martedì 26 agosto 2014

Ah, quelle enciclopedie degli anni Settanta...

Gli anni Settanta sono stati anni fervidi, di movimento, di tensione e per un certo verso anche di consolidamento.
I quarantenni di oggi, qei figli del baby boom della metà degli anni Sessanta, erano troppo piccoli per aver vissuto la carica liberatoria del Sessantotto, troppo piccoli per rendersi conto della normalizzazione in atto (e che sarà omologazione schizofrenica dieci anni dopo) e del mutamento sociale e antropologico introdotto dalla società consumistica, o di quanto fosse drammatico non solo sul piano personale il naufragio nella droga di tanti atti culturali allora "eversivi".


E finanche troppo piccoli per capire com'era davvero vivere fino a dieci anni prima. In Italia, poi.
Solo chi ha avuto genitori già avanti negli anni ha capito il contrasto tra il mondo com'era "prima", scomparso per sempre, e quello che si stava vivendo ora, che pareva d'un'immobile normalità ma che normale non era.
La maggior parte delle nostre madri, allora quarantenni, sarebbero sembrate oggi delle babbione senz'altra grazia che quella trascinatasi come una dote da una lontana infanzia di paese.

Certo, bisogna capire i nostri padri: uscivano da un imbarbarimento secolare che li voleva tutti cafoni col fazzoletto al collo appena tornati dal lavoro nei campi, e si capisce anche l'entusiamo con cui finalmente vedevano nello sviluppo la fine di generazioni di pezze al culo affrancate dalla modernità, e nei suoi feticci tecnologici una patente di dignità nella quale avevano sempre segretamente sperato.

Paradossalmente "Lo zappatore" del poro Mario Merola denuncia una grande verità, quella della nuova generazione che si vergogna di quella vecchia, che farebbe di tutto pur di non essere accumunato a quella masnada di pezzenti a cui erano finora appartenenuti nonni e bisnonni.

Ovviamente non bastava "il titolo di studio" per sentirsi esentati dalla miseria, non era il "posto fisso" a garantire la rispettabilità borghese in cui ogni povero morto di fame aveva sempre aspirato per essere considerato davvero un "signore", alla faccia della "coscienza di classe" di cui si riempivano la bocca soprattutto i sazi intellettuali dell'epoca.

Aspiravamo al salotto buono, noi ex-pezzenti, al divano arabescato coi centrini di pizzo sulla spalliera e sui braccioli, alla macchina "bella", alle vacanze - e al mare, per carità, che di campagna e campi ne avevamo una sorta d'avversione inscritta nel DNA di secolari contadini.
Insomma siamo stati, prima di diventare frustrati consumatori, dei borghesi piccoli-piccoli, con aspirazioni piccole piccole ma con in mente sempre il mito del decoro e della rispettabilità, qualunque cosa significassero quelle parole, e che finora erano stati appannaggio dei signori di nascita e di censo.
Siamo un popolo di pretenziosi, di burini arifatti e di spocchiosi parvenu, non c'è che dire.
Non si spiegherebbe sennó il successo di certe figure politiche che hanno fatto leva sul bisogno di riscatto a tutti i costi, quello che insegue come un doberman impazzito e costringe ad atti coattivi di rara idiozia.

Comunque, negli anni Settanta (del secolo scorso, ahimé...) l'analfabetismo sembrava essere finalmente una piaga se non proprio debellata almeno in via di estinzione, e scoprivamo dopo anni di sviluppo senza progresso come fosse desiderabile essere oltre che cittadini, e magari colti, anche persone sofisticate.
Quelli sono stati anche gli anni delle enciclopedie.
La cultura era ammonticchiata sulle pareti del salotto buono o dello studio, per chi lo aveva, e con costante beozia italica, cercata nella collezione dei testi più che nella loro lettura.
Ci si voleva emancipare anche intellettualmente, e cosa di meglio che un'Enciclopedia?
Una raccolta di saperi universale (la parola "enciclopedia" era unita in un binomio inscindibile con la parola "universale". Non fosse mai che rischiasse di risultare provinciale...)
Non era tanto la sete di sapere che muoveva all'acquisto dei preziosi fascicoli settimanali, ma il desiderio d'essere considerati degli eruditi, quasi per osmosi con la vicinanza dei Sacri testi Sapienzali.
E la smania di riscatto affliggeva ogni campo, tanto che la buonanima di Diderot sarebbe stata combattuta tra la soddisfazione e l'orripilamento.
Alle Storie, antiche o moderne che fossero, s'univano poligrafie del regno animale in vari volumi, florilegi delle opere d'Arte (sempre in maiuscolo, ça va sans dire) o dei prodigi della Scienza e della Tecnica.
E, stranamente, sempre in un numero pari di volumi, a differenza dei confetti e delle rose.
Sarà stato questo a portare le encilopedie a un rapido decadimento?
O forse fu perché quella sfilza di fascicoli settimanali non li leggeva in realtà nessuno e quindi gli editori, da brave faine, capirono bene che era giunto il momento di passare dal testo all'oggetto, dall'Enciclopedia alla Collezione?
Fu così che la raccolta di improbabili gadget "made in China" prese il posto delle voci scritte da eminenti e/o emerite personalità accademiche.
La Rete era ancor là da venire, il Sapere Comune era un'irraggiunta utopia, ma già eravamo sommersi da ventagli dipinti, servizi da cucito dell'Ottocento, stroviglie coi personaggi dei cartoni, rosari di varia natura e santini per ogni giorno dell'anno.
Mancava solo la collezione di profilattici del Settecento, ma solo perché eravamo, e siamo, sotto la giurisdizione vaticana.

Insomma, per anni il senso d'inferiorità che ci veniva da una secolare ignoranza si nutrì, o almeno si alleviò, grazie all'acquisto di fascicoletti settimanali da far rilegare con cura.
Tutto ciò avvenne anche in altri campi: se la modernità - intesa come la mera tecnica - parlava ormai inglese, la moda e la cucina s'esprimevano in francese, e l'Italia subiva con sadico piacere l'invasione degli anglotecnicismi soffrendo però lo smacco del confronto con tutto ciò che fosse transalpino.
Allora bastava dare un nome gallico a una saponetta per aggiungergli una parvenza di sofisticata eleganza, come testimoniano le pubblicità dell'epoca. Figuriamoici quindi in campo culinario.
Le ricette d'oltralpe scendevano dalla Corte al popolo, le nostre invece parevano essere rimaste nella corte, quella del casolare però. Ci sarebbero voluti anni e il caparbio orgoglio per le proprie origini di Gualtiero Marchesi per rivalutare la cucina di casa nostra.


In uno dei testi dell'epoca, siamo nel 1972, fu un'enciclopedia della cucina allora molto popolare che cercava d'instillare un sentimento di raggiunta e rassicurante raffinatezza.
Finalmente, una volta imparate le ricette, così ben spegate passo passo, si sarebbe stati assunti nell'empireo dei Ricercati Gourmet e Gormandise (pur sempre all'ajo e oio, però).
E, ancora una volta, il tentativo di instillare l'aspirazione a quella che era pretesa essere la finezza e l'eleganza, anche nell'ambito alimentare.
Leggendone l'introduzione e le note si hanno subitanee illuminazioni.
La prima è che la "nostra" enciclopedia era l'edizione italiana di quella francese (La Grande Cuisine Française) a cui aveva collaborato Paul Bocuse, Presidente dell'Associazione Chefs [testuale!] Francesi.
Secondo, la nota dell'editore tra le varie cose dice, testualmente:
Nel presentare un dolce ai vostri ospiti non presenterete un dolce qualunque, ma un "Arabesco alla panna", un'"Aureola di ciliege" [Testuale e pervicacemente ripetuto, senza la "i"], un "Bucaneve di meringa" e così via. Non un piatto di verdura ma un "Capriccio di melanzane" o una "Banderilla di funghi". Non un comune pesce ma una "Bordatura di luccio" o una "Bisque di gamberi".
E così via, in un crescendo di "Arlecchinata dello chef", "Babele di crêpes", "Baiadera di riso all'indonesiana", "Bazzecole al forno", "Caleidoscopi di frutta", "Cantici di fragole", "Capricci di fegato Neuenburg", "Caroselli andalusi", "Dentici in bella vista" e via via in un crescendo delirante.
Fino a sbandamenti di gusto quali "Abbacchio Excelsior"...

