La dieta Doppo che ho rinnegato Pasta e pane, so' dieci giorni che nun calo, eppure resisto, soffro e seguito le cure... me pare un anno e so' du' settimane. Nemmanco dormo più, le notti sane, pe' damme er conciabbocca a le torture, le passo a immaginà le svojature co' la lingua de fòra come un cane. Ma vale poi la pena de soffrì lontano da 'na tavola e 'na sedia pensanno che se deve da morì? Nun è pe' fà er fanatico romano; però de fronte a 'sto campà d'inedia, mejo morì co' la forchetta in mano! |
Aldo Fabrizi
però ti passa subito, vero Riccà? Così nun è punto divertente! lau
RispondiElimina"Passare"? No, Laulau, il fatto è che non mi ha mai nemmeno lontanamente sfiorato l'idea di quella cosa brutta brutta brutta che nemmeno riesco a ripetere senza che mi tremino le dita.
RispondiEliminaHo copiato questa pouesia di Fabrizi (pensa, si chiamava Fabbrizi, all'anagrafe: più romano di così...) solo perché riporta la considerazione che feci anch'io alla mia dottora.
Poi quando mi spiego mi pare d'essere in una di quelle fiere d'altri tempi, deformato e sfatto, un fiore spampanato insomma, e penso: certo che se stessi attento... Poi apro il frigo, vedo il pecorino che mi fa l'occhio lucido (pensa, a volte gli esce anche una lacrimuccia, segno che mi vuol davvero bene) e allora lo prendo nelle palme delle mani, povero piccino, e lo tranquillizzo.
Su, su, calmo. Davvero, non è niente,
son cose che si scrivono, lo sai,
son quelle cose che fanno piacere
pensare e, in fondo, e non si fanno mai
:)
RispondiEliminaSegue un bacino sulla scorza, una carezzina e via, riposto in frigo, per la prossima avventura.
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