia...
6) Cibo sabbatico che si conserva al caldo, ma molto deperibile (Riccardo Di Segni, qui).
ma non è che sia così facile trovare la confettura di visciole qui da noi :(
RispondiEliminaNemmeno da noi, purtroppo, è più così diffusa :-((( E poi quella che si trova costa un occhio della testa.
RispondiEliminaPer fare un surrogato uso quella d'amarene, se c'è, oppure (e lo dico sottovoce) quella di ciliegie ridotta con un po' di succo di limone...
Lo so, non è la stessa cosa, ma come se fà?
la zuegg quella di amarene la fa, allora procedo con quella
RispondiEliminaVai! E fammi sapere come viene, eh?
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