Due personaggi s’incontrano.
Non potrebbero essere più diversi di così.
A vederli sembrano agli antipodi della casistica umana, quasi degli opposti: uno è codardo, l’altro ardito; uno è riflessivo e l’altro è impulsivo; uno è alto e allampanato mentre l’altro è basso e tozzo.
Eppure, nonostante la loro smaccata divergenza e una coatta convivenza, anzi proprio grazie a questa, qualcosa riesce a unirli: uno scopo, un briciolo d’umana, umanissima, curiosità verso l’Altro e la scoperta dell'Altro dentro di sé.
Magari anche tutte queste cose assieme, nel più fortunato dei casi.
In qualche punto importante del percorso - d'ogni persona e d'ogni personaggio - c’è sempre la formazione di quest’ossimoro vivente: i due opposti s’imbattono uno nell’altro e dall’incontro, confronto e scontro, proprio lì, in quel punto preciso, la storia diventa davvero significativa.
Cosa c’è di meglio - in una narrazione ma, ancor di più, nella vita - dell’unione di due personalità e di due esseri diversissimi che di per sé non avrebbero alcuna curiosità di vedersi assieme se non vi fossero quasi (e spesso senza il quasi) costretti?
Difatti questo è uno degli espedienti con cui si tesse una trama: a un certo punto del suo peregrinare l’Eroe incontra l’Altro, ne nasce anche un diverbio e spesso anche una lotta, la differenza è totale, e inconciliabili i due esseri. Eppure...
Eppure ecco che dal ghiaccio e dal fuoco, dopo le prime schermaglie, nasce qualcosa d’interessante, anzi di vitale per entrambi gli elementi. Ognuno di loro troverà nell’altro quel che manca in sé, ognuno col proprio differente punto di vista e con il diverso approccio con la realtà darà il suo contributo per raggiungere un obiettivo. O l'Obiettivo, quello vitale.
Non è per dire, ma l’epopea di Gilgameš, il primo Eroe della storia umana le cui gesta sono state tradotte dal cuneiforme solo nel secolo scorso, si sviluppa proprio grazie all’incontro del re di Uruk con Enkidu, un uomo totalmente diverso da lui.
Uno è re, l’altro è un selvaggio, ma entrambi hanno una forza prodigiosa, e dalla loro lotta, dal confronto, nasce un’amicizia fraterna ma anche, per Gilgameš, il contatto con la caducità dell’essere umano.
È con la morte di Enkidu infatti che Gilgameš capisce che la sua parte umana un giorno finirà, ed è allora che sente il desiderio di cercare le radici dell’immortalità.
L’Altro lo ritroviamo come co-protagonista secondario e come aiutante magico, specialmente nelle fiabe, ma la sua presenza è fondamentale perché il protagonista possa raggiungere il suo scopo.
Non c’è una vera storia senza questa funambolica accoppiata: Don Chisciotte e Sancho Panza, Narciso e Boccadoro, Topolino e Pippo... L’elenco non ha fine, come non ha fine l’elenco delle possibili storie.
“L’unica cosa che c’è di buono in questo paese è il gelato. Mmm, ma questa è la mia giornata fortunata! Guarda, ho trovato una fragola!” (1)
Lui, lo studente castrista appena lasciato dalla ragazza e alle prese con un consolatorio gelato al cioccolato, guarda quel maricón (2) così diverso da lui, così smaccatamente effemminato, così antirivoluzionario. Eppure...
Eppure dalla loro inconciliabile diversità nasce un’amicizia che cambierà le loro vite.
Sì, è l’amicizia che cambia le vite, non l’amore.
L’amore le conferma soltanto nel loro stato di completezza, ma è solo l’amicizia col suo confronto-scontro, che spinge al movimento.
Cosa di più diverso che una dolcissima fragola, così delicata e sensualmente femminile, e il cioccolato, così forte, amaro quasi, così prepotentemente maschile? Eppure...
Di dolci in cui compare l’accoppiata fragola e cioccolato ce ne sono a bizzeffe, per lo più crostate in cui la frutta è messa quasi a decorazione di uno strato di crema al cioccolato.
Sembra un po’ lo strascico di quella tendenza a vedere solo come accessorio e decorativo l’elemento femminile, che sembra dare a questo un apparente posto di primo piano mentre la sostanza, la parte importante, quella che conta, quella “maschile”, sta in agguato nell’impasto o sdraiata su una base di pasta.
Volevo qualcosa di più... coinvolgente, qualcosa in cui i due ingredienti si scontrassero in maniera più radicale ma dove ognuno potesse mantenere la propria individualità.
Fresa y chocolate
Per la frolla
200 g farina
70 g burro
70 g zucchero
50 ml acqua fredda
30 g cioccolato fondente
15 g cacao, un cucchiaio ca.
Lavorare la farina e il cacao con il burro freddo a tocchetti, sabbiandola.
Unire il lo zucchero, e poco a poco l'acqua, quel tanto che occorre per rendere lavorabile l'impasto.
Far riposare in frigo per almeno mezz'ora, avvolto nella pellicola per alimenti.
