È oramai un assioma, un imperativo, qualcosa da cui non si può trascendere, mai: il cibo non si getta.
È peccato, sì. Ma non certo verso gli insegnamenti e i dettami di un essere trascendentale. Non occorre.
Semplicemente è peccato perché produrre cibo costa, e rispettare il cibo è tener conto di tutto il lavoro che c'è dietro, della terra che l'ha covato e (se si è onnivori) degli esseri viventi che compaiono già bell'e pronti in un vassoio ma che son stati vivi e che magari, nel loro cervelletto, avrebbero anche sperato una vita più tranquilla.
In attesa di poterci cibare di carne sintetica - e le notizie sull'uso delle cellule staminali sono incoraggianti, e su questo si spera che le religioni non avranno nulla da eccepire... - limitiamoci a scegliere quello che l'ambiente ci propone, quello che ci fa bene e che ci appaga.
Anche, e soprattutto, gli avanzi.
La letteratura sugli "avanzi" è centenaria e nasce quasi assieme alla codificazione della nostra cucina.
Pellegrino Artusi pubblicò - di tasca propria, per miopia degli editori dell'epoca - "La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene" (che è un piacere leggere di per sé, sia che si parli di bietole, capponi o pandispagna) nel 1891, anno in cui l'Italia si stava ancora facendo e di sicuro non s'erano ancora fatti gli italiani. (1)
Nello stesso periodo Olindo Guerrini, amico dell'Artusi, scrisse un libro altrettanto importante - ma pubblicato postumo solo nel 1918 - dal titolo "L'arte di utilizzare gli avanzi della mensa".
Dove, come spiegato su wiki, "viene illustrata una cucina “povera”, allusiva della penuria
alimentare cui era condannato il Guerrini stesso dal magro stipendio di
bibliotecario presso l'Università e dalla precaria vita di scrittore."
Economia è necessità, prima ancora che risparmio etico.
Ma sorprende ancora il fatto che il libro di Guerrini sia altrettanto, se non di più, voluminoso di quello dell'Artusi; segno che se la cucina è Arte di mangiar bene quella di utilizzarne gli avanzi lo è altrettanto.
Oggi la cucina degli avanzi vanta una vasta bibliografia: ci sono libri di Allan Bay ("Il gourmet degli avanzi"), di Letizia Nucciotti ("AVANZI POPOLO", dal titolo geniale), di Andrea Segrè ("Cucinare senza sprechi. Contro lo spreco alimentare: azioni e ricette") e molti, moltissimi altri.
Tutto questo per dire che ognuno di noi si trova per scelta di principio o per bisogno, a dover fronteggiare non tanto la scarsità di cibo, per fortuna, quanto la necessità di riciclare oggi quello che è avanzato ieri.
E magari anche surgelarlo per domani.
Metti che trovi al mercato un mazzo di dieci carciofi a prezzo imbattibile.
Li guardi e quasi non ci credi: dove sta la magagna? Sembrano enormi crisantemi verdi, delle teste di leone in uno svolazzo di foglie già mosce, nonostante il freddo, e speri segretamente che il sapore sia all'altezza dell'aspetto.
Se poi vivi da solo che fai? li pulisci per bene e li cucini tutti assieme (in tegame o nella PaP), belli pronti per essere usati come condimento di pasta o riso o come contorni, o anche in frittata.
Quando poi passa il tempo e la stagione dei carciofi è ben lontana, come sottolineato anche dai maledetti trenta gradi all'ombra, apri il freezer come un baule della nonna e oh, prodigio! vi sono ancora dei carciofi chiusi nella loro bustina incrostata di brina, tutti intrizziti e felici d'essere tirati fuori e di essere riportati a temperature più umane, anzi vegetali.
E allora utilizziamo anche quel pezzo di petto di pollo che se ne sta triste e sconsolato, stretto tra un rotolo di pasta sfoglia e una confezione di fave. Poverino... via, su: fuori pure lui.
Ci facciamo una panada, anzi una panadona... del riciclo, ovvio.
Panadona del riciclo
una dose di pasta violada, quindi:
250 g semola rimacinata
50 g strutto
Acqua tiepida q.b. Sale, un pizzico.
Per la lavorazione vedi qui. È la stessa d'ogni pasta fatta in casa, del resto.
Per il ripieno:
3 carciofi
200 g ca petto di pollo
200 g ca pane raffermo
100 g scamorza
1 uovo
2 spicchi d'aglio
coriandolo in polvere, parmigiano grattugiato, sale, pepe e olio evo: q.b.
facoltativo: 100 g coppa emiliana (a Roma: lonza).
Far ammollare il pane raffermo in una ciotola d'acqua, quindi strizzarlo e unirvi l'uovo, poco sale e due-tre cucchiai di parmigiano grattugiato.
Si taglia a pezzetti il pollo e lo si fa cuocere in padella con uno spicchio l'aglio tritato, che si farà attenzione a non far bruciare, pena un sapore amaro e digeribilità pari a zero, se non di meno.
A metà cottura si aggiunge del coriandolo in polvere e si sala.
Se si hanno carciofi freschi si faranno cuocere in tegame (o anche nella PaP per i canonici 12 minuti)
con uno spicchio d'aglio tritato (se non lo si tollera si può anche lasciare intero e poi togliere a cottura ultimata).
Quando la pasta violada avrà riposato il sonno dei giusti (le basta anche una mezz'oretta) la si divide:
2/3 per la base e i bordi e 1/3 andrà per "il coperchio".
Stendere la base e foderarvi uno stampo (da 24-26 cm), arrivando ai bordi.
