mercoledì 30 ottobre 2013

Martajati a'a romanesca

Com'a dì: Martajati giallorossi.

Ora, non è che io sia un gran tifoso di calcio, anzi, ma c'è da dire che nemmeno faccio come quel mio amico che vede sì tutte le partite di campionato ma del gioco ricorda soprattutto le gambe dei giocatori...
In altri tempi ho anche simulato un certo interesse, quel tanto che serve per fare contento chi vuoi bene, fin quando questi s'è poi finalmente rassegnato e arreso all'evidenza d'avere un figlio irrimediabilmente calciorefrattario.
Lo ricordo così, come un tifoso sfegatato ma anche leale, quel tanto da riconoscere sia quando la propria squadra avesse giocato davvero male che le prodezze dell'avversario di turno.
L'idea di "sportivo" in questo senso l'ho imparata da lui, e non è ovviamente una cosa che, se vogliamo, riguardi solo il calcio.
Ogni santa domenica seguiva il suo rituale, che consisteva nel disporre come su un altarino tutti gli oggetti consueti della tifoseria: sciarpettina giallorossa, radiolina a transistor anni '60, generi di conforto vari, tra cui sigarette e relativo portacenere e, al suo fianco come la spada dell'eroe, una trombetta con cui sottolineare il gol della sua squadra o sbeffeggiare quelli subiti dall'acerrima nemica, la Lazio.
Se putacaso la Roma avesse segnato mentre si stava grattando la narice destra e sbocconcellando un tarallo potevi giurarci che la settimana seguente si sarebbe comunque grattata la narice destra (pur senz'avere alcun prurito) e avrebbe sbocconcellato ancora il suo tarallo (la stessa marca, mi raccomando) quale gesto apotropaico.
Una volta, e s'era nella fine degli anni '70 e, con tutto il carico di disgrazie che questo Paese aveva passato e altre che ancora avrebbe dovuto passare, ebbi anche la brutta sensazione di vedermelo quasi morire di crepacuore sotto gli occhi.
No, non v'era alcuna insufficienza cardiaca, non era successo altro che un funambolico gol dell'attaccante d'allora, Roberto Pruzzo, dopo il quale prese a inginocchiarsi verso la mecca dell'Olimpico urlando, con quella voce che lo si sentiva a quattro piani di distanza, "Pruzzooo!!! Pruzzooo!!!"
Era paonazzo, sudato, felice.
Dentro di me , allibito,  ricordo che fui capace solo di pensare: "Ecco, me lo sono giocato! Orfano prima del (secondo) tempo!"
Invece dopo una giaculatoria che sembrava più che altro il lamento di un brontosauro azzananato alle terga da un Lazialiraptor, lo vidi alzarsi faticosamente e raggiungere lo sportello dei liquori dove, ad aspettarlo, c'era la Sua bottiglia di brandy da cui sorseggiare in fretta e in furia un goccetto in caso di goal romanista.
Ecco, i ricordi sono come una valanga che basta davvero poco a scatenare, basta anche solo tagliuzzare assieme un peperone giallo e uno rosso per riportare alla mente un'immensità di cose semisepolte, cose alle quali non si pensa spesso ma che fanno comunque parte della propria vita.
Non voglio l'innocenza e la tontaggine dei miei dodici anni, né la mia disposizione a credere a tutto e la mia fiducia quasi religiosa nel domani, magari mentre attorno a me la gente inforcava le bici per via della crisi energetica o usciva a manifestare dopo l'ennesima strage di stato.
Vorrei solo poter rivivere una domenica come quelle d'allora, io a leggere in una stanza e sentire lui, ebbro delle parole di Ameri o Pizzul, che gioiva o bestemmiava per la sua amata Roma.

Martajati a'a romanesca
(per due persone, magari io e lui)
250 g maltagliati all'uovo*
1/2 peperone rosso
1/2 peperone giallo
50 g provolone piccante
1/2 cipolla **
1/2 cucchiaino di curcuma
un pizzico di timo essiccato (oppure, ovvio, un ciuffetto di quello fresco).
sale e pepe q.b.
*   oppure pennette, bombolotti, ruote, insomma una pasta corta che diverta.
** bianca, bionda o rossa, a piacere.


Mentre l'acqua salata si prepara a bollire tagliare finemente la cipolla e farla appassire con due cucchiai d'olio in una padella capace. Lo devo dire? A fuoco baaasso basso basso. Bene, andiamo avanti.
Tagliare a dadini i peperoni e appena la cipolla sarà semitrasparente versarli in padella.
Salare e far cuocere a fuoco basso mescolando spesso.
Appena l'acqua bolle buttare giù la pasta, se è quella fresca cuocerà in tre minuti.
Tagliuzzare a pezzettini il provolone.
Aggiungere la curcuma e un paio di cucchiai d'acqua bollente della pasta ai peperoni e lasciare insaporire.
Appena la pasta sarà pronta scolarla e versarla in padella, spolverarla con il timo - e se si vuole col pepe  - e a fuoco spento mescolarla per bene.
Servire subito, calda cada.
Come er core de Roma.

Detto romano del giorno
Panza piena nun crede a diggiuno.


Oggi ascoltiamo
Mario Venuti - Un Altro Posto Nel Mondo

http://www.youtube.com/watch?v=6BadK0GVNMA

sabato 26 ottobre 2013

Cràffen al forno

Io capisco tutto o, almeno, cerco di comprendere e accettare tutto.
D'altronde dicono che i nati sotto il segno del Toro siano molto, ma molto pazienti. E golosi, anche.
Sono le due cose per le quali il mio spirito illuminista razionalista e miscredente sarebbe ancora tentato di cedere alla fede per gli oroscopi. Poi penso alla cara Margherita Hack e me ne torno sereno e rassegnato nel mondo consueto di atomi e molecole...
Dico tutto questo perché certe volte comprendo appieno le difficoltà che hanno i genitori con dei figli piccoli, con i capricci da sopportare, le regole da insegnare e tante di quelle piccole cose che al momento mandano diretti verso la stanza imbottita e invece, anni dopo, vengono sovente ricordate con dolce nostalgia.
Coi cani è pressappoco la stessa cosa. Sono bambini che, per certi versi, non crescono mai.
E non so cosa sia peggio, a pensarci bene.
Uno cerca di non essere repressivo o burbero, e di dare regole e istruzioni senza scadere nello stereotiopo della peggiore signorina Rottermeier, ma qualche volta non se ne viene a capo comunque...


- A zì, quanno me lo levi 'sto coso?
- Sopporta, bello de zio. Tu pure, però: vai a scavare buche in quel punto dove sai che vengono gettate le bottiglie! Prima o poi un coccio che ti taglia lo trovi, no? E però, figlio mio...
- A me me dà propio fastidio, zì. Levamelo, pe favore...
- Buono Babà, buono, che sennó stai tutto il giorno a leccarti la fasciatura e poi non guarisci.
- Ma io me so rotto le palle, zì! E che ca...
- Ahó! Allora? Ma sono cose da dirsi? Su, zainetto e canile, su!
- No, zì, pe favore! Su, che stavo a scherzane! Al canile me moro, io!
- Allora regola il linguaggio, se puoi. E cos'è 'sta faccia?...
- Me lo levi, zì?... E dài.... Me lo levi?...
Il tutto con sottolineatura di coda che spazza lenta e ruffiana l'aria.
Che fai, lo fai soffrire? No, gli togli quella sorta di gorgiera da Maria Stuarda e lo tieni sott'occhio di continuo.
Tanto, si sa, la lingua batte dove il dente duole.

Mi ripeto, come il mio solito: chi ha figli "umani" ha sempre la speranza che in futuro, ma non è detto, questi possano crescere.
Con i quattrupedi no, è assodato.
Ieri notte stava con noi anche Pippi Calzecorte, la bassottina nera nera e dolce dolce che tanto timore aveva ingiustamente messo a Leppagorre.
La piccola (di taglia) va d'amore e d'accordo con quella belva di Babà.
Non litigano per la palla, bevono nella stessa ciotola, e si scambiano tranquillamente il tappetino del riposino.
Insomma, amici. O quasi...
Se il giorno ho potuto evitare di lasciargli la "lampada" al collo la notte, ovviamente gliel'ho dovuta far indossare. Con sommo scorno e conseguenti occhietti languidi:
- A zì... pe favore... che me lo levi 'sto coso?...
E io, col cuore di marmo, sordo e inerte, che cerco di non guardarlo e di non sentirlo mentre, aggirandosi per casa, sbatte alle porte, ai mobili, e un po' dovunque.
Bene (o quasi), ieri notte vado quindi a letto, Pippi è già distesa sul suo tappetino, Babà con la lampada al collo è rassegnato sulla sua copertina, e io prendo sonno, con la solita difficoltà.