Ci meravigliamo forse del fatto che, negli anni seguenti sarebbe stato tutto un fiorire e proliferare di "Botteghe oscure", come venivano chiamate sul tanto rimpianto settimanale "Cuore"?
Ci saremmo aspettati qualcosa di diverso dalle "Buotique della carne" o i "Capricci di pane"?
Da "Il tuo ortolano" e "C'è pizza per te"?...

domenica 24 agosto 2014

Lasagne melanzane e provola affumicata

- Ora ti faccio vedere. Guarda!
- Ebbene?...
- Come, "ebbene"! Ma non vedi? Lo dice qui, nero su bianco.
- A parte che è bianco su grigio scuro (ma come gli verrà mai in mente a questi di rendere illeggibili le pagine web? diosololosa). E poi, scusa, mi fai come pora mamma? Per lei una cosa era vera solo se la riportava il telegiornale. Fosse anche l'invasione dei marziani.
- Con Orson Wells sarebbe impazzita, allora. Comunque, leggi: "Il vino rosso fa bene alle coronarie"... grazie ai tonini...
- Ai tannini, cretino.
- Sì, quelli, s'intende. Comunque fa bene. Certo, in quantità discrete, non certo come fai tu quando apri una bottiglia, che se non vedi il fondo non sei contento.
- Sì, certo, è arrivato Mister Temperanza.... Roba che se apro un pacchetto di patatine ti lecchi anche la busta!
- Sei tu che lo fai, mica io!...
- Certo, aizzato chissà da chi? La lingua è la mia ma la muovi tu, altroché! Comunque non devi credere a tutto quello che leggi, sai. Va bene che hai imparato da poco, ma così rischi di dar credito a un monte di frescacce. E in Rete, poi, dove non c'è alcun controllo, di bufale ne girano a mandrie.
- Dici?
- Dico. A parte i pareri da incompetenti di chi s'arroga il diritto di parlare di cose che non conosce.
- I cosiddetti fregnacciari...
- In italiano si dice cialtroni, semplicemente. Poi ci sono quelli che dicono intenzionalmente il falso per convenienza. Sì, lo so che per te è difficile capirlo, anima candida, ma è così.
- E va be'.
- Poi ci sono quelli che fanno gli utili idioti e ripetono a pappagallo ogni cosa che giri sui social network pur di collezionare frasi a effetto e video sensazionali.
- Una maggioranza silenziosa, a quanto pare.
- Sì, basta che una frase abbia un sentore di profonda e sensazionale saggezza, specialmente se orientale, e sei fritto: l'aforisma è servito, e senza salsa. Anzi, spesso la salsa c'è, ma è sbagliata.
- Non ti seguo...
- Si chiamano misquotation, in inglese. Sono frasi attribuite a personaggi famosi, noti per la loro sapienza, saggezza o misura di reggiseno.
- Ah...
- Solo che quelle frasi non sono mai state scritte o pronunciate dai personaggi in questione, è questo il problema.
- Ah...
- Per esempio: “Sii gentile, perché chiunque tu incontri sta combattendo una lotta più dura.”
- Bella.
- Sì, ma non è una frase né di Platone né di Filone d'Alessandria, e tantomeno di Carlo Mazzacurati buonanima. (1) Il brutto è che spesso è facile verificare, ma spesso ci vuol più tempo di quanto impieghi la fregnaccia a fare il giro del mondo.
- Oddiobbono...
- E questa qui? Leggi: " Sono sempre felice, sai perché? Perché non aspetto niente da nessuno; aspettare sempre fa male. I problemi non sono eterni, hanno sempre una soluzione, l'unica cosa che non ha rimedio é la morte. Non permettere a nessuno di insultarti, umiliarti o abbassare la tua autostima.
Le urla sono lo strumento dei codardi, di chi non ragiona.
Incontreremo sempre persone che ci considereranno colpevoli dei loro guai.
Bisogna essere forti e sollevarsi dalle cadute che ci pone la vita, per ricordarci che dopo il tunnel oscuro e pieno di solitudine, arrivano cose molto buone.
Non esiste male che non passi al bene. Per questo godi la vita perché é molto corta, per questo amala, sii felice e sempre sorridi, vivi solo intensamente per te stesso e attraverso te stesso, ricorda:
Prima di discutere...Respira
Prima di parlare...Ascolta
Prima di criticare....Esaminati
Prima di scrivere.... Pensa
Prima di ferire.... Senti
Prima di arrenderti.... Tenta
Prima di morire..... VIVI!!!
La relazione migliore non é quella con una persona perfetta, ma quella nella quale ciascun individuo impara a vivere, con i difetti dell'altro e ammirando le sue qualità.
Chi non da valore a ciò che ha, un giorno si lamenterà per averlo perso e chi fa del male un giorno riceverà ciò che si merita.
Se vuoi essere felice, rendi felice qualcuno, se desideri ricevere, dona un poco di te, circondati di brave persone e sii una di quelle.
Ricorda, a volte, quando meno te lo aspetti ci sarà chi ti farà vivere belle esperienze!
Non rovinare mai il tuo presente per un passato che non ha futuro.
Una persona forte sa come mantenere in ordine la sua vita.
Anche con le lacrime negli occhi, si aggiusta per dire con un sorriso, STO BENE".
- Questa mi piace un po' meno, sembra robaccia da fricchettone californiano.
- Però l'hanno attribuita a William Shakespeare, pensa te (2). Che non s'è sognato certo di scrivere questa atroce pappardella new-age. Nelle sue opere ne compare solo una piccola, minuta quota, dall'Enrico IV: "La vita è breve, signori!"(3)
- A me pare una cosa molto... moderna.
- Mah, più che altro è un incrocio tra i detti di Francesco d'Assisi e il monologo finale di "The Big Kahuna" (4). Ma il peggio è che la vedi rimbalzare di sito in sito con scritto in calce "W. Shakesperare"! Quindi, e questo non te lo dice né Platone né Shakesperare, ma proprio il tuo ospite in persona: non ti fidare mai subito, di primo acchito, di quel che leggi.
- ...
- Che c'è, sei rimasto male?
- Allora il vino rosso non fa bene al cuore?...
- Dove hai preso la notizia? Fa vedere... Guarda qui, su quest'altro sito c'è scritto invece che è cancerogeno, pensa te.
- E allora?
- Allora, visto che mandiamo delle sonde oltre il Sistema Solare ma non sappiamo nemmeno stabilire una volta per tutte se il vino rosso faccia bene o male, sai che si fa? Ci facciamo una lasagna. E con le melanzane, che per tanto tempo, sono state ritenute velenose (5). E ci beviamo sopra un bel bicchiere di vino rosso. Uno, però.
- Due, o non apro nemmeno la bottiglia!
- Aggiudicato...

Lasagne melanzane e provola affumicata
2 melanzane grandi   (750 g ca.)
1 provola affumicata (350 g ca.)
Una confezione di sfoglia fresca per lasagna (o anche preparata in casa) da 500 g
1 pizzico di cumino
70 g    burro
70 g    farina
800 ml    latte
Sale, pepe e parmigiano grattugiato q.b.
Il procedimento è semplice,e ricalca quanto già sappiamo della lasagna più quanto ne viene dalla melanzana.
Preparare una sfoglia da 300 g di farina e tre uova.
O, se proprio ci si sente impitoniti da questo caldo torrido si può optare per una confezione di quelle già pronte, con l'avviso di condirle con una besciamella un poco più liquida.
Mentre la pasta riposa la sua mezz'ora di sonno ristoratore preparare la besciamella, come sappiamo fare già.
E mentre la salsa raffredda si taglierà la provola a pezzettini minuti, oppure a fettine sottili. Su questo, per fortuna non v'è alcun dogma.
Le melanzane possono essere tagliate a metà e cotte in forno, oppure al microonde.
L'importante è che la polpa diventi cedevole e cremosa, da elastica e spugnosa qual è di sua natura.
Si eliminano le bucce dell'ortaggio e si passa al setaccio la polpa, aggiungendo poco sale e un pizzico di cumino in polvere che è, come sappiamo, la morte sua.
Segue la solita trafila della lasagna previa accensione del forno, a meno che non la si voglia preparare in anticipo e cuocere qualche ora dopo o il giorno seguente: fondo della teglia imburrato e leggermente bagnato di besciamella, poscia un primo strato di pasta, indi un paio di cucchiai di crema di melanzane, le fettine o i tocchetti di provola a distanza di sicurezza, un velo di besciamella e una spolverata di parmigiano grattugiato.
REPEAT (la procedura di cui sopra) UNTIL ((la teglia è colma) OR (gli ingredienti sono terminati))
Come direbbe un programmatore d'altri tempi.
Lo strato 'n coppa deve contenere - ma questo già lo sappiamo - solo besciamella e parmigiano.
Cuocere per una mezz'ora circa a 180°, fino alla formazione della graziosa e appetitosa crosticina che da sola vale un assaggio.
Oppure omettere il parmigiano, che verrà distribuito successivamente, e conservare in frigo o nel surgelatore coperta da un foglio d'alluminio, in attesa di tempi propizi.

