Quando le cose vanno come vanno e non sembrano avere alcuno sbocco, uno qualsiasi; quando ogni cosa attorno impazzisce e pare trascinare con sé quel poco di ragione che ancora ci àncora al reale;
quando ci si accorge che la partita non è finita ancora, e che gli avversari arrivano anche a giocare in modo sleale solo per il gusto di vederti mordere la polvere...
Bene, allora qui ci vuole un bell'atteggiamento orientale, il nostro abito zen più lucido, quello che abbiamo in serbo per le grandi occazioni e che dà i risultati migliori relativizzando l'importanza di ciò che più ci dà ambascia.
La versione orientale di quel che da noi chiamano il metodo sticazzi...
Una volta ho avuto modo di vedere un monaco tibetano (ebbene sì, a Roma, nella Galleria Alberto Sordi, vicino al Parlamento) cher se ne stava seduto con le gambe incrociate mentre, con dei mucchietti di sabbia colorata andava componendo una complicata figura geometrica.
Non era un disegno qualsiasi ma un mandala, una sorta di figura simbolica, archetipica, dei moti dell'universo e della mente.
Artisticamente un lavoro di gran pregio, come può esserlo un mosaico dalle migliaia di tessere o un tappeto orientale con gli innumerevoli nodi e l'intreccio di fili che compongono uno schema complesso.
Ecco, il fatto è che il monaco in questione non era il solito artista da strada, un madonnaro o un graffitaro, tanto per capirci.
Il disegno che andava fasticosamente formandosi con pazienza certosina sotto le sue mani era volutamente formato di granelli di sabbia poiché, una volta che lo schema sarebbe stato completato e l'ultimo granello avesse preso il posto nell'ordine dello schema, il monaco stesso, armato di una scopetta di saggina avrebbe spazzato via tutta la sabbia, ridonando al caos quel barlume d'ordine così faticosamente costruito.
Nulla di più emblematico del valore transeunte e vano di ogni cosa, di ogni opera e di ogni preoccupazione umana.
Il disegno aveva avuto un'importanza enorme durante la sua composizione, e la sua importanza è stata proprio il suo aver luogo, l'accadere di un gesto umano di fronte allo sterminato e caotico mare della vita.
Mantenerlo oltre avrebbe significato trasformarlo in feticcio di se stesso o, peggio ancora, in merce, in quello che non era affatto sua intenzione essere.
Ecco, di fronte a queste cose rimango sempre basito, perché non sempre so ricordare all'occorrenza l'insegnamento che voleva dare quel monaco.
Spesso, come tutti, mi lascio trascinare dalle passioni, dalla rabbia, l'ira, la foga, senza ricordare mai cosa davvero conta in quel momento.
Quello che per me conta davvero.
Anche il cibo ha la stessa valenza effimera di un disegno di sabbia, l'importanza enorme del gesto che appaga oltre all'anima, anche il gargarozzo...
Per festeggiare questa ennesima consapevolezza ci vuole qualcosa di facile e che sia di conforto per una desolata e fredda sera invernale.
Cosa di meglio di una zuppa?
E di cipolle, poi.
500 g cipolle rosse
50 g burro (più una noce per il fine cottura)
400 ml latte
25 ml brodo
3 cucchiai di farina
scorza grattugiata e succo di un'arancia
1 cucchiaino di zenzero fresco
Una punta di paprica e una di coriandolo, in polvere
Dragoncello (o estragone) tritato (anche secco va bene)
Affettare le cipolle molto sottili e farle appassire nel burro in una casseruola, a fuoco dolcissimo; dovranno ridursi in poltiglia senza colorire.
Unire lo zenzero grattugiato, l'arancia spremuta (e grattugiata nella scorza) e far insaporire.
Aggiungere, all'occorrenza del brodo o dell'acqua se il cipollame dovesse asciugarsi troppo.
Incorporare la farina e diluire con il latte, mescolando bene.
Salare e cuocere per una ventina di minuti, mezz'ora e, se occorre, aggiungere del brodo.
Se si preferisce le si può dare una veloce passata di frullatore a immersione, ottenendo una crema liscia e vellutata.
Unire la paprica, il coriandolo e il dragoncello e far bollire ancora per qualche secondo.
Volendo si possono anche aggiungere, a fine cottura, un paio di tuorli battuti con un cucchiaio di panna.
A me non pareva proprio il caso, anche se la panza li invocava a gran voce...
Completare con una noce burro, mescolando bene.
Distribuire su delle fondine sul cui fondo sarà stato messo del pane.
Servire con delle fettine di speck tagliato a listarelle e fatto rosolare su un padellino antiaderente o, meglio ancora, fatto asciugare in forno e poi tritato per ottenere una saporitissima polvere rossa (alla Simone Rugiati maniera, tanto per capirci).
Insomma, anche solo in una tazza da caffellatte va bene.
L'importante è sedersi comodi, accanto ad una luce soffusa, con un film o della musica di sottofondo, chiudere gli occhi e assaporare quello che solo le cipolle sanno dare.
E ripetere, con un sorriso di piacere sulle labbra, un mantra zen che fa così:
"D'ora in poi voglio piangere solo affettando delle cipolle".
Funziona, eh? Garantito.
Detto romano del giorno
E 'sti cazzi (nun ce li metti)?
Versione capitolina di:
Se c'è soluzione perché ti preoccupi? Se non c'è soluzione perché ti preoccupi?
Aristotele (ma anche Confucio, direi...)
Oggi ascoltiamo
Ólafur Arnalds - Hægt, Kemur Ljósið
http://www.youtube.com/watch?v=7GIHzCAUrak
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