Una berberghe... duas berberghes... tres berberghes... battoro berberghes...


Alle due e mezza di notte - o del mattino? com'è che si dice? - un urlo disumano mi butta giù dal letto.
Mi alzo e vedo lei, la principessa Pippi - col portamento che ha Sissi le fa un baffo - che abbaia come un'indemoniata.
Ha il pelo della groppa ritto come uno scopettone e sembra un cinghialino al quale abbiano sbagliato lavaggio e gli occhi, di solito dolcissimi, sono spiritati e fuori dalle orbite.
- Chi siete! Fellone! Oh, affé mia! Chi osò turbare lo sonno mio a cotal guisa! Favellate, o mostro! Cos'è che avete fatto al mio sodale di passeggiate e orinatine, l'amico mio Babà? L'avete dunque spolpato qual arrosto, con que' vostri denti da fiera? E avete intenzione di divorar repente anche me in un sol boccone, nevvero?
E lui, mogio mogio, con la testa illampadata china sulle sue zampe anteriori e lo sguardo a metà iride, col bianco tremante, e la vocina flebile:
- Ma... Pippi... sò io.... Che nun me riconosci piùne?...
E lei, invece, un'erinni che vola da una stanza all'altra come un pipistrello impazzito che insegua la preda:
- Via! Via! Lungi da me, maramaldo! Non proferrite verbo alcuno! Vi veggo e riconosco. Ve'! Siete lo demonio fatto carne! Lo spirito luciferino degli inferi più oscuri e profondi! Siete un mostro, un mostro!
- Ma che stai a dì, Pippi! Sò Babbà! Nun me riconosci? Guardeme bbene...
- Oh, pover'ammé! Ah, ma venderò cara la mia virtù! Gnaffe! Giammai soccomberò alle vostre vili brame! Dovrete passare sul mio pelo!
E io, come il paciere che di solito prende i ceffoni da entrambi i litiganti, sto nel mezzo cercando di urlare a bassa voce - sì, sono ancora le due e mezza della notte - e di rabbonirli.
Alle cinque del mattino - quindi le sei dell'ora legale - sono arrivato a ses milliones de berberghes senza chiudere occhio.
Poi capisco le casalinghe disperate che sniffano colle o smacchiatori e mariti travet che mandano giù tutto quello che abbia un tasso alcolico superiore a 40°.
Capisco, capisco tutto.
Anche lo sconcerto di Lady Pippi. E non le do torto: il muso non è né da labrador né da volpino, ma quasi da pitbull, anzi da petite bullo. Sì, insomma, un vero e proprio petite dur!

O no?...
Quindi per riprendere contatto col mondo consueto, quello fatto di atomi e molecole, occorre qualcosa che ancori al reale, a questa insulsa ma unica dimensione disponibile.
Ci vogliono proprio dei krapfen, anzi, dei Cràffen. Al forno, magari. E subito...

Craffen (ovvero Krapfen) al forno
500 g   farina (di cui 350 g Manitoba e 150 g farina 00)
160 g   burro
25 g     lievito di birra
80 g     zucchero
2          uova
80 ml    latte (o anche acqua va benissimo)
Seguiamo la rassicurante trafila delle fasi di lievitazione e recitiamola come un mantra. Pronti?

Fase 1) - Lievitino
100 g  farina ca.
25 g    lievito di birra
un cucchiaino di zucchero
acqua q.b.
Si impastano velocemente gli ingredienti fino a formare un panetto morbido e lo si lascia lievitare al coperto per circa 30', o almeno fino al raddoppio.

Fase 2) - Impasto
In una ciotola versare la farina e formarvi un incavo in cui unire a mano a mano gli ingredienti al lievitino.
Nell'impasto vanno messi soltanto 80 g di burro (pomata), mentre il resto servirà per ungere i cràffen.
Lavorare con una forchetta (o un qualsiasi altro attrezzo) e poi con le mani fin quando l'impasto si stacchi dalle pareti del recipiente. Rovesciare quindi sulla spianatoia e lavorare bene, stirando e battendo, battendo e stirando, fino ad ottenere un impasto elastico ed omogeneo.
Mettere nella ciotola, formarvi un taglio a croce - oppure un buco al centro, affondandovi un dito infarinato - e lasciar lievitare, coperto e al riparo dalle correnti d'aria, per un almeno un'ora, ovvero fino al raddoppio del volume.

Fase 3) - Lavorazione
Stendere la pasta con delicatezza, senza strapazzarla troppo. Dev'essere alta mezzo centimetro o poco più.
Con un coppapasta o con un bicchiere - il diametro sarà quindi di circa 7 centimetri - ricavare dei dischi.


Sulla metà di questi porre un cucchiaino di ripieno a scelta, che so: marmellata (che io continuo a chiamare così anche se di ciliegie, e chissene della denominazione legale), crema pasticcera (au naturel, au chocolat, o come più v'aggrada), o anche quellacremallanocciolachefaingrassaresoloavederneilbarattolomacheèbbonadamorì.
Spennellare con del latte (o anche dell'acqua) i dischi di pasta liberi dal ripieno e chiudere il cràffen premendo bene i bordi per far aderire i due dischi ed impedire che in cottura si aprano miseramente.
Disporre sulla teglia e con un pennello ungere con il rimanente burro fuso.
Lasciar quindi lievitare?... Fino al raddoppio! Bravissimi.

Fase 4) - Cottura
Infornare in forno caldo (i classici 180°) per circa 15 minuti, dopo i quali decidere se proseguire per un altro paio di minuti fino a doratura completa. Non esagerare altrimenti si seccheranno troppo e, qualora abbiate usato la  quellacremallanocciolachefaingrassaresoloavederneilbarattolomacheèbbonadamorì, la vedrete asciugarsi impietosamente.
Appena sfornati spolverare di zucchero a velo e far raffreddare.
Se ce la fate

Aforisma del giorno
Chi sogna di giorno conosce molte cose che sfuggono a chi sogna solo di notte.

Edgar Allan Poe


Oggi ascoltiamo
Sopor Aeternus & The Ensemble of Shadows - It Is Safe To Sleep Alone

http://www.youtube.com/watch?v=mqzxbbc6RZ8

martedì 22 ottobre 2013

Morbillina e Melinda - Torte allo yogurt fermentato

Curiosity killed the cat, dicono Oltremanica; ma di certo non conoscono il mio, che è davvero così poco cat ma curioso più una portinaia d'altri tempi, con ciabatte, bigodini e ciospa appesa sul bordo del labbro.
Non contento della cartella piena zeppa di ricette che mi ritrovo - d'accordo, sul pc, ma sempre di cartella si tratta - e che m'aspetta al varco e freme per essere piluccata, cosa fa il disgraziato, sconsiderato e folle?
Si fa dare da chissà chi fogli e foglietti di ricette e me le fa trovare a bella posta sulla scrivania, scritte in un italiano stentato - segno che le sue frequentazioni non hanno di sicuro finito neppure le scuole dell'obbligo - con tanto di disegnini esplicativi di chiara matrice demoniacofelina che paiono fatti apposta per contagiarmi di curiosità, istigarmi e farmi cedere su tutti i fronti.
Non so perché mi prendo la briga di provare queste ricette quando ne ho già una caterva per conto mio ma, tant'è: ogni tanto mi colpisce un particolare, un accostamento insolito oppure un procedimento un po' diverso dall'ordinario.
Come questo dello yogurt fermentato, di cui non sono riuscito a trovare traccia da nessuna parte della Rete.
E dire che sono un cercatore provetto con anni e anni d'esperienza, ma... niente.
Segno è che di sicuro proviene da qualche altro mondo alieno.
Un mondo di esseri insoliti, di gatti, demoni e stregoni...


La procedura, dedotta dal quel Gastronomicon che mi sono ritrovato tutto semi cancellato e macchiato in più punti, è un po' lunghetta, è vero, ma secondo me vale la pena di provarla.
Occorre un vasetto di yogurt, intero o magro che sia, da versare in un contenitore bello capiente.
Vi va aggiunto quindi un bicchiere di zucchero e uno di farina.
Come dose vanno bene anche quelli di carta.
Lasciare il contenitore all'aperto per tutti i giorni previsti dalla procedura, coprendolo eventualmente solo con della carta stagnola, della pellicola o con un canovaccio, a piacere.
E qui arriva il bello, perché si deve lasciare tutto così come viene, alla rinfusa. Alla vergognosa, insomma.
Il giorno dopo si mescola per bene il tutto;
il III giorno non toccare nulla;
il IV giorno aggiungere al composto un bicchiere di latte, uno di zucchero e uno di farina, senza mescolare;
il V giorno mescolare per bene il tutto;
il VI e VII giorno non toccare nulla;
l'VIII giorno mescolare nuovamente...
e finalmente il IX giorno il composto è pronto per essere utilizzato.
Deve risultare denso e appiccicoso.
Una vera s... quisitezza.