Ah, dimenticavo: non avendo fatto in tempo a fotografare il piatto chiedo venia e m'aspetto d'esser creduto sulla fiducia.
Non spaccerò di certo foto d'altri per la MIA lasagna.
Sarebbe un misquotation, questo sì, imperdonabile!

Per farmi perdonare metto una foto scattata da me.
Che però non è una lasagna...

Tramonto a Tor Pignattara

Misquotation del giorno
Muore lentamente chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.

Questo è il primo verso di una poesia dal titolo ¿Quién muere? diffusasi via posta elettronica e riportata su molti siti web. La poesia viene attribuita erroneamente a Pablo Neruda, come confermano la Fundación Pablo Neruda e Stefano Passigli, presidente della Passigli editori, editore delle opere di Neruda in Italia. Lo stesso Passigli ha infatti precisato: «Chi conosce la sua poesia si accorge all'istante che quei versi banali e vagamente new-age non possono certo essere opera di uno dei più grandi poeti del Novecento». La poesia appartiene in realtà alla scrittrice e poetessa brasiliana Martha Medeiros, giornalista e scrittrice brasiliana nata nel 1961.
(fonte: lo stesso Web, spulciato a dovere, s'intende).

Oggi ascoltiamo
Björk - Possibly Maybe

https://www.youtube.com/watch?v=tE11_5Spq1I

NOTE
1) Pare che sia stata scritta da Ian Maclaren, teologo e autore scozzese del XIX secolo. Per la corretta attribuzione si veda qui.
2) In inglese gira in Rete così: "I always feel happy, you know why? Because i don't expect anything from anyone, expectations always hurt.. Life is short, so love your life, be happy.. & keep smiling. just live for yourself & before you speak,listen.
before you write, think.
before you spend, earn.
before you pray, forgive.
before you hurt, feel.
before you hate, love.
before you quit, try.
I'm always happy, you know why? Because I don't expect anything from anyone, wait always hurts.
Problems don't last forever and always have a solution.
Only thing doesn't have a solution is death.
Don't allow anyone to offend and humiliate you.
Absolutely do not get lower self-esteem.
Screams are the weapon of cowards, of those who are not right.
You will always find people who will blame you for their failure but anyone of them will have what deserve. Enjoy your life because is very short, love it deeply and always be happy and smiling, live your life intensely.
And remember:
before discussing, breathe;
before talking, listen;
before criticizing, examinate yourself;
before writing, think;
before hurting, feel;
before giving up, try;
before dying, Live".
3)  Henry IV, Part I [V, 2] "I cannot read them now. O gentlemen, the time of life is short!"
4)  Dove un personaggio fuori campo declama: "Goditi potere e bellezza della tua gioventù. Non ci pensare! Il potere di bellezza e gioventù lo capirai solo una volta appassite. Ma credimi, tra vent'anni guarderai quelle tue vecchie foto, e in un modo che non puoi immaginare adesso. Quante possibilità avevi di fronte e che aspetto magnifico avevi! Non eri per niente grasso come ti sembrava. Non preoccuparti del futuro. Oppure preoccupati, ma sapendo che questo ti aiuta quanto masticare un chewing-gum per risolvere un'equazione algebrica. I veri problemi della vita saranno sicuramente cose che non ti erano mai passate per la mente. Di quelle che ti pigliano di sorpresa alle quattro di un pigro martedì pomeriggio.
Fa' una cosa, ogni giorno che sei spaventato. Canta!
Non esser crudele col cuore degli altri. Non tollerare la gente che è crudele col tuo.
Lavati i denti.
Non perder tempo con l'invidia. A volte sei in testa. A volte resti indietro. La corsa è lunga e alla fine è solo con te stesso.
Ricorda i complimenti che ricevi, scordati gli insulti. Se ci riesci veramente, dimmi come si fa.
Conserva tutte le vecchie lettere d'amore, butta i vecchi estratti conto.
Rilassati.
Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita. Le persone più interessanti che conosco, a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita. I quarantenni più interessanti che conosco, ancora non lo sanno.
Prendi molto calcio. Sii gentile con le tue ginocchia, quando saranno partite ti mancheranno.
Forse ti sposerai o forse no. Forse avrai figli o forse no. Forse divorzierai a quarant'anni. Forse ballerai con lei al settantacinquesimo anniversario di matrimonio. Comunque vada, non congratularti troppo con te stesso, ma non rimproverarti neanche. Le tue scelte sono scommesse. Come quelle di chiunque altro.
Goditi il tuo corpo. Usalo in tutti i modi che puoi. Senza paura e senza temere quel che pensa la gente. E' il più grande strumento che potrai mai avere.
Balla! Anche se il solo posto che hai per farlo è il tuo soggiorno.
Leggi le istruzioni, anche se poi non le seguirai. Non leggere le riviste di bellezza. Ti faranno solo sentire orrendo.
Cerca di conoscere i tuoi genitori. Non puoi sapere quando se ne andranno per sempre. Tratta bene i tuoi fratelli. Sono il migliore legame con il passato e quelli che più probabilmente avranno cura di te in futuro.
Renditi conto che gli amici vanno e vengono. Ma alcuni, i più preziosi, rimarranno.
Datti da fare per colmare le distanze geografiche e gli stili di vita, perché più diventi vecchio, più hai bisogno delle persone che conoscevi da giovane.
Vivi a New York per un po', ma lasciala prima che t'indurisca. Vivi anche in California per un po', ma lasciala prima che ti rammollisca.
Accetta alcune inalienabili verità: i prezzi aumenteranno. I politici saranno donnaioli. Anche tu diventerai vecchio. E quando lo diventerai, fantasticherai che quando eri giovane, i prezzi erano ragionevoli, i politici onesti e i bambini rispettavano gli anziani.
Rispetta gli anziani.
Non aspettarti che qualcuno possa aiutarti. Forse hai un fondo fiduciario. Forse avrai una moglie ricca. Ma non si sa mai quando uno dei due potrebbe esaurirsi.
Non fare pasticci coi capelli, se no quando avrai quarant'anni sembreranno di un ottantacinquenne.
Sii cauto nell'accettare consigli, ma sii paziente con chi li dispensa. I consigli sono una forma di nostalgia. Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio, ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte e riciclarlo per più di quel che valga.
Ma accetta il consiglio, per questa volta!"
Ah, guarda caso in Rete sono riusciti a misquotare anche questo, attribuendolo a Kurt Vonnegut...
Di fatto nasce da un articolo apparso nel 1997 sul "Chicago Tribune", a firma della giornalista Mary Schmich, dal titolo originale: "Wear Suncreen", ossia "Metti la crema solare".
5) Difatti "mele insane", era in origine il loro nome, visto che da acerbe contengono la famigerata solanina, che scompare con la maturazione e la cottura.

