Fa sempre piacere riassaporare cose che s'erano perse nel dimenticatoio dell'esistenza: la maddalenina di Proust, in fondo, è solo un simbolo del tesoro ritrovato in un labirinto in cui sembravano persi i particolari più remoti della nostra vita.
Ma fa ancora più piacere conoscere sapori nuovi e farsi sorprendere da quello che sembra assimilarsi a ciò che conosciamo e che poi, con il candore dell'ovvietà, ci spiazza e ci fa restare in quel delizioso bilico in cui non sappiamo dire né sì né no.
E non importa cosa diremo o penseremo dopo: in realtà, quel che conta è quell'istante di curiosità, il lampo di straniamento nel nostro comune sentire che ci dà l'illusione di vivere altrove e ci fa credere di appartenere a un mondo ancora più vasto, senza steccati o pregiudizi.
Cibo per la gola, per il cuore e per la mente, quindi.
Sono così anche i posti e la gente nuova: con le sue abitudini, più o meno distanti da noi, le sue lingue che si aggrovigliano alle nostre orecchie curiose, i suoi pregi e i difetti che sono poi quelli dell'Altro, sia esso il rassicurante vicino oppure lo sconosciuto abitante agli antipodi del mondo.
Questo per dire che il dono di un cibo che non si conosce è sempre una benedizione, perché spinge a capire come va preparato, come va consumato, e con cosa s'accompagna.
Non conoscevo nemmeno l'esistenza del sivone (Sonchus oleraceus), una cicoria selvatica dal sapore dolce e leggermente agrumato simile a quello dell'ortica.
E non sapevo neppure che è una di quelle erbe spontanee, come la cicoria comune, che fanno parte della cultura alimentare di vaste zone del nostro bel Sud.
È detto infatti u s'vaun o u s’ von, nei vari dialetti che vanno dalla Basilicata alle Puglie.
Cercando in Rete ho anche scoperto che è ricco di omega3, ossia gli acidi grassi essenziali che tanto vengono decantati per la nostra salute. Una ragione in più per provarli.
Il pacco dono conteneva anche, tra le altre cose, una busta di fave secche... è troppo!
La tentazione di provare fave e sivoni è stata irrefrenabile.
Fave e sivoni
250 g fave secche
250 g sivone (cicoria selvatica) mondata e lavata
1/2 cipolla rossa
olio evo e sale q.b
Se non si ha LEI...
... mettete le fave a bagno in acqua tiepida per una notte, poi scolarle e cuocere in acqua fino a che tenderanno a disfarsi (basterà un'oretta circa).
Con la pentola a pressione, invece, è un attimo: si risciacquano le fave e si mettono con tre bicchieri d'acqua a cuocere per 20 minuti dopo il fischio.
A parte lessare in acqua salata i sivoni mondati e tagliati a pezzi, quindi scolarli tenendo da parte l'acqua di cottura.
Con un cucchiaio di legno (e sì: anche col frullatore a immersione, perché no?) lavorare le fave a crema, allungando, se occorre con l'acqua di cottura della cicoria, quindi unire un filo d'olio pugliese, forte e piccante, per amalgamare.
Far appassire la cipolla a fuoco dolcissimo, quindi unire la crema di fave, far insaporire qualche minuto e aggiungere la cicoria.
Cuocere per pochi minuti, il tempo di amalgamare bene tutti i sapori.
C'è chi cuoce fino a che si crei una crema omogenea favo-sivonica, ma ognuno ha le sue preferenze, e in cucina è bene non avere dogmi (tranne quello di NON unire MAI cozze e marmellata; ma lì si va sul penale: ATTI SCEMI IN LUOGO PUBBLICO).
Il pane abbrustolito o raffermo è ovviamente il letto ideale su cui far riposare la crema favo-sivonica.
Qui ho voluto invece comporre una sorta di zuppa-panosa ai flavonoidi.
Suppa cuata ai flavonoidi
Occorre, in primis, l'acqua di cottura del un cavolo rosso, che tanto ha dato e dà all'umanità...
Ne basta uno, che utilizzeremo poi... a piacere.
In uno stampo da plum-cake, oliato sul fondo, si dispongono delle fette di pane, si irrora con l'acqua violacea, si aggiungono delle sottili fette di cacio fresco, si inneva di parmigiano grattugiato, e si ripete l'operazione per tre strati.
Il pane dev'essere ben imbevuto, come per la suppa cuata classica, quindi si passa in forno per una mezz'oretta, si fa raffreddare leggermente e quindi si serve.
Assieme alla crema favo-sivonica, ovvio.
Ah, qui c'è anche un accenno di un'altra scoperta della gastronomia pugliese: la ricotta forte.
Eh, ma mica si può dire tutto assieme, no?...
Detto pugliese del giorno
Meggh'j no dè a lanter'n 'men 'o c'chet.
Meglio non dare la lanterna in mano al guercio.
Oggi ascoltiamo
Negramaro - Estate
http://www.youtube.com/watch?v=LU5ceDPWL1w
Ah, scrivere su Giuliano Sangiorgi è vietato: proprio non si può...
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