Con la dose riportata vengono quattro torte, dice il Gastronomicon, segno che è decisamente di origine se non aliena almeno alienata. C'è di bello però che può essere congelato e riutilizzato all'occorrenza, senza essere costretti a farsi salire di altre trecento unità i valori del colesterolo e/o trigliceridi.
Come, ovviamente, ho fatto io...
Queste le dosi, che il foglietto malefico riporta in lingua enochiana, e che traduco alla bell'e meglio nell'uso umano.

Per una torta Morbillina occorrono:
250 g del composto   (un bicchiere)
200 g zucchero         (un bicchiere)
300 g farina              (due bicchieri)
150 g olio di semi      (un bicchiere)
200 g rape rosse precotte, grattugiate grossolanamente
2 uova
Una bustina di lievito e una di vaniglina

Per la torta Melinda (alle noci) occorrono:
250 g del composto   (un bicchiere)
200 g zucchero         (un bicchiere)
300 g farina              (due bicchieri)
150 g olio di semi      (un bicchiere)
250 g mele                (tre di grandezza media) tagliate a dadini
100 g noci spezzettate grossolanamente (che si possono anche evitare)
2 uova
1/2 cucchiaino di cannella in polvere
Una bustina di lievito e una di vaniglina

Procedimento
Mettere il composto in una ciotola, aggiungere le uova e mescolare, unire l'olio, lo zucchero, la farina e, per ultimo, il lievito e la vaniglina.
Per la Morbillina aggiungere le rape grattugiate mentre per la Melinda le mele a dadini (e le eventuali noci).
Versare in un un contenitore imburrato e infarinato e infornare a 180° per circa 45 minuti.
Spolverarla una decina di minuti prima di toglierla dal forno con dello zucchero a velo.

Morbillina

Melinda (senza noci)

Detto di Frate Indovino del giorno
La cuoca pigra e ottusa il forno sempre accusa


Oggi ascoltiamo
Shakespears Sisters - Stay

http://www.youtube.com/watch?v=_eXw47qb4U0
Un video indimenticabile, dove la diabolica Siobhan Fahey da bravo Angelo della Morte cerca di portarsi via il bottino dell'amato bene della cinguettante Marcella Detroit. Ma quando la lotta si fa dura anche la morte deve arrendersi alla forza dell'amore.
Così sta scritto nel Gastronomicon.
Ma ho la vaga impressione che la cosa valga solo nel mondo fatato delle canzoni...

domenica 20 ottobre 2013

Verdure ripiene... di verdure

- Oddio! (Si fa per dire...) Ma... Leppagorre... come diavolo ti sei conciato?

 
Sembri la vedova Solferini, quella dell'ultimo piano. Si può sapere che t'è successo?
- Sta zitto, ti prego! Zitto! E lasciami consumare lentamente nel mio atroce dolore!...
- Ah, ci risiamo! Riecco il melodramma!... Dopo che m'hai buttato giù le tende della sala stai sperimentando nuove formule espressive? E perché poi ti saresti vestito a lutto?
- Come, "perché"! E me lo chiedi anche, ospite indegno? Vuoi forse vedermi sparire nel gorgo dell'abisso siderale dove miserrimi i gattodemoni si perdono, per inedia - che è l'unica cosa che può davvero annientarci - senza possibilità di riscatto alcuno?
- Quindi se io facessi (si fa per sempre per dire, eh?) lo sciopero della fame rischierei di vederti sparire nel... "gorgo siderale"?
- Esattamen... Perché, hai forse intenzione di fare uno sciopero della fame? Dimmelo subito così mi tuffo nella nutella e mi impano nel pralinato di nocciole, poi mi riempio la bocca come un criceto con ventisette olive all'ascolana e con due filetti di baccalà fritti caldi caldi e stretti nelle zampine mi adagerò sulla fredda lastra marmorea della rosticceria e sarò pronto per la dipartita.
- Ma chi te le scrive queste battute? Il tuo precedente ospite era un neoraffaellita o un esteta all'amatriciana da piogge nel pineto e similia?
- Oh, meschino, tu che non sai cosa si muove nell'animo di noi poveri, incorporei e indifesi gattodemoni!
- La fame, forse? Dico così, in via d'ipotesi...
- Noi, esseri fragili e grami,sempre in bilico tra le il piattume delle vostre dimensioni e le asperità delle nostre, sempre in balia del volere di qualcuno che concendendosi o rifiutandosi un cibo mette in gioco la nostra stessa esistenza!
- Eh sì, è difficile la vita di voi parassiti...
- Ma come osi? Parassiti noi? Se non fosse per noi mangereste ancora carne cruda coperti da pelli putride di bestie squartate! Ingrato! Infido!... Cattivo!
- Oh, quante storie! E come lo chiami tu un essere che vive simbioticamente della vita di un altro, si nutre del suo cibo e fa della vita altrui la propria vita?
- Non saprei... un essere superiore? Un genio? Una meraviglia della natura?
- Il prossimo che mi parla dell'incomunicabilità tra gli uomini lo fulmino, giuro!

So bene perché s'è combinato in questa maniera assurda, tanto da sembrare la caricatura della zia di se stesso.
Mi avrà visto armeggiare con funghi e melanzane e si sarà sturbato al solo pensiero di non poter assaporare neppure una scaglietta minuta di pecorino o un cucchiaino, di queli piccini da caffè, di budino al cioccolato.
Nemmeno stessi facendo la fame, dico io!
Lo so la vita dei golosi non è sempre un giardino di delizie, e quella dei gattodemoni ancor meno, ma bisognerebbe imparare ad apprezzare tutto il buono che può venire da ogni cibo, anche pure da una zucchina lessata...
- Giuralo!
- Giurare cosa, scusa?...
- Giura che "è possibile trovare qualcosa di buono persino in una zucchina bollita" come hai detto. Te ne assumi la piena responsabilità?
- Ma non mi sembra di doverne fare una questione fondamentale, no? Ho solo detto...
- So cos'hai detto! Adesso ce ne liberiamo di quel meraviglioso, simpatico e bellissimo essere che ho il privilegio di ospitare. Questo hai pensato, vero? Facciamogli una zucchina lessa e spediamolo nel limbo delle anime perdute!
- Anche paranoico, adesso? Ma ti pare il caso? Senti, io vado a finire di prepararmi questa cenetta frugale, tu fai pure come vuoi.
- Vai, vai, e lasciami a sdilinquire nel rivolo d'una languida amarezza... E lasciami anche il barattolo di miele e quella fetta di gorgonzola che è in frigo. Voglio morire felice, col sorriso sul muso!...

Verdure ripiene di verdure
(per due persone)
6 grossi funghi champignons
2 melanzane lunghe non troppo grosse
2 spicchi d'aglio
pangrattato q.b. (circa 50 g)
un ciuffo di prezzemolo
sale e pepe q.b.
Mondare i funghi, togliendone il gambo e ripulendoli dal terriccio.
Scavare un po della cappella con un coltellino e tritare la polpa assieme ai gambi, non troppo finemente.
Stessa cosa per le melanzane: spaccarle in due e scavarle col coltello, quindi tritare la polpa e unirla a quella dei funghi.
Aggiungere l'aglio e il prezzemolo tritati, sale, pepe, e pangrattato quanto basta per ottenere un composto non troppo asciutto.
Volendo si può dividere in due il composto e in quello destinato alle melanzane aggiungere un cucchiaino raso di cumino o mezzo cucchiaino di quello in polvere. Lo so, lo so, sono scontato che neppure ai saldi della Befana, ma ormai quest'accostamento mi soddisfa sempre e lo ripeto come una cantilena.
Rivestire quindi i funghi e le melanzane, e cuocere in forno caldo per almeno 20-30 minuti.
Mangiare le verdure calde o, al limite, anche tiepide. Fredde no, per favore.

Per scherzo ho allestito un piatto volutamente scarno e squallido, penso il massimo della tristezza ospedaliera che si possa trovare, e di sicuro non su un blog (che si finge) di cucina.