venerdì 22 agosto 2014

Fresa y chocolate

Due personaggi s’incontrano.
Non potrebbero essere più diversi di così.
A vederli sembrano agli antipodi della casistica umana, quasi degli opposti: uno è codardo, l’altro ardito; uno è riflessivo e l’altro è impulsivo; uno è alto e allampanato mentre l’altro è basso e tozzo.
Eppure, nonostante la loro smaccata divergenza e una coatta convivenza, anzi proprio grazie a questa, qualcosa riesce a unirli: uno scopo, un briciolo d’umana, umanissima, curiosità verso l’Altro e la scoperta dell'Altro dentro di sé.
Magari anche tutte queste cose assieme, nel più fortunato dei casi.
In qualche punto importante del percorso - d'ogni persona e d'ogni personaggio - c’è sempre la formazione di quest’ossimoro vivente: i due  opposti s’imbattono uno nell’altro e dall’incontro, confronto e scontro, proprio lì, in quel punto preciso, la storia diventa davvero significativa.
Cosa c’è di meglio - in una narrazione ma, ancor di più, nella vita - dell’unione di due personalità e di due esseri diversissimi che di per sé non avrebbero alcuna curiosità di vedersi assieme se non vi fossero quasi (e spesso senza il quasi) costretti?
Difatti questo è uno degli espedienti con cui si tesse una trama: a un certo punto del suo peregrinare l’Eroe incontra l’Altro, ne nasce anche un diverbio e spesso anche una lotta, la differenza è totale, e inconciliabili i due esseri. Eppure...
Eppure ecco che dal ghiaccio e dal fuoco, dopo le prime schermaglie, nasce qualcosa d’interessante, anzi di vitale per entrambi gli elementi. Ognuno di loro troverà nell’altro quel che manca in sé, ognuno col proprio differente punto di vista e con il diverso approccio con la realtà darà il suo contributo per raggiungere un obiettivo. O l'Obiettivo, quello vitale.
Non è per dire, ma l’epopea di Gilgameš, il primo Eroe della storia umana le cui gesta sono state tradotte dal cuneiforme solo nel secolo scorso, si sviluppa proprio grazie all’incontro del re di Uruk con Enkidu, un uomo totalmente diverso da lui.
Uno è re, l’altro è un selvaggio, ma entrambi hanno una forza prodigiosa, e dalla loro lotta, dal confronto, nasce un’amicizia fraterna ma anche, per Gilgameš, il contatto con la caducità dell’essere umano.
È con la morte di Enkidu infatti che Gilgameš capisce che la sua parte umana un giorno finirà, ed è allora che sente il desiderio di cercare le radici dell’immortalità.
L’Altro lo ritroviamo come co-protagonista secondario e come aiutante magico, specialmente nelle fiabe, ma la sua presenza è fondamentale perché il protagonista possa raggiungere il suo scopo.
Non c’è una vera storia senza questa funambolica accoppiata: Don Chisciotte e Sancho Panza, Narciso e Boccadoro, Topolino e Pippo... L’elenco non ha fine, come non ha fine l’elenco delle possibili storie.

“L’unica cosa che c’è di buono in questo paese è il gelato. Mmm, ma questa è la mia giornata fortunata! Guarda, ho trovato una fragola!” (1)
Lui, lo studente castrista appena lasciato dalla ragazza e alle prese con un consolatorio gelato al cioccolato, guarda quel maricón (2) così diverso da lui, così smaccatamente effemminato, così antirivoluzionario. Eppure...
Eppure dalla loro inconciliabile diversità nasce un’amicizia che cambierà le loro vite.
Sì, è l’amicizia che cambia le vite, non l’amore.
L’amore le conferma soltanto nel loro stato di completezza, ma è solo l’amicizia col suo confronto-scontro, che spinge al movimento.
Cosa di più diverso che una dolcissima fragola, così delicata e sensualmente femminile, e il cioccolato, così forte, amaro quasi, così prepotentemente maschile? Eppure...

Di dolci in cui compare l’accoppiata fragola e cioccolato ce ne sono a bizzeffe, per lo più crostate in cui la frutta è messa quasi a decorazione di uno strato di crema al cioccolato.
Sembra un po’ lo strascico di quella tendenza a vedere solo come accessorio e decorativo l’elemento femminile, che sembra dare a questo un apparente posto di primo piano mentre la sostanza, la parte importante, quella che conta, quella “maschile”, sta in agguato nell’impasto o sdraiata su una base di pasta.
Volevo qualcosa di più... coinvolgente, qualcosa in cui i due ingredienti si scontrassero in maniera più radicale ma dove ognuno potesse mantenere la propria individualità.


Fresa y chocolate

Per la frolla

200 g  farina
70 g    burro
70 g    zucchero
50 ml  acqua fredda
30 g    cioccolato fondente
15 g    cacao, un cucchiaio ca.
Lavorare la farina e il cacao con il burro freddo a tocchetti, sabbiandola.
Unire il lo zucchero, e poco a poco l'acqua, quel tanto che occorre per rendere lavorabile l'impasto.
Far riposare in frigo per almeno mezz'ora, avvolto nella pellicola per alimenti.
Stendere quindi l'impasto e rivestire il fondo e i bordi di uno stampo da 20 cm.
Coprire il guscio di pasta frolla con della carta forno e su questa mettere dei legumi secchi.
Far cuocere per 15 minuti a 180°.
Togliere i legumi, la carta e far raffreddare su una gratella.

Per la crema di fragole
300 g  fragole
200 ml latte, o anche yogurt
50 g    farina
60 g    zucchero
Frullare o passare al setaccio le fragole, quindi trasferirle in un tegame con lo zucchero e il latte.
Cuocere a fuoco basso, sempre mescolando e frustando per evitare i grumi, fino a rendere il composto una crema densa.
Farla raffreddare un po' quindi trasferirla sul guscio di pasta frolla e cuocere per almeno altri 10 minuti.
Lasciar raffreddare completamente prima di sformarla.

Per la ganache morbida al cioccolato
200 ml    panna da cucina
200 g    cioccolato fondente
Avendo una percentuale di grasso leggermente più bassa della panna da montare la panna da cucina lascia la ganache morbida anche nella permanenza in frigo.
Portare quasi a bollore la panna, aggiungere il cioccolato a tocchetti e mescolare bene per far amalgamare il tutto.
Far raffreddare a temperatura ambiente prima di glassare il dolce.


Qui la parte delicata, "femminile" (3) sembra chiusa come in un trigramma dei Ch'ing in due parentesi maschili, il guscio e la crema, ma è solo l'apparenza.
È la parte "femminile" che si rivela sotto un'apparenza quasi austera e dolceamara di cioccolato.
Perché ogni personalità decisa, forte, "maschile" nasconde sempre una parte più docile, delicata, "femminile".
Uno studente castrista può scoprire che tra i frizzi e i lazzi del maricón può rivelarsi un anticonformismo di pensiero a lui inimmaginabile, e un prigioniero politico comunista può capire quanto c'è d'umano nella passione per la finzione filmica, per quel mondo di sogno così aprioristicamente scartato.
Ma, allo stesso modo,il personaggio marginale, apolitico, immerso in un vivere quasi superficiale, scopre un nuovo modo per sentirsi degno di se stesso e di quel mondo che lo respinge ma che di lui non sa fare a meno.
In una fetta di questo dolce, nel morso, si sarebbe rivelato il contrasto delle opposte personalità, la fragola e il cioccolato, e solo il sapore in bocca avrebbe detto se la cosa avrebbe funzionato.
E funziona davvero.
Ma io sono di parte, e il mio parere è opinabile...

Detto romano del giorno
Chi bella vò comparì, quarche cosa ha da soffrì.
 
E io j'arisponno: stammelo a dì!

