domenica 9 marzo 2014

Carciofi ripieni

Quante volte stiamo male per la discrepanza tra quello che sentiamo e quello che viviamo?
Sempre.
Ma si sa, siamo una razza un po’ pretenziosa, alla quale l’autocoscienza (per chi ha il lusso di esercitarla) dà la stura a tutta una sequela di aspettative e di fiducie mal riposte, soprattutto su noi stessi.
Pretendiamo la coerenza quando noi, in primis ci sconfessiamo senza pudore.
Siamo e non siamo, vogliamo e non vogliamo.
Che so: puntiamo tutto sull’amore assoluto e sul feticcio della fedeltà, e poi facciamo gli occhi dolci a chi ci serve il caffè al bar; vogliamo un lavoro sicuro e gratificante, e poi sbuffando sogniamo di fare i velisti per caso a zonzo per l’equatore.
Dei fregnacciari professionisti, insomma.
Chiediamo correttezza e coerenza quando noi, per primi, siamo strutturalmente incapaci di darne, fosse anche l’ombra. Incostanti, multiformi e liquidi al limite del gassoso già di nostro, cosa mai vorremmo pretendere dal resto dell’umanità?
Già venir a patti con tutte le pulsioni antitetiche, i desideri contrastanti, le azioni che anziché dare una serena sintesi sembrano annullarsi l’una con l’altra, è un'impresa non da poco, ai limiti dell'impossibile. Un’operazione di mediazione continua.
L’anima non è fatta mica di bianchi e neri come i pavimenti a scacchi dei templi massonici ma, anzi, è disegnata con le capricciose curve non euclidee delle stampe di Escher, dove l’impossibile sembra possibile e la nozione di “avanti” e “dietro” si confondono e si sconfessano fino a perdersi in una plausibile incongruenza.


Questo, dovremmo accettare serenamente, e senza star lì a pretendere l’assoluto.
Da se stessi, soprattutto, che dagli altri, poi...
Accettare quel che dentro di noi poco si lega e s’amalgama, amare l’acqua e l’olio di cui siamo fatti come parti del nostro essere.
Vivere non tanto d’emozioni, che è cosa di così poco impegno, in fondo, ma piuttosto d’emulsioni, di quella rara serie di momenti effimeri d’ossimoro in cui ghiaccio e fuoco, piacere e dolore qualche volta coesistono e danno un vorticoso stordimento, come una sottile e piacevole ebbrezza.
Vivere di piccole cose, visto che poi le grandi sono solo il frutto di fortunose concomitanze d’eventi.
Per quanto mi riguarda, tanto per dire, mi contenterei che un uomo mi si presentasse così.


Sarebbe già un gran bel risultato. Altro che fresie, lilium e sterlitzie!
Vuoi mettere la bellezza di un mazzo di carciofi mammola, dalla forma tonda e paffutella, che paiono pangolini atterriti e abbarbicati su uno zeppo ma che nascondono un cuore tenero senza peli e spine superflue? Ad avercene…


Come diceva una mia amica una volta: "Qui se non me li compro da me sto fresca!"
Ed è anche vero che è difficile resistere quando li si vede sul banco del mercato e pare che ti guardino facendo l’occhietto.
Non dovrei ma vorrei, non saprei ma potrei…
Poi scatta il raptus, come un deus ex-machina che scioglie quel microsecondo di tormentosa indecisione, e ce ne torniamo giocondi e sereni con l’amato bene bello imbustato sotto braccio.
E strada facendo scattano i mille relé nel cervello che ticchettano tutti assieme come in un calcolatore d’anteguerra, e davanti agli occhi spuntano le schede delle ricette con cui ne prospettiamo il destino ultimo: in frittata o fritti in pastella , in risotto, nei ravioli o nelle lasagne, alla giudia o in casseruola alla romana, in timballo con carne e/o formaggio o gratinati al forno.
E, ovviamente, ça va sans dire, con la coratella.
Ma so già, avvicinandomi a casa, che non ne farò niente di tutto questo.
Decisone e coerenza, no?
Quando si hanno di questi angosciosi tormenti, già si sa, solo i classici possono darci se non un aiuto almeno il loro luminoso esempio.
E in cucina chi meglio di sor Pellegrino nostro, patrono di ghiottoni e pasticcioni?
Ripieni, suvvia, e senza starci troppo a pensare.
Che, come si dice chi ce ripensa è cornuto.

419. Carciofi ripieni
Tagliate loro il gambo alla base, levate le piccole foglie esterne e lavateli. Poi svettateli come i precedenti ed aprite le loro foglie interne in maniera da poter recidere con un temperino il grumolino di mezzo, e toltogli il pelo se vi fosse nel centro, serbate soltanto le tenere foglioline per unirle al ripieno. Questo, se dovesse, ad esempio, servire per sei carciofi, componetelo delle foglioline anzidette, di 50 grammi di prosciutto più grasso che magro, di un quarto di cipolla novellina, aglio quanto la punta di un'unghia, qualche foglia di sedano e di prezzemolo, un pizzico di funghi secchi fatti rinvenire, un pugnello di midolla di pane d'un giorno, ridotta in bricioli, e una presa di pepe.
Tritate prima il prosciutto con un coltello, poi ogni cosa insieme colla lunetta e con questo composto riempite i carciofi che condirete e cuocerete come i precedenti. Alcuni libri francesi suggeriscono di dare ai carciofi mezza cottura nell'acqua prima di riempirli, il che non approvo, sembrandomi che vadano a perdere allora la sostanza migliore, cioè il loro aroma speciale.

Per la cottura sor Pellegrino propone la stessa dei:

418. Carciofi ritti
Così chiamansi a Firenze i carciofi cucinati semplicemente nella seguente maniera: levate loro soltanto le piccole e inutili foglie vicine al gambo tagliando quest'ultimo. Svettate col coltello la cima e allargate alquanto le foglie interne. Collocateli ritti in un tegame, insieme coi gambi sbucciati e interi; conditeli con sale, pepe e olio, il tutto a buona misura. Fateli soffriggere tenendoli coperti, e, quando saranno ben rosolati, versate nel tegame un po' d'acqua e con la medesima finite di cuocerli.


Vero è che solo quando ci riempiamo la bocca di cibo, e non di parole, tanti contrasti e tanti dubbi scompaiono.

Aforisma del giorno
Per consiglio prediligi 
i capelli bianchi o grigi
Frate Indovino

Oggi ascoltiamo
King Crimson - Epitaph
http://www.youtube.com/watch?v=AKQKUBrxyBc

2 commenti:

  1. Grandissimo Pellegrino Artusi! La mia copia del suo L'arte di mangiar bene l'ho ricevuta in eredità da mia nonna, è piuttosto malridotta per le frequenti consultazioni perché proprio da li attinge tutta la storia culinaria della mia famiglia...

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  2. Vero, e non solo della tua famiglia.
    Sor Pellegrino ha contribuito all'unità del nostro disgraziato Paese più di tanti personaggi dell'epoca, troppo preoccupati a forgiare l'Italia senza occuparsi degli italiani.
    Visto che la cucina È cultura, Pellegrino è stato il vero intellettuale post-unitario che abbiamo avuto, assieme a Collodi.
    Se poi abbiamo cominciato a prendere sul serio la nostra cucina è stato grazie a lui, che ha saputo diffondere quello che di peculiare e di notevole abbiamo in dote e che abbiamo il dovere di valorizzare.
    La mia copia, quella "in bella copia" l'ho presa al mercatino dell'usato: mai spesa così irrisoria ha avuto una così grande contropartita. ;-)

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