- Insomma, hai finito di piangere nell'angolo a come un gatto in amore?
- Non stavo piangendo, io! Stavo al telefono con zia Bastet, che ti credi!
- Ah, ecco. Allora l'album è proprio al completo. E adesso posso cenare prima di essere folgorato o graffiato a morte oppure c'è qualcos'altra rampogna con cui devi condirmi gli zebedei?
- Ma stavo scherzando, stupido! Non hai capito niente! Mi sono fatto non so quante risate parlando con la zietta e raccontandole la faccia che hai fatto! Dovevi vederti, mentre sono apparso tutto a lutto.
- Con la veletta... sì...
- Sì, sì. Ahahahahah, non ce la posso fare! Hai fatto una faccia che me la ricorderò per sempre!
- Già... Dài, che si mangia, va. Su, che se si fredde le verdure non mi piacciono più.
- Vengo, vengo! ... Ma... e che d'è 'sta roba?
- Le verdure ripiene di verdure, non hai sentito che bel profumino mentre stavi trafficando con la zietta? A proposito, non è che mi arriva una bolletta da suididio in diretta? Non so quanto possano costare le chiamate interdimensionali!
- No, no, parlavo col mio tele... Ma davvero vuoi mangiare 'sta roba qui?
- Certo, verdure salutari e saporite. Su, mangiamo.
- ...
- Ahahahahaha, dovresti vedere la faccia che hai fatto, malefico! Così impari a prendermi in giro. Vai, chiama zia Bastet, su. Anzi, fa una cosa: invitala a cena, che ai suoi tempi neppure le conosceva le melanzane!

Detto romano del giorno
Cento misure e n'tajo.
 

Oggi ascoltiamo
Emika - Fight For Your Love

https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=azKk2IcXbq4

mercoledì 16 ottobre 2013

Curcuravioli

Al fascino della curcuma non so mai resistere, già lo so.
Lei sta là, silenziosa e solare, seduta paciosa e serena nel suo barattolo di vetro color acquamarina e m'aspetta.
Lo sa che prima o poi arriverò col cucchiaino in mano e via, si parte.
Dicono della pazienza delle piante, ma quella delle spezie è centuplicata.
Una prova che m'ha sorpreso: di solito la curcuma si mette nell'impasto della pasta fatta in casa, come anche lo zafferano e gli altri "additivi" naturali che arricchiscono la nostra sfoglia, come il cacao e le verdure.
Qui invece sta all'interno, un interno cremoso e sapido che, secondo me, non sta affatto male con la terrosità della curcuma.

Per due persone
(circa 8 ravioli da 6 cm di diametro)
Una sfoglia da 100 g di farina, di grano tenero o duro, a scelta.
Quindi: 100 g di farina, la metà circa d'acqua (tiepida) e un pizzico di sale.
Mescolare con energia e lasciar riposare la canonica mezz'ora al coperto d'un panno umido o in frigo avvolta in pellicola per alimenti.

Ripieno
100 g    formaggio cremoso tipo Dellamorefraterno
1/2 cucchiaino di curcuma
un pizzico di noce moscata
Stesso procedimento della pasta ripiena. in ogni cerchio di sfoglia poggiare un cucchiaino di composto e richiudere con un altro cerchio di pasta. E basta.
Cuocere in acqua bollente e salata. Dal momento che vendono a galla contare al massimo un paio di minuti, poi scolare e condire.

Condimento
Consiglio un semplice burro e salvia, che è il classico semi-neutro che non copre i sapori.
Veramente anche un semplice filo d'olio evo, di quello buono e non troppo forte va benissimo, anzi...


Detto romano del giorno
La cicala canta canta, e ppoi schiatta.

La cicala canta e canta, ma poi muore.

Oggi ascoltiamo
Emika - After the fall

https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=MoMr1clPrKM

lunedì 14 ottobre 2013

Cestini di carasau, fichi e formaggio o...

- No, senti, Leppagorre, io non ce la faccio a muovermi, se vuoi vai avanti tu.
- Certo che a mangiare quella roba strana... com'è che si chiama?...
- Insalata, si chiama insalata. Spirito di patata!
- Che non ci starebbe niente male, direi. Io non so più che fare con te. Mi stai portando in giro come un turista, come se già non conoscessi Roma da 235 anni. Guarda che anche noi gattodemoni ci stanchiamo, sai?
- Eh, dillo a me!
- E poi a forza di insalata e yogurt mi stai diventando un sacco vuoto. Dimagrissi, almeno...
- Ah, guarda, non me lo dire! Se tra una settimana non calo almeno un chilo mi affogo in un barattolo di miele!
- Giusto, e con due etti di noci sbriciolate dentro! E che è 'sta privazione così, per niente?
- Parli disinteressatamente, vero?
- Sempre!
- Ohi, ohi, non ce la faccio più. Fammi sedere un attimo qui... Cos'è laggiù?
- Là? Niente...
- Come niente, c'è tutta gente che fotografa e mormora qualcosa... Cos'è quel quadro? Non l'avevo mai visto qui.
- Ma niente cosa vuoi che sia, magari un altro solito paesaggio di lagune e tramonti o una babbiona rinascimentale con suo bestiolo domestico. Che vuoi che sia... Anzi, vieni qui, c'è la sala delle sculture di un artista che fu amico mio e che è...
- Ma io quel quadro... lo conosco, eppure. Maledetta miopia. Fammi vedere cos'è laggiù.
- Ma dài, che sarà mai! Sarà il solito pittore di corte che ha ritratto la sua amante di turno e che...


- Babbiona rinascimentale, eh? Amante di turno, eh? Tu non ne sai niente, vero?
- Me possino cecà!
- Annamo bbene: il gatto cieco... e la volpe zoppa! Andiamo a farci qualcosa, va. Sennó la prossima volta mi distruggi il Colosseo, tu!
- Io? Non so nemmeno dove sta di casa...
- Sì, sì, fai lo gnorri va. Facile che me lo ritrovo con le tende da sole!
- Oh!... Eh... Be', quelle che aveva erano così rovinate che ho pensato...
- Maledetto! Vieni qui, che ti scortico! E pelo per pelo!
 - Ahia! E lasciami! Ci guardano!
- No, MI guardano, e non m'importa niente! Becca qui!
- Ahi! Ahia! Ohu!...

Giornate faticose, e chi dovrebbe darti un minimo di sostegno o che almeno non dovrebbe intralciarti sta lì a farti lo sgambetto. Ma si può?
Qui ci vuole qualcosa di appetitoso, che ci possa fare pranzo, o magari merenda... massì anche cena, va.
Le dosi sono molto, molto arbitrarie, erano tutte cose che avevo già bell'e pronte in casa, quindi pazienza.
Servono comunque almeno due fogli di pane carasau,
quattro o cinque fichi da ultima spiaggia,
un etto di pecorino sardo tagliato a fettine sottili,
una manciata di prugne, e considerando le mie mani... un paio d'etti e più,
Credo sia superfluo aggiungere che si può usare, come ogni ripieno "a scorza neutra" qualsiasi cosa ci passi per la mente, come per la pizza, la pasta...
- Allora anche fegatini e prugne!
- Pussa via! T'avevo messo in castigo, no? Stasera niente cena!
- Tanto me la magno da te...
- Oh, insomma!
Si prende il pane carasau e lo si immerge per un minuto in acqua, poi lo si scola e lo si lascia ammorbidire su un piano.
Con questo foglio di pane andremo a rivestire degli stampini d'alluminio leggermente oliati, lasciando i lembi del foglio di pane un po' abbondanti.

Sul fondo di ognuno di questi aggiungere un pezzetto di pane per formare una base un po' più resistente, visto che potrebbe ammorbidirsi troppo col ripieno.
Una volta pronte le scorze mondare i fichi senza togliere la buccia,  basta lavarli bene e togliere il "piticozzo", cioè il picciolo, quindi tagliarli in due.
Adagiare la metà di ogni fico sul fondo dei cestini, poggiati dalla parte della buccia, farcire con una fettina di pecorino sardo e coprire con l'altra metà del fico. Quindi richiudere il pane a sacchettino e bagnare la superficie con una goccia d'olio, magari passandola con un cucchiaino, per non esagerare.
Passare in forno caldo per una ventina di minuti e poi sfornare. Servirli non troppo caldi.

- E le prugne?...
- Ah, giusto! Vedi che mi fai rimbambire?
- Sì, perché già di tuo...
- Cos'è che hai detto?
- Niente, cercavo le prugne...
Con le prugne stessa solfa, solo vanno tagliate a fettine non troppo sottili, alternandole al pecorino sardo.
Volendo, prima di richiudere il sacchettino una goccia di miele... io non ho detto niente, eh?


Ovvio che si possono farcire con carciofi (o cipolle o zucchine o zucca o peperoni o...) stufati e formaggio, oppure con fegatini (piano, che sennó mi sente...) trifolati, e sappiamo come, o con tutto quello che la fantasia suggerisca e istighi.
Magari anche una versione semidolce con mele, uvette e... Oh, basta!


E come diceva il prode Massimo: "Al mio via scatenate l'inferno!"

Detto latino del giorno
Parva saepe scintilla magnum excitavit incendium

Spesso una piccola scintilla ha innescato un grande incendio


Oggi ascoltiamo
Hans Zimmer e Lisa Gerrard - Now we are free 

http://www.youtube.com/watch?v=vHAvjaHtlMA

P.S.
Aaarghhh!!!...

sabato 12 ottobre 2013

Yogurt!