Oggi ascoltiamo
Rodolfo "Fito" Paez - Un vestido y un amor 

https://www.youtube.com/watch?v=Kkv0Gk_3eyU 

NOTE
1) Il film del regista cubano Tomás Gutiérrez Alea, del 1995, tratto da un racconto di Senel Paz, è uno di quei pochi casi in cui la trasposizione filmica è migliore della narrazione scritta (senza congiuntivo, è una certezza...)
Certo, grazie soprattutto alla straordinaria bravura degli attori: Jorge Perugorría (Diego, l'artista omosessuale), Vladimir Cruz (David, lo studente castrista) e Mirta Ibarra (Nancy, il personaggio chiave femminile).
L’accoppiata tra il macho e il maricón l’avevamo già letta ne “Il bacio della donna ragno” di Manuel Puig, da cui Hector Babenco ha tratto un film davvero deludente, se non fosse per l’interpretazione di William Hurt. Qui il macho comunista, imprigionato dal regime militare, incontra un essere totalmente diverso da lui, un piccolo piccolissimo borghese che gli mostra tutto il suo disimpegno con quanto di meno maschile possa apparire. Eppure...
Anche in questo caso all’apparenza disperato, ognuno riesce ad imparare qualcosa dall’altro.
2) Nel mondo iberico e latinamericano il maricón è l'omosessuale effemminato, la checca diremmo noi.
3) È davvero commovente la pervicacia con cui si continui ad associale al femminile la delicatezza e la gentilezza di modi e d'animo. Chiunque nella propria vita ha conosciuto almeno una virago, ha litigato in macchina a un incrocio con una menade e ha avuto a che fare in qualche festicciola con delle smodate baccanti. Alla faccia della delicatezza... La femminilità ha anch'essa il suo lato selvaggio, violento, incontrollato, che Artemide rappresentò così bene in una divinità. Altri tempi...
Le religioni patriarcali, ahimé, avrebbero preparato i roghi dove bruciare come streghe ed eretiche le diane cacciatrici.

lunedì 18 agosto 2014

Tè freddo al mirto

- Ho fame!
- È presto...
- Ho sete!
- Ma ci siamo fatti due litri d'acqua poc'anzi. Cos'altro cerchi?
- Umf! La mia non è proprio sete, è più voglia di qualcosa di buono...
- Gradisci un buon Ouzo diluito in acqua gelata, tesoro della casa?
- Mh, che bello! e cos'è, una specie di grog con tanto zucchero e l'ovetto dentro?
- No, pelosino dello zio, è un liquore greco a base di anice...
- Uffa, ma con te non si può proprio vivere, eh? Se penso che - tra cent'anni, eh? - dovrò cambiare la panza ospite mi vengono proprio i lucciconi.
- Sì, li vedo, sembrano lucciole nella notte. Ma ubriache.
- Gentile... Ma guardati, che sei diventato: hai nella credenza un sacchetto di cicerchie e non hai nemmeno ancora provato a farci, che so, una bella zuppa...
- Ad agosto?
- ... hai un barattolo di confettura al mirto e sta ancora là, triste e sola. Che fai, aspetti l'unza (1) d'un carchi durche sardu?

- Ne manca una, vedo... Aspetto, eh?
- Eh? Ah sì, dicevo: e tutte quelle spezie, così impilate! Sembrano tante ragazze bruttine messe lì a far da tappezzeria a un ballo!
- Non si usano più i balli.
- Ah no? Ma le ragazze bruttine ci sono sempre.
- Si, ma ai tempi tuoi si chiamavano "puelle bivalve", mentre oggi si chiamano volgarmente "cozze".
- Insomma, la smetti di prendermi in giro? Te ne approfitti perché ho imparato solo da poco a leggere.
- Hai imparato a leggere ma sei sempre lo stesso cafone di sempre, vedo.
- E tu sei cattivo.
- Un classico...
- Insomma, mi si è seccata la lingua a forza di stare a perdere tempo con te.
- Ti ci vorrebbe un decotto di mirto (2).
- Preparalo no?
- Con 'sto caldo? Scordatelo. Al limite mi faccio un tè freddo.
- Col mirto.
- Col mirto?
- Col mirto.

Tè freddo al mirto
1 l    acqua (3)
3-4 cucchiaini di tè a piacere
10 bacche di mirto
Il tè da usare può anche essere nero ma non troppo fermentato.
L'ideale è un buon tè verde, dal sapore delicato.
Portare all'ebollizione l'acqua e aggiungere le bacche di mirto tagliate in due e lasciarle bollire per un minuto.
Aggiungere il tè e lasciare in infusione a piacere.
In frigo a raffreddare e il gioco è fatto.
Un tè profumato che, almeno in sogno, ci porti sull'Isola del Vento...

- Io ci voglio il tè nero!
- E te pareva... Tu non fai testo.
- Come no, lo faccio eccome. Guarda, eh?


- Smettila, e ridammi l'orologio!
- Mi piace, sembra un collarino tres chic.
- Tu sei chic come 'n cartoccio de pajata!
- Ignorante!
- Cafone!
Ad libitum, e intanto il tè si fredda a dovere...

Detto sardo del giorno
Non ti incruis meda, qui vais biri su paneri. 

Non inchinarti troppo, perché metti in mostra il sedere.
Lo stesso che abbiamo visto in romanesco qui...

Oggi ascoltiamo
Andrea Parodi e Al di Meola - Armentos
https://www.youtube.com/watch?v=pZLj5JReBkE 

NOTE 
1) Ossia, l'ispirazione, come la chiama Ildefonso de' Sventramitis, il dinosauro poeta di Walter Moers ne "La città dei libri sognanti".
2) Al mirto sono attribuite proprietà balsamiche, antiinfiammatorie, astringenti, leggermente antisettiche, pertanto trova impiego in campo erboristico e farmaceutico per la cura di affezioni a carico dell'apparato digerente e del sistema respiratorio 
da Wiki
3) Possibilmente non calcarea, e benché a Roma l'acqua corrente sia per qualità tra le migliori d'Italia, non la consiglierei per un buon tè. In questo, e solo in questo caso - tolte eventuali patologie  - ben venga l'acqua minerale naturale. Poco minerale, però...

Spaghetti al caffè

No, la Rete è ancora lontana dall'essere la panacea di tutti i mali che i tencofili più ottimisti continuano a (pre)vedere.
Molti passi ancora mancano a che la websfera diventi qualcosa di più di un'enorme bacheca informatizzata.
Gli smart agents sono, tutt'oggi, la squadra di "Chips" - o, per chi è meno agée, quelli di "Cobra 11".
Alla faccia del buon professor Negroponte.
Il fatto è che la tecnologia, da sola, non basta: dobbiamo crescere con essa, altrimenti resteremo la stessa vecchia umanità cialtrona.
Come quelli che hanno il rosario nel telefonino o i discorsi dell'imam sul tablet.
O quelli che conoscono i vantaggi della domotica ma non hanno mai, dico mai, sfogliato un libro, neppure in forma digitale.
O anche coloro che usano la Rete come la tangenziale, ma non per correre più veloci sulla via della conoscenza, no, ma solo per lanciare feroci improperi alla razza/fazione/partito/squadra diversa.
Per quanto mi riguarda sono molto ottimista.
Credo molto nelle possibilità della websfera. Sull'umanità, invece, continuo ad avere ancora qualche riserva...
Certo, solo in Rete avrei potuto leggere "Cartvelian languages" senza andare alla Biblioteca Nazionale - che, con tutto il bene che le voglio, dubito che ne possegga una copia, cartacea o meno.
E solo in Rete la mia vocazione cialtrona ha trovato 'na marea di informazioni con cui saziare la mia iguaribile omnicuriosità.
Solo grazie alla Rete ho potuto fare come er poro conticino de Recanati, e da autodidatta imparare cose che altrimenti avrebbero richiesto anni e anni di ricerche. E di risorse.
E sono solo all'inizio...