Versare i carciofi sminuzzati, quindi uno strato di pollo,
quindi il pane, la scamorza tagliata a fettine e, infine, se si vuole le fette di coppa di Parma.
Richiudere con la pasta violada rimanente, e sigillare bene i bordi, premendo e arricciandoli su se stessi.
Cuocere a 180° per una mezz'ora, o almeno fino a doratura della pasta.
Chiaro che per questa ricetta vale la legge matematica della Proprietà commutativa, per cui: "In una panada, o altra torta salata, l'ordine di disposizione degli ingredienti nel ripieno non cambia il risultato finale".
E non è mica un assioma, eh? basta verificarlo facendone tante, diverse.
Quante? Be', se si hanno n tipi di ripieni diversi si ha la possibilità di permutarli in n! modi differenti, ossia in una varietà di n fattoriale modi distinti: n*(n-1)*(n-2)...1
Nel nostro caso avremo 5 ripieni (carciofi, pollo, pane, formaggio, coppa) e le possibili combinazioni saranno: 5*4*3*2*1=120 possibilità di disporre i ripieni.
Mica male per degli avanzi, no?
Poesia del giorno
In quanti modi t'amo? Lascia che conti.
Ti amo nell'alto, nel vasto, nel profondo
cui tende l'anima quando invisibile
partecipa agli scopi dell'Essere
e dell'Ideale Grazia.
Ti amo nel più modesto quotidiano,
alla luce del sole, a lume di candela.
T'amo come chi lotta per la Giustizia,
come chi schivi gli onori t'amo, puro,
con la passione d'antiche pene
e con la mia fede bambina t'amo.
T'amo d'un amore che credevo perduto
coi miei perduti santi, t'amo col respiro,
il riso, i pianti di tutta la mia vita! - e, se dio vorrà,
t'amerò ancor più dopo la morte.
Elizabeth Barrett Browning
Oggi ascoltiamo
Alex Britti - Quanto Ti Amo
http://www.youtube.com/watch?v=NipSZUsCTmo
NOTE
1) Nel 1891 ben più della metà degli abitanti del nuovo stato erano analfabeti, ognuno chiuso nei suoi usi e nella propria parlata "dialettale" (detta nel senso di lingua avente ambito socio-geografico limitato), nonostante gli sforzi dei pochi letterati e le speranze di Manzoni.
Si dovrà arrivare all'istruzione obbligaoria e alla diffusione massiccia della televisione per avere un'omogeneità diffusa, almeno in ambito linguistico (ebbene sì: l'italiano è lingua comune grazie a Mike Bongiorno...)
Quello che fece Artusi fu di riunire per la prima volta in un'opera volta al grande pubblico le peculiari differenze culinarie della tradizione italiana.
La cucina di Bartolomeo Scappi usciva quindi dalle mense dei nobili e incontrava finalmente la massaia e l'appassionato di cucina.
La Scienza in cucina è, nel suo ambito, quello che i Promessi sposi sono stati per la lingua: una dichiarazione d'intenti fatta con passione.
E alla passione, quando ha una direzione, va sempre riconosciuto il merito.
sarà il fresco improvviso: 17 gradi ale 11 e mezza stamane ma mi è venuta una fame!!
RispondiEliminaanche qui, Riccardo, improvvisamente novembre! Fresco, pioggia e cielo buio! bleah!! Mi consolerebbe assaissimo il tuo tortino a sorpresa con gli smerli come i centrini delle zie ex single, (zi-tel-le), e i cerchietti di pasta come puntini di sospensione di frasi mai dette.lau
RispondiEliminaDillo a me, amanda! Ho una fame che mi si porta, in questi ultimi tempi.
RispondiEliminaSpero solo di non essere incinto... Sarebbe il primo caso dopo duemila anni!...
Ma almeno qualche volta, con la scusa di amici che passano per Roma, posso avere il pretesto per pasticciare in cucina e sognare il freddo...
Sono un animale invernale, e questo clima mi frena, mi uccide.
Laulau, ma davvero mi dici? Ad avercene un po' di novembre, magari un solo giorno, e invece...
Mi piacerebbe un bel tè delle cinque tra zie ex single (ma magari senza la cuffietta in testa, visto che non saprei come fissarla sul cranio). Pensa, due tè con sfondo di cielo grigio e incazzoso, un piattone di frollini alla lavanda, il tè che fa volate di vapore lente e capricciose e noi a chiacchierare.
E poi, come è da me, la fatidica frase: "Ma ci facciamo un tortino salato?" E giù a ortaggi, formaggi e insaccaggi. In rigorosa pasta violata o anche torta Chatwin.
Anzi, la seconda, a pensarci bene...
Amanda, guarda che aspetto pure te, anche se non sei zitella come me, eh?
torta Chatwin, dici, ex amico Riccardo? Quella con i funghi, vero?????????? Allora, addio! Avrei preferito mi facessi fuori con ...scegli tu da Aikuchi a Zweihänder ma con i funghi...proprio no. Peccato, era impagabile l'atmosfera del cottage inglese con il té, il camino, finto naturlich, e il tuo ricamo a piccolo punto abbandonato sulla bergere. Perché ricami, vero? lau
RispondiEliminaTesora mia, hai ragione... ma era solo per farti capire l'atmosfera.
RispondiEliminaTu non sai che stasera ho collaudato una seconda versione zucchine e tonno. Sarà la TUA Chatwin, se vorrai. Va bene zucchine e tonno? O dimmi come la preferisci, perché vorrei farla che ti piaccia e che non ti faccia male.
Aspettandoti, con la pioggia o con il sole a picco.
Solo una cosa: non ricamo. Non ho pazienza, purtroppo. Oltre che non vederci da vicino, ovvio.