"Ma qual è il loro segreto, i cibi che mangiano o cosa? Cos'è che li fa arrivare dritti dritti a cent'anni e oltre?"
Questo, più o meno dev'essere stato l'interrogativo che si pose il microbiologo russo Il'ja Il'ič Mečnikov, incuriosito dal fatto che le popolazioni bulgare fossero così longeve.
Aveva passato gran parte della vita studiando i microorganismi, in special modo le cellule fagocite, quelle che si cibano dei batteri dannosi alla salute, salvandoci così da infezioni mortali, e durante i primi anni del Novecento iniziò anche ad interessarsi ai meccanismi dell'invecchiamento. (1)
Fu così che si imbatté nei bulgari. Certo, una vita sana e pochi eccessi ma... guarda, guarda: anche un alto consumo di yogurt.
Cosa si nascondesse in quel latte fermentato l'aveva già scoperto nel 1905 il medico bulgaro Stamen Grigorov: un gran numero di bacilli, la cui specifica funzione non era ancora chiara.
"Ma a cosa servono?" non è una domanda da fare a una mente scientifica, e il minimo che gospodin Mečnikov potesse fare fu impugnare il microscopio e mettersi ad osservare quella folla di batteri, che chiamò, appunto, Lactobacillus bulgaricus, ai quali s'aggiunse anche lo Streptococcus thermophilus.
Non fu solo in base all'equazione latte+bacilli=longevità che lo scienziato si convinse delle proprietà dello yogurt, ma cercò di comprendere perché questi batteri fossero così importanti per il metabolismo del nostro corpo umano e come agissero nell'organismo.
Da allora il boom dello yogurt non ha conosciuto arresti o soste di sorta.
Oggi se ne trovano di tutti i gusti e sapori, e anche con aggiunte "sospette" di fermenti probiotici (2).
Negli anni Ottanta del secolo scorso s'era anche diffuso l'uso della "madre", quel complesso gelatinoso che richiedeva continue cure e produceva litri e litri di yogurt sotto cui l'Italia rischiò di finire sommersa.

Più prosaicamente, farsi lo yogurt in casa è d'una facilità disarmante e, come anche per il lievito madre, le chiacchiere sono tante, le manie altrettante, ma i fatti, stringi stringi, pochi.
Bastano un litro di latte e un vasetto di yogurt bianco, per iniziare.

Latte, quale?
Semplicemente quello della centrale, direttamente dal banco frigo d'un qualsiasi super-iper-mega-mercato.
E quello crudo? Ma come: ci abbiamo messo secoli per imparare a pastorizzare il latte e dimenticarci della salmonella che falcidiava i bamini fino al secolo scorso e che si fa? Si utilizza il latte crudo?
Facendolo dovutamente bollire per il consumo lo si priva delle sostanze di cui viene così decantato.
C'è invece chi usa l'UHT, che essendo trattato ad alta temperatura, non rischia di contenere altri microorganismi che siano concorrenti col nostro lattobacillo e che possano essere dannosi per la nostra salute.

E lo yogurt?
Anche qui: quello intero della centrale va benissimo, e senza apporto di ulteriori fermenti industriali (2).
Anche quello magro va bene, ma bisogna considerare che la corposità dello yogurt è dovuta proprio alle proteine e ai grassi contenuti nel latte e nello yogurt di partenza.
Ah, per scrupolo, e mantenere costante la temperatura del latte in fermentazione occore anche una copertina o, come nel mio caso, una bella sciarpona di lana. Se rossa meglio.


Il latte va fatto arrivare a 90°, più che altro per eliminare i bacilli "estranei", ma con quello pastorizzato ciò non è strettamente necessario,  e col latte UHT - abbiamo visto - questo passaggio si può saltare agevolmente.
Nel frattempo si porta lo yogurt a temperatura ambiente, per fargli riprendere vita dopo l'ibernazione dei 5°.
Si fa quindi raffreddare il latte fino a una temperatura che sia compresa tra 35 e 42 gradi centigradi (qui la fonte).
Si può verificare con un termometro da cucina o anche semplicemente verificando che il latte abbia una calore sopportabile, che non superi quindi i 50°.
Si mescola lo yogurt con un po' di latte per evitare la formazione di grumi, quindi si pone in un recipiente di vetro o anche di plastica e si avvolge con la copertina (o la sciarpetta...)


Se la temperatura ambiente è superiore ai 20° basta metterlo a riparo e coperto.
Non servono affatto gli ammenicoli pseudo tecnologici quali luci accese in forno o varie: il nostro yogurt fermenterà comunque, magari ci metterà qualche oretta in più ma il risultato è garantito sempre.
Se si vuol andare sul sicuro e si teme che prenda freddo basta scaldare appena appena, il forno a 50°, il tempo necessario per preparare il composto, poi si spegne e si mette al riparo l'amato bene.
Ore di fermentazione?
Già dopo 6-8 ore lo yogurt avrà colonizzato tutto il latte disponibile e sarà pronto, ma questa tempistica è molto indicativa, visto che dipende da vari fattori, e principalmente dalla carica batterica dello yogurt starter e dalla temperatura di fermentazione.
Per andare sul sicuro si può lasciare il composto per 12 ore: alle 20.00 si prepara e alle 8.00 del giorno dopo si ha lo yogurt appena fatto (stavo per dire munto...)


È ovvio che la fermentazione va bloccata, per evitare di rendere troppo acido lo yogurt, quindi appena "sfornato" va messo in frigo, dove si potrà mantenere anche per un paio di settimane.
Per rifare lo yogurt basta una piccola quantità di quello precedente (da due cucchiai colmi a un vasetto, tenuto da parte come unità di misura), un litro di latte fresco e via, si riparte col ciclo.
Evviva la Bulgaria!

Detto bulgaro del giorno
Блага дума – железни врати отваря
La parola gentile apre ogni cancello

Oggi ascoltiamo
Трио Българка - Мъри Тудоро

Trio Bulgarka - Mari Tudoro

http://www.youtube.com/watch?v=HNvRQD5jY1I

NOTE
1) Dopo aver trattato la questione della longevità, Mečnikov si occupò di quella della morte. Egli credeva che tutti ne avessero paura solo perché arriva prematuramente, ovvero prima che l’istinto naturale per essa abbia avuto tempo per svilupparsi. Questa supposizione è confermata dal fatto che gli anziani che hanno raggiunto un’età molto avanzata sono spesso sazi della vita e sentono il bisogno della morte così come i giovani sentono il bisogno di dormire dopo una lunga giornata di lavoro. Ecco perché, diceva, abbiamo il diritto di supporre che, quando il limite della vita è stato esteso, grazie al progresso scientifico, l’istinto di morte avrà il tempo di svilupparsi normalmente e prenderà il posto della paura che la morte stessa provoca. Per questa ragione, Mečnikov sosteneva che bisognava imparare a prolungare la vita attraverso i progressi della scienza, in modo da permettere a tutti gli uomini di realizzare il loro completo e naturale ciclo vitale così da affondare, tranquillamente e senza paura, nel sonno eterno.
da Wiki, con poesia.

2) È da qualche anno invalso l'uso di ulteriori fermenti, i probiotici, ritenuti più resistenti verso i succhi gastrici e quindi adatti ad arrivare sani e salvi nell'intestino ed espletare tutte le loro benefiche qualità.
La cosa però non è stata scientificamente dimostrata, e quindi ha tutta l'aria d'una bufala messa in atto dalle industrie che giocano sporco sul fascino che le parole salute e naturale, associate al cibo, operano suin consumatori.
Leggere gli articoli seguenti: qui , qui e qui, mentre qui l'articolo dell'EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) che boccia l'uso dei probiotici come di altri "integratori" sospetti da cui siamo subissati.

martedì 8 ottobre 2013

Uova centenarie

Conoscere un'altra cultura, si sa, è anche immergersi nelle strade dove si vive, nei profumi e nei sapori della sua cucina e nei suoni astrusi della sua lingua.
È, in definitiva, curiosità e mancanza di preclusione verso l'Altro, il turco, l'estraneo, "quello di fuori", lo straniero.
Ogni cosa nuova diventa in fondo quasi una piacevole scommessa con se stessi, e quasi sempre quello che si credeva uno scoglio alla fine si rivela solo una duna di sabbia.
E spesso non c'è bisogno d'arrivare a emulare le stravaganze di Andrew Zimmern, che gira il mondo sgranocchiando tarantole fritte dorate o polpose larve del legno: quando diciamo wan ton o sushi con naturalezza facciamo già un piccolo passo avanti.
Se da piccolo avessi avuto un amico neozelandese - ma anche del polesine, credo - come ospite sarebbe inorridito nel vedere mio padre gustarsi la sua bella testina d'abbacchio al forno, con particolare e sottolineata predilezione per i bulbi oculari.
Quando vedevo il cadaverino pronto per lui sul piatto già sapevo che m'avrebbe fatto lo scherzo di chiamarmi in sala il momento stesso della delicatesse, e io sarei puntualmente rabbrividito, un po' per davvero ma un po' anche per fargli piacere.
Era uno dei pochi scherzi che ci concedevamo, io figlio mammone e lui padre timido...
Quindi tra testarelle d'abbacchio, lumache e interiora varie, posso dire quindi di non avere, e di non poter avere, pregiudiziali verso le cucine altrui.
La cucina cinese poi, come quella di gran parte dell'Asia, propone molti cibi davvero a noi estranei con cui prendere pian piano confidenza senza dover necessariamente attraversare nove fusi orari.
Tralasciando l'uso degli insetti - di cui ho una diffidenza viscerale e che non so se riuscirei mai a nutrirmi - e la carne di cane, che se vogliamo sempre carne è, una delle cose più singolari che abbia mai assaggiato è questa:


Ma cos'è, un supplì?...