In campo culinario, per esempio, tutto quel che so mi viene dalla lettura e dall'esperienza, e dubito che senza la Rete avrei potuto avere la stessa massa d'informazioni.
Serve imparare a fare la Bavarese?
Click, click, clik... ecco una ventina di ricette - e fermiamoci, qui, perlamorddeddio - da confrontare e da valutare.
Quando mai?
Comunque, ripeto, la Rete, da brava bacheca informatica, coniene solo quello che vi viene inserito.
E spesso anche in maniera frammentaria.
Faccio un esempio.
In un mercatino dell'usato trovo a un prezzo più che vantaggioso un vero tesoretto: "Estro e fantasia in cucina", di Tonino Franchini, edito da Vallardi nel 1978.
In meno di duecentocinquanta pagine cento ricette di spaghetti, cinquanta di maccheroni e altrettante di tagliatelle, e lasagne, e risotti, e sformati, e arrosti, manzo e cacciagione.
La quarta di copertina dice:
Ferrarese di nascita, Tonino Franchini è sulla cinquantina e ha l'aspetto, con i suoi occhiali d'oro a stanghetta e il camice immacolato, di un bonario medico di famiglia. È nel mestiere da trent'anni, ha lavorato in prestigiosi ristoranti e non ha perso, esercitando un mestiere stressante, il buonumore e la passione delle cose naturali né il bisogno di rinnovarsi continuamente.
Dentro di me faccio: "Amo quest'uomo, devo sapere tutto di lui!"
E cosa trovo in Rete? Quella Rete a cui rivolgevo fiducioso la pargoletta - insomma...- mano?
Due righe messe in croce, come si dice, e tutte relative alla presentazione a Ferrara d'un libro dal sapore agiografico, "Testimone di valori", scritto nel 2009 dalla nipote di Franchini, Gianna Vancini.
"Novanta pagine bozze, manoscritti e  dattiloscritti dello zio"
E basta... la Rete tace.
Oltre, in un'altra pagina:
La notorietà di Tonino Franchini fu consacrata alla fine degli anni '60 quando a Milano, nel ristorante che gestiva, frequentato da noti calciatori, scrittori e attori, propose un piatto innovativo come gli spaghetti al caffé [il neretto è mio, eh?].
La sua genialità veniva proprio dalla sapiente unione che sapeva creare con ricette tradizionali e l'accostamento di ingredienti nuovi, frutto della sua creatività e del suo estro.
Nacque così una "cucina nuova, moderna, sociale che pur si richiamava alla saporita cucina dei ducati rinascimentali e che egli riprese e continuò in veste moderna codificandola in ricette dal linguaggio asciutto, essenziale, in cui lasciava volutamente spazio alla libertà di esecuzione della massaia che aveva così la possibilità di agire con fantasiosa indipendenza, pur sotto la guida".

E basta.
Solo un lontano frinire di cicale, lo sfrigolio dell'energia dal traliccio vicino e una brezza che fa frusciar le fronde.
Ma come, dico: qui s'incensano delle emerite pochezze e si trascura una personalità così interessante?
Le cinquecento - 500, mica venti! - ricette del libriccino parlano di fantasia, di coraggiosi accostamenti, di capacità di fare con pochi ingredienti piatti gustosi e non eccessivamente elaborati.
E questa è la Cucina Italiana di cui tanto si parla, e straparla.
Ma di Tonino Franchini in Rete non c'è altro, e per chi non voglia rompere gli zebedei alla nipote o alle persone che a Milano hanno frequentato il suo ristorante, rimane difficile sapere altro.
Servirebbe soltanto per riempire di dettagli una carente biografia - si riesce a sapere solo che è nato a Porotto nel 1925 ed è morto a Livorno nel 1991. Il resto è solo un frinire di cicale...
Ma, a ben vedere, il libro, le ricette, parlano da sole: oltre ai piatti più semplici e comunque gustosi ecco gli "spaghetti al cacao", i "maccheroni alle fragole", il "risotto con gli zoccoli" e via dicendo.
Come si fa a non amare una persona così?
In suo onore proviamo questi famosi e insoliti Spaghetti al caffè, così come li ha riportati lo stesso Franchini:

Spaghetti al caffè
Per quattro persone
400 g    spaghetti
50 g      burro
50 g      prosciutto cotto
500 ml  panna
1 cucchiaio di mascarpone e 2 cucchiai di parmigiano grattugiato
mezzo cucchiaino di caffè macinato a persona [oppure, meglio ancora, secondo me, un cucchiaino scarso di caffè solubile sciolto in poca acqua di cottura, Nota mia].
sale e pepe q.b.
In una padella, a freddo, mettere il burro, il prosciutto tagliato a cubetti, il mascarpone, la panna e il caffè.
Far amalgamare la salsa a fuoco dolcissimo.
Scolare la pasta una volta cotta e mantecare in padella con parmigiano grattugiato.
Portare in tavola ben caldo.


Se non si esagera col caffè - ed è facile, da profani del gusto, sfiorare il limite e ottenere un "cappuccino solido al parmigiano". Propongo in ogni caso più di una prova... - si ottiene un piatto delicato dal vago sentore di caffè, quel tanto che stuzzica la fantasia, oltre che il palato.
E in Rete le ricette di Spaghetti al caffè sono assai diverse, per ingredienti e per procedura di preparazione.
Questa, siamo certi, l'ha scritta Franchini stesso, senza palinsesti.
E vai cor tango!

Detto ferrarese del giorno
Al gat inguantà an ciapa brisa i pontag.

Il gatto con i guanti non prende i topi. 


Oggi ascoltiamo
CCCP Fedeli alla linea - A ja ljublju SSSR

https://www.youtube.com/watch?v=0-bfykEuW-0

mercoledì 13 agosto 2014

Panna cotta alla curcuma di Simone Rugiati

Ogni epoca ha i suoi misteri, e ogni mistero nasconde, alla fine fine, solo una misera e banale verità.
Gli esseri poco inclini al misticismo non si lasciano facilmente arretire dalle apparenze che, come si sa, spesso nascondono ben poca sostanza, come anche insegna il racconto "La sfinge senza segreti" di Oscar Wilde, che prende in giro l'ottimista deduzionismo alla Sherlock Holmes.
A noi uomini della strada non peripatetici la scrittura cretese nota come lineare-A ci affascina perché è rimasta indecifrata, ma diverso sarebbe il nostro atteggiamento se si rivelasse, invece di chissà quale calendario lunare, soltanto una tavola del Gioco dell'Oca dell'era pre micenea.

Disco di Festo

La nostra epoca, invece, è così sovraccarica di informazioni che lascerà a una futura civiltà, semmai verrà, ben pochi margini di immaginazione.
Due saranno principalmente i misteri impenetrabili:
1) Il tipo di linguaggio usato dai venditori ambulanti di generi ortofrutticoli.
C'è chi azzarda l'ipotesi che siano Campani, ma Eduardo si rigirerebbe nella tomba aggrottando i ciglioni a sentirli parlare.
Nel loro gorgoglio gutturale che ricorda le litanie con cui i malevoli fedeli salutavano il Grande Chtulhu - Ph'nglui mglw'nafh Cthulhu R'lyeh wgah'nagl fhtagn (1) - emergono con difficoltà alcuni lemmi di lingua italica: aranc', limon', pommodòòr, euri.
Il resto è lasciato alla gestualità e all'immaginazione.
Eminenti scienziati si sono riuniti a Osaka per  sviscerare il mistero di questa lingua che, a tutt'oggi, rimane incomprensibile e inviolata a ogni tentativo di cifratura.
Questo perché se per i Selkupi gli Nganasiani e gli Evenki le autorità sovietiche riuscirono a ottenere una definitiva forma scritta - e fu una delle poche cose buone che fecero - per i fruttaroli nomadi non esiste alcun riferimento culturale.
Vengono di sicuro da qualche parte che non è però né Campania né Calabria e né Basilicata - della cui esistenza tra l'altro, come tutti sanno, si hanno ormai forti dubbi.
Magari sono emersi da un varco della Quinta Dimensione apertosi nel nostro Spazio-tempo come uno strappo su un telone.
Ma il mistero resta.

2) Il mistero degli chef televisivi.
I luminari dell'epoca futura s'accapiglieranno nel tentativo di capire il ruolo di certi personaggi pubblici della nostra epoca.
A ben vedere sembrerebbero dei cuochi, anche se si ostinano a volersi far chiamare rigorosamente chef.
Si supporrà che sia esistita una qualche forma di religiosità legata all'assunzione del cibo della quale costoro fossero i sacerdoti o gli appartenenti ad una casta superiore di intoccabili iniziati.
Dubito che queste righe arriveranno a un futuro, finanche prossimo, quindi poco confido nel fatto di poter tranquillizzare gli scienziati del futuro dicendo che, nella Società dell'Immagine, qual è la nostra, non solo i menestrelli sono diventati figure filosofiche di riferimento - basta pensare ai Vitalisti Ermetici seguaci di Vasco Rossi  o ai Sufi Cibernetici che misticizzano Franco Battiato - ma che in un'epoca dove ognuno ha come imperativo interiore quello d'essere, o almeno sentirsi, "protagonista", pena la non-esistenza in un limbo di banale sussistenza, anche le figure dei cuochi non sono sfuggite a questa legge sì ferrea e crudele.
Una legge che impone visibilità ben oltre il proprio ramo di competenze, come avviene ormai diffusamente da anni nei salotti televisivi, dove ognuno dice la sua su tutto pur non capendone assolutamente un bel niente.
Quindi anche loro, i cuochi, - sì, coloro che per mestiere fanno in primis i ristoratori poi, forse, "i creativi del gusto" - appariranno agli occhi dello studioso del futuro, come una casta di iniziati a chissà quali inviolabili segreti.
Checché ne dica il poro Brillat-Savarin, la scoperta d'un nuovo piatto non è per niente paragonabile alla scoperta d'una nuova stella. Senonché l'astro lontano è spesso invisibile a occhio nudo, mentre la minestra di fagioli e cozze te la puoi ritrovare serenamente nella scodella, stagionalità permettendo.
Ai fini della conoscenza sono però entrabi riconducibili a un grado zero, come direbbe Tommaso Labranca.
La smania di protagonismo che ha colpito anche i nostri cuochi - pardon moi, les chef - è solo uno di una tendenza all'iperbole tipica della nostra epoca di così poco sobria costumanza.
È chiaro, si conosce il nome di quell'americano pasticcione - ché pasticcere non è - che compone come i lego i dolci delle feste o di chi, ben inquadrato dalla telecamera, scodella un'omelette o un'entrecôte col cipiglio di chi stia eseguendo un'operazione a cuore (o a cielo, che dir si voglia) aperto, mentre pochi si ricordano di Sabin, che col suo vaccino ha reso la poliomelite una delle malattie del passato.
Suvvia, signori, state cucinando un raviolo, mica state guarendo il popolino dalla scrofola per imposizione delle mani, come i sovrani medievali...