Stendere quindi l'impasto e rivestire il fondo e i bordi di uno stampo da 20 cm.
Coprire il guscio di pasta frolla con della carta forno e su questa mettere dei legumi secchi.
Far cuocere per 15 minuti a 180°.
Togliere i legumi, la carta e far raffreddare su una gratella.
Per la crema di fragole
300 g fragole
200 ml latte, o anche yogurt
50 g farina
60 g zucchero
Frullare o passare al setaccio le fragole, quindi trasferirle in un tegame con lo zucchero e il latte.
Cuocere a fuoco basso, sempre mescolando e frustando per evitare i grumi, fino a rendere il composto una crema densa.
Farla raffreddare un po' quindi trasferirla sul guscio di pasta frolla e cuocere per almeno altri 10 minuti.
Lasciar raffreddare completamente prima di sformarla.
Per la ganache morbida al cioccolato
200 ml panna da cucina
200 g cioccolato fondente
Avendo una percentuale di grasso leggermente più bassa della panna da montare la panna da cucina lascia la ganache morbida anche nella permanenza in frigo.
Portare quasi a bollore la panna, aggiungere il cioccolato a tocchetti e mescolare bene per far amalgamare il tutto.
Far raffreddare a temperatura ambiente prima di glassare il dolce.
Qui la parte delicata, "femminile" (3) sembra chiusa come in un
trigramma dei Ch'ing in due parentesi maschili, il guscio e la crema, ma
è solo l'apparenza.
È la parte "femminile" che si rivela sotto un'apparenza quasi austera e dolceamara di cioccolato.
Perché ogni personalità decisa, forte, "maschile" nasconde sempre una parte più docile, delicata, "femminile".
Uno studente castrista può scoprire che tra i frizzi e i lazzi del maricón può rivelarsi un anticonformismo di pensiero a lui inimmaginabile, e
un prigioniero politico comunista può capire quanto c'è d'umano nella
passione per la finzione filmica, per quel mondo di sogno così aprioristicamente scartato.
Ma, allo stesso modo,il personaggio marginale, apolitico, immerso in un vivere quasi superficiale, scopre un nuovo modo per sentirsi degno di se stesso e di quel mondo che lo respinge ma che di lui non sa fare a meno.
In
una fetta di questo dolce, nel morso, si sarebbe rivelato il contrasto
delle opposte personalità, la fragola e il cioccolato, e solo il sapore
in bocca avrebbe detto se la cosa
avrebbe funzionato.
E funziona davvero.
Ma io sono di parte, e il mio parere è opinabile...
Detto romano del giorno
Chi bella vò comparì, quarche cosa ha da soffrì.
E io j'arisponno: stammelo a dì!
Oggi ascoltiamo
Rodolfo "Fito" Paez - Un vestido y un amor
https://www.youtube.com/watch?v=Kkv0Gk_3eyU
NOTE
1) Il film del regista cubano Tomás Gutiérrez Alea, del 1995, tratto da un racconto di Senel Paz, è uno di quei pochi casi in cui la trasposizione filmica è migliore della narrazione scritta (senza congiuntivo, è una certezza...)
Certo, grazie soprattutto alla straordinaria bravura degli attori: Jorge Perugorría (Diego, l'artista omosessuale), Vladimir Cruz (David, lo studente castrista) e Mirta Ibarra (Nancy, il personaggio chiave femminile).
L’accoppiata tra il macho e il maricón l’avevamo già letta
ne “Il bacio della donna ragno” di Manuel Puig, da cui Hector Babenco
ha tratto un film davvero deludente, se non fosse per l’interpretazione di
William Hurt. Qui il macho comunista, imprigionato dal regime
militare, incontra un essere totalmente diverso da lui, un piccolo
piccolissimo borghese che gli mostra tutto il suo disimpegno con quanto
di meno maschile possa apparire. Eppure...
Anche in questo caso all’apparenza disperato, ognuno riesce ad imparare qualcosa dall’altro.
2) Nel mondo iberico e latinamericano il maricón è l'omosessuale effemminato, la checca diremmo noi.
3) È davvero commovente la pervicacia con cui si continui ad associale al femminile la delicatezza e la gentilezza di modi e d'animo. Chiunque nella propria vita ha conosciuto almeno una virago, ha litigato in macchina a un incrocio con una menade e ha avuto a che fare in qualche festicciola con delle smodate baccanti. Alla faccia della delicatezza... La femminilità ha anch'essa il suo lato selvaggio, violento, incontrollato, che Artemide rappresentò così bene in una divinità. Altri tempi...
Le religioni patriarcali, ahimé, avrebbero preparato i roghi dove bruciare come streghe ed eretiche le diane cacciatrici.
che sublime goduria
RispondiEliminaSì, una delle poche cose che possono giustificare l'acquisto di frutta fuori stagione.
EliminaGoduriosa alquanto...
Grazie, cara ;-)
Caro Chef Ric, per dirla con Cyrano, " è un apostrofo rosa tra le parole" la voglio! Anche senza forchetta!
RispondiEliminaL'oglio, tesora, l'oglio...
EliminaAh, e senza forchetta si mangia b*e*n*i*s*s*i*m*o!