Ah, no, è un uovo! Mi pareva...


Ma che cosa... 

Ecco, lo sapevo, il buco dell'ozono, i rettiliani, Atlantide e i Templari in forze stanno sconvolgendo l'universo tutto!
Pronto, notaio? Sì, lascio tutti i miei libri alla biblioteca pubblica di Torpignattara, sì, e i due baiocchi rimasti all'Associazione Pinguini Abbandonati! Presto! Pre...
 
A parte gli scherzi, questo è davvero altro da tutto ciò cui siamo abituati in Occidente.
Eppure sono uova, semplici uova d'anatra conservate grazie a un particolare processo di fermentazione.
Sono chiamate 皮蛋, pídàn, che di per sé vuol dire "uova in pelle" (o "in cuoio"), in riferimento al rivestimento con cui vengono avvolte quando ancora fresche, ma sono conosciute anche con l'epiteto di uova dei cento (o dei mille) anni o, più realisticamente, "uova dei cento giorni".
Certo, a guardarle sembrano aver passato tempi migliori...

 

Le uova d'anatra (1), raramente anche di gallina o di quaglia, vengono ricoperte con un impasto alcalino composto da cenere, calce viva (ossido di calcio) ed argilla, mescolate con sale, legno o pula di riso e acqua, quindi riposti in vasi di terracotta chiusi ermeticamente. Il tutto va messo a riposo per un lasso di tempo di circa 3 mesi (da cui l’altro nome di "uova dei cento giorni").
Durante il processo di fermentazione l’albume diventa gelatinoso, traslucido, e d’un colore che va dall’ambra al marrone scuro, mentre il tuorlo assume un aspetto poco invitante alla vista per la colorazione verde scuro-grigiastra e, ahilui, per l’odore sulfureo e d’ammoniaca che emana. (2)

 

Alcune uova hanno in superficie delle decorazioni bianche simili a ramificazioni o minuscoli frattali a fiocco di neve (松花, sōnghuā) che danno all'uovo l'ulteriore nome di “uova di pino”.
Sono in realtà dendriti, strutture minerali che si formano spontaneamente dai sali alcalini durante la fase di fermentazione.

Anche se il metodo tradizionale è ancora ampiamente praticato , le conoscenze della chimica hanno portato a semplificare di molto il processo di produzione.
Secondo alcuni, questa ha alle spalle oltre cinque secoli di storia e, come spesso accade, la scoperta pare avvenuta per caso: sembra che delle uova d'anatra finirono in un grassello di calce utilizzato per la malta durante la costruzione d'una casa e vennero rinvenute dagli operai.
Ovvio, con la fame che girava non si buttava via niente e i muratori, guardandosi in faccia e si devono esser detti:
"Assaggiamo?..."
"Prima tu!"
"No prima tu!"
"Prima tu, che io ho cinque figli!"
"E io suocera e babbo a carico!"
"Oh, bene: allora facciamo che si divide e si assaggia tutti insieme!"
"Ci sto"
"Io pure!"
...
"Mh... però!"
"Meglio della cucina di mia moglie, Jin"
"Meglio di quel che Fei mi prepara la sera!"
"Molto meglio, sì. Chi ne vuole ancora?..."
Così nascono le ricette, ne sono certo.

Ma "come" si mangia l'uovo dei cento anni?
Generalmente è servito come “antipasto” – qualsiasi cosa voglia dire questo termine, visto che nella cucina cinese non esistono le portate come in quella occidentale – tagliato a spicchi e condito con salsa di soia, aceto e aglio, cipolla e zenzero tritati.
Spesso sono venduti come cibo di strada, avvolti in fette di radice di zenzero in salamoia e infilzati in bastoncini di legno.
Altrimenti c'è il 皮蛋豆腐 (pí dàn dòu fu), un piatto freddo tipico di Taiwan composto da un letto di tofu che accoglie gli spicchi d’uovo conditi con salsa di soia e olio di sesamo
Oppure il 皮蛋瘦肉粥 (pí dàn shòu ròu zhǒu), una polenta di riso congee (粥/zhǒu) con uovo centenario a pezzetti e carne magra di maiale (瘦肉).
In occasione di eventi speciali come banchetti nuziali o feste di compleanno, si serve il "lahng - Poon", che in Cantonese significa semplicemente "piatto freddo", composto da fette di carne di maiale alla brace, porri marinati, soppressata, abalone a fette e poi sott'aceti, carote in salamoia e meduse il tutto alla julienne. Ah, certo: e uova centenarie a spicchi.

Qui proviamo qualcosa di più semplice ed abbordabile, come sapore, visto che le uova già ci mettono del loro.
La ricetta è divisa in due parti e può essere preparata con condimento al crudo oppure saltato in padella.
3    uova centenarie
1    peperone
1    cipolla piccola
1 spicchio d'aglio
1 cucchiaino di zenzero fresco grattugiato
Sgusciare le uova centenarie, dividerle in due e adagiarle su un piatto da portata.
Tagliare il peperone e la cipolla a dadini piccoli, quindi tritare l'aglio.
Unire la cipolla, l'aglio e lo zenzero e tenere da parte metà del composto.


Per la versione cotta
2 cucchiai d'aceto
2 cucchiai di salsa si soia
2 cucchiai di olio di semi
1 cucchiaio di olio di sesamo
In una padella far scaldare l'olio di semi, aggiungere metà della cipolla, l'aglio e lo zenzero.
Far soffriggere a fuoco moderato, quindi unire metà del peperone.
Lasciare insaporire il tutto, aggiungere l'olio di sesamo e la salsa di soia.
Cuocere un paio di minuti.
Bagnare metà delle uova con l'intingolo del peperone e un cucchiaio di salsa di soia, e mettervi accanto il condimento cotto.
L'altra metà delle uova va condita con sola salsa di soia e vi si accostano il peperone crudo mescolato all'aglio, cipolla e zenzero e un cucchiaio di salsa si soia.


In definitiva?
La versione cruda risulta più fresca, da vero antipasto, mentre quella cotta è, ovviamente, la più appetitosa.
Me ne sono avanzate un paio... Chi vuole favorire?

Detto cinese del giorno
入乡随俗 (rù xiāng  suí sú)

Paese che vai, usanza che trovi. 

O, meglio:
Segui le usanze che trovi nel villaggio dove vai

Oggi ascoltiamo
刘若英 - 我等你

Liu Ruo Ying - Wǒ děng nǐ 
(Io t'aspetterò)
http://www.youtube.com/watch?v=zHoFqwgAcWo

NOTE
1) In cinese “uovo” per antonomasia è 蛋, quello d’anatra, altrimenti si deve specificare se di gallina 雞蛋 (jī dàn).
2) Una volta si credeva infatti che le uova centenaie fossero preparate immergendole nelle urine di cavallo.
In Thailandia e Laos, per esempio, la parola comune per questo tipo di uovo conservato è letteralmente "uova d’urina di cavallo"…

domenica 6 ottobre 2013

Dulce de leche fatto in casa - Dulce de Leppa

Ho sempre amato il dulce de leche di una passione pari a quella trasmessa dalla sua latinità.
Putroppo però, per uno strano fenomeno fisico-chimico - forse per l'ambiente caldo-umido o forse per l'incombenza di radiazioni elettromagnetiche, non si sa ancora - basta che una confezione di questa crema entri in casa mia perché il contenuto evapori in breve, brevissimo tempo.
Letteralmente.
Apro la lattina alle dieci del mattino?
Oh, prodigio! Alle due del pomeriggio si è già resa volatile, così, come per magia...
Quindi per ovvie ragioni trigliceriche fa parte di quegli alimenti che è meglio non varchino neppure la porta di casa.
E allora perché un post apposito?
Ecco, con gli occhi bassi e le mani giunte lo dico e lo ripeto: Non lo fo per gioia mia ma per darlo a chicchessia!
Quindi ne faccio una scorta sì, ma da regalare agli amici.
Fa sempre piacere e costa davvero poco.
Essendo infatti un prodotto d'importazione ha un costo proibitivo, e di questi tempi togliersi uno sfizio a caro prezzo rende ogni cosa dolceamara.