Comunque, uno dei personaggi "visuali" più simpatici dell'Era degli Chef è di sicuro Simone Rugiati, quello che, secondo me, riesce ad essere accattivante senza gigioneggiare e serio e competente, quando serve, senz'alcuna supponenza.
È l'unico a spiegare "perché" succede una certa cosa e non un'altra quando si utilizza un ingrediente, rivelando preziosi segreti dei quali noi poveri mortali ci metteremmo anni per venirne a capo.
E lui lo fa con la semplicità del ragazzotto eternamente giovane, un fiammeggiante (2) Peter Pan della Cucina che è capace anche di intrattenere in modo semplice e simpatico i propri interlocutori e il pubblico che lo segue.
Questa è una ricetta che ha suggerito nella sua trasmissione "Cuochi e fiamme" - della quale già il nome mi manda in sollucchero - in uno dei suoi veloci siparietti "seri" in cui suggerisce un accostamento, una tecnica o un segreto del mestiere, oppure una ricetta veloce.


Panna cotta alla curcuma di Simone Rugiati.
Per 4 stampini monoporzione da 150 ml
500 ml    panna
100 ml     latte*
80 g     zucchero
8 g     colla di pesce, 4 fogli ca.
1 cucchiaio di curcuma
vaniglina
* o 250 ml panna e 250 ml di latte, come suggerisce lo stesso Rugiati
Per la guarnizione
50 g    cioccolato fondente
10 g    burro
scorza di 1/2 arancia grattugiata.
Mettere a bagno i fogli di colla di pesce in acqua fredda per ammorbidirli.
Versate la panna , lo zucchero e, mescolando per sciogliere lo zucchero, portate quasi a l’ebollizione.
Ritirate dal fuoco e immergetevi i fogli di colla di pesce sgocciolati e strizzati.
Mescolare bene per far sciogliere la gelatina.
Bagnate con acqua fredda gli stampini o uno stampo a cassetta, sgocciolare e riempire con il composto.
Tenete per almeno 4 ore in frigorifero per far rassodare.

Per sformare la panna cotta immergere lo stampino in acqua bollente fino a un paio di cm dal bordo, tenedolo per quanche secondo. Poi, passare la punta di un coltellino a lama liscia lungo il perimetro del dolce e capovolgete lo stampino al centro del piatto da portata, dando qualche piccolo colpetto per fare uscire la panna cotta.
Per la guarnizione basta sciogliere il cioccolato a bagnomaria, aggiungere la scorza d'arancia grattugiata, mescolando per farle sprigionare l'aroma.
Se non è stagione si può usare anche l'aroma sintetico in fialette.
Non saranno due gocce a farci venire chissà che terribile malanno.
Se si preferisce si possono usare un paio di bacche di cardamomo, da cui estrarre i semini che macineremo finemente e uniremo al cioccolato fuso.
Unire il burro e mescolare bene. Renderà la glassa morbida e lucida.


Ma quanto sarebbe triste un ipotetico futuro senza panne cotte, o un mondo parallelo dove non siano ancora state inventate?
Una crudele ucronia cui non resisterebbe neppure Philip Kindred Dick, altroché...

Detto romano del giorno
Er pane de casa stufa.


Oggi ascoltiamo
Angelo Branduardi e Pietra Montecorvino - Tango

https://www.youtube.com/watch?v=2W8VLRK15s0 
È una frase bellissima da poter dire a chi si ama, questa: "Come arance rosse assaporo i giorni ora che ho incontrato te. Dolce e profumata ora è la mia vita, e di questo grazie a te".
No, prima che me lo si chieda, io sono come Lady Orlando: "Zitella! Sola"


NOTE
1) Ovvero: "Nella sua casa di R'lyeh, il morto Cthulhu aspetta sognando".
E se il sonno della ragione genera mostri di cosa sarà mai capace il risveglio dei mostri?
2) Non di certo flamboyant, nel senso che dava alla parola Quentin Crisp...

domenica 10 agosto 2014

Farretti

- Prendilo!...
- No.
- E prendilo! Guarda che amore che è.
- È d'una rara bruttezza, Leppagorre, lo ammetto. Ma non saprei dove appenderlo: la sala è rivestita di libri, e in camera da letto... no, proprio no!
- Ma come, guarda bene che portamento, che charme e che nobiltà d'animo traspaiono da quello sguardo perso in chissà quali lontananze...
- Sì, chissà di quali droghe facesse uso, la nobildonna! Anzi, la nobilgatta...
- E doveva essere anche ricca. Guarda lo sfondo: Foro Romano e scorcio di Colosseo.
- Ma figurati, magari abitava a Torpignattara, e il pittore ne ha nobilitato lo sfondo. Ma figurati!
- Insomma, non lo prendi?
- E perché mai? Oltre al cibo ora dovrei mettermi anche ad acquistare quadri, solo per farti piacere? Ma smettila!
- Nemmeno se ti dicessi che questa nobildonna romana è una mia parente?...
- Una tua... parente? Come zia Bastet?
- Di più, di più.
- Tua... madre? Non ci posso credere!
- Ebbene sì.
- ...
 
- Olimpia Vittoria Leppa del Grillo.
- Mi stai prendendo per i fondelli, come al tuo solito!
- Non oserei mai...
- Figuriamoci, ti mancherebbe proprio la faccia, anzi il muso!
- ... Dico, lo sai che noi gattodemoni siamo ovunque. E lei faceva parte, sì insomma, era ospite, di un componente della casata del Grillo.
- Certo che a guardarla bene c'è qualcosa che v'accomuna...
- Lo sguardo fiero?
- Lo sguardo perso nel vuoto, casomai. Su, su, dove pensi che possa mettermi questa scorza di cavolo dipinta?
- Bada a come parli, sai? Ti faccio venire le coliche, se continui!
- Ah, perché, non lo fai già abitualmente?
- Cattivo!
- Cafone!
...
- Pesa?
- No, perché, mi avresti aiutato a portarlo?
- Nemmeno per idea! Era così, per dire.
- Mi sa che al muro non ci attacco Olimpia Vittoria Leppa del Grillo ma te, bestiaccia ignobile.
- Ti voglio bene.
- Crepa!


- Visto come sta bene all'ingresso?
- Sarà... Mica sono poi così convinto, sai. Lo faccio solo per te. E per il povero del Grillo che se la teneva in corpo. Chi era, Onofrio (1), magari?
- No, no, macché Onofrio. Severino...
- Mai sentito.
- Appunto.
- Non sapevo che voi gattodemoni aveste padri e madri come noi umani...
- Eh, sono parecchie le cose che non sai, mio caro ospite!
- Immagino... Che dici, si va a fare due biscotti?
- E me lo chiedi?