Quindi mentre cercavo in Rete una ricetta semplice per realizzarlo mi sono venute alla mente alcune considerazioni:
Il mondo si divide in diverse zone d'influenza cremaria:
*) c'è la zona confetturale, che corrisponde grosso modo al mondo anglo-occidentale, che predilige le conserve di frutta (marmellate e confetture);
*) c'è una zona lecharia, che coincide con l'area latino-americana, dove l'uso del dulce de leche è prevalente;
*) c'è la zona italo-"crema spalmabile alle nocciole e cacao" (per brevità detta zona-nutellaria), che come tutto quel che nasce dalla Penisola ha diffusione sia nazionale che in tutto il globo terracqueo, a macchia di leopardo (tranne forse in Antartide, ma non ci giurerei.
Questa approssimativa distinzione non è certo degna di Limes, né di altre ricerche serie avviate da persone certamente più competenti di me, ma è soltanto un'indicazione, un punto di partenza per dire altro. Come tutto, in questo blog.
Cosa si evince quindi dalle considerazioni suddette?
Che l'essere umano ha dato davvero prova d'essersi evoluto solo nelle zone del pianeta in cui si verifichino effettivamente le seguenti condizioni:
- I diritti umani, quelli stabiliti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, promulgata dall'ONU nel 1947, siano competamente, in gran parte, o più o meno rispettati;
- L'uso delle creme da colazione e/o spuntino e/o merenda suddette convivano felicemente nella credenza senza l'esclusione pregiudiziale di una o dell'altra, se non per conclamati segni di intolleranza e allergia.
Che è altra cosa rispetto all'intolleranza da "ignoranza de core"...

Spulciando con pazienta in Rete ci si convince poi come ogni cosa che non sia la fissione nucleare possa essere fatta a casa propria senza troppo sipendio d'energie e di risorse.
Ciò non finisce mai di sorprendermi.
Del dulce de leche poi esisono diversi metodi di realizzazione, e ne ho contati almeno sette, partendo - per semplicità - sempre dal latte condensato in scatola.
Mettiamo di avere quello commerciale, di quella marca di multinazionale che andrebbe boicottata un giorno sì e l'altro pure ma che ha il monopolio del commercio del prezioso composto.
Nulla toglie però che si possa utilizzare quello fatto in casa.
Di ricette ne abbiamo diverse, e ce n'è una anche qui.
I metodi di produzione casalinga del dulce de leche sono i seguenti:

1. Metodo "Matusalemme"
In un tegame pieno d'acqua immergere per due terzi la lattina di latte condensato, sui cui lati superiori andranno praticati due forellini con la punta dell'apriscatole.
Far cuocere a fuoco medio per 3-4 ore.
Qualora l'acqua evapori deve essere aggiunta fino a riportarla al livello iniziale.
Commento: Ma dde che!

2. Metodo "von Masoch"
Versare in un tegame il latte condensato e lasciar cuocere a fuoco medio-basso per almeno due ore, girando continuamente per evitare che attacchi.
Commento: E che ho ammazzato cristo?

3. Metodo "Maria Giudia"
In un tegame posto a bagnomaria far cuocere a fuoco basso il latte condensato per un'ora-un'ora e mezzo, almeno fin quando si addenserà e avrà assunto il tipico color caramello.
Lavorare quindi con una frusta per amalgamare il tutto.
Commento: Peggio me sento!

4. Metodo "Fermi"
Versare in una ciotola da microonde il latte condensato e far cuocere a media potenza per un paio di minuti.
Mescolare quindi con una frusta, stando ben attenti perché il composto continuerà a cuocere per un po' anche fuori dall'apparecchio.
Cuocere ancora per un paio di minuti sempre a media potenza.
Mescolare di nuovo con la frusta.
Cuocere a potenza medio-bassa per 16-24 minuti fino a caramellare lo zucchero, mescolando ogni tanto.
Commento: Mh... sennó?

5. Metodo "Infornatico"
Versare il latte condensato in una teglia bassa o in una tortiera di vetro da forno, mettere il recipiente in uno più grande dove andrà versata dell'acqua fino a metà altezza della teglia contenente il latte.
Coprire con un foglio d'alluminio e cuocere per un'ora, un'ora e un quarto, avendo cura di aggiungere se necessario altra acqua nel recipiente più grande.
Togliere dalla teglia il dulce de leche, farlo raffreddare e lavorare quindi con una frusta per rendere omogeneo il tutto.
Commento: Co sta testa che me ritrovo me lo scordo drento e bonanotte ai sonatori!

6. Metodo Futurama
Si utilizza una pentola elettrica, chiamata Slow Cooker (o anche Crock Pot),


Vi si pone la lattina di latte condensato e l'acqua necessaria a ricoprirla.
Cuocere per 8 ore a potenza bassa.
Volendo si può anche aprire la lattina e verificare il grado di cottura del dulce de leche, ricoprendo poi la lattina con un foglio di carta da cucina che assorba l'umidità interna della pentola.
Commento: La... che?

7. Metodo "PaP"
Si utilizza la PaP che, dopo la ruota, il fuoco e la lavatrice è l'invenzione più importante dell'umanità.


E già che accendiamo il gas tanto vale farne più di una lattina, no?
In una PaP da 5 l ce ne stanno comode comode quattro lattine da 400 g - sì, più o meno: vorrei sapere quando gli anglo-americani impareranno finalmente il sistema metrico decimale. Li possino acciaccàlli...
Si dispongono le lattine all'interno e si ricoprono completamente d'acqua, che deve superare di un dito la superficie superiore delle lattine stesse.
Quando l'amica fischia abbassare al minimo il fuoco e calcolare 25 minuti di cottura.
C'è chi la fa andare anche 40 minuti, ma secondo il mio parere il tempo ideale è mezz'ora al massimo.
Una volta passato il tempo di cottura si spegne, si lascia uscire il vapore e si fanno raffreddare le lattine.
Commento: Che spettacolo!


Paese che vai...
Portogallo - Doce de leite, che è la stessa identica cosa.
Messico - La Cajeta è la versione messicana, ed è composta per metà da latte di capra e per metà latte vaccino. La "cassetta" è la confezione tradizionale di questo bendiddio.
Repubblica Dominicana - È più simile a un fudge, ed è ottenuto da latte e zucchero di canna in parti uguali, fatto bollire a calore medio fino alla consistenza piuttosto soda.
Cuba - La Cortada ha invece una consistenza un po' grumosa.


Per ogni litro di latte (fatto cagliare per due-tre giorni con un limone tagliato a pezzi) si aggiungono 250 g di zucchero, due uova, cannella, vaniglia e un pizzico di sale.
Si pastorizzano le uova con il latte bollente e dopo due ore si aggiunge lo zucchero, sempre mescolando.
Tempo totale di cottura: tre ore circa.
Perù e Chile - Manjar Blanco, ovvero la stessa solfa.
Francia (Normandia) - Confiture de lait: una parte di latte e metà di zucchero, lasciato cuocere per diverse ore fino a caramellizzazione completa.
Norvegia - HaPå, ovvero "Metti su", inteso sul pane, con il solito pragmatismo nordico.
India - Il Basundi ha invece il latte aromatizzato al cardamomo. Ce lo vogliamo far mancare?...
Russia - Il Tянучки (Tjanuchkij) viene usato anche per farcire dei biscotti rotondi, che però non sono chiamati Alfajores...
Finlandia - Come sempre rosicano, perché la ricetta russa deriva dal loro Kinuski.

Per una disquisizione chimico-fisica sul dulce de leche riporto il basilare articolo di Dario Bressanini.
E visto che questo poker d'amore è pronto da essere regalato a destra e a manca, mi sembra brutto lasciare le lattine così, nude e crude dopo mezz'ora di bollitura spinta.
L'idea migliore sarebbe decorarle con dei colori da vetro o anche colori ad olio.
"Leche de artista"...
Oppure si possono preparare delle etichette personalizzate .
Tipo queste:



Detto romano del giorno
Ma che ho ammazzato cristo?...

un po' polemico; oppure, il più desolante:
Ma che ho mozzicato la zinna a mi madre?...
S'intende: per meritarmi quello che mi sta accadendo?