Farretti
Per 35 biscotti circa:
300 g     farina di farro
50 g       fecola di patate (o farina di riso o maizena)
100 g     zucchero di canna
80 g       olio di semi di girasole (o 100 g burro fuso)
2            uova
1/2 bustina di lievito
Mescolare in una ciotola i secchi: farina, lievito, fecola e zucchero, disponendoli a fontana.
Aggiungere le uova, l'olio e ad impastare, fino a ottenere un composto omogeneo.
Se risultasse asciutto e poco lavorabile aggiungere un cucchiaio o due di acqua o latte.
Lasciate riposare per mezz'ora, poi stendere ad un'altezza non minore di 1/2 centimetro da tagliare con le formine oppure formare delle palline e schiacciarle.
Si possono anche cospargerle di granella di zucchero.
Cuocere a 180° per un quarto d'ora-venti di minuti, a doratura.


Farli raffreddare su una gratella, o in un cesto di vimini (che in casa avrà finalmente trovato la sua collocazione funzionale) e riporli in una scatola di latta, dove si conserveranno freschi per molto molto tempo.
Gattodemoni permettendo...

Quest'impasto, essendo molto frabile, è ottimo per confezionare delle crostatine.
La morte sua, che ve lo dico a fà, è la marmellata di mirtilli.


- Un momento!
- Che c'è?...
- La "nobilgatta" è abbigliata in abiti settecenteschi. Quindi se, come dici tu, ogni gattodemone prende il posto del successivo... Non tornano i conti!
- Perché?
- O tu non hai 623 anni o lei non è tua madre!
- Io sono nato il 1391 della vostra Era Volgare.
- E allora questa... questo... Sei tu!
- Io, veramente...
- Vieni qui che ti faccio un impacco d'anice, vieni, vieni!
- Fossi matto!
- Scendi dal pensile della cucina, maledetto! Mi hai fatto anche prendere un quadro... orribile!
- Ma hai visto che bei merletti e che perle preziose che indossavo? Da te al massimo mi tocca la flanella!
- Se continui salto come un del Grillo e ti zompo addosso con una bottiglia di Sambuca!
- Dài, che in fondo in fondo il quadro ti piace!
- Se ti prendo ti scuoio e uso la tua pelle come sotto-telefono!
- Cattivo!
- Cafone!

Detto romano del giorno
Quanno se scherza, bisogna èsse seri!

Il marchese del Grillo


Oggi ascoltiamo
Nicola Piovani - La gavotta di Olimpia

https://www.youtube.com/watch?v=jPY8IY45yTc

NOTE
1) Il marchese Onofrio del Grillo da Fabriano, impersonato da Albero Sordi in uno di suoi film più riusciti, è veramente esistito, anche se mezzo secolo prima del personaggio filmico. Pare che fosse davvero un burlone, e che amasse farsi beffe dei suoi familiari, così almeno lo dipingono le dicerie popolari. Ma pare che fosse anche ferocemente antisemita, come viene accennato nel film dall'episodio con l'ebanista Aronne Piperno (Riccardo Billi).
Monicelli, nel suo genio ha preso un personaggio dell'aristocrazia impagliata del Settecento e ne ha fatto un disoncantato dandy ante-litteram. E chi avrebbe potuto impersonarlo se non Albero Sordi?...

venerdì 8 agosto 2014

Cischecco di ricotta al cioccocaffè

- Lo facciamo?...
- No, dài, sono stanco...
- Uno. Uno solo!
- E su, ti dico che sono stanco!
- Ma che ti costa? Fallo per me, dài!
- Noo, non mi va!... Mica sono cose che si fanno per cortesia, no?
- Ah no? Mi risulta che metà delle volte l'hai fatto per quella ragione! E anche su commissione, poi! E adesso con me ti fai mille problemi e mille remore!
- Non è la stessa cosa, Leppa, su. Non insistere...
- Il fatto è che non mi vuoi più bene...
- Ma che vai dicendo!
- Sì, lo so, lo vedo! Lo vedo dalla spesa che fai. Non compri più la maionese, e nemmeno la glassa al caramello per il gelato. Mi rabbonisci con le patatine...
- Che ti piacciono da impazzire, tra l'altro...
- Ovvio, ma poi finisce lì. Ed è una settimana che non accendi il forno!
- Con 35 gradi all'ombra e il sole che batte fino all'una non si ha molta voglia di calore supplementare, no?
- In altri tempi lo avresti fatto. Per me, dico. Adesso mi aspetto solo che ti ubriachi con la Sambuca e che mi dia il colpo di grazia.... Sigh! Sigh! Bella fine per un gattodemone!... Sigh! Sigh! Dopo più di seicento anni d'onorata attività nelle panze più ingorde di Roma! Ecco cosa mi tocca sopportare! Finire tra due palline di scamorza scaldate in padella e due biscotti a colazione. Integrali, poi!
- Ti prego solo di non aggrapparti alle tende come tuo solito, visto che la volta scorsa m'hai staccato uno degli stop e per un po' se ne volata tutto per aria. Sei pesante, sai?
- Ecco, anche pesante sono diventato adesso!
- E petulante. Come tutti i gatti, del resto!
- E tu.. tu sei...
- Dillo, dài. Sono?
- Un... un... mostro!
- Ah, ecco una novità. Tu mi stai incuneato nel duodeno come una tenia e mi manovri come una marionetta per ingurgitare quello che ti passa per la testa e poi il mostro sarei io, eh?
- Guarda, mi cade il pelo a ciocche!
- È un vecchio trucco, lo conosco. Non hai nessun nuovo malore da propormi?
- Uaaah!!!...
Dopo mezz'ora...
- Hai finito adesso?
- Sì...
- Ti sei sfogato?
- Sì...
- Ti va un cischecco?
- Sì... Sì, sì, sì!
- E allora all'opera, su!
- Ma perché allora l'hai fatta così lunga?...
- Per farti capire che le cose vanno fatte con curiosità e passione. Tra noi due, poi...
- E allora tutte quelle storie...
- Niente, in confronto alla scenografia che fai davanti al banco dei formaggi, caro mio.
- Quindi niente Sambuca?...
- No, macché, non lo farei mai. Casomai per te sgranocchio due bacche d'anice stellato.
- Cattivo!
- E lavati le zampe!

Certe cose si fanno davvero per amore, non per altro.
Specialmente se fuori, alle nove del mattino, fanno già 27 gradi. All'ombra.
Ma come diceva anche pora mamma mia: "Ce vò 'na riga, sennó..."
(Sì, anche lei parlava coi puntini di sospensione. Da chi avrò ripreso?... Boh...)

  
Cischecco di ricotta al cioccocaffè
500 g    ricotta
100 g    zucchero
100 g    burro
250 g    biscotti ai cereali
2           uova
100  g    cioccolato fondente
2  cucchiaini di caffè solubile
una decina di bacche di cardamono
Come per ogni cischecco che si conviene bisogna tritare i biscotti e unirli al burro fuso.
Rivestire il fondo d'uno stampo in modo uniforme e far riposare in frigo il tempo di preparare la farcia.
Basterà uno uno stampo da 26 cm, o uno da 24 cm e due piccoli da 6-7 cm, da muffin
Aprire le bacche di cardamomo, togliere i semini e triturarli in un pestasale o con un macinino.
Montare i tuorli con lo zucchero, unire la ricotta e lavorare bene con il cucchiaio di legno quindi con una frusta, per sciogliere i grumi.
Aggiungere il caffè, sciolto in poco latte tiepido, il cioccolato fuso e il cardamomo in polvere.
Montare a neve gli albumi, con qualche gocchia di limone che aiuta la montata - e non il sale, come ha definitivamente dimostrato il chimico Bressanini -  e unirli con delicatezza al composto.
Riempire lo/gli stampo/i e livellare la superficie.
Cuocere a 180° per circa 45 minuti.
Il corpo del cheesecake deve risultare asciutto.
Far raffreddare bene su una gratella quindi farla rassodare in frigo per un'oretta.

È una ricetta semplicissima, ma in grado di mettere d'accordo una tavolata di commensali.
Figuriamoci un gastrodemone col suo ospite...

Detto romano del giorno 
Chi s'inchina troppo mette in mostra er culo.
Monito e sberleffo a chi si genuflette a ogni potere, rendendosi ridicolo.


Oggi ascoltiamo
Almamegretta - Nun te scurdà

https://www.youtube.com/watch?v=8kNc-Ikbygo