Oggi ascoltiamo
Fito Paez - Un Vestido y un Amor

http://www.youtube.com/watch?v=Kkv0Gk_3eyU

giovedì 3 ottobre 2013

LauCake

La mia amica è lontana ma vicina.
Un po' come la luna, che c'è sempre anche se qualche volta non la vedi perché magari è indaffarata a correre dietro la Terra.
E poi è vero che non solo il tempo ma anche lo spazio - come ci ha spiegato Chatwin - sono percezioni umane: la mente e il cuore hanno geografie diverse dalle consuete e, alla fine, basta sapere che "lei c'è" per vedersi illuminati e sentire meno amaro il percorso che si fa.
La mia amica è fulmine, vortice e torrente, perché così vuole la vita.
Ma sa anche restare seduta sotto un salice a sbocconcellare il pane per le papere e i cigni del lago.
E a un'amica così speciale uno come me cosa può fare di meglio se non una torta tutta sua?
Una torta particolare, però, mica la solita fuffa di creme e panne adagiate leziosamente su un lettino di pandispagna; e niente occhiatucce di ciliegine o nei di canditi e uvette, macché!
Qui ci vuole qualcosa di più concreto e sostanzioso.
E infatti...

Fegatini di pollo
La mia amica ha fegato da vendere, ne ha dato prova e lo fa ogni giorno.
Lei è valchiria di tangenziali e domatrice di tigri, e ha affrontato e affronta marosi che nessun capitano Nemo saprebbe fronteggiare.
Rape rosse
La mia amica ha il colore e la freschezza della vita. È curiosa sempre, di tutto e di tutti. Arriverà di certo a cento e passa anni, e con la mente sempre vigile, ne sono certo.
Datteri
La mia amica è anche dolce, ma non vuole darlo molto a vedere perché sarebbe segno di vulnerabilità. Segno che in passato è stata ferita, e anche di brutto.
Prugne
La mia amica non ha peli sulla lingua e se serve ti ci manda, e senza troppi complimenti, per fortuna. Ad avercene...
Pinoli
La mia amica ha aculei da riccio, e non per allontanare gli intrusi e porre delle distanze ma solo per difendere la sua innata tenerezza da quanti sarebbero capaci di approfittarne.

Per questa LauCake occorrono, quindi:
400 g    fegatini di pollo
70 g      prugne secche
50 g      datteri (anche secchi)
150 g    cipolla (una di media grandezza)
180 g    farina
3           uova
120 g    burro (o 100 g di olio di semi)
100 ml  latte
due cucchiai di burro
due bicchierini di brandy o di cognac
una bustina di lievito per torte salate (1)
una bustina di pinoli (40 g)
tre foglie d'alloro, qualche bacca di ginepro e di mirto, sale e pepe q.b.

Snocciolare i datteri e metterli a macerare in un bicchierinio di brandy.
Grattugiare le rape rosse a grana grossa.
In una padella far appassire a fuoco lento la cipolla tritata in un cucchiaio di burro. Se dovesse iniziare ad attaccarsi aggiungere un cucchiaio d'acqua. Salare appena appena.
Sminuzzare con la mezzaluna le prugne e tenerle da parte.
In un'altra padella far scaldare un cucchiaio di burro (un po' abbondante) con l'alloro e le bacche, unirvi poi i fegatini tagliati grossolanamente a pezzi e, dopo un paio di minuti aggiungere un bicchierinio di brandy.
Far cuocere finché avranno perso il loro color roseo, quindi lasciar raffreddare il tutto.
Tritare grossolanamente con la mezzaluna i fegatini e tagliare a pezzettini i datteri, che intanto si saranno ammorbiditi.
In una terrina sgusciare le uova, aggiungere il latte, il burro pomata e mescolare con una frusta.
Aggiungere la farina e lavorare bene il composto a crema.
Unirvi i fegatini, le rape, le prugne e i datteri.
Mescolare con cura e aggiungere infine il lievito.
Foderare uno stampo da plumcake da 25 cm con un foglio di carta forno bagnato e ben strizzato.
Versare il composto nello stampo e in superfice, a mo' di aculei, disporvi i pinoli.
Non devono essere sparpagliati a casaccio e versati così, alla carlona; vanno invece messi in verticale, uno per uno, come veri e propri aculei.
In realtà ne occorrono una ventina di grammi, ma il rimanente fa piacere piluccarlo mentre si aspetta che la torta cuocia a puntino.


Cuocere in forno caldo, i soliti 180°, per 50 minuti.
Far intiepidire un poco prima di togliere dallo stampo, quindi lasciar raffreddare del tutto su una gratella.
L'odore di fegatini invaderà pacificamente la casa e a quel punto non si avrà altra soluzione che arrendersi...
Consumare preferibilmente il giorno dopo, perché col tempo, come l'amicizia, migliora di molto.


La mia amica è buona, detto senza il timore d'apparire infantile o sempliciotto.
È buona perché qualunque siano gli ingredienti che la compongono, che possono anche apparire diversi e discordanti, la sommatoria delle sue peculiarità la fanno unica, gradevole e concretamente vera.
Ma io sono di parte perché è amica mia.
È Lau.


Detto veneto del giorno
A chi nasse desfortunà, ghe piove sul culo stando sentà

A chi nasce sfortunato gli piove sul culo anche quando sta seduto


Oggi ascoltiamo
Regina Spektor - Fidelity

http://www.youtube.com/watch?v=wigqKfLWjvM

NOTE
1) Non trovando da nessuna parte il lievito chimico che non fosse vanigliato ho pensato di farmelo in casa. Le percentuali precise sono 50% cremor tartaro, 22% bicarbonato di sodio e 28% di amido.
Una bustina di lievito equivale a 16 g di cui: 8 g di cremor tartaro, 4 g di bicarbonato di sodio e 4 g di amido. Guarda caso avevo una bustina da 8 g di cremor tartaro a cui ho aggiunto 1/2 cucchiaino di bicarbonato e 1/2 cucchiaino abbondante di amido di mais.

martedì 1 ottobre 2013

Quenelle de Brest - Gnocchi al pangrattato

No, non è un formato di pasta che ti seduce e poi ti va di traverso,


né una ricetta da bettola portuale con annessa matrona di bordello in stile fassbinderiano, anche solo per il fatto che le quenelle vanno bollite, mentre con Querelle si finiva fritti fritti nel dirupo...


Non c'è alcun nesso, come al solito mio, se non una irrefrenabile passione per il calembour, che condivido con lo stregatto d'Alice e i tulpa di Anne Rice.
Anche perché per giocare con le icone camp bisogna come minimo starci un po' dentro e crederci, o meglio operare la sospensione dell'incredulità, come quando si guarda un film di vampiri.
I vampiri non esistono, si sa, ma di fronte a Dracula, appena le luci si spengono, facciamo finta che non sia così e stiamo al gioco del narratore. Sennó dove starebbe il divertimento?
È un po' come quando da piccoli ci raccontavano le favole di esseri immaginari che sapevamo non esistere nella realtà, ma che sentivamo vivi, tangibili e anche pericolosi mentre la trama della storia prendeva forma.
Stessa cosa per il mondo delle icone camp: se non mi fingessi che i marinai siano anche quelli dipinti da Tom of Finland come potrebbe svilupparsi quella rete di significati attorno al misero significante d'un uomo in divisa?


Certo, che poi Jean Genet ci abbia giocato sporco, aggiungendo alla giocosità del feticcio anche la concezione della gloria del paria, ovvero il fascino degli esseri belli, dannati e condannati, è un altro paio di maniche, e questo è un discorso che ci porterebbe definitivamente fuori dalla cucina.

Le quenelle quindi sono degli gnocchi, più o meno grandi, a forma di uovo.
Il composto utilizzato è generalmente una farcia, una mousse o una purea, che può essere posta direttamente nel piatto oppure cotta. Queste sono molto semplici, da fare al volo.

Occorrono:
80g    parmigiano
40g    burro
2        uova
pangrattato  q.b.   
Impastare bene il tutto, far riposare per 10' almeno.
Intingere due cucchiai in acqua calda: con uno prelevate una buona quantità di composto quindi, aiutandosi con il secondo cucchiaio, modellare l'impasto a forma di uovo.
Non è difficile come fare il marinaio a Brest, ci vuole solo un minimo d'allenamento.
Versarle in brodo bollente e cuocerle per pochi minuti, fino a quando verranno a galla.
Possono essere servite nel loro brodo o asciutte, condite a piacere.
Un semplice burro e salvia, senza fronzoli, ci sta benissimo.


Ho appena parlato, no?
Siccome poi sono sempre un tipo che esagera, li ho accompagnati con una crema di fave pelate dalla buccia interna, lessate, tritate e ripassate in un soffrittino semplice semplice al rosmarino.
Ah, mannaggia, mi sono dimenticato il guanciale!...

Aforisma del giorno
Each Man Kills The Thing He Loves
Ogni uomo uccide ciò che ama
Oscar Wilde, A Ballad of Reading Gaol

Oggi ascoltiamo
Morrissey - Come Back to Camden

http://www.youtube.com/watch?v=s6kf6olVaoo